di NINO MALLAMACI – “L’Amministrazione andrà comunque avanti”. In questa frase c’è molto della vicenda politica e amministrativa di Giuseppe Falcomatà, ma anche di quella della città di Reggio e, allargando il discorso, della Calabria. Questa terra viene usata dai suoi cittadini, dai politici nostrani e importati, dai catapultati o paracadutati in delicati ruoli amministrativi e gestionali. Raramente si affaccia sul palcoscenico qualcuno che si impegni nella cosa pubblica per la propria gratificazione personale, la qual cosa non mi scandalizzerebbe affatto, ma anche per tentare di fare qualcosa per il popolo.
La condanna di Falcomatà non è per nulla un fulmine a ciel sereno. Era impressa nei fatti, che hanno avuto una linearità e una logica semplicissime: tu dai a me, io do a te, e per fare ciò apparecchiamo quello che serve. Ci sarebbe stato da stupirsi se le cose fossero finite in maniera diversa. E Falcomatà, come nulla fosse, continua a maneggiare Reggio come fosse cosa sua, un affare della sua famiglia e dei suoi amici. Tutte le sue scelte, dai risultati peraltro disastrosi, sono improntate a tale impostazione. D’altra parte, ciò è in estrema coerenza con la scaturigine della sua sfolgorante carriera, di matrice ereditaria.
Ma cosa dire degli altri, dei suoi supposti avversari? Tutti abbiamo bene in mente il percorso che ha portato la destra a una candidatura perdente in partenza. Da quella parte, tra i maggiorenti con diritto di parola, solo il deputato Cannizzaro si è battuto fino alla fine per contrastare il diktat di Salvini, anche lui calato a Reggio per piegarla ai suoi scopi. Come Davi, in cerca di visibilità, o De Magistris, disposto a tutto pur di conquistare una nuova tribuna dopo gli anni napoletani. Io non so cosa sarebbe successo se il PD non avesse chiuso all’ipotesi di primarie blindando la candidatura di un primo cittadino fallimentare da ogni punto di vista. Forse oggi non ci troveremmo con una città decapitata in un momento così delicato, quando ingenti risorse sono a disposizione e potrebbero essere usate per dare una parvenza di normalità a un territorio letteralmente distrutto, bombardato da una pessima amministrazione.
Allo stesso modo, non so cosa sarebbe successo se la destra avesse avuto il coraggio di dire no a Salvini e alle sue pretese. Certamente, i reggini non si sarebbero trovati davanti a una scelta obbligata dalla pochezza, dalla estraneità, dalla sciatteria, dalla inadeguatezza, di quel candidato. E anche se c’è chi, come me, mai e poi mai avrebbe dato il proprio consenso, forse ci saremmo risparmiati il “secondo tempo” (a proposito, è mai iniziato?) della già allora probabilissima anatra zoppa, per di più incapace anche con entrambi gli arti funzionanti.
L’aspetto grave e preoccupante, adesso, non è quello che è successo, che è esattamente quello che doveva succedere. Anche se Castorina gongola, e l’associazione dei sindaci esprime una solidarietà che sa di corporativo, noi cittadini ci dobbiamo preoccupare. Potremmo essere facili profeti se pronosticassimo una conclusione rapida della legislatura, determinata non dalla volontà dei protagonisti di questa tristissima pagina – i quali si acconciano già a una gestione a tirare a campare in attesa di tempi migliori – ma da fattori di instabilità oramai quasi incontrollabili. Al di là di ciò, però, è la città che non può aspettare. Si sveglino, i reggini. Reclamino un ritorno alle urne in tempi brevi Una pretesa tuttavia non sufficiente. Esigano in più un patto solenne tra Reggio e la sua classe dirigente – se ne esiste una – di destra, di sinistra, di centro. Sul palcoscenico salgano la città e i suoi mille problemi, non i tanti personaggi in cerca d’autore. Necessitiamo di persone che abbiano in animo di Servire Reggio, e non di servirsene per l’ennesima volta. (nm)