di SANTO STRATI – Ogni qualvolta si avvicinano le elezioni, l’argomento Ponte sullo Stretto diventa “centrale” e magicamente appare in tutte le immancabili promesse elettorali. Ma da quel poco che si è letto in questi giorni, al di là delle generiche dichiarazioni sulla «necessità dell’opera», non si ravvisano elementi di novità sull’infinita (e, permetteteci, inutile e strumentale) diatriba «sì, no, forse».
L’ultima sceneggiata che porta la regia del ministro (grazie a Dio, uscente) Enrico Giovannini riguarda l’esigenza di buttare 50 milioni per nuovi studi di fattibilità con tre “buste” da scegliere: ponte a una campata, a due campate, nessun ponte. Peccato che non siamo in un telequiz alla Mike Bongiorno, ma in una realtà territoriale trascurata, dimenticata, abbandonata e vittima predestinata di un’idea di “autonomia differenziata” che allargherà il divario Nord-Sud. Con buona pace degli auspici dell’Europa che, a tal proposito, ha praticamente raddoppiato la disponibilità dei fondi PNRR: qualcuno, facilmente, finge di dimenticare che le risorse finanziarie destinate all’Italia (la dotazione più alta tra i Paesi europei) sono arrivate alla cifra stratosferica di 190,5 miliardi di euro grazie al “disagio” del Meridione.
Il PNRR, nelle intenzioni, dovrebbe servire a colmare il divario che risulta intollerabile per l’Europa del terzo millennio. Invece, complice l’inadeguatezza di comuni ed enti locali, molti dei progetti destinati al welfare e a migliorare la qualità della vita con infrastrutture e iniziative di carattere sociale, culturale e, soprattutto, territoriale, non arriveranno nemmeno alla fase di pre-valutazione.
Torniamo al Ponte: le promesse non sono una novità delle campagne elettorali, ma questa si preannuncia aspra e cattiva. Tutti promettono tutto, del tipo “il mio bianco è più bianco del tuo” (neanche si vendessero detersivi…), ma un programma che si ponga obiettivi realizzabili (non solo annunciati) ancora non si è visto, Dichiarazioni di intenti, come se la nostra classe politica (e stendiamo un velo pietoso su buona parte di essa) non sapesse che un programma serio deve indicare obiettivi, ma anche dove si trovano le risorse e come andranno spese. A parole sono tutti bravi a promettere (vedere il refrain stile 1994 dell’ex cav), ma nei fatti ci si ferma a suggestioni. Il potere mediatico, soprattutto dei social, in questo caso, gioca un ruolo determinante. Anche se nessuno ha messo in evidenza che per la prima volta i diciottenni voteranno anche per il Senato (se qualcuno li convince a recarsi alle urne). Non c’è alcuna attenzione per questo nuovo bacino che conta quasi 4 milioni di elettori: prima della riforma dell’art. 58 della Costituzione dello scorso 18 ottobre, bisognava avere compiuto 25 anni per votare per il Senato. Ma non abbiamo visto iniziative per coinvolgere in qualche modo le classi giovanili. Come mancherà il voto a distanza che il Circolo Valarioti (Voto sano da lontano) ha cercato in tutti i modi di mandare avanti nonostante l’opposizione del ministero dell’Interno: la proposta di legge con primo firmatario il presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera Giuseppe Brescia si è arenata, nonostante la commissione proposta dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà per analizzare i dati del cosiddetto “astensionismo involontario”. Tant’è che il 25 settembre si profila una massiccia astensione a livello nazionale, in gran parte dettata dalla conclamata sfiducia nella politica. In Calabria, però, – è il caso di sottolinearlo – sul 55% di astensionismo cronico andrebbe considerato che una buona metà riguarda elettori, che vivono e lavorano fuori della regione, che per varie ragioni (soprattutto economiche) non tornano a votare in Calabria.
A votare per chi? La sinistra (aspirante suicida) gioca la carta del referendum o noi o il ritorno al fascio (e già qui su tale rischio ci sarebbe da obiettare che il nostro Paese è solidamente democratico e sufficientemente in grado di autoproteggersi da qualsiasi revanscismo), al posto di presentare un programma serio e articolato. Invece si appalesa come “partito delle tasse”, pur proponendo una patrimoniale destinata a colpire soltanto i grandi patrimoni oltre i 5 milioni di euro. Gli elettori, quando sentono parlare di patrimoniale sembra siano stati toccati da una medusa: anche quello che campa (legalmente) di reddito di cittadinanza sente un brutto prurito e cerca vie di fuga. Ma questo, dalle parti del partito democratico, evidentemente non l’hanno ancora capito.
Dall’altro lato, la “gioiosa macchina da guerra” (copyright Achille Occhetto, 1994) di Letta e company che alla destra che già fa pregustare una vittoria pesante (sempre che i dissidi e le discordanze presenti nella coalizione non si trasformino in pericolose e fatali liti), non fa cogliere l’opportunità di presentare un programma chiaro su come sarà l’Italia della prossima legislatura.
Le dichiarazioni sul Ponte sono generiche, di maniera, e pressoché inutili: della serie “fa fine e non impegna”. Quando, invece, sarebbe questa l’occasione per il centrodestra, ancestralmente favorevole al collegamento stabile nello Stretto, per presentare un obiettivo strategico e risolutivo per eliminare qualunque imbarazzo. Un ruolo importante, sia chiaro, lo devono giocare le due regioni interessate: ai calabresi e ai siciliani il Ponte serve perché rappresenta un’idea concreta di sviluppo e di crescita del territorio non più rinviabile. Se non ci fosse stato lo stop (esecrabile, non finiremo mai di ripeterlo) di Mario Monti e del suo Governo a quest’ora il Ponte sarebbe stato una realtà, senza scusanti per l’Alta Velocità ferroviaria che si ferma a Villa San Giovanni e Messina e poi s’ingorga nel traghettamento. Da questo punto di vista appare suggestiva, ma di grande valenza la lettera aperta che l’ing. Giovanni Mollica e l’avv. Fernando Rizzo da Messina, mandano al Presidente Occhiuto. Caro Governatore, la legga e ne faccia tesoro con il futuro governo che verrà. È l’occasione per mostrare che non è soltanto il Presidente dei calabresi, ma un illuminato politico di cui il Sud, tutto il Sud, avrà di che essere orgoglioso. (s)
vedi lettera aperta al Presidente Occhiuto