Discoteche in Locride e in Calabria, Falzone (Cambiamo): Governo prenda una decisione

Fabio Falzone, Responsabile di  Cambiamo di Siderno, in merito allo slittamento dell’apertura delle discoteche, ha sottolineato come ci sia «molta preoccupazione, nella locride e in Calabria, per la mancata ripartenza di questo settore che, insieme  all’indotto, rappresenta un importante forma di reddito per tutto il territorio».

«Bisogna  mettersi d’accordo – ha evidenziato – perché se la comunità scientifica continua a dire che il vaccino serve e il green pass funziona e vengono regolarmente utilizzati per la ripartenza, allora  dobbiamo utilizzarli anche per far funzionare le discoteche. Spero che su questo ci sia  una responsabilità da parte di tutti per continuare ad avere una linea di coerenza».

«Con la stagione estiva alle porte – ha concluso Falzone – non possiamo perdere tempo e  il Governo deve immediatamente prendere una decisione. Saremo al fianco degli  imprenditori che stanno organizzando un presidio permanete davanti Palazzo Chigi in  attesa di ottenere una risposta. Solleciteremo al presidente Giovanni Toti, che sarà in  Calabria la prossima settimana, di chiedere un intervento risolutivo su questa  vicenda». (rrc) 

La Presidente Santelli su “La Stampa”: perché ho chiuso le discoteche

In un’intervista a Francesco Grignetti de La Stampa, la presidente Jole Santelli spiega perché ha dovuto chiudere le discoteche. «Abbiamo avuto il caso di una discoteca-focolaio nella zona di Soverato. Abbiamo dovuto organizzare in corsa un triage all’aperto con tamponi per 1.500 giovani. Capita l’antifona, il 13 agosto ho chiuso le discoteche. Era troppo pericoloso».

Grignetti apre il pezzo con una considerazione che ci gratifica: «La Calabria nell’estate 2020 pare davvero un’isola felice: sole, mare, turisti come mai prima, bassa presenza di Covid-19. La governatrice Jole Santelli, però, è inquieta: “Il pericolo è dietro l’angolo”.

La Santelli afferma che «Abbiamo poi molti contagi tra i giovani che tornano dalla vacanze all’estero: Spagna, Grecia. Ma dico io – sbotta sicuramente  con un sorriso – con il mare che abbiamo, dovevano andare tutti fuori d’Italia? I genitori non potevano fargli capire che almeno quest’anno si poteva saltare? Abbiamo avuto un boom inimmaginabile del turismo. Il che ci fa tirare un sospiro di sollievo per l’economia, a maggio ce l’eravamo vista brutta. Sono quasi tutti turisti italiani e, per fortuna, il contagio autoctono è minimo». (rrm)

MOVIDA INTERROTTA, TIMORI IN CALABRIA
DAI GIOVANI: CAUTELA E RESPONSABILITÀ

di SANTO STRATI – Vale la discoteca il rischio del contagio? Decisamente no. Quindi, anche se a malincuore, i giovani calabresi devono mostrare tutta la loro intelligenza e far emergere il loro forte senso di responsabilità di fronte a quest’improvvisa, quanto immaginabile e prevedibile, nuova ondata di prognosi positive al covid-19.

Non è questo il momento di mettersi a questionare sugli errori passati (e altri, purtroppo, ne verranno fatti ancora) nella gestione dell’emergenza coronavirus a livello nazionale e a livello regionale. La Calabria, grazie alla criticatissima (ma azzeccata) ordinanza che chiudeva la regione, ha superato brillantemente la crisi. Poi c’è stata la polemica dei tavolini dei bar, del distanziamento che il Governo centrale prima pretendeva anche all’aperto e poi, improvvisamente, ha lasciato gestire in autonomia con un “liberi tutti” che ha autorizzato l’apertura di discoteche e locali.

L’estate, si sa, è fatta per le serate in discoteca all’aperto, a prendere la granita o il gelato, e pretendere la mascherina in pista da ballo forse era come chiedere la luna. I ragazzi vivono per quel “bagno di folla” come fosse un rito irrinunciabile per sostenere la voglia di divertirsi e riaffermare il proprio sentirsi liberi. Solo che il bagno di folla non va bene: qualcuno, preso a parolacce, aveva preavvisato che, forse, aprire le discoteche non sarebbe stata una buona idea, vista l’impossibilità del distanziamento. Poi, per quasi tutti i ragazzi, la mascherina è diventata un optional e guai a metterla, anche solo a passeggiare in mezzo alla marea di persone che, nelle sere d’estate, si riversano lungo marine e strade principali.

