Tantissimi sono i temi su cui far ripartire il Mezzogiorno, ma, di sicuro, il Pnrr, il capitale umano, i giovani e le donne sono quelli su cui ci si deve focalizzare, e che sono stati individuati come fondamentali per la ripartenza del Mezzogiorno nel corso dell’ultima sessione di SudeFuturi, il terzo meeting internazionale della Fondazione Magna Grecia che si è chiuso al Castello Ruffo di Scilla.
Degli esseri umani come risorsa per la ripartenza del Mezzogiorno, ne hanno parlato Antonella Polimeni, Rettrice dell’Università La Sapienza di Roma, Anna Barbaro, campionessa di Paratriathlon, Adriano Giannola, presidente della Svimez e Francesco Cicione, presidente Entopan.
La Rettrice Polimeni, ha dichiarato che «mio padre era uomo di questa terra e credo di aver ereditato dalla Calabria la mia grande determinazione».
«Il mio motore è sempre stata la passione per l’attività accademica – ha aggiunto –. Sin da bambina volevo fare l’insegnante». E sui pregi e i limiti della didattica a distanza ha aggiunto: «La dad è stato uno strumento a cui tutte le università italiane si sono adattate velocemente, un’esperienza di cui dovremo far tesoro per rimodulare il futuro immaginando alcune forme di insegnamento. Ma non può in alcun modo sostituire la presenza perché l’università non è solo didattica ma anche socialità. Si devono formare le persone non solo trasmettere i saperi».
Di ripresa ha parlato anche la reggina Anna Barbaro, campionessa di Paratriathlon (argento Tokyo 2021): «La pandemia in un primo momento mi ha abbattuto perché si era capito che le Olimpiadi sarebbero state sospese. Mi sono mancati gli allenamenti ed in particolare il nuoto. Poi la mia famiglia ha allestito una piccola palestra in casa ed il 6 maggio sono tornata in acqua ed è stato bellissimo perché era il mare di casa mia a Pellaro. C’eravamo solo io ed il mio allenatore e non volevo più uscire».
La campionessa si è poi soffermata sulle difficoltà della preparazione ai giochi durante il periodo pandemico: «Fino a Tokyo siamo stati chiusi in bolla. In zona bianca per molti è ripartita la quotidianità mentre noi atleti siamo stati tutelati. Dietro questa medaglia c’è una famiglia forte, un allenatore forte e un compagno presente». Poi, in conclusione, ha raccontato del calore ricevuto dalle persone del territorio che l’hanno supportata fin dagli allenamenti per le vie di Reggio Calabria: «Sono caduta tante volte, ho avuto tante difficoltà ma qualcosa si sta muovendo».
L’Italia non può ripartire se il Nord resta l’unico motore, ne è convinto Adriano Giannola, presidente Svimez. «Pensare di riprendere quello che era prima la pandemia sarebbe un errore. I fondi servono a cambiare rotta nel Paese, soprattutto in tema di Nord e Sud. Non fermare il vento del nord è stato il mantra nazionale degli ultimi decenni, se non cambia questa visione non si riparte». Per far questo sarebbe necessario investire in opere d’impatto, «uno shock emotivo» è ciò di cui il paese ha bisogno. Ciò potrebbe essere rappresentato dai porti e dal ponte sullo Stretto dato che «gli investitori considerano la Sicilia il centro strategico del mediterraneo».
E sul Pnrr ha concluso: «Il problema non è avere il 40% ma come verrà utilizzato».
«Un uomo di esempio» è ciò che è Santo Versace, ha detto il presidente di Entopan, Francesco Cicione, che da anni persegue il sogno di realizzare in Calabria e nel sud Italia, nel cuore del Mediterraneo, un ecosistema di innovazione fatto di spazi, campus fisici materiali e immateriali e stakeholder di vario genere che possano collaborare nello sforzo di produrre innovazione utile e armonica. « Il Sud è una risorsa per l’Europa e soprattutto per il Mediterraneo. La nostra sfida è uno sforzo inedito. Abbiamo deciso di farlo al Sud e senza alcun ricorso alla finanza pubblica. Perché la finanza pubblica non ha tempi compatibili con l’innovazione. Oggi si parla spesso di Pnrr e il grande assente in questa discussione è il contributo umano. Senza un capitalismo generativo non può esistere un’amministrazione etica».
