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Mario Nasone

Sull’insegnamento di don Italo Calabrò, una legge tuteli i figli dei mafiosi

Ricordando l’insegnamento dell’indimenticabile don Italo Calabrò che chiedeva ai mafiosi “se non potete uscirne voi, fate almeno in modo che i vostri figli non vi entrino”, Mario Nasone del Centro Agape di Reggio e don Ennio Stamile referente regionale di Libera lanciano un appello perché ci sia l’impegno per una legge nazionale che favorisca il dialogo tra magistratura e associazioni e le carceri di massima sicurezza, per aiutare i detenuti per mafia a una revisione critica della loro vita pensando al futuro dei propri figli. Il progetto Liberi di scegliere lascia ai figli dei mafiosi la possibilità di fare esperienze in contesti sociali diversi sia fuori della Calabria, sia restando nel territorio.

«Vi ringrazio perché vi siete presi cura di mia figlia”: questa frase pronunciata durante l’incontro promosso da un  detenuto ristretto della casa circondariale in regime di 41 bis sintetizza meglio di ogni altera parola il senso del  messaggio “Uscire dalla ndrangheta è possibile” che  Centro Comunitario Agape e associazione Libera hanno voluto portare  attraverso una serie di iniziative realizzate in luoghi simbolo  del territorio reggino, oltre il  carcere di Palmi, il quartiere di Archi, il carcere minorile, quattro scuole della città di Reggio aderenti alla rete delle Alleanze Educative, il Piria, il Volta, il Fermi Boccioni, il Panella. Sono stati circa 600 gli studenti coinvolti, una trentina i minori delle comunità incontrate, un centinaio gli educatori e le famiglie dell’Agesci di Archi carmine.

L’evento realizzato nell’istituto penitenziario era il quarto dopo quelli tenuti lo scorso anno nelle carceri di Reggio, Locri, Vibo  e si è caratterizzato per la presenza di due significativi testimoni, Giosuè D’Agostino seguito negli anni 80 da don Italo Calabrò e da Agape nel percorso di riscatto che lo ha portato dal carcere minorile alla rottura con il clan di ‘ndrangheta a cui apparteneva a vivere una vita diversa nel segno della legalità  Rivolgendosi ai detenuti ha chiesto di abbandonare gli alibi sulle responsabilità dello Stato o di altri e di decidere come ha fatto lui di scegliere una vita che ti dà dignità, che ti evita di passare la vita tra una carcerazione all’altra o addirittura di perderla. Assieme ad esso Vincenzo Chindamo fratello di Maria  sequestrata ed uccisa a Limbadi che ha detto che questa è stata una  occasione per dare voce, davanti ai detenuti dell’alta sicurezza, alle tante vittime della ‘ndrangheta ma anche a chi è riuscito a uscirne facendo scelte coraggiose e a  invertire un destino mafioso che sembrava inevitabile.

I detenuti intervenuti, che si sono preparati all’incontro prendendo visione del film Liberi di scegliere e con l’incontro con Mimmo Nasone,  hanno ascoltato con attenzione e rispetto  loro testimonianze e attraverso i loro interventi hanno dimostrato di essere disponibili ad avviare un dialogo con le istituzioni e con gli altri soggetti della società civile soprattutto per i riflessi che questo può avere sulla loro famiglia e sui figli, hanno dato atto al Tribunale per i minorenni della volontà di tutelare i loro figli,   ma hanno anche chiesto un servizio giustizia e dei processi più veloci  e soprattutto  opportunità concrete per chi ha sincera volontà di cambiare vita e di inserirsi nella società.Per il giudice minorile Sebastiano Finocchiaro, ribadendo l’importanza del programma Liberi di scegliere”,l’incontro  è stata un’occasione di confronto e dialogo con soggetti direttamente coinvolti nelle peculiari vicende attenzionate  dal locale Tribunale dei Minori nell’ambito dei procedimenti civili afferenti la tutela di minori provenienti da contesti familiari di ‘ndrangheta.

Oltre ad un momento di certo arricchimento umano e culturale a suo parere  tali occasioni possono offrire spunti per la personale revisione critica del pregresso operato da parte del condannato anche sotto il profilo del percorso genitoriale nell’ottica del perseguimento della risocializzazione e del proficuo reinserimento nella comunità civile. Anche secondo Vincenzo Chindamo «I detenuti hanno necessità di confronti qualificati, affinché dalle loro esperienze possa nascere la forza di conversione della nostra terra. I detenuti e le loro famiglie sono le prime vittime dei loro errori. È necessario accendere in loro la consapevolezza di chi e di cosa li ha resi prime vittime di un sistema ed illuminare la strada di scelte coraggiose che li riscattino. Uscire dalla criminalità è prestigioso. Fa strada al cammino difficile ma possibile che i nostri territori stanno affrontando donando orgoglio e speranza alla nascita di una nuova Calabria. Una Calabria Libera».

Contributi importanti sono venuti dal provveditore regionale della amministrazione penitenziaria Liberato Guerriero che ritiene fondamentale la funzione educativa che il carcere deve svolgere attraverso anche queste iniziative, Agostino Siviglia Garante regionale dei detenuti si impegnerà anche per favorire esperienze di giustizia riparativa e di incontro con le vittime dei reati, il procuratore aggiunto della Procura di Palmi Giuseppe Casciaro ha chiesto ai detenuti di riflettere sul significato del volere bene ai figli che è diverso dal volere il loro bene ma ha anche espresso rammarico per tutti quei casi in cui la giustizia è lenta o  peggio ancora quando lascia un innocente in carcere anche per un solo giorno. Il Direttore Antonio Galati nelle conclusioni ha evidenziato in particolare la sofferenza che vede quando i bambini entrano in carcere per i colloqui e che interpella le coscienze di tutti, in primis dei loro genitori detenuti che hanno la maggiore responsabilità. Apprezzamenti anche della Dirigente nazionale della Giustizia minorile Isabella Mastropasqua che ha sottolienato la grande valenza educativa di fare ascoltare ai ragazzi delle comunità l’esperienza di chi ce l’ha fatta ad uscire dalla ‘ndrangheta. (rrm)