L'INIZIATIVA DEL "QUOTIDIANO DEL SUD" CONDIVISA DA ECONOMISTI E STUDIOSI DI LEGISLAZIONE PUBBLICA;
I giovani vogliono lavoro

Un manifesto per il Mezzogiorno e per l’Italia: solamente se parte il Sud riparte tutto il Paese

di SANTO STRATI – Porta la firma di economisti e studiosi di Mezzogiorno e di legislazione pubblica il Manifesto per l’Italia lanciato da Roberto Napoletano direttore del Quotidiano del Sud-L’Altravoce dell’Italia e che ha trovato subito l’adesione del presidente Conte in una lettera che pubblichiamo nella sezione in primo piano. Un programma in sei punti che sta raccogliendo ampio consenso e che sarà dunque fatto proprio dal nuovo governo come piattaforma di confronto e di dibattito per un grande rilancio delle politiche meridionalistiche.

Tra i primi firmatari il presidente della Svimez Adriano Giannola, l’on. Gerardo Bianco, presidente dell’ANIMI, l’Associazione Nazionale degli interessi del Mezzogiorno d’Italia, Pellegrino Capalbo, professore emerito dell’Università La Sapienza di Roma, Sandro Staiano, presidente dell’Osservatorio sul Regionalismo Differenziato, Paolo Pombeni, professore emerito dell’Università Alma Mater di Bologna, Massimo Villone, presidente del Coordinamento per la Democrazia costituzionale, Ugo Patroni Griffi, presidente Autorità Portuale Mare Adriatico e Pietro Massimo Busetta, presidente dell’ISES, Istituto Esperti Studi Territoriali.

Adriano Giannola
Adriano Giannola Presidente della Svimez

Perché un “manifesto” per l’Italia? Roberto Napoletano, giornalista di lungo corso, ha coraggiosamente avviato col suo quotidiano L’AltraVoce dell’Italia una inarrestabile campagna contro lo “scippo” del Nord ai danni del Mezzogiorno: sono le cifre a dargli ragione, 62,3 miliardi in termini assoluti della Spesa Pubblica Allargata che si traducono in risorse aggiuntive a favore della popolazione del Settentrione, risorse naturalmente sottratte ai meridionali.

Roberto Napoletano
Roberto Napoletano, direttore del quotidiano L’AltraVoce dell’Italia

La sua battaglia è legittima e sacrosanta e la crescente indignazione che la campagna del suo quotidiano ha suscitato indica chiaramente che non si tratta di pura propaganda sul divario Nord-Sud, ma drammatica realtà: sono numeri certificati dai Conti Pubblici Territoriali, quelli introdotti da Carlo Azeglio Ciampi per avere un controllo reale dei flussi di spesa nazionale. In altri termini, sono le cifre che fotografano la netta differenza di distribuzione delle risorse nell’ambito della spesa pubblica.

Napoletano fa un esempio tra i più significativi (e davvero inaccettabile in nome dell’unità del Paese): a chi nasce ad Altamura, in Puglia, la quota pro-capite per gli asili nido è pari a zero; diventa di 18 euro per chi nasce a Reggio Calabria, ma raggiunge i 3.000 (tremila!) euro per chi nasce in Brianza. Come interpretare questi dati? Non basta, non serve l’indignazione, occorre una “rivoluzione culturale” che smuova le coscienze e induca alla riflessione. Non sarà il “nuovo umanesimo” che tratteggia il presidente Conte (anche perché non si capisce come la pacatezza dei modi suggerita potrebbe cambiare il modo di affrontare i problemi irrisolti del Sud), ma suscitare un dibattito serio in cerca di soluzioni concrete sarebbe già un bel passo avanti.

C’è da inorridire, leggendo, ancora, i dati della spesa per infrastrutture e sviluppo: dal 2009 al 2015 (gli ultimi disponibili), si scopre che al Mezzogiorno è stato erogato lo 0,15% del pil, ovvero quasi niente, circa un sesto di quanto si spendeva nei decenni che precedevano l’entrata del federalismo fiscale. Per non parlare, poi, di mobilità, trasporti, ambiente, dove i problemi sono di portata gigantesca e risentono di una vergognosa politica di rinvii che negli anni non ha fatto altro che acuire il disagio del-e-nel Mezzogiorno, dove la Calabria è ultima tra gli ultimi, nonostante le tantissime risorse inutilizzate e inutilizzabili in assenza di progettualità e programmi sul territorio.

Serve, dunque, un nuovo modo di pensare, un new deal, che permetta al Mezzogiorno di partire, perché – sia chiaro – solamente se parte il Sud riparte l’Italia. Lo deve tenere a mente il presidente Conte ora che non ha mandati “condizionati” e, da uomo del Sud, sa riconoscere l’inadeguatezza degli interventi fino ad oggi pensati (e quasi mai attuati). Non serve una Banca del Sud, come indicato dal suo programma, se non viene affrontato in modo drastico il problema della burocrazia: lacci e lacciuoli che frenano gli investimenti, che scoraggiano gli imprenditori onesti, che soffocano lo spirito d’iniziativa di tantissimi giovani che trovano sempre sbarrati gli accessi al credito. Mancano proprio queste condizioni per poter parlare di sviluppo in Calabria e nell’intero Mezzogiorno.

