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L'OPINIONE / Franco Cimino: «Che bello, sono alla festa di Mario Casalinuovo!»

L’OPINIONE / Franco Cimino: Vittorio Feltri, padano, te la do io Catanzaro, ma il problema non sei tu!

di FRANCO CIMINO – In rete corre da ieri (sabato 29 giugno ndr) alla velocità della luce, un video dell’ineffabile Vittorio Feltri. Dura venti secondi e perciò tutti l’hanno divorato. È sempre lui, dietro la stessa scrivania, lo stesso studio, la stessa casa, dalla quale, passando di sera al divano del suo elegante salotto, pontifica a reti unificate. Tutti lo chiamano, nonostante dica grandi scemenze ingessato nei suoi abiti sempre uguali pur se ne ha molti e di qualità di alta sartoria. Ne ha dette tante. E non da ieri. Tante che non sai se ci è o ci fa. Io sinceramente penso, come il tale di “Quelli della notte”, la prima. Per aver iniziato e lavorato a lungo con Indro Montanelli, su Il Giornale da lui fondato per opporsi al predominio editoriale di Berlusconi, il nostro è stato sempre super valutato. Un semplice giornalista alla corte dell’affermato maestro, è stato considerato un suo allievo, quando i fatti dicono, purtroppo, che, forse anche per colpa sua, il mitico direttore di allievi non ne abbia avuti e di eredi neppure l’ombra.

Tra l’altro, anche per eccesso di considerazione del suo Io gigante, non ne ha designato neanche uno. Forse perché uno dei primi, ironizzo evidentemente, criteri di valutazione era l’altezza fisica, in rapporto a quella considerevole dell’uomo alto e magrissimo dagli occhi celesti. Per la vicinanza quotidiana a Montanelli, ex fascista di adozione “politica”, ma liberale di formazione culturale, l’idea che il giovane Veltri ha saputo abilmente dare di sé stesso era che fosse un liberale convinto, anche se il suo anticomunismo e anti tutto ciò che poi non fosse berlusconismo, più di qualche sospetto del contrario l’avesse prodotto, se pur non colto dai più. Per il suo scrivere netto e asciutto, come imponeva il fondatore de Il Giornale, fu considerato esageratamente ottima penna. E per qualche articolo, magari in qualche modo interessante, pure un grande giornalista. Per il suo stile apparentemente elegante e il suo eloquio fine, in quella erudizione ostentata, è stato considerato un intellettuale profondo.

La fotografia che ne è stata fatta, è quella, pertanto, riassumiamo, di un giovane elegante, brillante, giornalista libero, pensatore profondo dalla più profonda culturale liberale. Quanto di più assurdo si potesse già lontanamente immaginare. Aggiungiamo “democratico”, la parola più rappresentativa di quel suo tutto, e già da quel tempo lontano, non sai se piangere o ridere. Com’è potuto verificarsi tutto ciò é, oggi, pur se tardivamente, facile capirlo. Va intanto ricordato che era da tempo iniziata l’era dell’indebolimento progressivo di tutte le forme espressive del più alto pensiero. Sia nell’ambito degli studi e delle accademie diverse, sia in quello della Politica, sia in quello dell’economia. Ambiti tutti nei quali via via, per strade e meccanismi diversi, scompariva la migliore, pur con le contraddizioni e i limiti ben noti, classe dirigente della storia del nostro Paese.

Il resto l’ha fatto il “nuovo” sistema del berlusconismo, mutuato da fuori per quello interno, il sistema democratico, che aveva ormai perso ogni qualità e sostanza. L’unica struttura rimasta, nel Paese del post Tangentopoli, strumentalmente utilizzato per la più ingannevoli delle “rivoluzioni”, è la Democrazia e la sua Costituzione, le due entità “sovrane”, non a caso da tempo attaccate dal “nostro”, quale guerriero di una battaglia dai grandi poteri nascosti portata nell’Italia delle volute fragilità. Una persona così non può essere presa sul serio se negli anni che sul suo equilibrio mentale pesano come una pietruzza sulla formica, afferma una stupidaggine. Siccome non è la prima volta che dice di noi e del Sud le peggiori parole, come ben noto è che lui sia rozzamente nordista e antimeridionalista, razzista e anti immigrati (lo sanno pure le formiche), io ripeterei l’invito già rivolto in passato, non dategli retta. Ogni reazione, pur legittimamente dura, a questo poveretto suonerà come un complimento.

La prova provata della sua esistenza in vita. Non facciamogli questo favore. Questa volta, però, è non perché mi ha toccato nel vivo della carne – l’insulto alla “cameriera di Catanzaro, la cosa più bassa che si possa immaginare” – ma perché sia chiamato, almeno una volta, a pagare per l’uso, questo sì veramente offensivo, della libertà di parola. La parola è bella, la libertà è sacra. Non vanno abusate. Non vanno sfregiate. Trovo, pertanto, giusto che il Capoluogo lo quereli e lo chiami, senza condizione riparatrice alcuna, a pagare per le offese alla Città. E in solido, ché questi volgarotti falsamente borghesi se li tocchi nella tasca piangeranno davvero.

Poi, c’è il terreno squisitamente politico, che, oltre alla indignazione, deve sollevare un caso politico. Un caso che va aggiunto non alla legge sull’Autonomia, che, al di là dei propagandismo di maniera, non passerà per la volontà popolare che la spazzerà via come il vento fa con le foglie d’autunno. Va aggiunto alla questione, che, volutamente inosservata, sta prendendo corpo nella società e forma delle istituzioni. È, questa, prettamente culturale prima che politica, democratica prima che morale. Personale, mi azzardo a dire, prima che sociale. È la stessa che riguarda i silenzi dell’attuale classe di governo del Paese, quando ministri e militanti della destra storica fanno dichiarazioni strane sulla parità sociale, sull’eguaglianza tra cittadini e sugli immigrati. E dichiarazioni reticenti sull’antifascismo o molto striminzite, quando non ambigue, sulla natura antifascista della nostra Costituzione.

E sulla Democrazia, la nostra particolare perché nata dalla Resistenza! Questo silenzio oggi non vale. Sull’insulto grave perpetrato nei confronti di Catanzaro il silenzio di(li elenco tutti), Giorgia Meloni e del suo partito, di Tajani e del suo partito, dei ministri dell’interno e di quello della Cultura, il silenzio dei gruppi parlamentari di quei partiti e del Governo in generale, non è tollerabile, perché, aggiungendosi a quelli di cui sopra, confermerebbe il sospetto che il percorso di revisione ideologica della destra italiana non sia per nulla avvenuto. Confermerebbe pure che l’uso delle istituzioni democratiche, cui si è costretti momentaneamente dai ruoli istituzionali ricoperti, potrebbe apparire, se non del tutto essere, strumentale alla conquista piena del potere, dalla quale la successiva progressiva, indolore, modificazione del nostro sistema democratico.

Dei due presidenti della Calabria, Giunta e Consiglio, Roberto OcchiutoFilippo Mancuso, come del Sottosegretario calabrese all’Interno, Wanda Ferro, non sollecito alcunché, immaginando che essi, intanto informalmente, avranno già fatto sentire la loro vice di protesta. E, allora, onorevole presidente del Consiglio, dica all’Italia la sua indignazione per le dichiarazioni di quel giornalista di Milano. Lo inviti a tacere. E rifiuti il suo personale sostegno politico.

Ne va della sua dignità politica e della sua credibilità di persona. Soprattutto della sua bellezza di donna, ché le donne sono tutte belle. Quelle del Sud di più. Le donne di Catanzaro, poi, come la loro Città, le più belle del mondo. (fc)