PD contro Occhiuto per i 104 mln persi per risorse idriche

È un continuo botta e risposta, quello che sta avvenendo tra i consiglieri regionali del Partito Democratico e il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, sulla questione dei 104 milioni del React Ue persi dai Comuni per le reti idriche calabresi.

I dem, infatti, hanno chiesto al Governatore di chiarire sulla perdita di tali fondi. Risposta arrivata immediatamente da Occhiuto, che ha accusato i democratici di aver «perso per strada le vicende degli ultimi mesi. Fatti, dichiarazioni, leggi, discussioni in Consiglio regionale», in particolare proprio sulla faccenda dei 104 milioni del bando React Ue per le reti idriche calabresi.

«L’Autorità idrica della Calabria – società costituita dai Comuni e presieduta dal sindaco Manna – presentò in modo errato – ha ricordato il Governatore – la domanda di partecipazione al bando, e il Ministero la rigettò senza appello. A seguito di questo grave evento ci fu in Calabria, giustamente, un dibattito pubblico: articoli sui giornali, servizi televisivi, mie dichiarazioni, interventi dell’opposizione, discussioni in Consiglio regionale».

«Quelli del Pd non ricordano nulla: loro la notizia l’hanno appresa l’altro giorno da Sky. Almeno si vadano a leggere i resoconti delle sedute d’Aula dedicate al tema, condite anche dai loro interventi – ha proseguito –. In seguito a questo legittimo polverone – è stato, infatti, inaccettabile perdere 104 milioni di euro – il mio governo regionale ha deciso di accelerare la riforma per avere anche in Calabria una Authority unica che si occupi non solo della grande adduzione ma anche della distribuzione, coinvolgendo la Sorical, che nel frattempo abbiamo acquisito».

«La riforma della gestione del sistema idrico, al quale abbiamo affiancato anche quella dei rifiuti, è legge regionale – nell’inconsapevolezza dei dem – dallo scorso 19 aprile, dopo due sedute del Consiglio nel giro di una settimana e raccogliendo in Aula numeri più ampi rispetto al perimetro della maggioranza che mi sostiene –. E proprio grazie a questa riforma e alla prospettiva che ci darà la nuova multiutility, il governo regionale è ottimista sul fatto che i 104 milioni del bando React-Eu persi a marzo dai Comuni possano in qualche modo essere recuperati dalla Regione entro la fine del 2022, e da mesi stiamo lavorando per questo: per rimediare agli errori altrui e per portare queste importanti risorse in Calabria».

«Gli esponenti del Partito democratico e soprattutto l’amico Domenico Bevacqua studino di più e siano propositivi – ha concluso – invece di parlare a vanvera con il solo obiettivo di dar fiato alle trombe. Mimmo caro, fare il capogruppo del Pd in Consiglio regionale non è come fare il consigliere comunale a Longobucco».

«È evidente che abbiamo colto nel segno», hanno commentato i democratici, sottolineando come «volta che una critica mette in luce una delle tante inefficienze del governo regionale, il presidente Occhiuto perde la testa e lo stile».

«Non potrebbe spiegarsi altrimenti la reazione spropositata del Presidente Occhiuto alla nostra richiesta legittima di riferire in Consiglio Regionale dopo la perdita di 104 milioni di euro denunciata e rilanciata  in questi giorni da importanti testate nazionali e su cosa si stia facendo per ottenere e spendere i fondi Pnrr».

«L’opposizione non siede in Consiglio Regionale per assecondare i silenzi e i ritardi della maggioranza ma, piuttosto – hanno proseguito i dem – per vigilare su quanto fa o non fa il governo regionale e per stimolare quest’ultimo a fare sempre di più. Invece di lasciarsi andare ad un’invettiva di serie b, il presidente Occhiuto si abitui a rispondere nel merito e scenda dal piedistallo da cui non si è mosso fin dal suo insediamento».

«E l’argomento relativo alla rete idrica e alla siccità (che colpisce anche agricoltori e comuni cittadini) non può essere, come vorrebbe Occhiuto – hanno detto – affidata all’imperatore che fa e disfa a suo piacimento. Occhiuto, dall’alto dei suoi 30 anni di vita politica che lo rendono l’unico dinosauro della politica calabrese, mostri di rispettare le Istituzioni e osservi lo Statuto e il Regolamento del Consiglio Regionale. Lo dimostri immediatamente venendo in Aula a rendere una integrale informativa su cosa si stia facendo in merito ai fondi del Pnrr». (rrm)

ACQUA, AMBIENTE, ENERGIA: DALLA SVIMEZ
INDICAZIONI PER UTILIZZO RISORSE PNRR

In Calabria, l’attivazione in termini di valore aggiunto della produzione delle utilities (ambientale, idrico ed energetico), ha un’incidenza dello 0,5%. È il valore minimo rilevato nelle otto regioni meridionali dal Rapporto Sud I servizi pubblici locali nell’Economia del Mezzogiorno, elaborato da UtilitaliaSvimez.

Un dato che preoccupa, ma che deve far comprendere come sia importante investire le preziose risorse del Pnrr per migliorare la qualità della vita dei calabresi, partendo dall’acqua, dall’ambiente e dall’energia.

Soprattutto sull’acqua, la nostra regione ha un problema serio: è tra le più colpite per l’irregolarità nel servizio dell’erogazione dell’acqua e il 28,8% delle famiglie si lamenta del problema. Grave disagio, poi, anche sui consumi: il 38,2% delle famiglie ha dichiarato di non fidarsi a bere l’acqua del rubinetto.

Quello presentato è, infatti, un prezioso documento che analizza e valuta gli impatti economici e occupazionali nei vari settori in cui operano le utilities (ambientale, idrico ed energetico) nelle regioni del Mezzogiorno. Vengono messe a fuoco sia le criticità, legate ad alcuni ritardi storici e all’incalzare della crisi climatica e per la cui risoluzione vengono effettuate alcune proposte, sia le opportunità, moltiplicate dalla destinazione del 40% delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) alle regioni meridionali.

