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Napoli celebra lo scrittore e medico Santo Gioffrè

Napoli celebra lo scrittore e medico Santo Gioffrè

di PINO NANOSanto Gioffrè, il medico scrittore di Seminara, il poeta contadino che conosce l’Aspromonte come le sue tasche, l’uomo politico che ha messo in berlina il sistema sanitario calabrese sfidando mafia e magistratura insieme, riscattando con il suo coraggio e con la sua eterna strafottenza caratteriale se stesso e l’onore della sua famiglia, torna oggi sulla ribalta di uno dei Premi Letterari più prestigiosi del Mezzogiorno, il Premio Giovanbattista Vico, e per l’occasione trova a riceverlo come un principe d’altri tempi una Napoli sempre molto attenta alle novità letterarie del momento e sempre molto rispettosa dei suoi figli più illustri. 

Ancora una serata di gala per lo scrittore Santo Gioffrè, e ancora un trionfo per le cose che lui scrive e per i romanzi che ormai lo hanno reso famoso dovunque, perché raccontano la Calabria e i silenzi di questa terra come pochi sanno ancora fare.

«Non ho mai visto ridere mio padre. In quella forma che i muscoli mimici della faccia riescono a rendere visibile il momento di gioia che una bella realtà, persino immaginata, causa. La sua solitudine, i suoi silenzi, la sua incipiente e ben controllata mestizia che si manifestava sotto forma di vergognosa riservatezza, contraddistinsero il suo senso di esistenza tra gli uomini, pur rimanendone appartato. Era nato in un bosco fatto di vigne e di uliveti giganti la cui maestosità delle fronde ricordava che il ricchissimo latifondista, nell’imporre la massima cura, li amava più degli uomini, dai respiri pesanti, a cui concedeva di abitare nei suoi casalini e a lui dovevano vita perché dava lavoro. Quel bosco fu la dimensione reale della sua infanzia, così come il belare delle capre e il vocìo delle donne, la sera, intente a cercare acqua per la vita, dall’unica fonte che scaturiva dalla parete tufacea della grande valle e che tratteneva, lì, in altro nella collina, un vetusto paese che nulla più aveva delle glorie del tempo passato».

Ma questo è solo uno dei tanti passaggi poetici, e neanche il più bello, del suo ultimo romanzo e che gli è valso questo ennesimo riconoscimento dalla critica partenopea che più conta. 

Premio Giovanbattista Vico per la Narrativa, dunque, al medico scrittore calabrese di Seminara Santo Gioffrè, «autentico e bravissimo narratore – si legge nella motivazione ufficiale del prestigioso riconoscimento – che sa trasportare nei suoi romanzi, tutti di grandissimo successo, l’essenza più autentica delle storie e delle passioni degli uomini della sua terra, la Calabria, indagando l’anima più profonda, con una perizia di scrittura che eguaglia i grandi scrittori del verismo italiano». 

Ma Napoli questa volta, in questa sua atmosfera borghese e quasi spocchiosa di chi sa di contare ancora molto nel panorama letterario italiano, lo identifica e riconosce anche «scrittore e intellettuale di grande levatura, combattente e sprezzante, fin da ragazzo, contro ogni forma di sopraffazione e di diseguaglianza, perché questo viene fuori dalle sue opere letterarie. Da medico – e la platea napoletana a questo punto si alza in piedi per rendergli tutti gli onori possibili – era il punto di riferimento di un’amante dolente e povera. È un onore per tutti noi, averlo insignito, a Napoli, del Premio Giovanbattista Vico». 

E prima di consegnargli la sua targa qualcuno trova anche giusto ricordare la lettera-aperta scritta da lui il giorno in cui andò in pensione: «Il mio tempo di medico-ginecologo che ha sempre lavorato nella struttura pubblica è terminato. L’unico dispiacere che provo è il dover abbandonare un mondo dolente, in gran parte fatto di estrema povertà, miseria, emarginazione. Ho assistito, in questi 38 anni di lavoro in un’area periferica, al declino di un popolo e delle sue certezze. Da una sanità completa e al servizio della gente, ad un grande vuoto, dove si scimmiotta l’Ars Medica. Vedo, ormai, l’abisso di classe. Il privato ha surclassato il pubblico e nel pubblico arriva solo chi è in uno stato economico di miseria: la gran maggioranza ricevendo la miseria in servizi». 

Rieccolo il Santo di allora, il giovane rivoluzionario che nulla temeva e che l’unico credo che aveva era la difesa della classe operaia, quasi una religione di vita per lui, il culto per la difesa degli interessi degli ultimi, che nella sua vita entrano da ultimi e ne escono sazi e felici di essere finalmente trattati da uomini liberi. Altro che Premio Letterario! (pn)