L’OPINIONE / Gregorio Corigliano: La Schlein ed il presente

di GREGORIO CORIGLIANONon è semplice per nulla risolvere il problema europeo Fitto-Meloni: ha implicazioni politiche di immensa caratura. C’entra la Meloni, la destra europea, la sinistra ma anche la Schlein ed il Pd.

E questo perché proprio quest’ultimo partito sta vivendo un momento di ripresa superiore ad ogni aspettativa. Non sono solo le difficoltà interne alla maggioranza di governo che portano all’attenzione del Paese la giovane leader del Pd, ma soprattutto le speranze che si colgono a piene mani sul futuro del Nazareno. Diventa ogni giorno che passa una chiara alternativa ad un governo alle prese con guerriglie interne, complotti, problemi giudiziari di non poco conto. E questo perché Elly Schlein ha saputo impostare impegni e programmi che sembrano ave messo fine alle correnti ed ai tronconi in cui il partito lasciato da Renzi, da Zingaretti e da Letta era diviso, compresi i cacicchi di recente memoria. Adesso sembra esser tornati ai tempi in cui Roberto Morrione, storico direttore di Tg Rai, si era preso la briga di coordinare e condurre in porto le battaglie di Prodi e Veltroni o quando Marco Minniti e Franco Marini si incontravano a Piazza del Gesù per dar vita all’attuale creatura politica che, com’era giusto che fosse, non pochi problemi sta creando alla Meloni. Problemi politici perché per quelli di altro genere si sanno organizzare da soli, da Lollobrigida, alla Santanchè, a Fazzolari, a Sangiuliano e compagnia.

C’è voluta la Schlein che Susanna Turco ha appena chiamato “L’imprevista” nella sua ultima fatica letteraria. Ai cosiddetti esterni, I’imprevista davvero sia nella scalata ai vertici, sia nel non consentire di perpetuare antichi rituali. Lo stesso Bonaccini, pur capace e impegnato, adesso coordina politicamente il modo di essere oggi di quell’Ulivo, che aveva portato Prodi e successori a sconfiggere un modo di pensare, figlia di quella ibridazione tra culture diverse. Sembra esserci piena consonanza, ribadisce la giovane leader ( è nata nel 1985!) nel rapporto col pensiero cattolico e democratico, con quanto il Papa ha scritto in “Laudato Sì”.

E cioè dare ascolto ai poveri, ai migranti, ai temi dell’ambiente e così via. Non si è risparmiata un giorno, consapevole della necessità degli sforzi necessari da fare (e fatti) per essere credibile. Ha finito? Certo che no, ma rispetto a quando si è misurata ed ha vinto la sfida con i vecchi cacicchi passi in avanti ne sono stati fatti e parecchi. Deve continuare la battaglia intrapresa, non può interrompere mentre la luce si intravede ed altre sorprese arriveranno, già si profilano all’orizzonte grazie anche alle fatiche iniziate ed avviate e da concretizzare. E’ importante, però, che si proceda con l’intendimento di raggiungerle le mete che dovranno dare alla società ed al Paese le soddisfazioni che fino ad oggi non sono arrivate o, peggio, sono andate deluse.

Anche la stessa “vicenda Fitto” non può filare “liscia e striscia” come fosse una questione che deve affrontare e risolvere solamente il Pd. La Schlein, per questo, vuole giustamente vedere le carte. Non si può sostenere sic et simpliciter che il Pd si deve far carico del ruolo che tocca all’esponente dei Fratelli d’Italia che, dopo ave lasciato il Movimento giovanile della DC, dove avevamo fatto esperienza comune ed aver maturato con successo altre esperienze di grande rilievo, ha scelto la destra per proseguire il suo impegno politico e di governo. Probabilmente la soluzione è quella della rinuncia da parte di Meloni della vicepresidenza esecutiva per Fitto così da tener conto che il Pd è opposizione in Italia e maggioranza in Europa.

Non si può rompere l’unità a sinistra e non ci espone all’accusa di non fare l’interesse del Paese. L’impegno europeista da parte del ministro in carica dovrebbe essere scontato. Lo sarà? (gc)

 

LE ELEZIONI E I CONTINUI CAMBI DI IDEE
DELLA SINISTRA PER IL RILANCIO DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTAChe sotto elezioni tutto si esasperi é assolutamente normale. In particolare quando, come nelle prossime  europee,  si voterà  con il proporzionale e quindi ogni partito cercherà di caratterizzarsi in modo tale  da compattare i propri elettori  é nelle cose. Quindi che i toni si innalzino e che si sia «l’uno contro l’altro armati» è  prevedibile. 