Secondo il rapporto, infatti, «i servizi di pubblica utilità, nello specifico quelli relativi alla gestione delle risorse idriche, ambientali ed energetiche, svolgono un ruolo particolare: sono vettori che possono accelerare il passaggio verso un’economia decarbonizzata, basata sulla circolarità delle risorse, sul miglioramento della qualità della vita e sul rafforzamento della resilienza dei sistemi economici e sociali».

«In quasi 290 mila gli addetti nel comparto delle utilities, di cui oltre 93 mila impiegati nelle unità locali situate nelle regioni meridionali. Il peso relativo del Mezzogiorno sull’Italia è dunque pari al 32%, in linea con il peso demografico di queste regioni e nettamente maggiore di quanto emerge da altri indicatori economici (la quota del PIL meridionale su quello nazionale, ad esempio, arriva a malapena al 22%). In termini di occupati, il peso relativo delle utilities sul totale dell’industria raggiunge l’8,9% nel Sud, ed è pari al 4,5% nel CentroNord».

«Passando, però – si legge – dal numero degli occupati alla produttività, l’equilibrio tra Nord e Sud viene ribaltato. Il valore aggiunto per occupato nelle utilities del Mezzogiorno è pari a circa 116 mila euro, mentre nel Centro-Nord si attesta a 166 mila euro, rispetto a valori pari, rispettivamente, a 48 e 67 mila euro per il totale dell’industria. Inoltre il Sud Italia è caratterizzato da una minore concentrazione di società rispetto al resto del Paese: delle 1.301 realtà a livello nazionale, soltanto 260 hanno sede nelle aree meridionali. Nel 2020, il valore della produzione (fatturato) dei servizi di pubblica utilità realizzato da 241 aziende con sede legale nelle regioni del Mezzogiorno ha sfiorato i 5 mld di euro, che corrisponde al 21% dell’intero fatturato prodotto su scala nazionale, nel medesimo anno, dalle aziende attive nei due settori considerati (idrico e servizio ambientale)».

«Il valore della produzione – viene spiegato – complessivamente attivato dalle utilities del Mezzogiorno qui considerate è pari, in valore assoluto, a circa 11 mld di euro a scala nazionale. Per offrire un termine di comparazione, quest’ultimo dato è pari a quasi lo 0,4% dell’intero valore della produzione nazionale al netto delle attività non market2 nel 2019. Per ogni euro di produzione realizzata nel Sud da parte delle utilities esaminate se ne attivano, in Italia, circa 2,2».

Tornando al discorso dell’attivazione in termini di valore aggiunto nelle otto regioni meridionali e la sua incidenza sul Pil, se la Calabria è quella che presenta il valore minimo, c’è la Puglia che, invece, presenta il valore più alto (1,6%).

Dunque, «In sei regioni su otto del Mezzogiorno, l’attivazione di valore aggiunto è uguale o superiore al punto percentuale (sul PIL regionale). Sono valori che indicano come, al di là delle funzioni di primaria importanza svolte da queste aziende (basti pensare a quelle attive nella raccolta dei rifiuti), esse presentano una “dimensione” economica non trascurabile. A fronte di un numero complessivamente esiguo di aziende, la loro capacità propulsiva appare comparativamente elevata».

Per Svimez e Utilitalia, poi, c’è un altro elemento da considerare, ossia che le aziende meridionali sono importanti attivatori di produzione e occupazione anche per le regioni del Centro-Nord. Se nelle regioni del Sud, per ogni milione di euro di produzione realizzata dalle utilities locali, si attivano dai 7 ai 10 addetti, la produzione totale attivata dalle aziende genera a livello nazionale da 2 a 3 posizioni lavorative aggiuntive che interessano le regioni del Centro-Nord. In altri termini, per ogni milione di euro di produzione realizzata dalle imprese meridionali, in media una quota prossima al 30% dell’attivazione complessiva di occupazione va a beneficio delle regioni centro-settentrionali».

Per quanto riguarda il settore idrico, è cosa nota che il Sud soffra di significativi ritardi sia sulla governance che sugli investimenti. Una condizione che aumenta il divario con il resto del Paese andando a creare quella che nel rapporto viene chiamata Water service divide.

«La presenza di piccoli operatori – si legge – spesso coincidenti con i singoli Enti Locali, e la mancanza di un ente di regolazione locale che coordini l’attività dei gestori sul territorio, hanno forti ripercussioni sulla pianificazione degli interventi e sulla determinazione delle tariffe: i gestori del servizio si ritrovano spesso in condizioni di difficoltà economica per cui l’obiettivo finale si focalizza più sulla necessità di contrastare eventuali squilibri di breve termine che su una pianificazione ottimale di lungo periodo che guardi all’efficienza della gestione. È dunque necessario garantire la piena operatività agli Enti di Governo d’Ambito, passaggio fondamentale per il superamento delle gestioni in economia (che al Sud servono il 26% della popolazione; vedi figura) e della frammentazione gestionale che rappresentano un freno allo sviluppo industriale e agli investimenti».

Per Svimez e Utilitalia, «sarebbe opportuno prevedere un’accelerazione nella realizzazione delle infrastrutture interregionali o comunque sovra-ambito (già previste nei piani di bacino e nel Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico) ecoerentemente, completare la costituzione di una nuova Società dello Stato (prevista dalla Legge di Stabilità per il 2018) che subentri all’EIPLI, ente definitivamente soppresso e posto ormai in liquidazione. Lo stallo sul destino di questo ente determina infatti un’elevata vulnerabilità del sistema di grande approvvigionamento di buona parte del Sud Italia, comportando un rischio significativo per l’uso civile dell’acqua ma anche per quello irriguo e industriale».

«Si tratta di interventi urgenti perché l’infrastruttura presente nelle regioni del Sud è stata in gran parte realizzata grazie alle risorse previste dalla Cassa del Mezzogiorno» viene evidenziato nel Rapporto, dove viene spiegato che il Sud deve fare i conti con la persistente scarsità della risorsa idrica.

Purtroppo, infatti, «in molte zone i problemi connessi alla disponibilità di acqua potabile costringono ogni anno le amministrazioni a emanare ordinanze di razionalizzazione delle acque, causando disagi alla cittadinanza soprattutto nel periodo estivo. Il quadro complessivo ha un impatto evidente sui consumi di energia elettrica: se da un lato il consumo di energia dell’acqua immessa in rete è abbastanza omogeneo, lo stesso non può dirsi in relazione ai volumi consegnati all’utenza».

