SANITÀ CALABRIA, PER USCIRE DAL GUADO
SERVE DI NUOVO L’EQUILIBRIO FINANZIARIO

di FRANCESCO AIELLO – Il Commissario ad acta della sanità calabrese, il Prefetto Guido Longo, dovrà misurarsi con la sfida di ripristinare l’equilibrio finanziario del settore e di aumentarne l’efficienza nell’erogazione di servizi di qualità. È un settore importante per l’economia regionale: le spese correnti della sanità pesano l’11% del PIL calabrese e assorbono il 76% del spese in conto corrente del bilancio della Regione Calabria.

Quella di Longo sarà una sfida difficile, perché nell’offerta sanitaria regna inefficienza e disorganizzazione, tant’è che il comparto genera da anni disavanzi di rilevante entità. Nel 2019 il deficit corrente varia in una forbice compresa tra 160 e 175 milioni di euro.

Avere disequilibri del bilancio sanitario non è una specificità della Calabria: nel triennio 2017-2019 altre 12 regioni sono in deficit; nel 2006-08 erano tutte in deficit tranne la regione Marche che vantava un avanzo medio annuo di 900 mila euro. Nello stesso triennio, la Lombardia aveva un disavanzo, ma molto contenuto (in media 100 mila euro all’anno tra il 2006 e il 2008. Nel corso del tempo i “picchi” dei disavanzi regionali si sono ridotti in modo significativa, segnalando un ripristino dell’equilibrio finanziario (o una sua sostenibilità) in molti sistemi sanitari regionali. In tale ambito, la prima particolarità del caso calabrese è che avere i conti in rosso è diventato quasi “normale”: dal Rapporto 2020 del MEF sulla spesa sanitaria si ricava che dal 2006 al 2019 in Calabria la spesa corrente è sempre maggiore dei finanziamenti effettivi (un primato condiviso solo con la Sardegna che, tuttavia, gode di disciplina diversa nella gestione della spesa sanitaria). Oltre ad essere persistente, il disavanzo sanitario supera da molto tempo gli standard dimensionali al di là dei quali scatta l’obbligo della sigla di un Piano di Rientro (PdR), la cui prima sottoscrizione è del 2009 (già richiesto nel 2007 dalla Regione Calabria). La seconda particolarità della sanità calabrese è, quindi, la durata del regime di riordino degli squilibri finanziari: ben 11 anni.

È utile sintetizzare cos’è successo nell’ultimo decennio. La prima particolarità è che dopo la firma del Piano di Rientro, si è subito preso atto dell’impossibilità di rispettare gli impegni assunti in tema di contenimento dei costi, con l’implicazione che gli scostamenti rispetto agli obiettivi iniziali furono tanto significativi da rendere necessario il commissariamento. Un piano di “austerità commissariale” che dura ininterrottamente dal 2010, ma che non ha consentito alla Calabria di raggiungere una sostenibile posizione finanziaria. Gli stringenti vincoli del regime commissariale hanno sì calmierato la crescita dei costi, cambiandone anche la composizione, ma hanno avuto devastanti effetti sull’offerta sanitaria.

In Calabria, nel triennio 2007-09 la variazione della spesa sanitaria era pari al 4,78% all’anno. I costi sono diminuiti annualmente dell’1,29% nel periodo 2010-12 e si sono stabilizzati dal 2013 al 2015 (figura 2).  Dal 2016 in poi, la spesa è aumentata dell’1% all’anno. Nel 2019 essa è pari a 3,5 miliardi di euro, ossia +0,03% del valore nominale del 2009 (nello stesso periodo si è avuta una variazione del 7% in Italia, 8% nelle regioni senza PdR, 14% delle regioni che hanno siglato un PdR e, addirittura, +45% nelle autonomie speciali).

Il rigore della spesa imposto dal PdR ha cambiato anche la composizione della stessa (figura 4). Per esempio, la quota di costi per il personale sanitario è diminuita di 8 punti percentuali in 15 anni, passando da 40% nel biennio 2002-03 a poco meno del 32% nel 2018-19, allineandosi, in tal modo, alla media nazionale (che era 35% nel 2002-2003 ed è 30% nel 2018-19), ma rimanendo maggiore della quota del 27.4% delle altre regioni con PdR. Un altro costo di immediato controllo da parte delle Regioni è quello della farmaceutica convenzionata, il cui peso sul totale delle spese sanitarie è diminuito in Calabria dal 14% del triennio 2007-09 all’8% negli anni 2017-19 (in Italia questa quota è oggi 6.5% e si attesta a 7.2% nelle altre Regioni con PdR).

