di EMILIO ERRIGO – Ho sempre provato delle forti sensazioni positive, quando in contesti nazionali ed esteri, per rendere più chiara una idea, un pensiero, convinzione, a sostegno di una o più tesi, citavo detti, proverbi e metafore in lingua Calabrese.
Proverbi, detti e metafore questi, tradotti in real time, in lingua italiana, se mi trovavo sul territorio nazionale o in lingua straniera, se la relazione avveniva in Stati esteri. Ho iniziato in Calabria, da giovane scrivere e poi cantare, accompagnato dalla mia chitarra, i testi letterari delle canzoni in “Lingua Calabrese”.
Successivamente, dopo aver sostenuti gli esami in (lingua italiana), in Viale della Letteratura n.30, a Roma-Eur, quale “Autore di Parte Letteraria melodista non trascrittore”, e ottenuta l’iscrizione nell’apposito Albo, al n.43222, della Società Italiana degli Autori ed Editori (Siae), sono ritornato a scrivere i testi delle mie poesie e canzoni in lingua Calabrese.
Per chi scrive, parlare la lingua Calabrese, perché di una vera e propria lingua si tratta, è stato da sempre un vero e fascinoso piacere, anche se fa più comodo a molti, far passare la nostra lingua regionale, parlata generalmente in famiglia e tra amici, sia in Calabria che in ogni parte del mondo dove vivono i Calabresi, come una lingua tipica dialettale.
I Meridionali se sono Campani, parlano la “Lingua Napoletana”, i Siciliani, la “Lingua Siciliana”, aggiungendo delle varianti e cadenze linguistiche provinciali. In Calabria si parla e scrive naturalmente, in lingua Calabrese, generalmente, in lingua Italiana, le e lingue inglese, francese, spagnolo, tedesco, ecc., con i turisti stranieri , in hotel, ristoranti ed altri esercizi aperti al pubblico.
La scrittura e la lingua Calabrese, non è giovane, affonda le radici linguistiche nella “Magna Grecia”, anche se sono presenti condizionamenti grammaticali, fonetici e ortografici, che fanno risalire alle diverse dominazioni territoriali che si sono succeduti nel corso dei secoli in Calabria.
È difficile assistere in Calabria e in ogni parte del mondo, un dialogo tra Calabresi in lingua italiana, non ne parliamo se la tensione e divergenza di opinione, sale di decibel. La “Lingua Calabrese”, così come è giusto che sia, è la forma espressiva di comunicazione più ricorrente, intima, famigliare, amichevole, sportiva, intellettuale, tradizionale, folkloristica, popolare, regionale e internazionale, parlata tra coloro che sono nati e cresciuti in Calabria o con genitori Calabresi.
Quando un tempo lontano, nelle antiche fiere, mercati rionali, piazze di paese, si doveva rendere pubblico un fatto, accadimento, partecipare alla popolazione residente un “Ordine dell’Autorità”, i “Bandiatori mercatali” e “Banditori pubblici”, per farsi “sintiri”
(ascoltare), da quante più persone possibili, alzavano il tono della voce, proponendo agli astanti le proprie mercanzie, prodotti agricoli e alimentari, ricorrendo ai tanti “Bandiatori”, mentre se occorreva diffondere un “Avviso pubblico o Ordine dell’Autorità”, nazionale, regionale o comunale, esistevano delle persone che svolgevano la professione di “Banditore”.
Nella prima e seconda attività lavorativa, si doveva dar fiato alle corde vocali, per gridare ad alta e altissima voce, si diceva e si dice ancora oggi, ( iettari u bandu , bandiari), “Iettandu bbuci”.
Si “iettavano buci” (si gridava), per partecipare ai presenti un pensiero, si “iettavunu bbuci”, per consentire a chi non aveva voce, di farsi ascoltare (il Popolo), si “iettavunu bbuci”, per cercare un lavoro giornaliero, si “iettavunu bbuci”, per dissentire dalle opinioni altrui, si “iettavunu bbuci”, asserendo che ” lu dissuru li frati Greci”,(lo hanno detto i Fratelli o li Frati Greci), si “Iettunu buci mi sentimi i Bronzi di Riaci”, ( si grida lasciando intendere metaforicamente, per farsi ascoltare dai finti sordi, dalle facce di bronzo), “Iettu bbuci mi senti Jesu Cristu nta la cruci”, ( grido per farmi ascoltare dal buon Dio crocifisso sulla croce).
In assenza di megafoni e altri strumenti tecnologici che potessero amplificare la voce, si era soliti avvalersi di questi veri “Tenori del Popolo”, i quali previo giusto compenso economico, diffondevano ad alta e altissima voce, “gridando” o “iettandu bbuci”, messaggi vocali a pagamento al pubblico.
Al tempo, era molto difficile ascoltare “Bandiatori e Banditori”, esprimersi “iettari bbuci”( gridare ad alta voce),in lingua italiana, anche perché in Calabria la lingua più parlata, era e rimane, il ” Calabrese”, poi la lingua italiana e straniera se ritenuta necessaria, per fini commerciali o relazionali.
Forse è giunto il momento di ritornare indietro nei tempi che furono, formando dei “Giovani Tenori del Popolo”, per svolgere la professione di “Bandiatori e Banditori”, per gridare a tutti e in ogni dove, con quanta più alta voce umanamente possibile, per farsi ascoltare e capire, Forza Calabria.
Si carissimi Calabresi, occorre gridare e pure ad altissima voce, ripetendo “Forza Calabria”, per auto convincersi che la Calabria e i Calabresi, per vincere e avere la meglio, sul male che sembra incurabile, sull’indifferenza per i continui incidenti stradali e i tanti morti sulla SS 106, gridare per le opere pubbliche incompiute, per l’aeroporto di Reggio Calabria, da quarto mondo, alzare la voce per far valere i diritti di mobilità veloce negati ai Cittadini Calabresi, per la crescente disoccupazione, sul malaffare, devono gridare, sia in Calabria, che a Roma, in Piazza San Pietro, per farsi sentire dal caro Papa Francesco, a Piazza del Quirinale, per far giungere la voce al nostro carissimo amato Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Piazza Colonna, per ricordare l’esistenza dei Calabresi , al caro Presidente del Consiglio dei Ministri, a Piazza Madama, ai nostri cari Senatori, in Piazza di Montecitorio, ai nostri cari Deputati e ovunque in ogni parte del mondo, Forza Calabria!
[Emilio Errigo è nato in Calabria, Docente universitario di Diritto Internazionale e del Mare, e Consigliere Giuridico nelle Forze Armate]