E, proprio sulla dispersione dell’acqua, è stato rilevato come «in sei capoluoghi del Mezzogiorno si osservano perdite totali lineari sulla rete comunale di distribuzione dell’acqua potabile superiori a 100 metri cubi per chilometro di rete, che si traducono in perdite percentuali superiori al 50%. Basti pensare che la percentuale delle perdite di Siracusa è pari al 68% circa, mentre a Milano scende al 14%. %. Questa differenza è espressione del service divide che caratterizza il comparto idrico italiano, ovvero l’asimmetria in termini di qualità del servizio offerto tra Nord e Sud del Paese, che può essere riequilibrata solo con un piano di investimenti strategico per le regioni meridionali».

«Inoltre in 11 Comuni capoluogo di provincia/città metropolitana, localizzati tutti nel Mezzogiorno, si è fatto ricorso a misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile, disponendo la riduzione o sospensione dell’erogazione idrica. A 10 Famiglie e servizio idrico: nel Mezzogiorno maggiore irregolarità nel servizio e bassa fiducia nel bere acqua del rubinetto Attivazione complessiva degli investimenti nel periodo 2018-2023: in termini di produzione 3,2 mld € con 42mila ULA Enna, Pescara, Cosenza e Reggio di Calabria le restrizioni nella distribuzione dell’acqua potabile sono state estese a tutto il territorio comunale. Le situazioni più critiche si sono registrate ad Agrigento e Trapani, dove l’erogazione dell’acqua è stata sospesa o ridotta in tutti i giorni dell’anno, con turni diversi di erogazione estesi all’intera popolazione residente».

Da questi dati, dunque, emerge come le sfide più importanti per le utilities del Sud sono legate essenzialmente alla riduzione del service divide, soprattutto nei settori idrico e ambientale. L’obiettivo è migliorare i servizi erogati anche nell’ottica di aumentare il grado di resilienza di fronte agli effetti dei cambiamenti climatici.

A tal proposito dal rapporto emergono alcune precise proposte: è necessario sostenere e potenziare lo sviluppo industriale delle utilities nel Sud Italia favorendo le gestioni industriali per superare i problemi derivanti dalla frammentazione; migliorare e semplificare la governance, per garantire rapidità ed efficacia nel processo di evoluzione industriale, incentivando la completa realizzazione degli investimenti, e semplificare i procedimenti autorizzativi; completare il processo di costituzione di una nuova Società dello Stato, che subentri ad EIPLI, per garantire il riequilibrio della dotazione della risorsa idrica nel bacino distrettuale dell’Appennino Meridionale; incentivare il processo di digitalizzazione del comparto; e, infine, programmare lo stanziamento di nuove risorse destinate alle regioni del Meridione ed assicurare la realizzazione degli investimenti.

Nelle regioni del Sud inoltre – e in particolare in Sicilia, in Puglia e in Basilicata – è presente il maggior potenziale di sviluppo delle rinnovabili da solare ed eolico d’Italia. Ad oggi la produzione di energia rinnovabile da queste fonti, al Sud Italia, è pari a circa il 30% della produzione nazionale (dati Terna): un valore che può crescere sensibilmente, contribuendo al raggiungimento dei target previsti dalla normativa europea.

Per la Presidente di Utilitalia, Michaela Castelli, «l’unica strada percorribile per elevare il livello dei servizi pubblici al Sud è favorire una gestione industriale, ovvero una gestione unica che si occupi dell’intero ciclo dell’acqua come dei rifiuti. Come dimostrano le positive esperienze del Centro-Nord e quelle delle realtà industriali presenti nel Meridione, solo in questo modo è possibile ottenere un incremento degli investimenti e della qualità dei servizi offerti ai cittadini».

«Bisogna intervenire – ha evidenziato – nei territori in cui le amministrazioni locali non hanno ancora affidato il servizio a un soggetto industriale, con l’obiettivo di superare le gestioni in economia e la frammentazione gestionale. Per ogni euro di produzione realizzata nel Sud da parte delle utilities esaminate nel Rapporto se ne attivano, in Italia, circa 2,2: il comparto può dunque contribuire in maniera importante al rilancio economico del Meridione, anche dal punto di vista dell’impatto occupazionale diretto e indiretto».

Anche per il Direttore Generale della Svimez, Luca Bianchi «il comparto delle utilities risulta essere uno dei canali di trasmissione più idonei a mettere a terra con profitto le risorse del PNRR nel Mezzogiorno. La maggiore robustezza rispetto al resto dell’industria riscontrata nelle gestioni integrate idriche e dei rifiuti, così come la capacità progettuale e di governo del sistema dei Consorzi di Bonifica, sono gli elementi che lo studio mette in evidenza come leve cruciali per favorire la transizione digitale ed ecologica del Mezzogiorno».

«Puntare su modelli di governance – ha sottolineato – che si sono rivelati efficaci anche al Sud, rafforzandoli nei territori in cui ancora non si sono insediate le gestioni industriali e concentrandovi le maggiori risorse per investimenti del PNRR, può essere la soluzione per sopperire al deficit di capacità amministrativa che potrebbe compromettere l’efficacia del PNRR nel Mezzogiorno. Tanto più che l’impatto degli investimenti su questi settori risulta essere particolarmente incisivo nella formazione di nuova occupazione e riguarda gli ambiti più esposti alle sfide del cambiamento climatico».

«Gli investimenti sulla digitalizzazione delle gestioni idriche, dei campi agricoli, sulla depurazione e sul trattamento dei rifiuti possono produrre effetti a cascata (effetti spillover) nel lungo periodo di gran lunga superiori alle stime di impatto sul Pil e occupazione, peraltro già consistenti, elaborate in questo studio», ha concluso Bianchi. (rrm)

Lega: L’acqua calabrese deve essere difesa da tutti contro possibili speculazioni

Il commissario regionale della LegaGiacomo Saccomanno, ha ribadito la necessità, da parte di tutti, di proteggere l’acqua calabrese dalle speculazioni.

