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Quell’amaro ritorno in Calabria

di GREGORIO CORIGLIANO – «Il paese sembra sprofondato in una inusuale letargia, ogni volta che torno, lo trovo più vuoto, intontito, privo di reattività. Lo scrive un emigrato di lusso, di penna e di intelletto, più che di mani. Si chiama Enzo Benedetto, avvocato di buon successo, sia in Calabria che a Milano, già sindaco di Rosarno, candidato e non di secondo piano alla Camera dei deputati, senza fortuna, ma con molto seguito e con comizi, finanche a Reggio. Concreto e affascinante nell’arringare le folle, dirigente della Dc degli anni ’80, seguace di Misasi, sia pure con spirito libero, carattere spigoloso, di indubbio e convincente eloquio, uomo molto attento. Parla degli ’80, come pulsanti di vita, ora, dice, che “i granelli della clessidra sono scivolati, quasi tutti, nell’ampolla inferiore e l’attrezzo, purtroppo, non può esser rovesciato, mi morde dentro, mi fa tanto male che vorrei ribellarmi”».

Come dargli torto? Siete stati in paesi grandi e piccoli della Calabria in questi giorni infuocati, ma tipici della regione? Avrete visto che se qualcuno è tornato, molti meno, rispetto al passato, è rimasto silenzioso, poco reattivo di fronte all’abbandono delle nostre comunità, come rassegnato, incapace di dire e di fare, solitario nelle piazzette solatee o all’ombra di alberi che vegetano per forza di inerzia o di natura senza ce alcuno faccia nulla per modificare lo stato delle cose.

«Chi sono io per pretendere di ribaltare il corso degli eventi, si domanda l’avv. Benedetto, arrestare un’inerzia che sembra dettata dal fato, bandire la rassegnazione, propiziare il risveglio?» questa, una domanda che, purtroppo in pochi ci siamo fatti, consapevoli della ineluttabilità delle cose e della mancanza di volontà ad agire anche per gli altri, per il bene comune che – è doloroso e amaro constatarlo – non ci appartiene o, meglio, non ci appartiene più. Cosa è successo perché la gente dorma o si appisola, non reagisce alle provocazioni, se e quando, poche, ci sono. E ci sono, purtroppo, solo da parte di quanti, come dice Vito Teti, credono nella restanza, ma, dico io, nella restanza che fugge, che è poi «scappanza pe non morire delusi». Restanza per tornare, scappanza per andar via e tornare l’anno (per qualcuno il mese) prossimo, con la speranza del risveglio.

«I sogni della mia giovinezza sono stati in gran parte sbranati dalla realtà ferina di un contesto ostile da cui mi sono allontanato con l’ingenua rabbia del vinto, senza spezzare del tutto il legame misterioso che continua a legarmi ad una terra che sento mia», aggiunge Enzo Benedetto.

Hai ragione, mio caro amico di un tempo che fu: il contesto è sempre ostile per quanti avremmo voluto o abbiamo fatto qualcosa, mai quanto era necessario, ma si doveva pur cominciare. E perché nessuno, pochi forse, ha proseguito? Se fai ti uccido, diceva un proverbio dl luogo dell’anima, se ti fermi ti accoltello. Non devi fare, ma se non fai… E se lo fai notare, ti prendi la reprimenda: «ma chi sei tu, cosa vuoi, non vivi qua, te ne sei andato, ci hai abbandonato. Che ne sai tu?». Si vede, si vede, dall’inerzia che caratterizza mattine e sere dell’anima del luogo o dei luoghi. E se non fosse per qualche iniziativa forestiera, ovviamente pur esse criticata: chi sono, cosa vogliono, chissà quanto guadagnano per un “cameduzzo i focu”, per “le orme dei Pooh”, o per l’albero della cuccagna che è auspicato ma invece è morto e sepolto, per fare esempi elementari, senza addentraci in rassegne culturali che, come tali, non ci sono state, e se ci sono state – come quella con Antonio Padellaro, è stato lasciato pressocchè solo: «ma che vuole costui, quanto ha guadagnato?».

Ed un circolo di cultura con dieci quindici soci, perchè non c’è o non c’è più? Costa fatica, questa è la verità. Si preferisce sopravvivere ai meriggi di questa estate «e vengo sommerso dall’onda dei ricordi e ripercorro, con piccoli e attenti passi, tutto il complesso vissuto di un sognatore, ancora perdutamente innamorato del futuro», chiosa l’avv. Benedetto, che ha, non certo vox clamans in deserto, molti compagni al duol. Torno, ma perchè ogni anno torno, mi dice Rosita Bagalà, che ha il figlio a capo dell’ambasciata di Tokio, o Denise Pontoriero, nata a Genova, con madre finnica, che con figlie al seguito, non rinunzia agli odori del mare o a contare le mattonelle del lungomare. La Calabria non è la stessa che hanno lasciato, è peggiorata: per questo si torna sempre! (gc)