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Santo Gioffrè incontra a Roma il Patriarca di Costantinopoli: «Abbiamo parlato di Seminara»

Santo Gioffrè incontra a Roma il Patriarca di Costantinopoli: «Abbiamo parlato di Seminara»

di PINO NANOVentidue anni fa il Patriarca di Costantinopoli Padre Bartolomeo I venne in Calabria per la posa della prima pietra della Chiesa Greco Ortodossa di Seminara. A donare il terreno utile per la realizzazione di quello che allora pareva un sogno impossibile fu il medico scrittore del paese Santo Gioffrè.

22 anni dopo quel loro primo incontro il medico scrittore di Seminara Santo Gioffrè incontra di nuovo il Patriarca di Costantinopoli a Roma che gli rende gli onori della sua Chiesa per il gesto straordinariamente bello della donazione fatto ormai 22 anni fa. 

Sembra quasi una favola moderna, ma è storia di questi anni.

– Dottore, oggi per lei è un giorno importante, ma direi che lo è soprattutto per la storia dell’intera Calabria.

«Per me lo è certamente. Sono passati 22 anni da quella mattina quando Sua Santità, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, posò la prima pietra di quella che poi sarebbe divenuta la Chiesa Greco-Ortodossa dei Santi Elia e Filarete, a Seminara. Erano trascorsi 800 anni dall’ultima volta che era stata costruita una chiesa di rito greco, prima che gli Angioni bandissero la liturgia ortodossa dalla Calabria. Era la prima volta dopo undici secoli che un Patriarca si recava nel Sud Italia per riconoscerne le radici ortodosse».

-Immagino si senta fiero di questo suo nuovo incontro con Padre Bartolomeo I?

«Sa cosa ricordo di quel mio primo incontro con lui? Bartolomeo I, che porta tra i suoi titoli anche quello di Despota di Costantinopoli, cioè, ultimo dei successori non solo della cattedra Patriarcale ma, anche, del Trono degli Imperatori di Bisanzio, mi guardò con una stizza d’incredulità quando m’indicarono come colui che aveva voluto donare il terreno. Chiese di potermi parlare in privato. Il Patriarca si esprimeva perfettamente in italiano. Ci appartammo sotto l’albero spoglio di un vecchissimo fico bianco, nato insieme a mio padre, perché era stato piantato nel 1921. Mi chiese se io fossi di religione ortodossa e il motivo della donazione al Patriarcato».

-Lei cosa gli rispose?

«Che non sono credente e che la mia decisione, in una terra dove nessuno regala niente a nessuno, nasceva, innanzi tutto, per motivi culturali e, poi, perché il mondo dell’emigrazione ortodossa, allora molto numeroso a Seminara e nei dintorni, potesse contare su un luogo, sicuro, di culto». 

-E lui?

«Sorrise il Patriarca, soprattutto quando mi sentì aggiungere: – “Santità, il vero motivo, se vogliamo, è la speranza di veder revocare la scomunica, per eresia, pronunciata nel giugno del 1342, a Santa Sophia, a Costantinopoli, contro il mio antico compaesano, il Teologo- Astronomo e Letterato Barlaam”-. Il Patriarca, uomo di raffinatissima cultura e di spiccata intelligenza, mi guardò e, sorridendo, rispose: – “Dottore, per togliere la scomunica a Barlaam, la Chiesa Ortodossa dovrebbe indire sette Concili… lasciamo le cose così e ricordiamo Barlaam, nella Sua città natale, come grande Intellettuale, letterato e umanista».

-È vero che il rapporto tra di voi è andato poi avanti negli anni sempre intenso?

«Con il Patriarca, restammo, sempre, in intima amicizia. Fino al primo decennio del 2000, ogni anno, m’invitava a Istambul, al Faner, nella Sede Patriarcale. Ad aprile, quando ricorreva la presa di Costantinopoli da parte dei Crociati, nel 1204, il Patriarca mi faceva partecipare alle cerimonie e, poi, spesso, andavamo nei luoghi che ricordavano, ancora, Bisanzio: in Cappadocia e nelle isole». 