«Nessuno può pensare – ha evidenziato – di depredare ancora la nostra terra. Va eliminato il continuo lamento e affrontati i problemi con competenza e decisione. Bisogna essere propositivi per il bene comune. È noto a tutti che oltre il 50% dell’acqua immessa nelle condotte si perde per la vetustà di queste. Così come è noto che vi sono società non calabresi che vorrebbero gestire questo nostro patrimonio. Ecco la ragione per la quale è indispensabili, indipendentemente dai colori politici, che il problema dell’acqua, essendo una cosa molto seria, vada affrontato nella sua concretezza e con un tavolo comune per evitare l’evidente tentativo di derubare, ancora una volta, la Calabria».

«Sarebbe, quindi – ha detto – opportuno che questo problema venga affrontato e chiarito con una conoscenza reale della situazione. La nostra regione non può e non deve cedere alle sirene di gruppi affaristici del Nord o dell’Europa. L’acqua calabrese va difesa con i denti. Ci deve essere una unica società pubblica che gestisce le nostre fonti e che realizzi tutto quello necessario per rendere il sistema idrico adeguato ed efficiente. Allo stato non sembra che ci sia questa visione d’insieme».

«Ed allora – ha proseguito – le persone che vogliono bene alla nostra regione devono mettersi assieme per creare un gruppo di lavoro e presentare un progetto condiviso o business plan adeguato, che provenga anche dal basso, se necessario. Chi vuole il bene della Calabria deve unire su delle linee progettuali e non dividere per ideologie, che ormai sono lontane. Il bene comune al centro dell’azione politica. Insieme si può fare».

LA GRANDE IMMENSA SETE DELLA CALABRIA
OGNI ANNO 200 MLN DI METRI CUBI IN MARE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – L’acqua è tornata nei campi del Catanzarese, ma la Calabria continua a essere ‘assetata’. Ogni anno, infatti, ci sono 200 milioni di metri cubi d’acqua che, inevitabilmente, finiscono in mare. Una gravissima situazione che è stata registrata dall‘Anbi – Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue su indicazione del Consorzio di Bonifica Ionio Catanzarese e che, in parte, è stata risolta, almeno, per quanto riguarda il Catanzarese, grazie all’intervento della Regione Calabria che ha imposto alla società A2A, di rilasciare 155mila cubi d’acqua al giorno, anche per uso potabile, a valle della centrale idroelettrica di Magisano.

«È il quantitativo minimo, sufficiente ad evitare la perdita dei raccolti, già flagellati dalla siccità – ha ricordato Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi–. Siamo ancora lontani dai 280mila metri cubi, previsti dalla convenzione, ma è un primo segnale, frutto dell’impegno dell’assessore all’Ambiente della Calabria, Sergio De Caprio e della mediazione regionale, fortemente sollecitata dall’azione congiunta delle organizzazioni professionali agricole e del Consorzio di Bonifica Ionio Catanzarese, costretto addirittura a rivolgersi alla magistratura per vedere affermato un proprio diritto. È questo un aspetto fondamentale della vicenda, esempio per superare la logica dei commissariamenti senza fine in atto in Sicilia e Puglia: solo l’autogoverno è in grado di garantire le legittime aspettative dei consorziati, cui bisogna rispondere anche al Sud con crescente efficienza e determinazione».

Ma, se per il Catanzarese la situazione sembra essersi risolta – o almeno in parte -, nel Crotonese, invece, la situazione non è delle migliori: è lo stesso presidente del Consorzio di Bonifica Ionio – Crotonese, Roberto Torchia, a denunciare che, nella giornata del 18 agosto, «l’azienda A2A, dalle 13,00 circa di mercoledì 18 agosto, ha interrotto gli scarichi idrici nel fondo Tacina, a valle dell’invaso di Orichella».

Il consorzio ha tuttavia ricevuto rassicurazioni sulla riapertura dell’acqua, veicolata “dall’erogazione con la tagliola degli anticipi rispetto ai rilasci del prossimo anno”, ma per Torchia “si sposta, così, la cultura dell’emergenza ai prossimi anni che, tra l’altro, verranno sempre più colpiti dai cambiamenti climatici”.

«I coltivatori – ha detto Torchia – sono privi della fornitura così come tutte le altre utenze servite dagli impianti che, così come oramai arcinoto, non riguardano “solamente” il settore agroalimentare. Il disagio e l’allarme sociale è elevatissimo».

«Il territorio, gli agricoltori e le utenze – ha detto ancora – risulteranno devastati e gravemente compromessi dall’assenza di acqua”, prosegue Torchia che continua facendo riferimento agli accordi presi “nel corso dell’ultima video conferenza anche alla presenza dei rappresentanti Regionali e del Prefetto di Crotone», ai quali non sarebbero «seguiti fatti concreti».

A Reggio, la situazione è ancora peggiore: ad Arghillà, così come in molte altre zone della Città Metropolitana, l’acqua fatica ad arrivare, creando non pochi disagi ai cittadini.

Giuseppe Votano, del coordinamento di quartiere di Arghillà, alla Gazzetta del Sud ha parlato di «zona franca” e di un territorio in cui l’acqua non arriva».

«Ai piani alti l’acqua se la sognano ormai da mesi – ha aggiunto –. Tantissima gente sta soffrendo e se non hanno l’autoclave l’acqua non arriva. Il problema è strutturale, perchè il serbatoio non sopporta il fabbisogno di un quartiere che nel frattempo ha avuto una forte espansione demografica e nel quale abitano 6mila persone».

«La situazione è drammatica – ha proseguito Votano – e non si è mai riusciti a risolvere il problema. Ci hanno detto che saranno stanziati dei soldi per fare un nuovo serbatoio, ma da mesi ormai il problema perdura. Ripeto, il problema è strutturale perchè il serbatoio Alfieri, vicino al carcere, servito dai pozzi di San Cono e di Petto Gallico non riesce alla necessità di un quartiere nato per mille persone. Ora l’aumento di persone, tra abitazioni abusive ed assegnate irregolarmente, fa di Arghillà un vero e proprio comune nell’arco di un km quadrato».

