di SALVATORE BARRESI – Non è solo una statistica, ma una rappresentazione simbolica della fragilità strutturale della società calabrese, che un bambino su tre in Calabria vive in condizioni di povertà economica.
Essa manifesta una povertà che è insieme materiale, educativa e relazionale, con effetti intergenerazionali.
Il 13,8% dei minori in povertà assoluta e oltre il 35% in povertà relativa confermano una tendenza radicata: l’impossibilità di molti bambini di accedere alle condizioni minime per una vita dignitosa.
Povertà economica come esclusione sociale
La povertà minorile va letta come esclusione sistemica da beni e servizi essenziali: abitazioni dignitose, educazione, sport, cultura, socialità.
L’assenza di pratiche culturali (solo il 36% legge nel tempo libero) e sportive (meno del 45%) traduce in termini sociologici la mancanza di capitale culturale e sociale (Bourdieu) che si trasmette ereditariamente.
Il bambino povero non è solo privo di risorse economiche: è privato della possibilità di scelta, di relazioni educative e di esperienze di libertà.
La dimensione
educativa e la povertà simbolica
La “povertà educativa” descritta nel testo è un fenomeno più profondo: la rottura del patto educativo comunitario.
Famiglia, scuola e comunità — i tre pilastri della socializzazione primaria — faticano a interagire. Il risultato è una generazione che cresce nel “vuoto relazionale”: pochi stimoli, scarsa fiducia, ridotte competenze affettive e civiche. È una povertà simbolica: mancano i significati condivisi, la narrazione di un futuro possibile, l’immaginazione sociale.
La fragilità digitale e la nuova disuguaglianza
Solo il 79,2% dei minori ha accesso a un computer o tablet connesso: un dato che denuncia il digital divide come nuova frontiera della disuguaglianza. Nel contesto calabrese, il deficit digitale non è solo infrastrutturale ma educativo: i bambini poveri non sono solo senza rete, ma senza guida, senza accompagnamento critico all’uso delle tecnologie. Questo produce un ulteriore isolamento culturale, aggravando la marginalità.
L’emergenza invisibile e la responsabilità collettiva
La definizione dell’Albero della Vita – “un’emergenza invisibile” – coglie il punto centrale: la povertà minorile non ha volto, non fa rumore, non genera consenso politico. È invisibile perché normalizzata, integrata nel paesaggio quotidiano. Questa invisibilità è un segno di rassegnazione sociale e di assenza di cittadinanza attiva: la comunità smette di percepire il dolore dei più piccoli come un problema pubblico.
Dalla carità alla giustizia sociale
L’appello a “unire forze pubbliche e private” è necessario ma insufficiente se non si accompagna a un nuovo paradigma di welfare comunitario. Non bastano interventi compensativi o assistenziali: serve un modello di giustizia sociale territoriale, fondato su: educazione come bene comune, reti di prossimità tra scuola, Chiesa, terzo settore e famiglie, protagonismo dei giovani nella costruzione del futuro.
Conclusione: generare speranza
La povertà minorile in Calabria è il sintomo di un sistema sociale che ha smarrito il futuro. Ogni bambino che cresce nella privazione è una speranza negata per la comunità. Affrontare questa emergenza significa rigenerare legami, restituire fiducia, creare contesti di appartenenza. La sociologia, qui, non è solo analisi: è vocazione etica e civile a rendere visibile ciò che la società tende a nascondere.
Strategie per rigenerare futuro
Verso un modello calabrese di welfare educativo e comunitario
Ricomporre la frattura educativa: investire sui legami
La povertà minorile non si combatte solo con fondi, ma con relazioni generative.
Occorre ricostruire una comunità educante territoriale che unisca scuola, parrocchie, terzo settore, famiglie e istituzioni locali.
