di GREGORIO CORIGLIANO – Meloni ha vinto. Ha vinto, secondo me, per abbandono di campo. Che vittoria è quella della Regionali in Lombardia e nel Lazio. Una vittoria con poche persone che hanno votato. Sempre vittoria è mi direte. Non è vero. Un conto è se avessero votato il 51 per cento degli elettori, un conto diverso è con elettori al minimo della storia. Manco negli Stati uniti, dove notoriamente, da sempre, non vota parecchia gente.
E che dire dei votanti Leghisti? Se non ci fosse stato il disegno di legge sulla c.d. devolution o su quella che si chiama adesso autonomia differenziata, Matteo Salvini avrebbe fischiato alla luna. Non c’è ombra di dubbio. Da qui l’urgenza della Meloni e del Consiglio dei ministri di approvare il disegno di legge Calderoli. Senza questo la presidente del Consiglio avrebbe, come si dice oggi, cannibalizzato l’ex capitano. Invece si è salvato per il rotto della cuffia. Ai leghisti è bastata una promessa per votare il loro leader, che neanche Bossi, pur con la voglia di farlo, è riuscito a scavallare.
E Maroni è passato a miglior vita! In Lombardia, a parte il candidato sbagliato del Pd, tal Majorino che sarebbe stato meglio chiamare Minorino, il PD avrebbe dovuto convergere sulla Moratti oppure non farla candidare, almeno avrebbe reso più voti. Soprattutto se il pd delle lunghe primarie, asfissianti, avesse trovato un candidato della società civile o avesse convinto il sindaco Sala. Non si può inventare un minorino e per di più all’ultimo istante, pur sapendo che Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia avrebbero sparato a cannonate.
Mentre il Pd, con un mortaretto bagnato. Nel Lazio, come si fa a correre sapendo che c’era la bravissima giornalista del mare, Donatella Bianchi, che comunque Conte, il leader di nulla, ha sbagliato a candidare. Non avrebbe dovuto. E non solo perché la scelta era stata fatta prima, ma perchè era stato scelto un candidato di esperienza politica e amministrativa riconosciuta.
Il Pd ha perso? Ha perso, è scontato. Ma ha vinto. E non perché abbia surclassato i Cinque stelle o il duo fasano Renzi-Calenda. Ha vinto proprio perché andato oltre ogni aspettativa degli stessi democratici. È al 20 per cento! Che, nelle condizioni date, è stato il miglior risultato possibile. Nonostante l’impegno di Letta a perdere. Quanti anni luce sono passati da quando si è dimesso? Ed ancora è qui, anzi e lì, pur bravissimo e di livello alto, a far danni! Come si fa a farlo ancora parlare, pur sapendo che non ha più le phisique du role? Per restare in Calabria, come si fa a dire che Oliverio, che non affascina più, non è del Pd, solo perché aveva presentato un’altra lista. La verità è che fin quando non arriva fine mese, e non avranno votato anche i non iscritti, il Pd non c’è. E pur non essendoci non è morto. Vedremo se vincerà il vecchio partito con Bonaccini, persona per bene, indiscutibilmente, ma sostenuto da tutto il vecchio armamentario oppure Elly Schlein che,pur avendo alle spalle Franceschini, che da tempo ha fatto il suo tempo, per non dire altro, raccoglie, pare i consensi di chi è fuori dalle logiche incomprensibili, oggi, del partito. La accusano di essere fluid. Ma chissenefrega.
È ben vista, è capace, può creare un nuovo centro sinistra in grado di duellare coni fratelli d’Italia? Ed allora ben venga. Di Conte, che ancor è lì, non pensiamo il bene possibile, vive in un movimento che non si farà mai partito, perchè è bollato dalla nascita. E il duo Fasano? Non canta anzi non ha mai cantato e suonato bene: Renzi e Calenda non hanno fatto centro, anzi. Se Renzi sorride perché ha il fascino che tutti i partiti, o quasi, gli riconoscono, cosa diversa è per Calenda che si è alzato un mattino ed ha fondato un partito, con buona pace di quanti si sono arruolati, sperando di trarne vantaggio.
Solo per questo, diciamo la verità. I dirigenti fidavano sul successo di Azione, solo per conquistare un posto in Parlamento, non per fare politica. Da consiglieri regionali, che sono rimasti a destra-destra, e quanti non sono stati neanche rieletti consiglieri comunali. Non avrà futuro, detto oggi, la fusione, non per incorporazione, ma propriamente detta, tra Italia Viva ed Azione, che non agisce. E se si pensasse, tutti insieme, i tre partiti (!) della Misericordia, di farne uno come si deve?
È che ognuno, poco o niente, vuole contare da solo e non con gli altri. La fusione farebbe sparire le velleità singole – ed una finestrella al Tg1, ancora per poco- in favore di un raggruppamento nuovo in grado di fidelizzare quanti non stano con la Meloni. E non sono pochi credo. (gc)