Sulla crisi idrica, è intervenuto anche Franco Germanò, già assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Reggio Calabria che, su un post su Facebook, spiegando che «rispetto alla drammatica e colpevole carenza idrica a Reggio, credo che l’assessore Rocco Albanese disconosca alcuni fatti importanti. Asserisce, infatti, l’assessore, a nome immagino del Sindaco e dell’intera Giunta, che purtroppo la rete idrica è vetusta, i tubi registrano continue perdite e quindi anche l’acqua del Menta che arriva a pressione alta paradossalmente provoca più disagi che benefici».

«Ritengo opportuno – ha scritto ancora – fare alcune precisazioni e puntualizzazioni rispetto a tale assunto. Quasi tutta la rete idrica è stata rifatta in ghisa con i fondi del decreto Reggio. Iniziò la giunta di Italo Falcomatà con l’assessore Giuseppe Falduto e completammo poi noi con la prima giunta di centro-destra. Con un progetto fatto quando ero assessore ai lavori pubblici e con la consulenza del geometra Sera, già responsabile dell’ufficio acquedotti, provvedemmo a realizzare gli allacci alle nuove condotte. Il progetto naturalmente prevedeva la contestuale dismissione delle vecchie condotte».

«La mia esperienza, come ai più noto – ha proseguito – terminò in anticipo e quando i lavori non si erano ancora conclusi e, da quel che mi risulta, le dismissioni delle vecchie condotte non furono realizzate, con la dispersione dell’acqua in due condotte e con le perdite che si verificano nelle condotte vecchie non dismesse. A nulla è servito negli anni esporre questa situazione ai vari assessori e consiglieri delegati e per ultimo al sindaco in carica. Del perché penso sia facilmente intuibile. Ora si proclamano lavori di rifacimento di condotte già sostituite anziché chiedere conto ai responsabili dei lavori passati e verificare la reale situazione. Non è la prima volta purtroppo che a Reggio si finanziano lavori per opere peraltro già realizzate, duplicando le spese senza risolvere il vero problema. Esistono poi altri due problemi».

«Il primo sono gli allacci abusivi nelle aree periferiche per innaffiare orti e giardini – ha detto ancora –. Non bastano le belle parole, servono fatti, serve cioè realizzare un’intesa con Prefettura, Questura e Magistratura e avviare una reale ricerca di tali situazioni procedendo agli arresti dei colpevoli. Ai miei tempi così facemmo e in un mese le forze dell’ordine arrestarono quasi 50 persone con il risultato che in quelle zone l’acqua tornò abbondante».

«Il secondo – ha detto ancora – riguarda i manovratori, ai quali non dovrebbe essere lasciata alcuna autonomia decisionale su come e quando aprire e chiudere le saracinesche, ma dovrebbero eseguire precise disposizioni dei vertici amministrativi e politici. Inoltre andrebbero ruotati e destinati ognuno in zone diverse da quella di residenza. Questo è il mio pensiero e spero che possa essere utile a chi oggi ha responsabilità di governo della Città perché ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, se ne è capace, altrimenti abbandoni il campo».

«C’è una grande questione culturale sul futuro delle risorse idriche e l’insensibilità, che denunciamo in Calabria, è lì a dimostrarlo: si può per mero profitto penalizzare risorse vitali come il cibo e l’ambiente?» ha chiesto Francesco Vincenzi, che chiede, ancora, «per il bene della collettività e nel rispetto delle normative di legge, di cui chiediamo l’applicazione».

Anche Massimo Gargano, presidente direttore generale Anbi, ha ribadito come «le normative sull’utilizzo del bene pubblico acqua attribuiscano priorità all’uso agricolo dopo quello per fini umani», dando «piena disponibilità e consapevolezza a ricercare le necessarie compatibilità fra i crescenti interessi gravanti sulle risorse idriche».

«Per questo, già da tempo – ha concluso – le progettualità dei Consorzi di Bonifica ed Irrigazione rispondono a criteri di multifunzionalità in sintonia con le esigenze del mondo agricolo: dalla produzione idroelettrica alla fruizione ambientale e turistica. E’già così per gli 858 progetti definitivi, presentati da Anbi per essere inseriti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; al Sud ne sono previsti 277 per un investimento di quasi 1 miliardo e 900milioni di euro, capaci di attivare circa 9.500 posti di lavoro».

A ribadire la necessità di lavorare «ad una strategia per l’acqua» è Franco Aceto, presidente di Coldiretti Calabria, spiegando che ciò si potrebbe realizzare «ottimizzando la distribuzione dei grandi invasi esistenti e finanziando la realizzazione di invasi più piccoli per accumulare la risorsa quando è troppa e per distribuirla quando manca e distribuirla in modo razionale ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione».

«I Consorzi di Bonifica – ha concluso – sono la punta di diamante nella gestione e realizzazione. Ormai, non si può più parlare di rischio di cambiamento climatico. Siamo già dentro un cambiamento cronicizzato. Le risorse europee del Pnrr – conclude -servano ad affrontare questi tempi nuovi e ad innescare percorsi virtuosi, evitando di finanziare speculazioni come il fotovoltaico sul suolo fertile». (ams)

LA SVIMEZ: INVESTIRE NELL’ACQUA AL SUD
PER FAR CRESCERE IL PIL E L’OCCUPAZIONE

Nel Mezzogiorno, soprattutto in Calabria, le perdite idriche e lo spreco dell’acqua sono un gravissimo problema. Eppure, se si investisse nel settore idrico, con un finanziamento aggiuntivo di 3 miliardi di euro da destinare alle imprese meridionali, si «genererebbe un incremento del Pil dello 0,3% in Italia, con un significativo recupero del Mezzogiorno: nel triennio 2021-2023 la maggiore crescita cumulata del Pil del Sud sarebbe +1,1%, contro +0,1% previsto per il Centro-Nord».

È quanto è emerso dal rapporto redatto dalla Svimez con il supporto di Utilitalia, che è stato presentato nel corso di un webinar sul tema Pnrr: Investimenti e nuove politiche per un moderno servizio idrico nel Mezzogiorno, a cui hanno partecipato il direttore Luca Bianchi, il presidente di Utilitalia, Michaela Castelli e il ministro per il Sud, Mara Carfagna.

