di MARCELLO VILLARI – “Marzo per gli Agnelli”, l’ultimo romanzo di Mimmo Gangemi racconta una storia calabrese. Anzi, per la precisione, una storia ambientata fra la Piana di Gioia Tauro e l’Aspromonte, luoghi privilegiati della narrativa di Gangemi. Ma forse sarebbe riduttivo interpretare la vicenda che si snoda nelle pagine del libro semplicemente come “letteratura regionale”. Lo sfondo, gli scenari naturali e umani, i caratteri e i linguaggi dei personaggi indubbiamente caratterizzano questo romanzo cosi come le altre opere dell’autore e più in generale la sua passione intellettuale e civile. E tuttavia leggendo il libro e la storia che racconta, le dinamiche sociali che stanno sotto le apparenze e le forme che si connotano da subito come “tipicamente calabresi” sono, secondo me, “universali” nel senso che ci riportano nel mondo di oggi, perché la perdita dello spirito pubblico, l’affarismo come cifra dominante della contemporaneità, la corruzione e il disinteresse verso l’ambiente quando c’è di mezzo il business non hanno ormai più confine, cambiano solo modi, stili e protagonisti.
Da questo punto di vista, bisognerebbe uscire da un diffuso atteggiamento provinciale e leggere l’opera di questa nuova generazione di scrittori calabresi, di cui Mimmo Gangemi è senz’altro un esponente di spicco, come un tentativo di raccontare, attraverso “storie calabresi”, la modernità e cioè una realtà – quella calabrese appunto – che non è una sorta di luogo separato dal resto d’Italia e del mondo, ma ne fa parte a pieno titolo, nel bene e nel male.
In fondo, in “Marzo per gli Agnelli”, lo scontro fra la vecchia onorata società di zì Masi e la nuova ‘ndrangheta affarista dei Survara si sviluppa intorno alla costruzione di un mega insediamento turistico sul mare usando capitali da ripulire. È una trama che può benissimo rappresentare il cambiamento radicale che hanno subito le nostre società in un’epoca in cui il mondo degli affari si è trasformato in un sistema di arrembaggio ai beni comuni violento e senza esclusione di colpi, si tratti del risparmio dei cittadini o dell’acqua che beviamo o delle terre che ci danno da mangiare.
È invece nei personaggi di questo romanzo che Gangemi delinea alcune specificità locali che lo portano a una visione un po’ pessimista del futuro della Calabria. Qui c’è una differenza rispetto all’altro bellissimo suo libro, “La signora di Ellis Island”, ma anche allo stesso “Il giudice meschino” che pure parla di vicende di ‘ndrangheta. Un cambiamento di sentimento che lo stesso autore peraltro ha messo in evidenza in alcune sue recenti interviste.
La “Signora di Ellis Island” è la saga di una famiglia aspromontana che attraverso il duro lavoro, l’emigrazione, il risparmio e sacrifici durissimi costruisce la sua emancipazione sociale, il passaggio dalla misera a un certo benessere. Un’epica che è il paradigma di tante famiglie calabresi che a cavallo fra le due guerre mondiali hanno cambiato la loro condizione e la società calabrese, un tempo immobile e senza speranza. In “Marzo per gli agnelli” i personaggi che stanno sullo sfondo alla vicenda principale, nobili, professionisti, membri del circolo di società locale, semplici cittadini sono permeati dalla cultura mafiosa, come se questa fosse ormai la caratteristica inevitabile e permanente, quasi “naturale” della società calabrese. È sparita, in questo libro di Gangemi”, la voglia di riscatto e di lotta ai soprusi dei possidenti e dei loro sgherri che aveva caratterizzato un’altra epoca della storia calabrese.
Ecco che qui il pessimismo si insinua nel racconto: la società civile non produce più anticorpi, rifiuto culturale e sociale nei confronti del sopruso mafioso e della sua violenza selvaggia, questa sì retaggio di un mondo antico trasferito a piè pari nella modernità. Tanto è vero che il protagonista del romanzo, l’avvocato Giorgio Marro, che è l’unico a rifiutarsi di vendere il proprio terreno alle famiglie di ‘ndrangheta che vogliono costruire il mega complesso turistico, non lo fa per un atto di eroismo. Colpito da una vicenda personale devastante – un figlio morto in un incidente, l’altro in coma e la moglie impazzita per il dolore – ormai vorrebbe soltanto sparire dalla faccia della terra insieme al suo inconsolabile dolore. “Ti dico che è invincibile – dice zi’ Masi al socio ‘ndranghetista Survara che vorrebbe intimidire Marro per costringerlo a vendere – non c’è medicina per lui. Non c’è niente che gli possiamo opporre. Ad ammazzarlo, un favore grande gli facciamo. Ad ammazzargli la moglie e il figlio gliene facciamo altri due”.
