L’AUTODIFESA TELEVISIVA DEL GOVERNATORE ALIMENTA LA CULTURA DEL DUBBIO E DEI SOSPETTI ;
OCCHIUTO IN TV RISCHIO DI AUTOGOL QUANDO IL PROCESSO SI FA SUI MEDIA

OCCHIUTO IN TV, C’È RISCHIO DI AUTOGOL
QUANDO IL PROCESSO SI FA SOLO SUI MEDIA

di FRANCESCO RAO – C’è una strana regola non scritta, radicata nei comportamenti collettivi, che trasforma l’opinione pubblica in un’aula di tribunale parallela. Un atteggiamento, spesso amplificato dai media, che spinge intere comunità ad assaporare un senso di appagamento istintivo, giustizialista, quasi catartico: l’individuazione del colpevole prima e la sua condanna morale poi.

È un rito antico quanto il mondo, aggiornato alla velocità dei social attraverso i like e dei titoli della stampa urlati ai quattro venti. Ma quanto è legittimo, dal punto di vista giuridico e sociologico, il giudizio mediatico che si abbatte su una persona prima ancora che la giustizia faccia il suo corso?

La storia è piena di esempi. Il caso più emblematico – e tragico – è quello della crocifissione di Cristo: una condanna popolare, accelerata, emotiva, alimentata dal bisogno di placare l’ira di un popolo più che dalla ricerca della verità. Quella stessa logica – una forma primitiva di panoptismo emotivo, per usare un’espressione cara alla sociologia della comunicazione – torna ogni volta che una figura pubblica è colpita da un avviso di garanzia.

Tutto ciò è già accaduto in Calabria ed ha riguardato altri Presidenti di Regione.

La notizia dell’indagine che ha coinvolto il Presidente della Regione, on. Roberto Occhiuto, ha innescato – come prevedibile – una corsa alla semplificazione. Ma la Costituzione italiana, frutto della visione lungimirante dei padri costituenti, non ammette la gogna mediatica come strumento di giustizia. La colpevolezza, ricordo a me stesso, in uno Stato di diritto, è sancita solo da una sentenza definitiva, in terzo grado, passata in giudicato. Sino ad allora, la presunzione di non colpevolezza è un diritto personale intoccabile.

Ed è proprio qui che entra in gioco la sociologia del diritto. Come sottolineava Niklas Luhmann, il diritto è un sistema autonomo che funziona secondo proprie logiche, distinte da quelle dell’opinione pubblica o dei media. Il diritto non è “giustizia emozionale”, ma struttura razionale volta a garantire la coesione sociale attraverso la previsione astratta e generale delle norme. Una garanzia per tutti, anche – e soprattutto – per coloro che rivestono ruoli pubblici. L’avviso di garanzia non è una condanna: è uno strumento di tutela dell’indagato, che ha il diritto di conoscere le contestazioni a suo carico e difendersi.

Tuttavia, la sociologia della comunicazione ci ricorda che il diritto rischia di essere sovrastato dal “tribunale dell’opinione pubblica”, alimentato dai media, dai social network, dalla logica del tempo reale. La velocità con cui una notizia si diffonde, unita al bisogno collettivo di una narrazione forte, spesso costruisce storie a tesi: il potente sotto accusa diventa, in automatico, il simbolo del “male da estirpare”.

È il fascino eterno – e pericoloso – della tragedia greca. In essa, il destino dell’eroe non si gioca nei tribunali, ma nella piazza, tra passioni e premonizioni. Così oggi, nell’Italia mediterranea, si assiste a una trasfigurazione moderna di quell’antica ritualità: il sospetto diventa colpa, l’avviso di garanzia diventa sentenza, e il dibattito pubblico diventa dramma collettivo.

Ma le istituzioni devono restare salde. E chi, come il Presidente Occhiuto, ha scelto di esporsi pubblicamente – come ha fatto durante la trasmissione condotta da Nicola Porro – dichiarando la piena disponibilità a chiarire la propria posizione e a continuare il proprio lavoro per la Calabria, merita, oggi più che mai, di essere giudicato con gli strumenti della democrazia, non della vendetta sociale.

La sfida, per tutti, è restituire alla giustizia il suo tempo, al diritto il suo linguaggio e alla comunicazione il suo dovere: informare senza infiammare, educare senza erigere forche mediatiche. Solo così, potremo davvero parlare di uno Stato civile e di una società matura.

[Francesco Rao è docente a contratto Università “Tor Vergata” – Roma]