LE PAROLE NON BASTANO PIÚ, LA CALABRIA
È ALLA RICERCA DI UNA VISIONE ORGANICA

di FRANCESCO RAOL’Italia, nel suo insieme, racchiude una serie di risorse umane, materiali e immateriali dal valore inestimabile e il Made in Italy continua ad essere uno dei Brand più ambiti a livello planetario. In contropartita, molti tra i nostri migliori studenti, ancora oggi, per realizzare i loro sogni, sono “costretti” a fare le valige e partire con un biglietto di sola andata. Volendo essere buoni, sarebbe opportuno chiedersi il perché, nel 2022, si continuano ad affrontare le sfide della quotidianità con metodi simili a quelli utilizzati durante la metà del Secolo scorso.

Sicuramente qualcosa non ha funzionato nel verso giusto, oppure vi è una manifesta volontà tesa a non far funzionare un sistema avanzato come il nostro, costringendo la società a vivere in una perenne mediocrità ma con l’appannaggio dettato da aspettative futuristiche nelle quali l’innovazione più recente risulta essere allo stesso tempo obsolescenza conclamata. Alcuni potranno asserire che tutto ciò è il prezzo del progresso. Personalmente credo sia altro. Le risposte a queste domande, volutamente formulate senza l’utilizzo del punto interrogativo, preferirei consegnarle ai miei gentili lettori, magari dopo aver letto i contenuti della presente riflessione.

Da un punto di vista territoriale, ogni singola regione italiana, con il passare del tempo, ha saputo costruire una propria identità puntando principalmente sulle varie peculiarità possedute, senza trascurare la valorizzazione del microsistema, presente su scala provinciale e comunale. Sappiamo benissimo dell’esistenza di numerose regioni virtuose e non possiamo più negare che molte regioni sono ancora ferme, anzi, impegnate a segnare il passo e insieme a loro sono costrette a farlo milioni di cittadini. La presente riflessione, focalizzata sulla realtà calabrese, vuole ripercorrere quella metodologia insegnataci dalle nostre maestre ai tempi delle scuole elementari, quando l’interrogazione di geografia si svolgeva osservando la cartina fisica o politica per illustrare le peculiarità del territorio. 

Osservando la cartina della Calabria, percepiamo immediatamente la quantità e la qualità delle macro-disponibilità che necessiterebbero più di uno sforzo mentale volto a vedere le opportunità e non strutturale per doverle costruire. Con la certezza di non poter fare una approfondita analisi, sommariamente indico una breve didascalia iniziando dagli 800 km di coste (buona parte di esse non utilizzabili a seguito della conformazione montuosa del territorio e dall’intersezione dei binari ferroviari che ne inibiscono la realizzazione di apposite infrastrutture per valorizzarne il litorale. In buona sostanza, pensando al territorio della Locride, perché non vi è stata una progettualità tesa a traslare a monte i binari, attuando da una parte la rivitalizzazione delle aree interne e dall’altra l’implementazione degli insediamenti balneari?

Per quando riguarda le coste non balneabili, perché non si accetta la sfida della Blue Economy, ivi compresa l’acquacoltura? Vi sono poi i tre Parchi Nazionali (Pollino, Sila e Aspromonte). Quali segmenti turistici e quali piani strategici vengono attuati per coinvolgere annualmente un turismo di nicchia, desideroso di vivere questi luoghi, per molti versi ancora sconosciuti oppure trasformati in una cornice utile a narrare quanto le Istituzioni dovrebbero debellare in pochi mesi? Quante guide turistiche e quanta ospitalità diffusa si potrebbe accogliere? Andando avanti, dopo il mare e la montagna, poniamo l’attenzione sulla pianura. Per l’esattezza, nei confronti delle sei pianure della Calabria (Scalea, Sibari, Crotone, Sant’Eufemia, Gioia Tauro e parte della Locride), esiste un progetto strutturale dell’agricoltura nel quale oltre ai prodotti siano compresi appositi marchi identitari per conferire valore tanto alla produzione quanto ai territori? Da un punto di vista culturale: i numerosi monumenti storici, i musei e gli scavi archeologici, in parte visitabili ed in parte inaccessibili a causa di lavori finanziati con il contagocce, ci siamo chiesti in quale circuito nazionale ed internazionale dell’Arte sono rintracciabili?