Biagio Mazzotta, Ragioniere generale dello Stato, su domanda di Paolo Mieli in relazione a possibili sottrazioni di fondi del PNRR al Sud, lo ha escluso: «Ritengo non ci sia un problema di sottrazione di risorse al Sud – ha spiegato Mazzotta. Alcuni progetti assegnati in via diretta nell’ambito della rete ferroviaria ad esempio. Altri saranno messi al bando e il 40% degli stanziamenti, andranno al Sud. Se i progetti ci sono e le regioni saranno efficienti, ci saranno i finanziamenti. Nessuna ingiustizia, bisogna saperseli guadagnare. Il Nord rimane in vantaggio in questo momento nella progettazione. Il Sud deve cambiare il modo di fare del recente passato in cui presenta, sì i progetti di spesa, ma molto spesso questi ultimi venivano considerati inammissibili».
Secondo Francesca Moraci, docente, urbanista, già membro cda gruppo Fs, «l’investimento deve essere considerato in una strategia complessiva. Ci vuole una visione, un sistema paese che deve essere competitivo e incastonato nel Mediterraneo. Sarà fondamentale realizzare l’alta velocità fino a Reggio Calabria. Ci sono 4 miliardi previsti per il Sud e 2 miliardi per nuove opere che devono essere utilizzati per recuperare i ritardi nelle infrastrutture».
Sull’importanza di realizzare infrastrutture nel Meridione si è soffermato anche Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia: «le infrastrutture sono fondamentali per valorizzare le bellezze e i borghi del Sud Italia che spesso sono irraggiungibili proprio per l’assenza di infrastrutture e mezzi».
Inoltre, per la valorizzazione dei borghi semi abbandonati del Meridione, per Spaziani Testa non hanno senso iniziative: «Non è la vendita a un euro delle case che risolve il problema, bisogna farli rivivere».
Fabrizio Frullani, giornalista del Tg2, ha puntato l’attenzione sui tempi. «Non ci dimentichiamo che per il PNRR saranno fondamentali e che proprio in questi giorni ci sarà il primo banco di prova. Sull’alta velocita, il premier Mario Draghi ha detto che si farà fino a Reggio Calabria. Dobbiamo avere fiducia e ricordare che ci troviamo davanti a un’occasione storica che va accolta con tutte le forze e la disponibilità di tutti».
Sul tema di occupazione, giovani, donne e previdenza nel corso del dibattito moderato dal giornalista Fabrizio Frullani, è intervenuto Cesare Damiano, già ministro del Lavoro, cda Inail, che ha messo in luce il problema della sconnessione tra scuole e imprese. Spesso essere troppo formati paradossalmente diminuisce le opportunità di occupazione perché ciò comporta una maggiore remunerazione e maggiori diritti e garanzie. «Si diceva che la flessibilità avrebbe creato più posti di lavoro ma non è stato così. Sicuramente il reddito di cittadinanza andrebbe riformulato».
Damiano ha poi parlato di politiche attive che «devono essere un ponte tra la disoccupazione ed il futuro impiego utilizzando formazione e tracciando percorsi su misura».
Ernesto D’Amato, Ceo di Radar Academy che si occupa di ricerca e selezione del personale. «Le imprese occupano due terzi dei lavoratori in Italia per cui rappresentano gran parte degli sbocchi professionali. Le aziende chiedono determinate caratteristiche ma i giovani fanno fatica a trovare occupazione e le ragioni di questo gap risiedono nel sistema scolastico e universitario che dovrebbero porsi delle domande in termini di metodologie».
