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RAI STORIA RACCONTA IL ‘BLUES’ DI ROSARNO

 

 

18 settembre – “Rosarno Blues”, è il titolo del documentario che andrà in onda stasera su RaiStoria alle 21.30, e che racconta di Rosarno, che è stato definito “il Comune con la più alta densità mafiosa d’Italia”.
La città, infatti, è da alcuni decenni teatro delle vicende di due tra le più potenti famiglie di ‘ndrangheta italiane, i Pesce e i Bellocco. E, sebbene la criminalità organizzata abbia origini lontane, solo nella seconda metà degli anni ’70 si fanno avanti le nuove leve del crimine, non più disposte a rimanere relegate all’usura e alla gestione dei terreni, ma interessate agli affari legati al narcotraffico e agli appalti.
La costruzione del Porto di Gioia Tauro, e lo stanziamento di ingenti fondi arrivati con il “Pacchetto Colombo” hanno cambiato, per sempre, gli assetti del territorio. Tuttavia, gli anticorpi di una parte della società civile sono emersi, e si sono scontrati, inevitabilmente e drammaticamente, scontrati con la parte criminale.
È stato così nelle dure battaglie dei braccianti sfruttati, ed è stato così, sopratutto, nella lotta politica e sociale di intellettuali ed attivisti come Giuseppe Valarioti e Giuseppe Lavorato. Valarioti, che era un intellettuale contadino, fu assassinato l’11 giugno 1980 all’indomani delle elezioni che lo vedevano eletto Consigliere Comunale per il Pci. Lavorato, che assiste alla morte dell’amico, diventerà, in seguito, il sindaco più intransigente e combattivo della storia di Rosarno.
In particolare, da segnalare due libri editi da Città del Sole Edizioni: “Rosarno” di Giuseppe Lavorato e “Rosarno…9 gennaio 2010” di Giuseppe Vizzari.

La copertina del volume fotografico di Giuseppe Vizzari, il fotografo reggino che, quel 9 gennaio del 2010, immortalò la giornata conclusiva di quella che, ormai, è conosciuta come la “rivolta” degli extracomunitari

Rosarno è stata, anche, protagonista di una rivolta degli immigrati africani presenti, in gran numero, nelle campagne della città. Era il 2010. Loro, ad oggi, fanno risuonare un passato di sfruttamento del lavoro agricolo di quegli agrumeti, simbolo di un territorio e di una economia antica, proprio come se il tempo, ciclico, rinnovasse il dramma in forma contemporanea. (rrm)