di SANTO STRATI – Sono oltre 16mila le imprese che si sono registrate al portale di “Riapri Calabria” per poter accedere al contributo a fondo perduto di 2.000 euro. La registrazione si chiuderà alle 18 di oggi mercoledì 3 giugno e domani 4 giugno dalle ore 10 fino alle 18 ci sarà il cosiddetto click-day. Ovvero coloro che sperano di poter accedere al contributo previsto per aziende che arrivano “prima” dovranno “caricare” la domanda per ricevere la ricevuta che indicherà l’ordine cronologico di arrivo. Da venerdì 5 giugno fino a lunedì 8, invece, dalle 10 fino alle 18, si dovranno caricare i documenti previsti. Tanto per farla semplice (si fa per dire) le domande devono essere compilate sull’apposito modulo di domanda che va firmato dal titolare dell’azienda o dal suo rappresentante legale. Tra la documentazione richiesta l’autocertificazione che si è in regola con il pagamento di tasse e contributi. E qui cominciano i drammi. Quante sono le aziende “perfettamente” in regola, senza posizioni debitorie nei confronti dell’Erario o degli istituti di previdenza? Bella domanda: su 240mila partite iva in Calabria si presume che almeno l’80% abbia qualche pendenza aperta. Non si tratta di evasione fiscale, attenzione, ma di ritardo nei versamenti. Quanti imprenditori a corto di liquidità hanno preferito pagare gli stipendi e rinviare il versamento degli oneri sociali e delle imposte? Per loro non c’è scampo, anche perché nessuno si arrischierà di autocertificare il falso per avere la misera prebenda di 2.000 euro. Nella prima stesura del bando si era indicato l’obbligo di presentare il cosiddetto Durc (documento unico di regolarità amministrativa). Apriti cielo! Si sono schierati tutti contro questa richiesta improponibile per azienda colpite dalla crisi Covid (tranne la Cgil che invece insisteva per mantenerlo) ed è scomparso nel bando finale. Peccato che, per mantenere la grande beffa ai danni delle imprese, è stata introdotta l’autocertificazione, che è anche peggio.
Viene, a questo punto, da chiedersi a chi sono veramente destinati questi miseri quattrini, senza voler difendere minimamente gli evasori seriali. Già, perché non è un contributo fisso di 2.000 euro tondi tondi, ma è il massimo erogabile, valutando la perdita di fatturato: si può, perciò, ricevere una cifra inferiore (sperando che sia mantenuto un minimo inderogabile di almeno 1.000 euro) rapportata alla differenza tra quando si è realizzato nei mesi di marzo e aprile del 2019 e quanto negli stessi mesi di quest’anno. Perché, dev’esser chiaro ad artigiani, negozianti e imprenditori ormai sull’orlo del baratro economico, che il contributo spetta solo alle imprese “che hanno subito gli effetti dell’emergenza Covid19, a seguito della sospensione dell’attività economica ai sensi dei D.P.C.M. 11 Marzo 2020 e 22 Marzo 2020″. Quindi bisogna rivolgersi al proprio contabile (che andrà ovviamente pagato per questo servizio aggiuntivo) per determinare la differenza di fatturato nei due mesi dell’emergenza e della chiusura obbligata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sembra un calcolo facile: il totale del fatturato annuo va diviso per 12 mesi e si ricava la somma media mensile: questa andrà raffrontata con la somma dei mesi di marzo e aprile 2020 divisa per due. Si divide questo importo per il valore medio mensile del fatturato 2019 e si ricava la percentuale che deciderà l’ammissione o meno al contributo. Già a scriverla questa formula ci è venuto il mal di testa, figuriamoci i poveri (in tutti sensi) imprenditori che avevano immaginato di ricevere tout court duemila euro per tamponare qualche emergenza finanziaria.
Mister complicazioni, figlio di madama burocrazia, che albenga stabile a Germaneto, si è voluto divertire così. Già perché nel bando è scritto a chiare lettere che “L’aiuto concedibile non eccede comunque il fabbisogno di liquidità determinatosi per effetto dell’emergenza Covid-19, come autocertificato dall’impresa esclusivamente sulla base di un modello allegato all’Avviso Pubblico”. Che vuol dire? Che se l’azienda ha uno scarto di 1.200 euro tra i due fatturati a raffronto, non avrà i 2000 euro, ma solo la parte che emerge come perdita. Le domande dovranno poi essere valutate per venire ammesse e dopo la pubblicazione della graduatoria dei beneficiari si dovrà attendere di registrare come “aiuti di stato” nell’apposito registro Ue le erogazioni stanziate, prima che i quattrini possano finire sul conto corrente delle aziende. L’assessore Fausto Orsomarso, qualche settimana fa, in un incontro a Locri con i commercialisti, era stato ottimista e indicava il 15 giugno la probabile data di erogazione dei contributi. A essere generosi arriveranno, ai pochi “prescelti” (o fortunati se volete), ai primi di luglio. Sempre che nel frattempo l’azienda non sia andata al diavolo, prima per mancanza di liquidità, poi per mancanza o “diserzione” di clienti.