«Si parla spesso di dad e di didattica in presenza – ha aggiunto – ma si parla poco di modalità didattiche e di apprendimento. Dovremmo rendere l’apprendimento più interessante ed efficace rispetto alle competenze richieste dal mondo del lavoro e soprattutto da quello delle imprese. Il mercato del lavoro deve ripartire da innovazione, competenze digitali e creatività. La risorsa fondamentale per competere sono i giovani».
Anche Marialuisa Gnecchi, vicepresidente Inps, ha espresso un suo pensiero sul reddito di cittadinanza: «È una misura a nucleo familiare per cui paragonare i 700 euro con il guadagno di un singolo componente è sbagliato. Si dovrebbe invece ragionare di lavoro, retribuzione regolare e contribuzione regolare per avere una pensione con cui si possa vivere».
Ha, inoltre, espresso l’urgenza di colmare il gap di genere: «La pensione delle donne è la metà di quella degli uomini. Il lavoro è il primo vero mezzo di inclusione sociale per cui è importante che ci sia equa distribuzione». Gnecchi ha inoltre invitato a ragionare sui lati positivi della pandemia che «ha insegnato che si può lavorare a distanza ed esistono molti lavori che si possono fare da remoto». Lo smart working può diventare volano di occupazione nel Mezzogiorno».
Filippo Ribisi, vicepresidente Confartigianato imprese, ha evidenziato il problema del deficit di formazione. «Mancano le persone formate, gli elettricisti formati, gli edili specializzati. Quello che oggi richiedono le piccole e medie imprese per completare le politiche attive del lavoro non può farsi solo con gli uffici di collocamento ma investendo in risorse umane, riqualificando il personale e comunicando col privato». La soluzione di Ribisi è «investire negli istituti tecnici e nelle scuole professionali perché il futuro del lavoro è nella formazione».
Renato Mason, direttore Cgia Mestre. «La situazione italiana vede Pil, export e consumi interni progredire. Chi ha patito davvero la crisi economica sono giovani, donne e Sud. Chi ha responsabilità decida politiche serie per giovani, donne e Mezzogiorno. O si creano condizioni endogene territoriali di sviluppo e crescita o non si va da nessuna parte».
Mason si è, poi, interrogato sulla crescita esponenziale di partite Iva al meridione in controtendenza con ciò che sta accadendo al Nord e ha esortato chi ha potere dirigenziale a capire «dove, come e perché nascono» e soprattutto ha esortato a «mettere una rete di protezione» per le pmi. In ultimo ha puntato i riflettori su un altro fenomeno preoccupante che è l’abbandono scolastico.
E sull’aumento delle partite Iva si è interrogato anche Alessandro Paone, giuslavorista e partner Lablaw: «Significano crescita o una fuga dal lavoro subordinato?».
Dopodiché invitato a ragionare sui lavori del futuro «che non sono stati ancora studiati. Abbiamo sempre studiato la crescita ma non lo sviluppo. Non guardiamo mai al domani».
Di trasformazione digitale ha parlato Anna Gionfriddo di Manpower Group Italia. «Siamo in un momento importante di trasformazione digitale che la pandemia ha accelerato in maniera importante. Si è subito pensato che questa trasformazione avrebbe tolto posti di lavoro ma non è cosi. Compito del mercato del lavoro è far incontrare la richiesta di occupazione con le effettive competenze».
«Nel Sud – ha aggiunto – la prospettiva è positiva. Il turismo, che è il settore trainante, è ripartito solo che non si trova personale da reclutare perché nel frattempo le persone si sono ricollocate».
Ivano Spallanzani, presidente Assimpresa Spa, ha parlato ancora di partite iva e Mezzogiorno interrogandosi sul futuro delle piccole e medie imprese che dovranno confrontarsi con una «burocrazia massacrante» che è «contraria al sistema imprenditoriale».
Di pensioni si è occupato Gianfranco Verzaro, comitato direttivo Assoprevidenza, mettendo in discussione la compatibilità degli anticipi (Quota 100) che «contraddicono la parte di sostenibilità del costo pensionistico che era stato faticosamente consegnato dal ’92 in poi».