In “Marzo per gli agnelli” – che nel linguaggio contadino di zi’ Masi vuol dire che ogni cosa ha il suo tempo – il protagonista, l’avvocato Marro non è appunto un eroe positivo, non ha deciso di sfidare la ‘ndrangheta per difendere un diritto, ma agisce per dimenticare la sua tragedia, per trovare un diversivo, cerca un motivo per sentirsi ancora vivo e non una persona emotivamente morta che respira e cammina. Come ha capito zi’ Masi che lo conosce bene e ha ancora la sensibilità umana e l’intelligenza di capire che uno così è “invincibile”.
Un romanzo è un romanzo appunto e non necessariamente è tenuto a rispecchiare la realtà, ma è il frutto della creatività, dei sentimenti e della fantasia dell’autore in un dato momento della propria vita. E soprattutto deve essere una bella storia, avvincente e appassionante. E queste doti non mancano né a Mimmo Gangemi né ai suoi romanzi che ne rendono sempre piacevole la lettura. Ma se vogliamo leggere in quest’opera anche un messaggio, pur vedendo che in Calabria sta nascendo una nuova stagione del sentire comune, dovremmo prendere molto sul serio l’avvertimento contenuto in questo romanzo: quella società civile diffusa che non produce anticorpi morali e sociali al malaffare e a quell’intreccio perverso di antico e nuovo può sempre prendere il sopravvento e dare il colpo definitivo a una regione costantemente in bilico come quella calabrese.
Infine una testimonianza personale, visto che conosco da tempo l’autore: Mimmo Gangemi non è affatto pessimista sul futuro della Calabria, lo dimostra il suo impegno intellettuale pubblico e privato, intenso e continuo. (mv)
LA SCHEDA
Marzo per gli agnelli
Mimmo Gangemi
pp. 288, euro 17,50
Piemme Edizioni
ISBN 9788856668612
L’AUTORE
Ingegnere di Santa Cristina d’Aspromonte (1950), Mimmo Gangemi ha esordito come scrittore nel 1995 con Un anno d’Aspromonte (Rubbettino) e ha pubblicato, diversi libri tra cui Il giudice meschino (2009, da cui è stato tratto uno sceneggiato tv) e Il patto del Giudice e La verità del giudice meschino. Apprezzatissimo il suo romanzo La signora di Ellis Island (2011). Con Pino Aprile, Maurizio De Giovanni e Raffaele Nigro, ha firmato nel 2017 Attenti al Sud. Collabora con il quotidiano La Stampa.
LE PRIME VENTI RIGHE
Zi’ Masi d’aspetto si mostrava più vecchio dei settantatré anni lì lì da compiere. Nei movimenti no, era agile più d’un gatto. Alla minima espressione del volto la pelle gli s’increspava in rughe ravvicinate e sottili, la carnagione se la pattava con quella di un marocchino abbronzato, aveva occhi svelti, cupi e sanguigni e le gambe storte da stagliare, nel mezzo, la luce di un rombo. Una profonda cicatrice gli calava . a mezzaluna dalla tempia fin oltre lo zigomo: un ricordo di gioventù. Melazzo gliel’aveva incisa con la roncola, senza potersene vantare però, Portava, estate e inverno, una coppola di velluto nero girata di traverso, sulle due meno venti, minuto più minuto meno.
Il giovane gli si parò davanti, salutò con un cenno d’inchino – a mo’ di titolato comunista nel riverire il papa – accettò la sedia che il vecchio gli porse, vi si calò.
«Forse che papà non sta in buona salute?», ziì Masi calcando sul «papà» e allargando un sorriso a cui non fece ubbidire gli occhi. Il papà era Ciccio Survara, con lui nell’onorata società prima che si sbriciolasse in tante «’ndrine»
Al giovane sobbalzò, andata e ritorno il pomo d’Adamo.