Il consigliere leghista Filippo Pietropaolo ha cercato di minimizzare le obiettive difficoltà dell’aiuto offerto dalla Regione. «Sul funzionamento della piattaforma informatica per la presentazione delle domande di accesso agli incentivi del bando “Riparti Calabria” si stanno alimentando inutili allarmismi – ha detto Pietropaolo –. È stata la stessa Fincalabra a fornire notizie rassicuranti: si sono già registrati [al 30 maggio, ndr] oltre 12 mila utenti e 4.700 hanno già completato la procedura di registrazione. La piattaforma ha quindi retto, nonostante gli inevitabili rallentamenti dovuti all’accesso simultaneo di moltissimi utenti nella prima fase di registrazione e compilazione». Pietropaolo respinge le critiche: «Ci saremmo aspettati – ha detto – dall’opposizione un atteggiamento costruttivo in una fase di grande difficoltà per il sistema produttivo, intervenendo soprattutto sulle difficoltà causate dal loro governo nazionale, tra piattaforme saltate e sussidi di cassa integrazione non pagati nonostante il lavoro messo in campo da una Regione che è sul podio in Italia per efficienza nell’invio in pagamento delle domande. Su “Riparti Calabria” è stato attivato un puntuale servizio di supporto ed accompagnamento all’utilizzo di una piattaforma che consente di chiudere le procedure in una settimana, una novità assoluta per questa regione. Il dipartimento si è assunto la responsabilità di sperimentare una soluzione innovativa, perché l’alternativa sarebbe stata quella di prevedere l’invio tramite pec, ma lavorare così 20 mila domande avrebbe comportato una dilatazione dei tempi incompatibili con l’urgenza di dare risorse alle piccole imprese calabresi».
Sul programma di aiuti, ieri, la presidente Jole Santelli, intervenendo a Cosenza alle sobrie celebrazioni per la Festa della Repubblica, ha espresso soddisfazione: «È un piano complesso che vede vari stati di attuazione. Il primo bando è partito. Poi ci sarà l’erogazione dei 2mila euro a fondo perduto per le attività che hanno chiuso per il lockdown e stiamo attuando altri bandi per la ripartenza, in particolare del turismo, e bonus per giovani e famiglie. Il tentativo che stiamo attuando è quello, in un momento così particolare, di stare vicino a chi non ha uno stipendio fisso. L’obiettivo è far ripartire le imprese e farle sopravvivere, perché ci sono tante aziende che rischiano proprio di chiudere».
La presidente mostra ottimismo sul “Riapri Calabria”, ma una delle cose che non si vuole capire, da parte di chi amministra, è che la ripresa per artigiani, bar, esercenti pubblici, parrucchieri, estetiste, ristoratori, con le restrizioni imposte (un cliente alla volta, distanziamento tra i tavoli, dispositivi di prevenzione e altre fastidiose (pur se necessarie) incombenze, porta inevitabilmente a una forte contrazione di clientela e, ovviamente, di fatturato. Con l’aggravante che tutte le spese fisse sono rimaste immutate. Come può un’impresa che è rimasta 75 giorni chiusa, senza battere un centesimo di cassa, ad arrivare a fine mese con la clientela ridotta di almeno il 30%. Ovvero un ristorante che aveva dieci tavoli, può servirne, se gli spazi lo consentono, non più di sette. Provate a immaginare in una grande città dove il pranzo a prezzo fisso (6-7-8 euro dedicato a chi non può tornare a casa per la pausa pranzo) era possibile solo per il grande numero di clienti serviti. Scortatevi di vedere locali a prezzo “ragionevole”, mentre i ristoratori si dimentichino le file fuori per aspettare il turno. A qualcuno sarà venuto in mente che tutti questi imprenditori, che al 16 di ogni mese versano regolarmente l’F24 (il modulo di tasse e contributi), ovvero versavano, non avranno tasse da sottrarre ai ricavi (mancati) né contributi per i lavoratori (licenziati)? E come se non bastasse per aiutare queste categorie alle prese con affitti impossibili, alla luce di una crisi inimmaginabile, viene offerto al posto di denaro fresco il credito d’imposta. Che equivale a trattenere dai versamenti a erario e previdenze l’equivalente del credito concesso. Non si sa di quali tasse da versare, visto che non ci sono ricavi. Siamo all’anticamera della rivolta sociale, ma nessuno dalle parti di Palazzo Chigi pare accorgersene.
Per concludere, due episodi che si commentano da soli: l’8 aprile scorso il presidente Giuseppe Conte comunicò, esultante, di avere messo a disposizione ben 400 miliardi per le imprese. Roba da risvegliare dal torpore il più svogliato degli imprenditori, peccato che non si trattasse di soldi freschi ma di “semplici” garanzie su prestiti “facili” per le aziende. Cioè, l’aiuto alla aziende già piene di debiti era un invito ad ulteriore indebitamento. Peccato che – come abbiamo scritto il 9 aprile – si trattava di pura fuffa. Pochissime imprese hanno avuto accesso, grazie allo zelante impegno delle banche di complicare una procedura apparentemente semplice, al prestito garantito, legato anche questo in percentuale al fatturato. Stendiamo un velo pietoso sui prestiti fino a 800mila euro che le banche stanno trattando alla stessa stregua di un normale finanziamento dei tempi “normali”, riservandosi la discrezionalità di accogliere o meno le richieste – anche in presenza della garanzia quasi totale (90%) dello Stato. Il secondo episodio riguarda il presidente dell’Inps, il calabrese Pasquale Tridico, che ha pubblicamente dichiarato «abbiamo riempito di soldi gli italiani», pur sapendo che ancora metà degli aventi diritto non ha ancora percepito la cassa integrazione di marzo. In un Paese normale, il ritiro in un eremo solitario a meditare sulla propria avventatezza, sarebbe stato il suggerimento migliore, anche perché, nel caso, in Italia le dimissioni, anche quando sarebbero il minimo, si annunciano soltanto… (s)