Le ipotesi su cui si basa l’intero processo di far allineare tra regioni la composizione della spesa sanitaria sono due. Da un lato si assume che l’organizzazione dell’offerta sanitaria sia omogenea nel paese e, dall’altro lato, si ipotizza che la produttività delle risorse (umane e non) dell’intero comparto sia uguale da regione a regione. Ora, dopo anni di compressione dei costi si è capito che queste due ipotesi non sono vere e, al momento, spiegano sia il basso impatto della spesa sia i disequilibri gestionali della sanità calabrese.

Occorre anche evidenziare come in Calabria le attività per ripristinare l’equilibrio finanziario facendo leva in via esclusiva sul contenimento della spesa non siano state neutre sulla dotazione strutturale del settore. Per esempio, in pochi anni la rete ospedaliera è stata smantellata chiudendo o depotenziando l’operatività di molti ospedali di piccola dimensione. L’effetto immediato è la riduzione dei posti letto disponibili da 4,47 per mille abitanti nel 2007 a 2,54 nel 2018 (dati Istat).

L’obiettivo era recuperare risorse sfruttando le economie di scala nell’offerta sanitaria e favorire la transizione dal regime ordinario a quello diurno. Tuttavia, è fallita la riorganizzazione territoriale dei servizi sanitari che doveva supplire alla riduzione del tasso di ospedalizzazione. Per esempio, il territorio calabrese rimane povero di strutture sanitarie e socio-sanitarie: nel 2018 i posti letto su 10000 residenti nelle strutture residenziali sono 18.92 contro una media italiana di 41,16. Nello stesso anno, i posti letto nelle strutture semi-residenziali sono 0.93 per 10000 residenti in Calabria e 9.87 in Italia. La mancata razionalizzazione della sanità di prossimità è stata anche alimentata dalla riduzione del personale sanitario e, in particolare, di tecnici e infermieri che rappresentano le figure professionali su cui si basa l’assistenza territoriale. La distanza col resto del paese è marcata: nel 2018, la Calabria ha una dotazione di 4,76 infermieri per mille abitanti contro una media italiana di 5,74 (il picco di 6,49 è nel nord est). In estrema sintesi, oltre al mancato riequilibrio economico-finanziario si è avuto anche il fallimento nella riorganizzazione dell’offerta sanitaria in grado di facilitare la transizione verso un modello di sanità con servizi territoriali complementari a quelli ospedalieri.

L’esito di questo processo è il livellamento verso il basso della qualità dei servizi e, quindi, il mancato rispetto dei livelli minimi fissati dal Comitato dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). La Calabria non li rispetta e, quando lo fa, ottiene valutazioni di poco superiori ai valori minimi fissati dal ministero della salute. Se fino al 2017 la Calabria è stata sempre valutata “inadempiente” da parte del Comitato LEA, nel 2018 ottiene un punteggio pari a 162, ossia solo 2 punti in più la soglia (160) che discrimina tra essere o meno adempiente. Rimane, comunque, la regione con il valore più basso dei punteggi LEA in un anno, il 2018, in cui si è avuto un generalizzato miglioramento della qualità in tutto il paese. Oltre agli indicatori LEA, è utile tener conto anche della percezione dei residenti: le indagini multiscopo dell’ISTAT indicano che nel 2010 su 100 pazienti ricoverati, solo 25 dichiarano di essere molto soddisfatti dei servizi di assistenza medica e 23 di quelli infermieristici. Nel 2018 la qualità percepita è diminuita a 21.4 per l’assistenza medica e a 20.1 per quella infermieristica.