Dal report, è emerso che «lo spreco dell’acqua, in particolare nelle regioni meridionali, è sempre troppo elevato: al Nord mediamente le perdite idriche si attestano intorno al 28%, al Sud superano il 47%, con picchi del 60% in alcuni capoluoghi siciliani e campani» e che «a fronte degli evidenti divari di qualità riscontrati, le tariffe mediamente non sono così difformi sul territorio nazionale: anzi, in alcune aree del Mezzogiorno sono perfino sensibilmente superiori rispetto a quelle del Nord, dove una parte dell’efficientamento del servizio si è riflessa in minori costi del servizio stesso oltre che nell’incremento della qualità».

Secondo il Report, «appena il 7% delle famiglie del Nord è poco o per niente soddisfatto del servizio, contro il 21% delle famiglie del Mezzogiorno, con una punta del 36% in Calabria».

«Rispetto a un investimento medio degli altri Paesi europei di 90 euro per abitante – si legge – l’Italia ha investito molto meno, circa 39 euro (dati 2017). Gli investimenti nel Mezzogiorno si attestano a meno, circa 26 euro, rispetto ai 39 del Centro-Nord. Per di più, nelle gestioni comunali in economia, significative in molte Regioni meridionali, l’investimento medio (2015-2016) scende tra i 4 ed i 7 euro per abitante. Per riequilibrare il divario di investimenti tra Nord e Sud, in base alla clausola del 34%, per la quale si è battuta a lungo la Svimez, e che è ormai legge, occorrerebbe un finanziamento aggiuntivo di quasi 3 miliardi da destinare alle imprese meridionali. Se, poi, si volesse riequilibrare in termini pro-capite il valore cumulato degli investimenti realizzati a partire dall’anno 2000, la misura di tale compensazione sfiorerebbe i 4 miliardi, con impatti maggiori in Sicilia, Campania e Calabria».

In base al Report, «il livello di fatturato per addetto è significativamente più elevato al Centro-Nord (circa 260mila euro) rispetto al Mezzogiorno (circa 184mila euro), così come la produttività lorda, misurata dal valore aggiunto per addetto, che al Centro-Nord si colloca intorno ai 134mila euro per addetto, contro i quasi 95mila del Sud. In base alle stime elaborate con il modello Nmods della Svimez, un piano di investimenti aggiuntivi per 3 miliardi nel settore idrico genererebbe un incremento del Pil dello 0,3% in Italia, con un significativo recupero del Mezzogiorno: nel triennio 2021-2023 la maggiore crescita cumulata del Pil del Sud sarebbe +1,1%, contro +0,1% previsto per il Centro-Nord».

«Sotto il profilo occupazionale – si legge – nel periodo di realizzazione degli investimenti, i posti di lavoro aumenterebbero di quasi 45mila unità, in gran parte, circa 40mila, concentrate nel Mezzogiorno, ma con una consistenza non trascurabile anche nel Centro-Nord (circa 5mila). Secondo il Report, serve nel Mezzogiorno una maggiore aderenza alle strutture d’impresa adottate al Nord, promuovendo aziende medio-grandi. Al Sud la dimensione media delle imprese supera di poco i 30 addetti, mentre al Centro-Nord raggiunge i 50. Inoltre, più di un terzo del valore delle gestioni idriche è privo di un soggetto industriale al Mezzogiorno, contro il 7,2% del Centro-Nord, con picchi in Molise, Calabria, Sicilia e Basilicata, dove oltre la metà del servizio idrico è in forma diretta».

«L’aver mantenuto in capo ai Comuni la gestione diretta del servizio idrico integrato nel Mezzogiorno, disapplicando sistematicamente la legge Galli, ha generato i ritardi rispetto al Nord. Nelle regioni dove la resistenza dei Comuni è stata maggiore nel cedere gli impianti a un gestore industriale, vi sono livelli più bassi d’investimenti e peggior qualità del servizio coniugata a tariffe più alte, proprio là dove le condizioni finanziarie e reddituali delle famiglie, in particolare al Sud, sono più precarie. La lievitazione dei costi, sommata alla mancata crescita delle tariffe, o alle blande riscossioni delle tariffe stesse pur se adeguate, rende insostenibile la resistenza dei Comuni».

Il Report contiene alcune proposte di policy per affrontare il problema: «Promuovere una gestione imprenditoriale; Allineare la governance agli standard nazionali; Individuare i gestori unici per ogni ambito ottimale; Imporre ai Comuni che erogano direttamente il servizio di cedere gli impianti al gestore individuato o di adottare il sistema regolatorio vigente e applicare tariffe coerenti con esso nel caso in cui non vi sia un gestore individuato; Garantire la capitalizzazione del gestore, realizzando una parte degli investimenti con un contributo pubblico, in modo da non scaricare sulle tariffe tutti gli oneri».

«Alla radice del divario di cittadinanza “idrico” ci sono scelte miopi della politica locale che hanno consegnato in molte parti del Mezzogiorno un servizio di pessima qualità, con perdite sulla rete anche del 70% e inesistenza di impianti di depurazione delle acque reflue” – ha commentato Luca Bianchi, Direttore Svimez –. Con il mantra illusorio dell’acqua pubblica è stata disapplicata la normativa nazionale, non sono stati fatti crescere i gestori industriali e si sono bloccati gli investimenti. Adesso bisogna accelerare per raccogliere la sfida della transizione ecologica e allineare le gestioni idriche del Mezzogiorno a quelle del Nord».

«Ridurre il gap infrastrutturale del sistema idrico al Sud – ha dichiarato la presidente di Utilitalia, Michaela Castelli – tutela i diritti dei cittadini ad usufruire di un servizio di qualità uniforme su tutto il territorio nazionale e, al contempo, può innescare una positiva dinamica di sviluppo economico e sociale. Occorre recuperare rapidamente il ritardo accumulato nelle regioni meridionali rispetto all’implementazione del quadro normativo e regolatorio nazionale. Nei territori in cui la riforma risalente a più di 25 anni fa non è stata ancora portata a compimento, servono interventi che permettano di superare le gestioni in economia, rilanciare gli investimenti e promuovere la strutturazione di un servizio di stampo industriale». (rrm)

 

TANTA ACQUA SPRECATA NEL MEZZOGIORNO
CALABRIA PRIMA NEI CONSUMI PRO-CAPITE

La Calabria è la regione con il maggiore consumo pro-capite di acqua potabile: è quanto emerge da un dossier di Legambiente, predisposto in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua. L’Italia, peraltro, è prima in Europa per prelievi di acqua a uso potabile, quindi risulta, nel complesso, un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’Oms, poiché utilizza il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6% ogni 10 anni. La Calabria, tra tutte le regioni, è quella, tra le altre cose, che necessita di maggiori investimenti per quanto riguarda l’efficientamento della rete idraulica.