Senza voler inveire, le guide turistiche, utili a promuovere questi luoghi, sono reperibili su portali specifici e tradotte in tedesco, giapponese, cinese e arabo? Per quanto riguarda il capitolo dei libri, da una parte mi fa piacere apprendere una forte presenza di scrittori calabresi, ma quali saranno le sorti delle nostre biblioteche, stracolme di pregiatissimi volumi?  Attualmente, tali patrimoni librari, sembrerebbero essere stati assegnati d’ufficio ai famelici tarli in quanto, l’idea di mettere in rete le biblioteche della Calabria ed a sua volta creare un portale internet contenente l’intero patrimonio letterario e scientifico, non è stata ritenuta strategicamente utile. Altra domanda: quanti studiosi, ricercatori, restauratori e visitatori avremmo potuto accogliere?

Le Università attive in Calabria, seppur concentrate ad affrontare quotidianamente le sfide poste alla loro attenzione da un mercato del lavoro intento a reperire elevate competenze, vista la professionalità e la preparazione dei docenti e vista la propensione dei discenti nel voler studiare in Calabria, motivazione che comprende anche l’impossibilità per molte famiglie di mantenere i loro figli negli Atenei del Nord oppure presso le costose Università telematiche, quando riusciranno a superare un paradosso, racchiuso in tutti quei corsi di laurea ormai superati e causa del mismatch occupazionale? La parola d’ordine oggi risiede nella ricerca tecnologica, nella gestione dei big data, nell’elaborazione di strumenti informatici utili ad alimentare i logaritmi dell’intelligenza artificiale i quali, affiancati alla robotica e all’info mobilità segnano il futuro. 

Occorre guardare ai prossimi 150 anni e non al tempo passato, altrimenti i giovani e le future generazioni somiglieranno alle generazioni del passato i quali, trovandosi al cospetto del progresso e non sapendolo interpretare, hanno scelto di essere conservatori per sentirsi più forti senza palesare tutta la loro ignoranza. 

Accanto a quei corsi di laurea tradizionali ma utili allo sviluppo, occorre dedicarsi alla sperimentazione di nuovi percorsi innovativi, superando l’esperienza vissuta da migliaia di laureati, costretti a studiare sino a 45 anni per poi poter sperare di vivere una vita da precari oppure doversi consegnare alla servitù della malavita o nel dover ripiegare per accontentarsi riponendo in un cassetto titoli di studio, entusiasmo e capacità indispensabili a generare sviluppo. In Calabria vi sono anche insediamenti industriali di pregevole virtuosità. Buona parte di essi attendono la materializzazione della famosa “Zona Economica Speciale” e della strutturazione degli interporti per poter avviare processi di produzione, capaci di invertire l’attuale curvatura del sistema occupazionale. Intanto, proprio questa mattina, si apprende da Gazzetta del Sud, che dopo 15 anni, è stato superato il limite che impediva il trasferimento della rete ferroviaria dal CORAP a RFI, frutto dell’Accordo di Programma Quadro adottato nel 2007 dall’allora Giunta regionale e riproposto nel 2020 con caparbia dall’Assessore regionale ai Trasporti Domenica Catalfamo.

Anche questi risultati, perché sono giunti così in ritardo? Quanto occasioni perse? Chi ne ha la responsabilità? Il Porto di Gioia Tauro, vista la movimentazione di container e vista la particolare predisposizione dei fondali (tra i più profondi del Mediterraneo) avrebbe meritato maggiori attenzioni e maggiori investimenti, invece di dover attendere così a lungo il collegamento con la rete ferroviaria? Naturalmente, manca ancora un altro importantissimo passaggio per completare l’opera: rendere possibile la percorribilità ai convogli ferroviari lunghi 750 metri, attualmente non possibile a causa di una galleria presente lungo la linea Reggio Calabria-Battipaglia. Anche in questo caso, vuoi vedere che il ritardo è stato causato per non incidere sulla produttività di qualche altro Porto Italiano? Di questo passo, come si può pensare di poter creare nuova occupazione, sviluppo e crescita socioeconomica in una Calabria affamata di lavoro? Al fine di poter fornire un quadro d’insieme ai gentili lettori, vorrei puntualizzare che la portualità in Calabria, oltre allo stesso Porto di Gioia Tauro, conta altri 38 Porti. Seppur di minore dimensione, parte di questi Porti sono stati adibiti ad approdi turistici ed altri a scali commerciali. Anche in questo caso, la domanda sorge spontanea: si potrebbe fare molto di più, oppure va bene così? Vi è poi il capitolo afferente alla mobilità. 