La bassa qualità dell’assistenza sanitaria di matrice pubblica genera molti effetti. Il primo in ordine di importanza è il non soddisfacimento della domanda di servizi sanitari da parte dei residenti che subiscono una violazione del diritto alla salute. Il secondo effetto riguarda il mercato della sanità privata, che ha spazi non tanto per una sana competizione e virtuosa integrazione con la componente pubblica, ma per l’inefficienza della stessa: non soddisfare i LEA spinge, in senso letterale, i pazienti verso altre soluzioni, che diventano, quindi, non l’esito di una scelta razionale tra più alternative, ma una costrizione dovuta all’assenza di opportunità. Alcuni paradossi sono evidenti: i residenti si accollano il peso delle elevate imposte addizionali regionali necessarie per contribuire alla copertura dei disavanzi annuali generati, in gran parte, da ruberie, disorganizzazione e inefficienze, e su una quota crescente della popolazione grava anche il costo monetario addizionale di ricorrere a prestazioni offerte da strutture private e dal sistema delle professioni mediche di specialisti regionali ed extra-regionali. In questo secondo caso, è ricorrente anche l’effetto trascinamento sulla mobilità sanitaria verso altre regioni sollecitata, quando ritenuta necessaria, dai medici extraregionali, i quali indirizzano i pazienti preferibilmente verso i centri di provenienza.

La mancanza di dati disaggregati non consente di capire con esattezza quanta mobilità sanitaria sia indotta dalla qualità dell’offerta regionale e, pertanto, sia comprimibile facendo leva su un recupero di efficienza nell’erogazione dei servizi. Qualche considerazione può essere fatta guardando ai dati aggregati. Dal 2009 al 2019, la mobilità passiva vale in media 255 milioni di euro all’anno, ossia, in totale, 2.81 miliardi di euro (figura 5). Immaginando che il 50% (per essere prudenti) dipenda dalla bassa qualità dei servizi regionali, un’efficiente riorganizzazione del comparto genererebbe, a parità di costi, significative riduzioni dello stock di debito della sanità calabrese che ad oggi vale attorno a 1.2/1.5 miliardi di euro. Si, attorno. Sembrerà strano, ma nel 2020 i dati di bilancio delle amministrazioni sanitarie non consentono di conoscere con certezza il debito della sanità calabrese. È cosa nota, tant’è che il Commissario Longo dovrà regolarizzare “le poste debitorie relative all’ASP di Reggio Calabria e quelle eventualmente presenti negli altri enti del Servizio Sanitario Regionale”.

È evidente che siamo difronte a un circolo vizioso in cui gli originari squilibri finanziari impongono rigore nella gestione economico-finanziaria (più imposte addizionali regionali; controllo della spesa), senza preservare gli standard qualitativi minimi dei servizi. A valle, le inefficienze gestionali e sistemiche non consentono di minimizzare i disavanzi correnti, generano costi sociali non indifferenti e alimentano il debito del settore tramite il canale dell’obbligata mobilità sanitaria.

Il punto è capire cosa fare per consentire alla Calabria di avere una sanità pubblica efficiente. È certo che le linee di azione del nuovo commissario Longo devono essere diverse rispetto a quelle attuate nei ultimi dieci anni di esperienza commissariale. D’altra parte, non è più tollerabile giocare a tavolino con i costi sanitari, dato che la spesa pro-capite è già la più bassa in Italia (pari nel 2019 a 1083 euro per abitante, ossia il 7,6% in meno della media nazionale). Questi giochi contabili hanno ridotto al minimo i servizi anche perché non si è adottata alcuna azione per capire come impiegare al meglio le risorse disponibili. I tagli hanno amplificato, piuttosto che sanare, le sacche di inefficienza.

Cosa fare è formalmente contenuto nel decreto di nomina di Longo, che è chiamato a perseguire ben 26 obiettivi avvalendosi di una struttura di 25 persone messe a disposizione dalla Regione Calabria.

Dalla nomina traspare in modo chiaro che la scelta del Consiglio dei Ministri non è unicamente figlia di un approccio punitivo contro i “cattivi calabresi”, ma è il frutto di valutazioni che tanto hanno a che fare con il bisogno di modernizzare l’offerta sanitaria regionale (non a caso, nel decreto di nomina i termini “razionalizzazione” ed “efficientamento” ricorrono spesso). In breve, fare i “vigili” e “militarizzare il settore” è ritenuto necessario, ma non è sufficiente per soddisfare i fabbisogni sanitari dei residenti. Serve ripensare e rafforzare in chiave manageriale l’intera governance del settore con l’implicazione di operare un radicale spoil system nei segmenti più opachi e più deboli del comparto. Oggi, più che mai, le posizioni apicali della sanità calabrese devono essere assegnate con criteri meritocratici, allontanando la politica locale e nazionale da queste scelte, in modo da premiare le competenze e non le appartenenze. Servono sì nuovi dirigenti sanitari, ma diventa fondamentale introdurre serrati controlli amministrativi, moderni e snelli modelli organizzativi, trasparenti relazioni con la sanità privata, un uso capillare della tecnologia, rendere tracciabile tutta la spesa. Serve ricostruire la rete dell’assistenza territoriale, occorre prevedere periodiche verifiche nei posti di lavoro sanzionando i nullafacenti e premiando i tantissimi meritevoli. Per fare tutto questo un commissario non è sufficiente, perché per liberarsi da incrostazioni amministrative, bad practices gestionali e pervasiva corruzione è necessaria l’azione d’urto di una squadra di esperti (diversa dai 25 della struttura commissariale) in grado di stravolgere il modus operandi che, purtroppo, contraddistingue gran parte della filiera sanitaria (dagli uffici delle ASP alle corsie degli ospedali).

