di SALVATORE VELTRI E DOMENICO MAZZA – Sembra un’infinita storia a capitoli, nonostante gli epiloghi siano sempre gli stessi. Ancora una volta, le compagnie aeree disertano il banco per gli oneri di servizio sulla rotta Crotone-Roma.
Si continua, quindi, con un approccio pretestuoso verso l’unico scalo aereo di tutto l’Arco Jonico. Appare fosco ed incerto il futuro per i collegamenti con la Capitale, nonostante sembrerebbe ormai alle spalle la problematica legata al recente periodo pandemico. Tuttavia, quanto detto, non ha incoraggiato le Compagnie ad investire nello scalo Pitagorico.
Del resto c’è poco da meravigliarsi, considerato il bando preconfezionato e poco appetibile per i vettori.
A tal riguardo vorremmo esprimere alcune basilari considerazioni che — a nostro avviso — hanno generato l’ennesimo nulla di fatto nell’attività volativa dello scalo. Iniziamo dicendo che l’operatività dello scalo tra le 08.00 e le 20.00, rende poco appetibile acquisire rotte da e per lo Jonio. Vieppiù, tale orario, obbliga le Compagnie a basare gli aeromobili a Crotone. Quanto descritto genera aggravi dei costi che, certamente, non invogliano i Player ad investire.
Inoltre, prevedere esclusivamente aerei da 140 posti e per una frequenza di voli 7 giorni su 7, significa non comprendere le dinamiche del territorio in questione.
Partiamo dal presupposto che allo Jonio non mancano i requisiti demografici per giustificare una concreta attività aeroportuale. Piuttosto, languono sistemi di collegamento moderni che permettano a tutto il naturale bacino d’utenza di fruire dello scalo. È insensato continuare a pensare che il solo ambito Crotonese possa soddisfare le esigenze di profitto delle compagnie aeree. I circa 160mila abitanti della Provincia pitagorica non sono sufficienti per predisporre un’attività di volo degna di un Paese civile.
É necessario che lo scalo si apra al suo naturale ed unico bacino d’utenza: il nord est calabrese. I circa 400mila potenziali utenti compresi tra il Crotonese e la Sibaritide, potrebbero cambiare il paradigma di un’infrastruttura, ad oggi, destinata al dimenticatoio.
Una semplice elettrificazione della linea ferrata consentirebbe di accorciare i tempi di percorrenza dalla Piana di Sibari a Sant’Anna in circa 45 minuti. Ovvero, il tempo medio di tragitto che si impiega per raggiungere il centro di Roma e Milano dagli scali di Fiumicino e Malpensa.
Malgrado ciò, si continua a guardare al dito e non alla luna. Si preferisce investire milioni per improbabili restyling dello scalo, senza intervenire su un sistema intermodale che consenta al naturale alveo di riferimento demografico di raggiungere lo scalo in tempi accettabili e, soprattutto, in sicurezza. Basterebbe, poi, uno shuttle bus dalla stazione di Crotone ed in meno di 10 minuti si raggiungerebbe l’aeroporto. Certamente, in questo caso, i numeri macinati dallo scalo (e l’orizzonte potenziale dello stesso) sarebbero diversi.
Ergo, fa rabbia continuare a registrare un atteggiamento latitante da parte della politica. Si continua a disconoscere la valenza di un ambito di 400mila abitanti che suffragherebbe ogni tipologia d’investimento sull’aeroporto.
Pensare alla creazione di un Consorzio unico a partecipazione pubblico-privata tra i Comuni dell’Arco Jonico e le forze imprenditoriali del Crotonese e della Sibaritide, non sarebbe un’idea peregrina.
Devono essere Cittadini ed Istituzioni a credere e dare impulso alla rinascita dell’Arco Jonico. Non si può continuare a rimanere inermi con la consapevolezza di restare proni al volere dei centralismi storici che, ormai da tempo, hanno relegato l’area jonica ad una condizione di ramo secco periferico. Solo Chi ha il coraggio d’osare, innesterà un principio evolutivo ed emancipatvo dell’area. Contrariamente, sarà destinata alla soccombenza ed all’oblio.
Decenni di malapolitica hanno già, ampiamente, desertificato il territorio. Strali cancrenosi sono stati lasciati lungo lo Jonio. Se le metastasi centraliste non saranno estirpate, anche i pochi figli rimasti emigreranno verso mete più adeguate alle loro aspirazioni. E noi avremo perso, irrimediabilmente, il futuro della nostra terra. (sv e dm)