Verzaro si è espresso sull’urgenza di cercare meccanismi diversi per sostenere dei contratti di espansione ad esempio «un’uscita morbida dal lavoro che potrebbe evitare lo spreco umano ed economico».
La penultima sessione di lavoro si è aperta con il saluto del ministro per Affari Regionali Maria Stella Gelmini, collegato via streaming. «Cultura, sviluppo e infrastrutture sono temi importantissimi sui quali è concentrato anche il governo, in questo momento impegnato a mettere a terra il Pnrr».
«Sto provando a fare in modo – ha spiegato – che il Piano abbia il consenso degli Enti locali che devono essere coinvolti fin dal primo momento della progettazione. Il Piano deve essere occasione per un nuovo protagonismo del Mezzogiorno e servire anche a ricucire il territorio. Sono certa che questa tre giorni di lavoro a Scilla porterà un grande contributo anche in questa direzione».
Alessandro Paone, giuslavorista di Lablaw, si è soffermato sullo smart working. «Nei primi 3 mesi di pandemia tutti ci siamo innamorati dello smart working che però, successivamente, ha mostrato molti limiti. In realtà stiamo guardando un fenomeno nuovo da un punto di vista vecchio. Le aziende non adotteranno mai una formula unica ma, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, può essere anche lo smart uno strumento e quindi può essere un modello di sviluppo».
Matilde Marandola, presidente Aidp nazionale: «Siamo stati certamente presi alla sprovvista dalla pandemia. La chiave di lettura per riorganizzare il sistema di lavoro deve essere l’ascolto. Ci sono tante persone del Sud, ad esempio, che con lo smart working possono stare al Sud. Non contano luogo e tempo, ma i risultati e anche i datori di lavoro se ne stanno accorgendo».
Elena Militello, presidente South working: «Serve, comunque, un cambiamento di mentalità. Le nuove modalità di lavoro potrebbero anche essere stabilite mediante un accordo scritto tra lavoratore e dipendente e, spesso, possono aumentare la produttività senza considerare solo gli orari in maniera rigida. Non credo, però, nello smart working da casa, ma da spazi appositi di coworking. In ogni caso per una prestazione lavorativa all’altezza servono una buona connessione internet e mezzi di trasporto efficienti».
Stefano Cianciotta, presidente Abruzzo Sviluppo: «Non dobbiamo dimenticare che il lavoro si sviluppa se ci sono le imprese ad investire. Il fenomeno del south working è interessante e nei nostri borghi si può fare, ma non ne determinerà lo sviluppo. Non è la panacea che risolve i problemi del Mezzogiorno ma solo una modalità di organizzazione del lavoro».
Anna Maria Testa, direttore risorse umane Zte Italia: «Le imprese che non erano pronte hanno sofferto di più durante la pandemia. Dobbiamo stare di più sul territorio, ascoltare le esigenze dei lavoratori e dare ai più giovani la possibilità di individuare la propria strada».
Gianpiero Tufilli, direttore risorse umane Thales: «Credo si debba continuare con lo smart working a prescindere dal discorso emergenziale. È un’opportunità? Va valutata caso per caso, ma di certo serve formazione adeguata sia per i leader che per i lavoratori. Può essere una grande opportunità per il Sud, favorendone l’indotto nel momento in cui i lavoratori vi si trasferiscono e potrebbe migliorare la condizione dell’individuo».
A chiudere questa terza edizione di SudeFuturi, la discussione sullo Stato della democrazia.
Ripartire dal Mediterraneo non può non farci interrogare sul ruolo della Turchia in Europa e non si può ovviamente ignorare l’influenza degli Stati Uniti e l’alleanza atlantica. Paolo Mieli ne ha discusso con Antonio Baldassarre, Gabriele Checchia, Arthur Gajarsa, Valeria Giannotta, Panagiotis Roumeliotis.