Il sistema Paese non può prescindere da una totale riorganizzazione delle risorse che consenta parità di diritti e uguali disponibilità, oltre che opportunità di occupazione nell’ottica di una industrializzazione “illuminata” che rispetti il territorio, ma offra condizioni di progresso e occasioni di crescita. L’autonomia differenziata è la negazione di tutto ciò, Calabria.Live lo ha ribadito in più occasioni: è un trucco per dissimulare l’ulteriore rapina autorizzata ai danni di un Mezzogiorno che non cresce per colpa di governanti incapaci e di politici ingordi, le cui malefatte, pian piano, stanno venendo a galla a smascherare interessi di parte e clientele. Ecco perché i sei punti del Manifesto non sono una speranza, ma devono diventare elementi fondativi di un programma di sviluppo che dovrà coinvolgere tutta l’Italia, senza remore e, soprattutto, senza più inutili politiche assistenzialistiche di cui il Mezzogiorno, la Calabria, vogliono proprio fare a meno.

La parola che ricorre è “talento”: ai nostri giovani non viene data la possibilità di mostrare le loro capacità che, invece, le regioni industrializzate (se non vari Paesi esteri) sono pronte ad assorbire e utilizzare (sfruttare?) a proprio vantaggio. Cultura e turismo sono le parole attraverso le quali ipotizzare e realizzare piani di sviluppo e crescita, con evidenti sbocchi occupazionali per migliaia di giovani, laureati e non. Tutto ciò, però, non è nemmeno pensabile se mancano infrastrutture e trasporti. Ci sono le condizioni ideali per attrarre i forestieri, milioni di turisti affascinati da bellezze naturali e paesaggistiche, da tesori archeologici inestimabili (a cominciare dai Bronzi), nonché da un clima invidiabile che dovrebbe trasformare la Calabria nella California d’Europa. Serve qui ricordare le varie declinazioni del turismo aggiuntivo? Non solo vacanzieri, ma turismo congressuale, religioso, culturale, di lusso: il Trentino registra milioni di turisti all’anno e ha l’1% delle nostre risorse in termini di cultura, tradizioni e storia millenaria. Diamoci una svegliata e riapriamo i termini di una nuova questione meridionale a respiro mediterraneo (copyright Paolo Bolano): sul Mare Nostrum vanno individuate le cosiddette autostrade del mare che vedono la Calabria in una posizione ideale e unica. Ma servono idee, progetti e risorse economiche: non manca nulla di tutto ciò, ci sono anche le risorse umane che aspettano solo di potersi rendere utili, manca la volontà di attuare concretamente un piano di cui questo Manifesto per l’Italia è una notevole base di partenza.

Quali sono dunque questi punti? Sul Manifesto per l’Italia – proposto dal Quotidiano del Sud – L’AltraVoce dell’Italia – sarebbe proprio auspicabile vedere un serio confronto tra parti politiche e sociali, cittadini, associazioni e governo:

A) Dare al Sud più infrastrutture efficienti che vuol dire più risorse pubbliche, questo è il primo punto perché usciamo da una lunga stagione di rapina del Nord a spese del Sud, e capacità professionali di spendere bene e presto quelle risorse per fare le infrastrutture che servono non per fare piacere agli amici degli amici; se si vuole ridare competitività all’Italia intera e smetterla di scaricare sull’Europa le proprie responsabilità, bisogna prendere atto che non solo al Sud non arriva il 40% degli investimenti, la cosiddetta quota Pescatore, necessaria per perseguire un effettivo disegno di riequilibrio tra le due Italie, ma si trasferisce addirittura meno di quanto gli spetterebbe in proporzione alla popolazione, il 27,8 rispetto al 34,3, che significa un 6,5% in meno che  vale malcontato 62,3 miliardi. Tale  operazione verità è propedeutica a ogni generica affermazione  di sviluppo, che apparirebbe in questo modo di principio se non di maniera, e a qualsiasi pretesa di maggiore autonomia. La regola Ciampi di destinare al Sud il 45% della spesa in conto capitale mettendo insieme risorse ordinarie  e contributi comunitari aggiuntivi, resta l’obiettivo strategico da perseguire nel medio termine e indica la lungimiranza di uomini che hanno cultura di Stato e di mercato e sanno guardare lontano. Si utilizzino per davvero i 20 miliardi disponibili nel Fondo di Sviluppo e di Coesione e si dimostri di sapere impiegare in cofinanziamento i contributi comunitari con la stessa efficienza della macchina della prima Cassa guidata da Pescatore che l’Economist definì la lepre ed è esattamente la lepre di cui oggi le donne e gli uomini del Sud non la classe politica e i suoi clientes hanno vitale bisogno. Perché la Napoli-Bari e l’Alta Capacità ferroviaria fino a Palermo-Augusta diventino capitoli di spesa, cose che si possano toccare e non enunciazioni programmatiche senza copertura. Insomma, fatti non parole e un ruolo-chiave a livello centrale – tecnico e strategico – che metta in riga le Regioni e sottragga il Sud allo scippo permanente del Nord attraverso i canali istituzionali territoriali, enti collegati e imprese pubbliche. Attenzione, dare al Sud le infrastrutture di cui ha vitale bisogno non significa non fare più opere al Nord, sarebbe suicida, le risorse nazionali e comunitarie ci sono per fare le une e le altre; la dieta che deve fare il Nord, con il suo primato di dipendenti pubblici, riguarda l’assistenzialismo.