In tal senso abbiamo un primato che la penuria di autostima non ci consente di valorizzare nei modi dovuti. Forse non tutti sono al corrente che la vecchia autostrada Salerno-Reggio Calabria, oggi Autostrada del Mare, sta per divenire una tra le arterie autostradali più evolute d’Europa. Tutto ciò sarà possibile grazie alla lungimirante visione di ANAS che ha progettato e sta realizzando lungo l’A2 la prima Smart Road Italiana. Tutti i processi di manutenzione, aggiornamento e supporto, necessari per questa innovativa via di trasporto, destinata ad accogliere mezzi condotti dall’intelligenza artificiale grazie al sistema cellulare 5G, li commissioneremo ai neolaureati cinesi oppure vogliamo iniziare a formare le nostre Risorse Umane, fissando gli obiettivi riconducibili alla tecnologia informatica, alla robotica e all’intelligenza artificiale come innovazione capace di trattenere le migliori intelligenze? Inoltre, le Scuole e Università quando inizieranno a pensare e investire di più, magari promuovendo sistemi di fund raising per finanziare borse di studio, laboratori ultra moderni, viaggi studio per i meno abbienti e promuovere un modello di orientamento scolastico volto a porre fine alle tante fiere del nulla, con annesse distribuzioni di gadget e sorrisi smaglianti, donati da quei dirigenti che temendo il sotto dimensionamento e il trasferimento dimenticano volutamente il loro ruolo e  improvvisandosi di anno in anno in tutt’altro contribuiscono a rubare il futuro dei giovani?

Il sapere e la meritocrazia possono tornare di moda quando la serietà di un sistema politico-istituzionale inizierà a dare ascolto e porre attenzione alle competenze del futuro da intersecare sapientemente alle abilità richieste in passato e rispondere ai richiami dell’OCSE con la crescita culturale che sino ad ora abbiamo saputo soltanto perdere. Per quanto riguarda il trasporto ferroviario e aereo, purtroppo siamo ancora ai litigi dell’asilo. Tante volte è un fatto antropologico, registrato quotidianamente tra i tanti contendenti i quali, da una parte sarebbero propensi a vantare pubblicamente i meriti dell’alta velocità e dall’altra sono impegnati a stracciarsi le vesti pretendendo fermate dei treni che da Alta Velocità finirebbero per diventare Espressi perdendo l’efficacia di quei collegamenti veloci indispensabili per i nostri viaggiatori. Solo per espletare meglio il concetto ricorro ad un esempio: per la tratta Roma-Milano, in treno, necessitano 3 ore e 10 minuti e sono previste due fermate intermedie (Firenze e Bologna). Un voluto treno Alta velocità, da Reggio Calabria a Roma, secondo l’acclarata necessità proveniente dagli amministratori locali dovrebbe effettuare soltanto in Calabria almeno in dieci fermate per servire i centri più importanti situati lungo la linea. La domanda sorge spontanea: ci rendiamo conto dove nasce il ritardo? Idem per gli aeroporti: in una regione di 1.900.000 abitanti si può pretendere che ci siano tre aeroporti con collegamento da Roma a Milano giornalieri?

In questo caso la curiosità potrebbe essere intuibile ma la condivido: quante persone viaggiano quotidianamente in aereo su queste tratte? Forse, con un solo aeroporto, situato nel centro della Calabria (Lamezia), servito da una metropolitana di superficie capace di collegare in meno di un’ora tutto il territorio regionale con lo scalo aereo, non saremmo stati più al passo con i tempi, ottenendo maggiori rotte nazionali e internazionali e implementando le opportunità di far giungere in Calabria un turismo abituato a muoversi utilizzando le combinazioni aereo, treno e autobus? Pensateci bene, prendendo la valigia e uscendo da casa, quanto tempo necessita per raggiungere l’aeroporto più vicino utilizzando un mezzo pubblico? Raggiunto l’aereo porto, quale frequenza di voli è disponibile?