C’è un errore di fondo che ancora no si vuol comprendere: in troppi parlano di post-covid, ma in realtà questo “dopo” non c’è ancora; si è allentata l’emergenza, ma il rischio contagio è rimasto altissimo, magari attenuato dal sole e dai raggi UV, come afferma qualche scienziato, ma è un rischio presente da non sottovalutare. E difatti, sono bastate un paio di feste private (per non parlare delle serate in discoteca) per far schizzare il numero delle prognosi positive a Reggio (al Grande Ospedale Metropolitano da mesi non si registravano ricoveri né richieste di terapia intensiva). Poi, a un tratto, è scoppiato il panico, che in realtà è la giusta preoccupazione di governanti, amministratori locali, famiglie, genitori: quanto rischio c’è che i ragazzi possano infettarsi e infettare a loro volta? Risposta, purtroppo, facile: in assenza di distanziamento, dell’uso della mascherina, del rispetto delle misure minime di prevenzione, c’è solo da sperare che il numero sia modesto e la nuova ondata di contagi in Calabria, che più d’uno s’era azzardato a definire regione Covid-free: ci sono, per la verità, anche le favorevoli condizioni genetiche della popolazione ad aver tenuto alla larga il virus. Ma questo non è sufficiente, soprattutto in vista della prossima riapertura delle scuole.

Sarà garantita la sicurezza ai nostri ragazzi, agli insegnanti, al personale della scuola? Nelle passate settimane abbiamo dato voce a numerosi amministratori locali che lamentavano la scarsità di risorse e soprattutto di tempo per adeguare i plessi scolastici in modo da rispettare le misure di prevenzione prescritte dal ministero della Sanità. Le risorse non sono arrivate e il tempo scorre sempre più in fretta: si riuscirà a rispettare la data del 24 settembre fissata dalla presidente Jole?

La quale con l’ordinanza del 13 agosto ha raccolto un coro d’insulti non solo dei ragazzi (che non hanno giustificazione: se c’è un’emergenza bisogna rispettarla!) ma anche dei gestori di discoteche, lidi, etc, che appena qualche giorno fa in vista del Ferragosto avevano fatto scorta di bevande, bibite e quant’altro serve per la sete della movida giovanile. E adesso cosa faranno con le casse di birra, di succhi più o meno alcolici, cibo e altro materiale di consumo? Con quali incassi, mancati, pagheranno i fornitori?

Uno dei maggiori problemi che il Governo centrale prima e le Regioni, poi, continuano a ignorare è quello dell’economia reale: ci sono svariate migliaia di dipendenti che ancora aspettano la cassa integrazione (e qualcuno dovrebbe vergognarsi persino a giustificare la propria inezia), ma accanto a loro c’è la vastissima categoria degli esercenti dei locali pubblici, costretti a un feroce (anche se obbligato e giusto) lockdown di 70 giorni senza incassare un centesimo, ma con tutte le partite contabili aperte: prima di tutto le tasse (ma con quale faccia questo Stato pretende il pagamento puntuale delle imposte e dei contributi previdenziali da chi ha mandato sul lastrico?), e poi le utenze (telefono, gas, luce) per non parlare degli affitti dei locali.

A giugno facendo riaprire i locali il Governo ha fatto un autogol, ma solo ai danni di chi lavora col pubblico. Fin troppo facile dire “ma l’emergenza sembrava finita”, non bisognava ricreare le condizioni per affollamenti che, in una discoteca, come si fa ad evitare? Non sarebbe risultato più semplice continuare a imporre le chiusure, garantendo però ai gestori di bar, ristoranti, discoteche non in grado di assicurare le condizioni di massima prevenzione, un salario minimo per sopravvivere e far sopravvivere i propri dipendenti?

In Calabria, ma non solo, sono migliaia i locali che non hanno riaperto: migliaia di famiglie senza reddito, dai titolari all’ultimo dei lavapiatti, cui non sono toccati nemmeno quei miserabili 600 euro destinati ai professionisti e ai lavoratori autonomi con partita iva  (cosa ci faccia un professionista con questa somma, lo sa solo Palazzo Chigi) includendo i cinque miserabili furbetti del Parlamento che senza vergogna hanno chiesto e incassato il sussidio.