Fabio Borrello, presidente del Consorzio di Bonifica Ionio Catanzarese, parla di interventi per circa 527 milioni di euro, una somma non da poco, se si considera che in Calabria «anche per effetto dei cambiamenti climatici, si stanno già verificando e si verificheranno, con sempre maggiore frequenza, accanto ad eventi alluvionali estremi, fenomeni di grave siccità o carenza idrica» ha ricordato Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria.

« Il dossier di Legambiente – ha detto Parretta – ci consegna una situazione allarmante che dovrebbe indurre le Autorità competenti ad agire con estrema urgenza per la tutela e valorizzazione delle fonti idriche e di tutti i servizi connessi. È necessario tenere molto alta l’attenzione su un tema così importante per la salute e per la stessa sopravvivenza della specie umana. L’acqua è un bene comune e costituisce un diritto che non può subordinato agli interessi privati ed al profitto».

Legambiente, nel suo dossier Acque in rete. Criticità e opportunità per migliorarne la gestione in Italia, rileva che per quanto riguarda le perdite di rete, «i dati raccontano come l’acqua che preleviamo non venga trattata adeguatamente e in modo sostenibile, ma spesso dispersa e sprecata, con un gap tra acqua immessa nelle reti di distribuzione e acqua effettivamente erogata che va da una media del 26% nei capoluoghi del Nord al 34% in quelli del Centro Italia, fino al 46% nei capoluoghi del Mezzogiorno».

Nel complesso, fino al 78%dell’acqua distribuita nelle città italiane può andare “sprecata” tramite le perdite nella rete di distribuzione, come nel caso di Frosinone. Tra le città metropolitane, dal 2014 al 2019 soltanto Bologna, Firenze, Milano e Torino si sono mantenute sotto il dato medio nazionale del 37%. C’è ancora molto da fare in città come Bari, Cagliari e Roma, costantemente rimaste al di sopra della media. Nel 2019, i consumi medi pro-capite di acqua nelle città capoluogo italiane non sono scesi sotto i 100 litri per abitante al giorno: tra quelle meno virtuose troviamo Milano e Reggio Calabria (entrambe oltre i 170 litri), mentre i consumi più contenuti si registrano a Palermo e Napoli (rispettivamente 111 e 114 litri).

Andando più nel dettaglio, nel rapporto si evince come «i tre capoluoghi colabrodo, cioè quelli con le perdite maggiori», siano Campobasso (68,2%), Catanzaro (55,6%) e Bari (49%) e che «le criticità legate alla disponibilità della risorsa idrica sono diventate sempre più rilevanti negli ultimi anni, soprattutto nel Mezzogiorno, area in cui sussistono annose carenze gestionali e strutturali che aggravano la situazione della disponibilità, che deve fare i conti anche con i cambiamenti climatici».

«Secondo i dati Istat – viene riportato – le misure di razionamento dell’acqua per l’uso domestico messe in atto nel 2019 hanno interessato 9 città, principalmente in Sicilia, Calabria, Campania, Abruzzo e Sardegna. Critiche le situazioni di Cosenza, Palermo e Agrigento in particolare che sono dovute ricorrere a misure di razionamento e/o sospensione del servizio in tutto o parte del territorio comunale in tutti i giorni dell’anno, ad Agrigento le misure coinvolgono tutti i quasi 58mila residenti. Più limitati sono i giorni, in alcuni casi sono solo poche ore, per Chieti, Reggio Calabria, Enna, Avellino, Trapani e Caltanissetta. Vibo Valentia, Cagliari e Carbonia, mentre sono per Avellino, Chieti, Cosenza, Reggio Calabria, Enna, Trapani e Caltanissetta. Per alcune città, come Trapani, Palermo Agrigento e Caltanissetta, l’attuarsi di queste misure si rende necessario ogni anno, da oltre 10 anni».

Milano, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia sono le cinque Città Metropolitane che hanno consumi pro-capite giornalieri, nel 2020, maggiori rispetto alla media di 161 l/ab/gg.

Preoccupano le elevate percentuali dei “non classificato”. Risultano, infatti, sconosciuti (per il quinquennio 2010-2015) lo stato chimico del 17% e quello quantitativo del 25% delle acque sotterranee, lo stato chimico del 18% dei fiumi e del 42% dei laghi italiani. Non ancora monitorato e classificato lo stato ecologico del 16% dei fiumi e del 41% dei laghi.

Questa scarsità di informazioni di base si registra soprattutto al Sud, dove alcune regioni presentano più della metà dei corpi idrici in stato sconosciuto(raggiungendo in alcuni casi, come Calabria e Basilicata, anche il 100%).Ci si augura che con i nuovi dati relativi al 2015-2020, ancora non disponibili in rete, si possa trovare una situazione nettamente migliorata.

Sempre più rilevanti le criticità legate alla disponibilità della risorsa idrica in regioni dove sussistono carenze gestionali e strutturali, cui si sommano gli effetti dei cambiamenti climatici. Secondo dati Istat, le misure di razionamento dell’acqua per l’uso domestico messe in atto nel 2019hanno interessato nove città italiane, principalmente in Calabria, Campania, Abruzzo, Sardegna e Sicilia, dove in alcuni centri urbani la loro attuazione si rende ormai necessaria tutti gli anni da oltre un decennio.

Oltre ad agire sulle perdite di rete, nota Legambiente, serve completare la rete fognaria, riqualificare gli impianti di depurazione inefficienti o sottodimensionati e costruirne di nuovi dove mancano. Sono quattro, infatti, ad oggi, le procedure di infrazione a carico dell’Italia(due delle quali già sfociate in condanna) relative alla non conformità del servizio depurativo alla Direttiva 91/271/Cee sul trattamento delle acque reflue.