-Ci racconta come decise di donare la terra per la Chiesa?

«L’input di donare la terra dove costruire la chiesa, era giunto a seguito una discussione tenuta con due monaci Ortodossi, presso il Monastero di San Giovanni Therestis, a Bivongi, il 17 agosto del 2000, ricorrenza di Sant’Elia. Quel giorno, nella mia veste di assessore provinciale alla Cultura, mi recai a Bivongi e intrattenni, tra i vari incontri, colloqui con Padre Nilo e il monaco atonita Cosmas. Nacque una piacevole disputa culturale e storica che finì con una sfida: se qualcuno avesse ceduto un terreno, a Seminara, la Chiesa Ortodossa sarebbe rinata».

-E lei prese la palla al balzo?

«Sembrava, come succede in questi casi, una normale discussione tra persone amanti dei luoghi e della loro storia, destinata a non aver seguito. Invece, presi sul serio quella sfida. In fondo, fin da ragazzino, il solo guardare i ruderi del monastero francescano dentro cui ero nato, mi faceva sognare le epoche e il desiderio di vederli riviverle». 

-In che senso?

«Io in realtà sognavo l’Oriente e l’Occidente, perché lì erano nati Barlaam e Leonzio Pilato. Lì erano stati Consalvo da Cordova, Calo V, Tommaso Campanella e Bernardino Telesio. Il mio sogno, pensi, era mettermi in un posto e scorgere l’Oriente, rappresentato da una Chiesa Ortodossa e dal mondo che stava attorno alla figura del Barlaam e l’Occidente, attraverso la Chiesa Cattolica di Sant’Antonio, lì presente da sempre e dove io fui battezzato. Chiesa che conserva la più importante simbologia Cattolica, in Calabria, del primo 500: lo stemma marmoreo di Isabella di Castiglia e di Ferdinando il Cattolico». 

-Come andò a finire questa storia?

«Decisi che sarei stato io a donare quel terreno al Patriarcato Ecumenico per far sorgere la chiesa. Mi adoperai a dare inizio all’edificazione e in questo progetto sono stato coadiuvato dal prof. Aurelio Misiti, allora assessore regionale ai LL Pubblici. In quattro anni, contro ogni aspettativa e scetticismo, la chiesa fu costruita».

-Qui raccontano che lei per primo si mise a trasportare sabbia e cemento, una leggenda popolare?

«È assolutamente vero. Tra le mura di quella chiesa, hanno ripreso a vivere mattoni e tegole, cotte nelle antichissime, oramai inesistenti, fornaci del paese e che io ho trasportato, da solo, dalle case di campagna di una Seminara che non esiste più. Case e tuguri dove avevano abitato contadini e pastori, oramai emigrati da 70 anni e che si stavano usurando per il tempo ingrato». 

-La parte più affascinante di questa chiesa sono forse gli affreschi…

«Un colpo di fortuna forse, o il caso. Finita la chiesa, ebbi la fortuna d’incontrare un grande iconografo che si era innamorato del posto: Vasileios Koutsoura, che poi divenne Protopresbitero e trascorse 9 mesi della sua vita, sdraiato a faccia in su, ad affrescare tutte le pareti, secondo i canoni teologici Ortodossi. Ne venne fuori un capolavoro, godimento per ogni occhio». 

-Ora capisco la gratitudine del Patriarca nei suoi confronti.

«Non finì lì la cosa. Ero conscio che la chiesa non potesse rimanere solitaria in mezzo al nulla. Doveva essere custodita e protetta. E poi, io dovevo realizzare, ancora, il mio sogno».

-Di quale sogno parla?