C’è chi incassa senza mai aver lavorato il reddito di cittadinanza  (500 euro al single, che diventano 650 se ha un mutuo e di altri 130 se vive in affitto) e ci sono migliaia di onesti sgobbatori che da una vita non hanno mai smesso di lavorare cui è stato impedito di produrre reddito con la propria attività. Non sappiamo cosa succederà nelle prossime settimane, se i timori del contagio rientreranno, viste le nuove misure di distanziamento obbligatorio, ma la sola idea di un altro lockdown autunnale dovrebbe far rizzare i capelli a chi ci governa.

I prestiti per le imprese sono stati un fallimento. Il ricorso alla Sace per garantire le aziende sfiancate dal coronavirus ma in grado di poter ripartire si è rivelato un altro boomerang ammazza-imprese: molti istituti di credito non sanno neanche da dove cominciare e continuano a chiedere garanzie personali, firme su fidejussioni improponibili, e quintali di carte, come se fossimo in condizioni di assoluta normalità.

Da un lato occorre tenere vigile l’attenzione sull’aspetto sanitario: non ci possiamo permettere un altra stagione di ricoveri in terapia intensiva e morti sui cui piangere, ma soprattutto questo Paese, e in particolare la Calabria, non si può permettere di giocare con l’economia. I soldi ci sono, arriveranno, ma nessuno sa come spenderli e, sopra ogni cosa, come distribuire le risorse. C’è un Governo di dilettanti allo sbaraglio, il Paese lo scopre ogni giorno di più. Sono solo i nostri governanti a non averlo ancora capito. (s)

Buio in discoteca e zero divertimento al mare
Salvare la stagione turistica e gli imprenditori

La fase 3, che non significa liberi tutti, visto che il rischio del contagio è ancora possibile, continua, purtroppo,  a dimenticarsi di un segmento di imprenditoria che ha molto a che vedere con il turismo e una stagione da salvare: sono i gestori di discoteche, di locali pubblici, i responsabili di quello che, in condizioni normali, si sarebbe chiamato con il bruttissimo neologismo”divertimentificio”. Ovvero quel richiamo alla notte da ballare, da bere, da gustare, prevalentemente in riva al mare. Ma per questi imprenditori c’è buio totale, nessuna idea, né dal Governo centrale, nè da quello regionale: eppure il segmento discoteca e ballo coinvolge circa 100mila persone, la cui occupazione, in questa strana estate del 2020, è a serio rischio.

Il presidente dei giovani di Confcommercio di Reggio Sasha Sorgonà ha fatto proprie le istanze dei gestori dei locali della movida e parteciperà, a nome degli imprenditori calabresi del comparto al flash mob organizzato per dopodomani, mercoledì 10 giugno, a piazza Montecitorio. Il leitmotiv della manifestazione sarà “La vità è bella, la vita è ballo”, cercando di sensibilizzare Governo e forze politiche sulla gravissima situazione in cui tutto il settore è precipitato, con evidenti ricadute sulla stessa stagione turistica-balneare. Indubbiamente, pensare a serate al mare senza discoteca sembra un assurdo, eppure non sono ancora state previste né misure di prevenzione da attuare per consentire, anche in misura ridotta, l’attività di club e discoteche, soprattutto all’aperto, né sono stati previsti aiuti per sostenere la chiusura forza dei locali di intrattenimento sui quali grava l’ombra della chiusura definitiva.

In un comunicato diffuso dall’Associazione Italiana Imprese di Intrattenimento da Ballo e di Spettacolo (Silb) vengono sottolineati l’amarezza e lo sconforto: «La tempesta c’è stata – dicono gli imprenditori delle discoteche –. E pare anche parzialmente passata. La pioggia invece continua a cadere su una categoria: quella che per mestiere, la gente la fa divertire. E la fa divertire in sicurezza.

«Dopo 106 giorni di chiusura (e di silenzio) ininterrotta, gli imprenditori dell’intrattenimento riprendono la parola. Perché di imprese, come tutte le altre, si tratta. Si tratta di Pil, di gettito fiscale, di affitti, di lavoratori (100.000), di famiglie, di persone. Che potrebbero riprendere a lavorare con responsabilità, che hanno bisogno di aiuti economici (ma non arrivano). Qui, con la corona dei reietti (senza forse più virus), siamo rimasti solo noi. Mentre la società prende le distanze dalla paura con il metro di una maggiore responsabilità, mentre le strade si popolano e i sorrisi riprendono a sbocciare, seppur coperti da una mascherina, mentre le luci si accendono e dissolvono la nebbia della pandemia rivelando uno scenario di ben più modeste proporzioni ormai conclamato a livello europeo, nelle discoteche e nei locali notturni, nelle sale da ballo rimane il buio.