Secondo Arthur Gajarsa, giudice d’Appello Federale Usa, è importante che un governo democratico protegga l’intera popolazione «ma alcune restrizioni sono necessarie per ripartire in sicurezza». Gajarsa ha risposto all’accusa dell’Isolamento degli Stati Uniti elencando le numerose sfide interne che l’America si trova attualmente a dover affrontare: come la stagnazione, l’inflazione, assieme alla nuova ondata pandemica. Gli Stati Uniti si trovano inoltre di fronte ad una crisi di fiducia dovuta al ritiro dall’Afghanistan.
Sulla questione afgana si è espresso anche Gabriele Checchia, ambasciatore d’Italia presso l’Ocse a Parigi e la Nato a Bruxelles: «La tragedia afgana impone riflessioni pesanti negli USA, in Europa e nelle relazioni transatlantiche. C’è stata da parte europea una sottovalutazione della vicenda. Per qualche motivo il presidente Biden ha ritenuto non demandabile la data del ritiro. L’Europa aveva suggerito di posticipare per un ritiro più ordinato». Difendendo però il ruolo della Nato: «Il rapporto transatlantico è più difficile ma deve restare vitale: la Nato va protetta. Macron parla di autonomia ma deve essere un’autonomia strategica. Non ci può essere autonomia strategica senza sovranità tecnologica. Le difficoltà che più mi preoccupano sono quelle di creare una politica estera europea senza una governance europea». Il problema dell’Europa, secondo Checchia, è la contrapposizione tra «tendenza centripeta dei valori e tendenza centrifuga del mercantilismo» e la mancanza di un esercito comune.
Ancora geopolitica. Della Turchia e del suo ruolo strategico se si vuole ripartire dal Mediterraneo ha parlato Valeria Giannotta (direttore scientifico Osservatorio Turchia, centro studi di Politica Internazionale): «La Turchia aspira al ruolo di player regionale. Il fatto che sia stata in grado di intervenire in Libia va oltre l’accordo militare. Tra Europa e Turchia c’è una crisi di fiducia a 15 anni dai negoziati. Ankara viene trattata come altro rispetto all’Unione Europea ma risulta comoda quando c’è da usare la forza».
Un doppio standard sul quale l’Europa è obbligata a fare autocritica.
L’ingresso della Turchia in Europa fu supportato anche dalla Grecia, cosi ha affermato Panagiotis Roumeliotis, economista e già ministro dell’Economia in Grecia, poiché non c’era altra maniera «perché si adeguasse agli standard e allo stato di diritto europeo».
L’ex ministro dell’Economia ellenico si è poi soffermato sulle molte sfide che l’Europa dovrà affrontare per ripartire dalla pandemia: «Ci sono molti problemi, tra i quali la stagnazione secolare che proviene dall’invecchiamento della popolazione e dall’improduttività. Bisogna rivedere il patto di stabilità per dare opportunità ai paesi in difficoltà di crescere senza dimenticare di considerare come prioritaria la questione dei cambiamenti climatici perché non aspettano. E soprattutto è necessario farsi trovare preparati a nuove crisi. Dobbiamo avere obiettivi a breve, medio e lungo termine».
Sui rischi dei valori democratici si è infine espresso Antonio Baldassarre, Presidente emerito della Corte costituzionale: «Io sono un realista e per mia esperienza quando i valori si sono scontrati con interessi pratici hanno perso. L’Europa è una costruzione costituzionale e politica che non c’è mai stata nella storia. È un unicum quindi le sue difficoltà sono atroci» Le democrazie sono a rischio, ha detto ancora Baldassarre, quando passa il messaggio che gli stati autocratici rispondono in maniera più agile alle difficoltà: «Se si dimostra che gli stati autocratici funzionano meglio in periodi di crisi si rigettano le fondamenta della democrazia».
«L’Europa è una forza civile in un mondo che sta scoppiando per questo si è rivelata debole nel gioco geopolitico», ha concluso. (rrc)