È proprio in questo perimetro dell’ambiente lavorativo che la sfida di Longo diventa ancora più difficile. Infatti, dovrà sì “pulire” il settore, ma è chiamato anche ad implementare programmi che incentivino, valorizzino ed attraggano competenze in modo tale che alla fine del suo mandato avremo una sanità con conti in ordine e più servizi, ma soprattutto capace di autodeterminarsi perché si sarà finalmente deciso di puntare sul merito e su una nuova cultura del lavoro. (fa) [courtesy OpenCalabria]

[Francesco Aiello è professore ordinario di Politica Economica presso l’Università della Calabria. Attualmente insegna “Politica Economica” al corso di Laurea in Economia ed “Economia Internazionale” al corso di Laurea Magistrale in Economia e Commercio] 

(Parte di questi contenuti sono stati già pubblicati dal prof. Aiello su Il Foglio del 2 dicembre 2020)

IL DEBITO SANITÀ SPALMATO IN TRENT’ANNI
OCCHIUTO: «CALABRIA REGIONE NORMALE»

di SANTO STRATI – La Calabria una regione “normale”, almeno nella Sanità. Non è un interrogativo, né un sommario augurio, ma un concreto progetto motivato dal rivoluzionario emendamento di Roberto Occhiuto, vicecapogruppo vicario alla Camera per Forza Italia, approvato ieri in Commissione Bilancio. Emendamento che prevede la possibilità di spalmare il debito della sanità su trent’anni per le regioni in difficoltà e la Calabria, com’è risaputo, è in cima alla lista. È il primo costruttivo passo verso l’azzeramento del debito che è la condicio sine qua non per poter ripartire con la sanità, alla stregua di qualsiasi altra regione “normale”.

Emendamento rivoluzionario perché ha trovato una straordinaria e ammirevole unanimità parlamentare, in via trasversale, aggiungendo alla prima firma del forzista Occhiuto quelle di Enza Bruno Bossio e Antonio Viscomi (del Partito Democratico). Finalmente – sarà un miracolo di Natale? – sono state accantonate rigide posizioni partitiche col fine ultimo del bene della Calabria e dei calabresi. Ovvero, si è guardato al risultato da raggiungere senza polemiche sterili e incapricciamenti vari cui ci hanno abituato le ultime sedute di Montecitorio: se fosse la prima di tante intese trasversali orientate a migliorare la qualità della vita dei calabresi sarebbe davvero quella “rivoluzione” politico-culturale che serve alla Calabria. Quell’incontro di idee, anche diverse, anche in contrasto tra loro, ma in costante confronto dialettico per smetterla con vuote promesse e avviare quel processo di rinnovamento che equivale a crescita e sviluppo e, soprattutto, benessere per la gente della Calabria.

Molto felice, ovviamente, Roberto Occhiuto (papabile candidato Governatore) che ha affidato a Facebook la sua soddisfazione: « Grazie ad un mio emendamento alla manovra, approvato dalla Commissione Bilancio di Montecitorio, le Regioni che hanno un debito sanitario insostenibile potranno diluirlo in 30 anni, sfruttando un’anticipazione di liquidità vantaggiosa da Cassa depositi e prestiti. Un risultato importantissimo che permetterà a tante amministrazioni locali di risolvere problemi storici, e tornare così ad investire in sanità. Tra le realtà maggiormente interessate da questa misura, la Calabria.