«Non possiamo accettarlo. Noi non siamo la “movida”. Parola usata per esprimere il lato deteriore di un “movimento” finalizzato a divertirsi pare, chissà perché, con una velata inclinazione alla scelleratezza. Noi siamo imprenditori che hanno stilato protocolli seri, rispettosi delle ordinanze, del vivere civile, della salute pubblica, al fine di riprendere le loro attività – ha detto Maurizio Pasca, presidente di Silb – Imprenditori che onorano regole di capienza dagli anni Settanta, che hanno locali strutturati al fine di garantire distanze di un metro, imprenditori che hanno proposto protocolli di sanificazione, tracciamento, sicurezza. Imprenditori che hanno creato procedure per la sicurezza di pubblico e lavoratori! E che hanno bisogno di aiuti economici perché sono stati i più colpiti. Chiediamo una data di riapertura in condizioni economicamente sostenibili».

«Se è possibile – fanno notare gli operatori del settore – ballare “sotto la pioggia” a un ristorante, al tavolo di un bar, su una metropolitana, in un mercato pubblico, per le strade di una Bergamo alta invasa di persone, in tutte le piazze e le vie d’Italia che in questi giorni hanno ripreso il vigore dei volti uno a fianco all’altro, non vediamo perché sia vietato “ballare” nel luogo deputato al ballo.  Quello dove la vita, nonostante il discredito gettato dal luogo comune, è sempre stata bella. Perché alla musica non servono parole. Alla politica invece si. Per questo adesso la tiriamo in ballo. Preferiamo usare “balla” come esortazione verbale anziché come sostantivo che si riferisce ad un’emergenza ormai derubricata a pseudo normalità da titoli come “12 regioni senza morti” oppure “epidemia finita il lockdown non serviva”. Sono titoli di giornali. Senza nulla togliere al senso di responsabilità che da sempre distingue noi di Silb, con i 4 miliardi di fatturato che rappresentiamo, vorremmo fare il rumore che serve per orientare l’udito all’ascolto di un fiume inarrestabile: quello della vita che riprende il suo ritmo, con le dovute precauzioni. Precauzioni che i nostri locali sono perfettamente in grado di far osservare, molto più dell’anarchia di una spianata fronte mare o di una festa improvvisata in spiaggia o in casa.  A proposito, riaprono gli stabilimenti balneari. I teatri. I cinema. I musei. Perché non i locali da ballo?».

Fin qui gli operatori della notte, ma anche per i gestori di stabilimenti balneari e locali pubblici che vivono di turismo non è facile affrontare questa stagione che si preannuncia davvero difficile. A mettersi di traverso per complicare ulteriormente si mettono anche i sindaci che, in alcuni casi, interpretano in modo soggettivo e molto più restrittivo le prescrizioni governative. A questo proposito, l’assessore regionale Fausto Orsomarso, che ha anche la delega al Turismo, ha fatto sentire la propria voce, stigmatizzando quanto accaduto a Praia a Mare dove il sindaco ha emesso una serie di ordinanze che hanno creato malcontento e disorientamento tra turisti e operatori. Non bisogna ha detto Orsomarso – «introdurre elementi di confusione e di discriminazione tra i territori. Condivido la preoccupazione degli imprenditori turistici e dei cittadini di Praia a Mare dopo l’emanazione delle ordinanze del sindaco che pone ulteriori limitazioni sia per la gestione degli stabilimenti balneari che per l’ospitalità turistica. Abbiamo tentato, tenendo sempre ben presenti le regole di base per il contenimento, di dare regole chiare e univoche,  come l’obbligo di registrazione per chi viene in Calabria da fuori regione o come l’indicazione secondo la quale gli immobili debbano avere la capacità ricettiva adeguata al numero di ospiti che vi pernotteranno, senza imporre la necessità di far parte dello stesso nucleo familiare. Il modo migliore per proteggerci dal contagio è rappresentato dal senso di responsabilità, dal rispetto delle distanze e dall’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Auspico che il sindaco di Praia a Mare recepisca le giuste istanze degli operatori della filiera turistica, consentendo l’avvio della fase del coraggio, nella quale si possa lavorare insieme per l’accoglienza in sicurezza dei turisti, che rappresentano la principale risorsa su cui l’economia locale può contare. Da parte mia assicuro il massimo impegno sul piano politico e per il mio ruolo istituzionale a sostenere, semplificare e liberare dai legacci burocratici l’impegno economico e personale di questi imprenditori che con tenacia e sacrificio realizzano giorno dopo giorno la principale opportunità di sviluppo e di lavoro vero per la nostra terra». (rrm)