Anche queste scelte potrebbero essere annoverate tra i primi segnali di una transizione ecologica reale che da noi stenta ad essere compresa e attuata, soprattutto per mera questione culturale. Volutamente non entro nel merito del segmento afferente alle attività produttive della Calabria, sono profondamente convinto che sino ad ora non sia stato possibile esprimere tutta la potenzialità produttiva di questo territorio per penuria di pianificazione, programmazione e organizzazione. Tali regole aziendali, valgono tanto e rappresentano il valore aggiunto di un mondo artigianale, agricolo, commerciale e societario troppo preso dall’idea che l’imprenditore sa fare tutto e poi spreca fiumi del proprio profitto in spese inutili per tentare di far crescere la propria azienda. Anche questa è una questione culturale. Inoltre, mancando la diffusione del modello cooperativo, i numerosi ritardi registrati nell’organizzazione aziendale, riconducibili anche alla penuria di formazione continua, hanno plasticamente rappresentato la sommatoria degli ulteriori  ritardi strutturali, consolidandone le difficoltà produttive e a sua volta divenendo causa determinante di una crescente difficoltà anche nell’accesso al credito per far fronte al pagamento delle tasse e per affrontare quei costi aggiuntivi, legati al trasporto e alla distribuzione, che incidono sul prezzo finale dei prodotti. 

Percorrendo ancora questa strada, quale futuro potrà avere il nostro segmento produttivo? Potrà mai concorrere a pari dignità con altre aziende più evolute e insediate in un Centro-Nord iperconnesso e veloce? Purtroppo, a noi manca anche la cultura delle filiere di produzione e la capacità di promuovere insieme al prodotto l’immagine mediante la realizzazione di confezioni più raffinate capaci di veicolare l’importanza racchiusa nella storia di ogni prodotto e soprattutto il valore impresso dalle generazioni che hanno custodito nel tempo i vari processi di produzione, tramandando ad altre generazioni non un lavoro ma una grande cultura produttiva.

Per il momento mi fermo. Non scrivo altro. Vorrei sperare che negli spunti offerti possa esserci motivo di riflessione e soprattutto voglia di immaginare una Calabria capace di volare alto attraverso nuove scelte e nuovi percorsi. (fr)

[Francesco Rao è giornalista e sociologo, presidente della Sezione Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi]

TROPPE IMPOSTE FRENANO LO SVILUPPO
LA CALABRIA RIPARTE SE CALANO LE TASSE

di FRANCO RUBINO – Il primo tassello, da cui partire per la realizzazione di un “progetto integrato”, finalizzato a risollevare la Calabria dalla condizione di abbandono in cui si trova, è senza dubbio la riduzione del carico fiscale che grava sui cittadini. Troppe imposte frenano lo sviluppo della nostra Regione come quello dell’intero Paese.

Lo studio dell’economia ci insegna che, oltre un certo livello di tassazione, le persone preferiranno non lavorare più. I modelli teorici ci dicono che nella scelta tra “lavoro” e “tempo libero” in funzione delle aliquote fiscali, il lavoratore avrà come sua scelta ottimale, discendente anche da calcoli matematici, quella di rinunciare ad incrementare le ore di lavoro ed aumentare quelle del suo tempo libero.

Basti anche pensare alla nota Curva di Laffer, per quanto nella letteratura economica da alcuni criticata, perché non poggerebbe su un costrutto teorico, ma esclusivamente sull’osservazione ed elaborazione di dati empirici.

Le imposte sono veramente tante: dirette (esempio IRPEF, IRES) e indirette (esempio IVA, Tassa di Registro).  Si consideri, inoltre, che in una Regione come la Calabria, dove i Comuni sono per lo più in uno stato di dissesto o predissesto, anche le aliquote delle tasse comunali, che possono essere fissate dall’Ente tra un minimo ed un massimo, si trovano al livello più elevato.

Le stesse addizionali comunali IRPEF sono elevate, e  la stessa addizionale regionale IRPEF è alta, per non parlare, poi, di tante altre imposte che franano lo sviluppo (esempio, tassa di soggiorno). L’eccessivo carico fiscale da un lato porta spesso ad un’evasione, in tutto o in parte, del versamento delle imposte e dall’altro porta l’italico ingegno (che non manca mai!) a cercare in qualche modo di eludere la tassazione. Anche, però, per chi regolarmente paga le imposte, livelli di tassazione elevata, come abbiamo detto, inducono a rinunciare ad ulteriori ore di lavoro, specie se il compenso aggiuntivo fa scattare una aliquota marginale più alta, e, quindi, viene meno una contribuzione in termini valore di beni e servizi al Prodotto Interno Lordo (PIL).