«Fino a ieri – osservava l’on. Occhiuto – se nella mia Regione si danneggiava uno strumento per effettuare le Tac, questo rimaneva inutilizzabile perché le spese di riparazione venivano pagate a coloro che la effettuavano due anni dopo il lavoro svolto. Un ritardo inaccettabile che di fatto ha ingessato interventi e investimenti. Con il mio emendamento questo problema verrà azzerato, e si potrà finalmente dare una svolta alla sanità in tante Regioni. La Calabria è sempre più un tema nazionale, e l’ottimo risultato raggiunto conferma che ponendo con determinazione e competenza questioni cruciali ai più alti livelli, si riescono a raggiungere grandissimi obiettivi».

Positiva anche la reazione di Enza Bruno Bossio: la deputata dem, cofirmataria dell’emendamento, annota che «giunge a conclusione il percorso che è stato avviato in sede di conversione parlamentare del nuovo “decreto Calabria”. Un percorso che nasce come risposta alla specifica vicenda della sanità calabrese e che oggi, nell’ambito della legge di bilancio, arriva al definitivo compimento con una norma generale finalizzata a tutti i sistemi sanitari regionali del Paese. Si è registrata pertanto un’unanime volontà – ha spiegato la parlamentare cosentina – dei diversi schieramenti parlamentari che, dopo il finanziamento di 180 milioni (previsto nel decreto Calabria) per coprire il debito sanitario corrente e l’autorizzazione ad un piano straordinario di assunzione di personale sanitario, con la possibilità di accedere al mutuo di Cdp, sono stati forniti al nuovo commissario, tutti gli strumenti per fronteggiare non solo l’emergenza epidemica, ma anche per consentire alla Calabria di diventare, nella sanità, una regione normale».

Di particolare interesse il commento dell’ex presidente della Regione Calabria, l’illustre farmacologo Giuseppe Nisticò che si sta spendendo perché ci sia una vera svolta per la sanità calabrese. «Si tratta di un risultato eccezionale – ha dichiarato a Calabria.Live  – per l’economia sanitaria in Calabria, grazie all’intelligenza e caparbietà di Roberto Occhiuto e dei due parlamentari calabresi dem ai quali sta sempre molto a cuore la situazione sanitaria nella nostra regione. Finalmente con tale emendamento sarà consentito alle regioni di poter fare ingenti investimenti necessari per migliorare il livello qualitativo delle prestazioni sanitarie della nostra regione.

«Come già precisato nel programma da me presentato da circa un anno, programma chiamato Calabria Silicon Valley, la Calabria per evitare l’esodo di pazienti e familiari verso altre regioni o anche all’estero ha urgentemente bisogno di un polo oncologico regionale sul modello dell’Istituto Europeo di Oncologia di Veronesi. Ciò è facilmente realizzabile in Calabria potenziando anche con i bravissimi primari ospedalieri che operano sul territorio il Dipartimento di Oncologia dlel’Università di Catanzaro, laddove lavorano oncologi eccellenti, stimati in Italia e all’estero, come il prof. Pier Francesco Tassone e Piersandro Tagliaferri con la loro équipe altamente specializzata nel campo delle leucemie e di altri tumori ematologici. Inoltre, a livello sperimentale tale Dipartimento rappresenta l’unico del Meridione del nostro Paese, che ha ottenuto l’autorizzazione da parte dell’Ema, European Medicines Agency, e dell’Aifa, Agenzia regolatoria nazionale, per la fase I dei clinical trials su nuovi farmaci prima che sia concesso loro l’autorizzazione per l’immissione in commercio.

In Calabria manca un centro di riabilitazione neurologica sul modello di quello della S. Lucia di Roma per la cura di pazienti paraplegici o tetraplegici a seguito di lesioni del midollo spinale. Mancano, ancora, centri per il controllo dei disordini alimentari molto frequenti nei giovani (anoressia e bulimia) come pure non è presente un numero sufficiente di centri sul territorio calabrese di riabilitazione motoria, cardiologica, cognitiva, che vanno allocati nelle singole province della Calabria.

«Il salto di qualità della sanità in Calabria può essere fatto solo con il potenziamento della rete regionale delle strutture ospedaliere di Catanzaro, Reggio Calabria, Cosenza, Vibo Valentia e Crotone, ma soprattutto valorizzando su base meritocratica il patrimonio umano, primari, medici, specialisti, infermieri, costretti a operare ancora in condizioni precarie ed estremamente difficili, sia a livello ospedaliero che a livello territoriale.

