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Sei anni dalla strage del Raganello

Sei anni dalla strage del Raganello

di MARIACHIARA MONACOÈ agosto, l’estate è agli sgoccioli, e decidete di trascorrere una giornata all’insegna del divertimento immersi nella natura, ma all’improvviso tutto si trasforma in tragedia.

Uno sbarramento a monte, probabilmente provocato da una precedente caduta di alberi e dall’accumulo di massi e detriti, genera una diga naturale che una volta ceduta si riversa come un fiume impetuoso su di voi. È una strage, quella del Raganello. 

Questo è quanto è successo esattamente sei anni fa, quando dieci persone spirarono nelle gole del torrente Raganello ed altre undici rimasero ferite. Il gruppo di escursionisti si trovava a fare rafting nelle gole del canyon, quando un fiume di fango travolse tutto e tutti: Antonio Santapaola e Carmen Tammaro, genitori della piccola Chiara, la bimba salvata dagli uomini del Soccorso alpino, divenuta il simbolo di una strage che si poteva e doveva evitare. Persero la vita anche le amiche inseparabili Myriam Mezzolla e Claudia Giampiero, l’immunologa bergamasca Paola Romagnoli, l’agente di polizia penitenziaria Gianfranco Fumarola, lo street artist romano Carlo Maurici e la sua fidanzata Valentina Venditti, l’avvocato di Giugliano Imma Marrazzo, infine Antonio De Rasis, la guida del gruppo, che riuscì a mettere in salvo diversi escursionisti, e non se stesso.

Nel corso degli anni, si è discusso molto su come questa tragedia potesse essere evitata. Il regolamento “Gole Sicure”, mai entrato in vigore, prevedeva norme che avrebbero potuto fare la differenza? 

L’Articolo 2 del regolamento consentiva l’accesso al canyon, dal 10 giugno al 30 settembre. La tragedia si consumò proprio durante questo periodo, il 20 agosto, alle 15. La norma avrebbe regolamentato anche l’accesso ai sentieri prospicienti le gole, riducendo i rischi derivanti dalla caduta di materiali detritici. Tuttavia, quel giorno il gruppo, guidato da Antonio De Rasis, si trovava in una delle zone più pericolose del torrente, raggiungibile anche dal comune di San Lorenzo Bellizzi, altro comune situato nel Parco Nazionale del Pollino.

Il regolamento avrebbe inoltre richiesto la presenza obbligatoria di guide autorizzate, con pagamento di un pedaggio. Antonio De Rasis era una guida esperta, ma la sua presenza non ha evitato la tragedia causata da un’improvvisa onda di piena.

Un’altra disposizione vietava l’ingresso a piedi nudi o con calzature inadeguate, consigliando l’uso di scarpe da torrentismo. Sebbene alcuni escursionisti non fossero adeguatamente equipaggiati, la forza devastante dell’onda anomala avrebbe comunque reso vano qualsiasi tentativo di resistere. 

Anche i divieti temporanei di accesso per motivi faunistici o selvicolturali non avrebbero avuto impatto su quanto accaduto.

La tragedia del 2018 finì nelle aule di giustizia per accertare le responsabilità, e ci furono diversi indagati tra cui anche amministratori.  

Ad oggi rimane in piedi soltanto il processo sull’omicidio plurimo colposo dove sono a giudizio il sindaco di Civita, Alessandro Tocci e i responsabili delle società di rafting del Pollino, con le Gole del Raganello ancora sotto sequestro.

Restano e riecheggiano i numerosi interrogativi sulle responsabilità della tragedia, resta il racconto di chi ha vissuto quegli attimi ed è sopravvissuto, ma soprattutto resta un dolore profondo e un ricordo indelebile di una strage, a tratti, già preannunciata. (mm)