Ridurre il carico fiscale, pertanto, darebbe indubbiamente liquidità alle imprese e alle famiglie, e, ciò, ipotizzando una propensione marginale al consumo pari all’unità, comporterebbe un aumento più che proporzionale nella domanda globale di beni e servizi.

Se la domanda globale aumenta, le imprese sono incentivate a produrre e ad assumere persone disoccupate, e, così facendo, distribuiranno altri redditi, i quali a loro volta si tradurrebbero in ulteriore domanda ed in ulteriore occupazione: è il virtuoso meccanismo del Moltiplicatore, di cui J.M. Keynes tratta nella sua opera principale, ovvero Teoria generale dell’interesse, dell’occupazione e della moneta. Aumentando il reddito globale, soggetto a tassazione, aumenterebbe anche il gettito fiscale in valore assoluto per quanto le aliquote fiscali siano state diminuite. Si consideri, poi, che ridurre le tasse significa beneficio immediato per i cittadini, aiuto concreto senza dover passare per contributi statali, che sarebbero soggetti ai pericoli della burocrazia, dei quali vi è intenzione di trattare in altro contributo.

A questo punto, però, il quesito sorge spontaneo: ma se è tutto così semplice, perché non è stato fatto e non si fa? Risposta: non è tutto così semplice! Il presupposto, affinchè il processo si avvii, è che il risparmio di liquidità, dovuto alla minor tassazione, venga speso dai cittadini, ovvero si traduca in domanda di beni e servizi.

In realtà, in una situazione economica e sociale così incerta come quella attuale, chi ha liquidità tende a risparmiarla, non a spenderla o investirla, in quanto, come sempre la teorica economica ci insegna, gli individui sono mediamente avversi al rischio. E i dati ci dicono proprio questo!

In base ad uno studio condotto di recente dall’ABI, sui conti correnti degli italiani ci sono circa 1.682 miliardi di euro, ovvero una montagna di risparmi uguale al PIL del 2020! E allora? Se non si spende, la macchina dello sviluppo non parte. Lo stesso Keynes ce lo dice, quando afferma che il livello di investimenti delle imprese non dipende solo dal tasso dell’interesse, ma anche dall’Efficienza Marginale del Capitale (EMC), ovvero dalle prospettive future di rendimento. Che fare?

Risulta evidente che una semplice rivoluzione fiscale non basta, ed è lo Stato che si deve far carico di avviare il processo di sviluppo: deve immettere liquidità nel sistema, deve spendere e fare in modo che questa liquidità arrivi celermente ai cittadini, che a loro volta devono essere incentivati ad incrementare la loro domanda di consumo. Keynes avrebbe detto: bisogna far lavorare la gente e distribuire reddito, a costo di prendere dei lavoratori disoccupati, far loro scavare delle buche e, poi, fargliele riempire nuovamente, pagandoli per questa prestazione!

Il motore della crescita deve essere acceso a tutti i costi, e si deve fare subito: non si può aspettare che “nel lungo termine” le forze di mercato aggiustino tutto, bisogna fare tutto nel breve, anzi brevissimo, termine, perché nel lungo termine saremo tutti morti!

In questo non si può perdere l’enorme opportunità che il Recovery Fund può offrire, anche per abbassare le tasse, ma soprattutto per ristabilire un clima di fiducia nelle persone, senza il quale la ripresa sarà difficilissima, se non impossibile.

Non basta una Politica Fiscale adeguata, ma è necessaria una attenta Politica Economica che la deve accompagnare.

Se l’economia si riprende, aumenterà il PIL e, pertanto, anche l’indebitamento diverrà sostenibile, ovvero si avrà la capacità di ripagarlo.

Ci vuole il solito Progetto Integrato, di cui una Rivoluzione Fiscale è un tassello, che è solo una piccola parte di tutto il  mosaico.

Nel suo insieme per un progetto integrato di sviluppo, ci vuole una Rivoluzione Culturale ad ogni livello, e di questa Rivoluzione illustreremo un altro tassello in un prossimo intervento.

*[Il prof. Rubino è docente all’Unical]