«Migliorare la qualità dei servizi – continua Nisticò – a favore dei pazienti deve rappresentare l’obiettivo primario della sanità in Calabria. Un obiettivo parallelo sarà quello che si propone di ridurre o eliminare (cosa difficile) l’infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione della sanità in Calabria. Questo obiettivo potrà essere raggiunto grazie alla competenza e all’impegno del commissario Guido Longo, ma ricordiamo che questo obiettivo da solo non è sufficiente per migliorare la qualità della sanità nella nostra regione».

Adesso, non ci sarà spazio per lungaggini burocratiche e rinvii per mancanza di risorse finanziarie: la concessione di anticipazioni di liquidità da parte di Cassa Depositi e Prestiti, rappresenta lo strumento che mancava al commissario Longo per attuare un piano di rinnovamento totale della sanità in Calabria. Per farlo, lo ribadiamo da tempo, serviva l’azzeramento del debito, ma servono le competenze specialistiche di cui il commissario Longo non potrà fare a meno: accanto alla sua preziosa guida necessitano professionalità di grande prestigio, svincolate da logiche di lottizzazione partitica, che abbiano come unico obiettivo il risanamento di una sanità “malata” e un processo di vero welfare sanitario cui hanno diritto, a pieno titolo, i calabresi. Non mancano, grazie a Dio, queste professionalità: c’è la Facoltà di medicina di Catanzaro che è una fucina di eccellenze, ci sono le competenze di Unical e dell’Università Mediterranea di Reggio, senza dimenticare le tante illustri personalità che sono andate via dalla propria terra, sempre tenendo la Calabria nel cuore, pronti a offrire, disinteressatamente le proprie capacità e la grande esperienza. Sono quelle che servono al prefetto Longo: in loro assenza riteniamo che il suo, pur apprezzabile sforzo, non produrrà i risultati necessari a trasformare la Calabria in una regione “normale”. Ma prevale l’ottimismo: bisogna, dunque, creare opportunità e utilizzare le risorse umane disponibili. La Calabria, lo ricordiamo, ha il record dell’esportazione di eccellenze e delle migliori teste (in tutti i campi, non solo in quello scientifico). È ora di cominciare a sfruttare questo meraviglioso e straordinario capitale umano, che parla con l’accento calabrese, ma ragiona e pensa con la testa orientata al mondo. (s)

 

 

 

Cgil, Cisl e Uil Calabria: Commissario deve poter scegliere la squadra dentro e fuori dalla Calabria

I segretari regionali di CgilCislUil Calabria, Angelo Sposato, Tonino Russo e Santo Biondo, a seguito della mancata nomina del Commissario della Sanità calabrese, hanno ribadito che quest’ultimo «deve poter agire con un mandato ampio, in autonomia proprio da quella politica che è all’origine del disastro del sistema e che dovrebbe stare finalmente alla larga dalla gestione».

«Per agire liberamente rispetto ai condizionamenti derivanti da anni di cattiva gestione – hanno aggiunto – il nuovo Commissario deve potere scegliere anche al di fuori della Calabria e dell’apparato regionale i componenti della squadra che lo affiancherà. Deve, inoltre, poter disporre delle risorse finanziarie indispensabili per realizzare il salto di qualità nei servizi che i cittadini chiedono ormai da anni e che nell’attuale emergenza è più che mai necessario. Se non si realizzeranno queste condizioni, è evidente che nessuno sarà in grado di aprire una pagina nuova nella brutta storia della Sanità calabrese».

«Il sit-in di giovedì 26 organizzato davanti alla sede della Regione – hanno proseguito i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Calabria – è stato un ulteriore segnale, un vero e proprio SOS lanciato al Governo perché si agisca rapidamente e responsabilmente, evitando il prolungarsi dell’agonia cui stiamo assistendo; è stato come una mano tesa a chi deve decidere perché comprenda che, in questa fase di emergenza sanitaria ed economica, gli spazi della pazienza dei cittadini si stanno erodendo. Non si resti sordi a questo appello lanciato da molte parti e si ascoltino le forze vive della società!».

«Cgil, Cisl e Uil Calabria – hanno concluso Sposato, Russo e Biondo – confermano, in attesa di sviluppi, lo stato di mobilitazione. Non ci rassegniamo a questa deriva e continuiamo a seguire l’evoluzione delle vicende della Sanità perché sia garantito il diritto alla salute per tutti i cittadini calabresi». (rrm)