di EDUARDO LAMBERTI CASTRONUOVO – Se una medaglia o una moneta hanno un valore, sarà eguale, quale che sia la faccia che stai guardando. La sanità pubblica e privata sono due facce della stessa medaglia. Lo si voglia ammettere o no. È chiaro come il sole che strumentalmente questo concetto non passa, pur nella sua evidenza assoluta. Non passa per la semplice motivazione che il privato accreditato non è un soggetto vulnerabile al clientelismo. Da qui scaturisce il problema che comporta una battaglia continua, con dispersione di risorse anche erariali, per il riconoscimento di due diritti: quello al lavoro sia di chi imprende legittimamente, che di chi opera nel settore, e quello all’accesso alla diagnosi e alle cure dei cittadini. Almeno per il Livelli essenziali di Assistenza (LEA) , in Calabria assolutamente negati.
Paradossalmente viene chiamata la Magistratura a decidere quando, una attenta gestione del settore, eviterebbe perdite di tempo, denaro e soprattutto l’emigrazione della salute. Proprio cosi. Il cittadino che qui si vede opporre un diniego dalla struttura privata per budget esaurito (si badi che quest’ultimo cerca una soluzione al suo problema medico e non distingue se, chi è in condizioni di risolverglielo, è pubblico o privato)non trova altra soluzione che rivolgersi fuori confini: lui non pagherà nulla, la Regione sì.
È così che ben 350 milioni di euro vengono spesi dalla Calabria a favore delle strutture sanitarie del Nord. Una forma di spreco che riduce le capacità di offrire servizi sempre migliori ai calabresi, li allontana da casa e riduce la forza lavoro in un settore vitale, nel vero senso della parola. È d’uso operare una specie di classifica che vede le strutture del Nord Italia quasi una sorta di luoghi miracolosi divisi per organo o patologia. Cosi Genova è la Lourdes dei bambini, Pisa quella della tiroide, Milano del cuore e via via cosi. Queste città, è ben vero, ospitano eccellenze – spesso provenienti dai nostri ranghi sudisti – ma in nulla differiscono da quelli delle nostre parti. La grande differenza deriva che le prime godono dei copiosi proventi calabresi potendosi cosi assicurare accoglienze di tipo alberghiero a cinque e più stelle. Denegata al Sud. Ora è tempo di cambiare le cose. Tre sono i verbi da coniugare: organizzare, controllare, impedire.
Nella nostra Regione è fin troppo evidente la mancata governance della sanità affidata, per oltre un decennio, a commissari, per nulla preparati, che avrebbero dovuto ripianare i debiti, li hanno solo aumentati. Qualità del servizio, diminuita. Organizzare significa ricostruire in tempi brevi una rete ospedaliera ed accreditata che copra l’intero territorio, assicurando tutte le prestazioni in modo uniforme. Un piano strategico condiviso con le categorie sanitarie può essere redatto in poco tempo: tutti conosciamo pregi e difetti. Una autorità reale, quale un assessore regionale qualificato, si impone.
Controllare. Significa verificare la reale qualità delle prestazioni sia pubbliche che private. Con rigore e potere di chiudere senza appello quelle fatiscenti che non garantiscano per uomini, mezzi e risultati la qualità assoluta. Oggi si può. Basta mettere al bando il clientelismo. La sanità privata accreditata non può non essere considerata parte integrante e non può essere sottoposta a limitazioni, se ha le potenzialità. È la fiducia della gente la cartina al tornasole. Non il budget. Niente più magistratura che, anche recentemente, ha ricusato le apodittiche tesi di parte pubblica, ridando spazio alla privata. Il Consiglio di Stato ha dovuto bacchettare fortemente i detentori del potere sanitario, che armati solo di penne, hanno tagliato, senza scrupoli, le possibilità di curarsi sul territorio per via del blocco dei budget.
Impedire. Che la gente debba ricorrere ai mezzi di locomozione per raggiungere le mete sanitarie fuori regione. In due modi: arginando il ricorso alla fuoruscita dal territorio, se non motivato realmente. Basterebbe una commissione medica seria. Non possiamo sostenere, talvolta, i capricci di chi va “fuori” solo perché ritiene sia “meglio”. Garantendo la qualità ad alto livello del servizio, lasciando che una sana e positiva concorrenza, sostenga il settore. (elc)