Le esperienze di “patti educativi di comunità” possono essere la base per: garantire attività pomeridiane gratuite e inclusive (sport, musica, laboratori manuali); valorizzare il ruolo degli educatori di strada e dei mediatori familiari; creare spazi di ascolto e accompagnamento per genitori in difficoltà.
Obiettivo sociologico: ridurre la frammentazione sociale e restituire alla comunità la sua funzione di “ambiente di crescita”, non solo di assistenza.
Educazione come riscatto: oltre la scuola dell’obbligo
In Calabria l’istruzione è ancora vissuta come un percorso di obbligo, non come strumento di emancipazione.
È necessario un patto educativo pubblico-privato che sostenga: scuole aperte anche nel pomeriggio e durante l’estate; biblioteche e spazi di lettura itineranti nei quartieri periferici; programmi di mentoring intergenerazionale tra giovani e anziani.
Obiettivo sociologico: aumentare il capitale culturale diffuso e rompere la trasmissione ereditaria della povertà educativa.
Rigenerazione territoriale: comunità come ecosistemi sociali
La povertà minorile si concentra dove il territorio è disgregato.
Serve una politica integrata di rigenerazione sociale e urbana, che unisca interventi infrastrutturali e comunitari: trasformare scuole e oratori in hub di prossimità per servizi educativi, psicologici e culturali; recuperare immobili inutilizzati per farne centri di socialità e doposcuola; incentivare imprese sociali giovanili legate al territorio (artigianato, agricoltura sostenibile, turismo educativo).
Obiettivo sociologico: generare capitale sociale attraverso la valorizzazione dei luoghi, restituendo senso di appartenenza.
Giustizia digitale: inclusione e competenze
Il digital divide calabrese non è solo tecnologico ma cognitivo.
Occorre una politica di giustizia digitale minorile: dotare ogni bambino di dispositivi e connessioni, ma anche di tutor educativi digitali; formare genitori e insegnanti su uso consapevole e creativo delle tecnologie; promuovere laboratori di cittadinanza digitale per prevenire isolamento e dipendenze.
Obiettivo sociologico: trasformare la tecnologia da fattore di disuguaglianza a strumento di inclusione.
5. Pastorale della prossimità: la Chiesa come “rete di cura”
In una regione dove le istituzioni pubbliche faticano a raggiungere tutti, la Chiesa può e deve essere presenza educativa e politica nel senso più alto del termine, cioè promotrice del bene comune.
La pastorale sociale e familiare potrebbe: sostenere reti parrocchiali di doposcuola e orientamento al lavoro; attivare centri di ascolto per genitori in difficoltà economica o relazionale; promuovere campi scuola educativi e di volontariato per adolescenti, per rafforzare l’esperienza di cittadinanza attiva; favorire la collaborazione tra Caritas, diocesi e amministrazioni locali per microprogetti di welfare comunitario.
Obiettivo teologico-sociale: incarnare la “diaconia del futuro” – cioè una Chiesa che serve generando speranza e inclusione.
Politiche pubbliche e responsabilità collettiva
L’azione istituzionale dovrebbe basarsi su tre linee: Piano regionale per l’infanzia e l’adolescenza, con fondi vincolati per contrasto alla povertà educativa. Osservatori locali permanenti sul benessere minorile (scuola, salute, relazioni). Sostegno alle famiglie vulnerabili, attraverso misure di reddito, alloggi sociali e percorsi di genitorialità positiva. Obiettivo politico-sociale: passare da una logica di assistenza a una di investimento sociale.
Verso una cultura della speranza
Contrastare la povertà minorile significa ripensare il modello di sviluppo calabrese: da società di sopravvivenza a comunità generativa.
Ogni bambino deve poter dire “io posso”. La speranza non nasce dai numeri, ma da relazioni credibili, presenze costanti e testimonianze di fiducia.
Solo così la Calabria potrà passare da “emergenza invisibile” a territorio educante visibile, dove la povertà non è più destino ma punto di partenza per la rinascita. (sb)