B) Avere più impresa privata che è disposta a investire nei territori meridionali attraverso la conferma e il rafforzamento del credito di imposta e la promozione in modo selettivo di Zone economiche speciali (Zes). Sono importanti e possono essere un reale moltiplicatore  se le agevolazioni fiscali aggiuntive rispetto al credito di imposta sono indirizzate in modo selettivo solo in alcune aree delle regioni meno sviluppate del Sud. Possono essere decisive per attrarre investimenti di player internazionali, per il trasporto marittimo e la movimentazione delle merci nei porti del Mezzogiorno. L’importante è che tutto avvenga in una logica sistemica coerente come Paese.

C)  Investire sul talento giovanile. Affrontare e risolvere il tema strategico di chi lavora per questa impresa privata disposta a investire reclutando e motivando le intelligenze disponibili prima che emigrino per non tornare più. Occorre investire in modo significativo e integrato  in scuola, università e ricerca.

D) Dotarsi di un capitale sociale che tuteli gli investimenti nei territori meridionali sottraendo chi ha un minimo di attività in proprio dalla tenaglia della criminalità organizzata e qui è decisivo il ruolo dello Stato centrale; sottrarre agli enti territoriali la gestione delle gare europee per i fondi comunitari, per cambiare approccio, cultura e metodo di lavoro sarebbe bene che a esaminare i bandi di gara e a procedere alle assegnazioni fossero i funzionari europei con tempi certi e criteri trasparenti resi pubblici e consultabili da tutti.

E) La grande Popolare e la nuova Spa con investitori esteri e interconnessioni con  Mediocredito centrale e Cassa Depositi e Prestiti (CDP). Il Mezzogiorno non ha bisogno di una nuova Banca del Sud ma di perseguire e attuare un progetto di aggregazione delle Popolari ripulite, dopo avere venduto crediti deteriorati, senza diritti di primogenia per alcuno, con una governance messa in sicurezza e un capitale adeguato. Da realizzarsi attraverso le citate aggregazioni, operazioni di mercato che coinvolgano imprenditori, investitori internazionali, soggetti istituzionali e, all’occorrenza, con un utilizzo appropriato di strumenti fiscali. Questa  banca, non nuova, frutto di aggregazione tra Popolari e soggetti di mercato, di dimensioni quantitative e qualitative adeguate, avrà un doppio itinerario: la Popolare, acquisizione di banche popolari dove l’azionariato è di qualità e esprime il meglio dell’imprenditoria meridionale da aggregare e consolidare; la SPA che dovrebbe mettere insieme investitori internazionali (ci sono) e un soggetto istituzionale che opererebbe sulla base dello Schema Volontario e, cioè, non ha l’obbligo di intervenire ma decide di farlo perché lo ritiene giusto e produttivo, una specie di Fondo di garanzia, e anche qui c’è un ruolo da chiarire e definire di Cdp. Il senso profondo di questa operazione Banca Popolare del Sud è dare soddisfazione a  tutti  gli stakeholder e dotare il sistema meridionale di uno strumento finanziario che conosce il suo territorio e è in grado di operare con le logiche e le dimensioni del player globale in modo da offrire servizi efficienti e competitivi. 

F) Turismo, cultura, borghi e centri storici. Se si attua per davvero la regola Ciampi per la spesa in infrastrutture di sviluppo, si fanno un vero credito di imposta e le zone economiche speciali, si attribuisce a Bruxelles l’assegnazione dei contributi comunitari e si prosegue nel cammino interrotto di rinnovare la guida di sovrintendenze, musei e altro scegliendo il meglio in casa e fuori, allora la scommessa della cultura e del turismo, l’azienda più conosciuta nel mondo come marchio italiano, è vinta e il talento creativo da primato mondiale dei giovani del Sud avrà opportunità di impiego adeguate al talento e, forse, perfino la Rai riprenderà a investire nei suoi centri di produzione meridionali abbandonati in modo miope e poco rispettoso dei principi costituzionali e dei vincoli da canone pubblico. È un tema, crediamo noi, da magistratura contabile e amministrativa sulle quali insisteremo nelle opportune modalità e nelle opportune sedi.

«Questi – scrivono i primi firmatari– sono i sei punti di un Manifesto che studenti, operai, ricercatori, le forze sindacali, il ceto imprenditoriale e  professionale, le élite e gli stakeholder tutti hanno il dovere e anche il diritto di sottoscrivere e promuovere. Noi ci crediamo e contiamo sulla mobilitazione contagiosa delle coscienze. Senza pretese arroganti o questuanti. Senza revanscismi. Questo Manifesto è per l’Italia. Una volta tanto, dal Sud al Nord». (s)