«Impensabile – si legge in una nota – andare avanti così: su dati del Ministero dell’Ambiente elaborati da Legambiente, e aggiornati al maggio 2020, si registrano ancora 939 gli agglomerati non conformi alle direttive europee, per quasi30 milioni di italiani interessati dai relativi disagi».

«Tre agglomerati su quattro in infrazione – continua la nota – si trovano nel Mezzogiorno o nelle Isole, e generano oltre il 60% dei carichi non depurati.E finora le multe, relative solo alla prima condanna riguardante ancora 69 agglomerati, sono costate al nostro Paese oltre 77 milioni di euro».

«La situazione – riporta Legambiente – è particolarmente critica per la Calabria, che presenta l’89% degli agglomerati regionali in stato di infrazione, la Campania (con il 77% degli agglomerati) e la Sicilia (il 75%)».

«Dal 2012 – si legge nel dossier – per superare l’emergenza, almeno quella relativa agli agglomerati oggetto delle prime due procedure di infrazione già sfociate in condanna, sono state introdotte risorse finanziare per oltre 3 miliardi di euro, attraverso diversi strumenti finanziari, come la delibera Cipe 60/2012, la legge di stabilità del 2014, il Piano Operativo Ambiente Fsc 2014/2020, i Patti per il Sud. In aggiunta a questi, altri 300 milioni di euro circa sono stati messi a disposizione con la Legge di Bilancio 2019».

«I fondi dunque ci sono – si legge ancora nel dossier – è auspicabile che gli interventi procedano in modo più spedito di quanto è stato fatto sinora, sviluppando un’impiantistica efficiente ed efficace, e, ove possibile, strutture che permettano il trattamento dei fanghi, il riutilizzo delle acque ma anche la connessione con impianti di biometano».

Da qui, le richieste di Legambiente: «Per garantire un servizio idrico equo, efficiente e sostenibile, Legambiente chiede: la ratifica italiana del Protocollo Acqua e Salute Oms-Unece, che garantisca un approccio complessivo sul tema e promuova l’integrazione delle politiche sull’acqua e i servizi igienico-sanitari; l’approvazione dei Piani di Sicurezza dell’Acqua (WSP) entro il 2027 su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione alla risposta e al coinvolgimento delle gestioni piccole e in economia, e l’introduzione di un sistema integrato di prevenzione e controllo esteso all’intera filiera idropotabile per superare l’approccio del controllo “a valle”, prevenendo inquinamento e situazioni di rischio legate alla contaminazione delle fonti».

«E ancora, l’applicazione di strumenti di partecipazione adeguati con l’individuazione di percorsi aperti e inclusivi insieme a tutti i soggetti interessati che, a partire dall’identificazione delle criticità, individuino le politiche da introdurre per risanare e tutelare le risorse idriche del Paese.  Rispetto agli interventi da attuare per una gestione dell’acqua volta al risparmio idrico e al riuso, l’associazione ritiene prioritari: una riqualificazione idrica degli edifici e degli spazi urbani; la regolamentazione delle acque minerali; una maggiore informazione sulla qualità delle acque di rubinetto; azioni a sostegno dell’incremento della ricarica delle falde; completamento e velocizzazione delle bonifiche; interventi sulle reti idriche e sui depuratori; riduzione degli sprechi e aumento del riuso delle acque depurate, anche attraverso la modifica del Dm 185/2003, operando su perdite di rete e agendo con innovazioni in settori specifici come l’agricoltura, e l’industria e anche in ambito civile; un rafforzamento della rete di controlli ambientali.

A sottolineare che l’acqua debba essere motore di sviluppo della Calabria è il consigliere regionale Pietro Molinaro, ricordando che la nostra regione è «ricca d’acqua, ma dobbiamo utilizzarla bene non sprecarla anzi trattenere l’acqua piovana  con adeguate opere infrastrutturali per la creazione di piccoli/medi invasi  e rilasciarla nei periodi di crisi idrica».

«Attualmente – ha spiegato – riusciamo a trattenerne a stento nemmeno il 15%. Sul versante dei Consorzi di Bonifica, oggi gli ettari irrigati sono 31mila e la superficie attrezzata è di 88mila ettari. La Casmez prevedeva 260mila ettari irrigabili al 2016. Siamo in ritardo. E allora conviene sicuramente investire. Significa creare 40mila posti di lavoro nella filiera agroalimentare, ed esaltare il nostro agroalimentare di qualità, perché la Calabria può far crescere il cibo 100% made in Italy nel mondo».

«Oggi più che mai – ha detto ancora Molinaro – il Recovery Plan è l’occasione unica  e ci sono ottimi motivi: Patrimoniali, Tecnico-Economici, di Competitività e Ambientali. Gli interventi devono riguardare: recupero dell’efficienza degli accumuli per l’approvvigionamento idrico;  completamento degli schemi irrigui;   sistemi di adduzione;  adeguamenti delle reti di distribuzione;   sistemi di controllo e di misura;  utilizzo delle acque reflue depurate; ripulitura del sedime depositato sul fondo degli invasi».

«Altro tema – ha detto l’esponente politico – sono le incompiute che riguardano alcune Dighe e, tra questa, ad esempio, quella dell’Esaro che è ferma, nonostante cospicui investimenti effettuati. Su questo fronte occorre uno scatto non solo di orgoglio, ma anche di programmazione, affinchè il  patrimonio, delle Dighe di cui ancora beneficiamo, che ha avuto il massimo splendore negli anni ’60-’70,  possa essere inserito per il loro completamento nel Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza».

«Questa – ha chiarito Molinaro – è una partita importante, poiché da un lato va a combinarsi anche con l’utilizzo potabile delle acque in diverse aree della regione che, in alcuni periodi, soffrono la carenza idrica e anche per la produzione di energia pulita, quella idroelettrica, che può contare su una morfologia territoriale idonea.

Il consigliere regionale, infine, ha ricordato che «la sfida è una: la Calabria deve essere  una Regione idricamente  virtuosa, perché ha le carte in regola per vincere e assicurare sostenibilità nella declinazione più ampia». (rrm)