“Difronte alla chiesa si trovava una casa, anticamente dimora dei miei avi che erano stati al servizio di una potente famiglia feudale, quella dei Marzano. Casa ormai invasa da siepi e ortiche, Esistevano le mura esterne, i pavimenti in tavola e le pareti di canne impastate con il gesso. La restaurai nel migliore dei modi e la donai, anch’essa, al Patriarcato che la destinò a monastero”.

-E una volta realizzato tutto questo?

“Le confesso, provai una grande emozione. Soprattutto quando, dalle finestre di stanza della casa restaurata, potei mirare, ad Oriente, la Chiesa Ortodossa, ad Occidente, la Chiesa Cattolica e, nella piazza che li univa, la statua di Leonzio Pilato, il traduttore di Omero dal greco in latino e che portò l’Oriente in Occidente, dando inizio all’Umanesimo. Le pare poco?”

-Ma chi viene fin qui a vederla?

«Oggi è un luogo di culto e venerazione sempre aperto e visitato da gente proveniente da tutto il mondo». 

-Se potesse tornare indietro rifarebbe tutto questo?

«Ma scherza? Certo che lo rifarei, e con maggiore entusiasmo ancora. Tra 30 anni, quando potrei non esserci più, questo monastero resterà “chiodo”, a ricordare chi tutto seppe amare. Religione e Storia. Genitori e Persone dei luoghi. Monumento che servirà agli stolti per rimembrare la loro miseria, infamia e sbirragine e per gridare, forte, al mondo, che, pur in Terre di protervia bestiale, povertà d’animo e di testa, cafonaggine e perdita d’identità, ci fu chi si elevò e volò, alto, sopra ogni malvagità umana lasciando i poveracci nello sconforto totale perché avvertono, tutt’ora, l’imponente peso morale e storico di chi non si fermò difronte a niente e nessuno quando si trattò di amare la cultura».

-Quando ha incontrato l’ultima volta il Patriarca di Costantinopoli?

«L’ultima volta, appena un mese fa, ci siamo incontrati a Roma. Mi aveva preavvertito, chiedendomi di raggiungerlo il primo ottobre. Il giorno prima si era incontrati con Papa Francesco. Quel giorno, tenne una solenne Liturgia nella Chiesa Ortodossa di San Teodoro al Palatino. Entrato in chiesa, vestito con i pagamenti Patriarcali, solenne ed ieratico, tra Cardinali ed Ambasciatori, si staccò dalla folla che lo circondava e mi venne incontro. Ci scambiammo i consueti abbracci e lo baciai. Lui, con la sua bella voce, gravata dagli anni, cavernosa e imponente, in un italiano perfetto, mi disse: “Lei, Dottore, voglio che sieda alla mia sinistra per tutto il tempo della Liturgia. Dopo, sarà mio esclusivo ospite a pranzo, perché dobbiamo riprendere le discussioni sulla Storia antica delle nostra sacre memorie”».

-Ora quando lo rivedrà?

«Mi ha invitato a Istanbul, nel mese di maggio 2024.Ci andrò certamente». 

-Se posso chiederglielo, come è il Patriarca in privato?

«Bartolomeo è parte di quegli Uomini che fanno grande la Religione perché sanno parlare al cuore degli Uomini. Lui, molte volte, guardandomi in silenzio, ha rubato il senso profondo della mia anima, dei miei pensieri, del mio modo di essere, fuori da ogni canone statutario. Mi sa ateo, ma sempre mi ha detto che il credere non appartiene a nessuna manifestazione ostentativa delle persone e che persino l’ateismo sa essere, nell’intimità, utile se si sanno amare gli Esseri Umani. Con Sua Santità, Bartolomeo I, la nostra storia di adesione Intellettuale, Storica e Religiosa non finirà mai. Lui sa bene quali sacrifici e problemi, anche violenti, ho dovuto affrontare per costruire e difendere la mia e la sua Chiesa. Forse, è questa peculiarità che distacca il Supremo Religioso dal Soglio più alto e lo avvicina agli uomini semplici, perché la bellezza dei segreti dei cuori è solo dei Grandi Uomini». (pn)