Ma come dice il Presidente Sergio Mattarella: «l’Italia è di chi pensa al futuro». Ciò vuol dire che vi sono alcuni temi sui quali i partiti farebbero bene a non giocare né a spaccarsi. Perché lo sviluppo futuro del nostro Paese non dovrebbe essere mai messo in discussione e qualche punto di percentuale in più non vale certamente posizioni che se poi diventano azioni operative possono cambiare  le prospettive per i nostri figli e i nostri nipoti. 

Per questo sembra strana la posizione che la sinistra, quasi in modo compatto, sta prendendo su quelle che sono le prospettive infrastrutturali e il ruolo che nel Mediterraneo deve svolgere la nostra Nazione.  

  Per questo andare a Messina da parte della Elly Schlein, segretario del maggiore partito della sinistra, che ha avuto un protagonista come Prodi, lei che viene da una Regione, come l’Emilia Romagna, al centro di tutte le infrastrutture del Paese, per cui con l’alta velocità ferroviaria può raggiungere da Bologna, in 2 ore e 25 minuti, Roma, in un’ora e 4 minuti e con un bus Milano in 2 ore e 20 e Roma, quasi 400 km, in tre ore e mezza, per dibattere un tema che già nel suo titolo: “no al progetto di ponte di Salvini, dannoso, anacronistico e dispendioso”, sa di contrapposizione elettorale. 

Infatti mettere in discussione la possibilità che l’alta velocità ferroviaria arrivi a servire 7 milioni di abitanti che risiedono in Calabria e in Sicilia, non diventa più lotta politica nei confronti di Salvini, assolutamente legittima, ma un vero e proprio affronto al diritto di mobilità dei tanti italiani che in quelle aree abitano. 

Perché certo sarà noto anche al segretario del PD che i treni ad alta velocità non possono attraversare lo stretto spezzettati, per essere caricati sui Ferry Boat e ricomposti poi sull’altra sponda dello Stretto, per riprendere il loro viaggio. Cosi come dovrebbe essere noto all’altro grande partito della sinistra, che è il Movimento Cinque Stelle, che non hanno soltanto  la responsabilità di fare una proposta alternativa di progetto di paese da contrapporre al Centrodestra in termini di diritti civili, ma anche quello di proporre un modello di sviluppo che dia un diritto alla sopravvivenza economica di aree fino ad adesso con un destino già segnato dallo spopolamento. 

Che movimenti meno consistenti, come quello dei Verdi di Bonelli e del Sì di Fratoianni, possano assumere posizioni estreme e non occuparsi di un possibile governo futuro, considerato che la  loro contenuta rappresentanza non assegna loro particolari responsabilità, ci può anche stare. 

Cosa diversa è la prudenza richiesta ai grandi partiti di massa che dovrebbero rappresentare l’alternativa di governo necessaria nell’alternanza democratica. In considerazione peraltro che, per quanto attiene in particolare il Pd, molti dei più autorevoli rappresentanti dello stesso partito, tra i quali Franceschini e lo stesso Prodi, si sono pronunciati in passato con dichiarazioni assolutamente favorevoli ad un progetto che potesse  consentire di collegare, finalmente, le aree più marginali. 

Modello peraltro che in altri paesi a noi vicini, come la Spagna, è stato adottato come priorità assoluta, considerato che la prima alta velocità ferroviaria che è stata costruita in quel Paese non è stata la Madrid-Barcellona quanto invece la Siviglia-Madrid.  

 In realtà il Movimento Cinque Stelle ha sempre avuto un atteggiamento anti Istituzioni. Doveva aprire il Parlamento come una scatoletta evidentemente per buttare il contenuto  ed è stato contrario fin dalle sue origini. Tanto che il loro guru, Beppe Grillo, attraversò  lo stretto a nuoto forse per indicarci un’alternativa salutista ai sistemi diversi, come navi, utilizzati  dai più.

Ritornando al Segretario del Pd non può limitarsi a dire che il progetto del collegamento stabile è dannoso. Qualunque costruzione umana lo è perché modifica l’assetto naturale delle cose, lo sono le autostrade, lo è l’alta velocità ferroviaria, lo sono le dighe, lo sono i porti, lo sono per assurdo anche i grattacieli e le abitazioni del più sperduto paese, perché in qualche modo violentano il territorio. Come lo sono gli impianti eolici e quelli solari.

Né può affermare che é anacronistico, quando il modello “Messina bridge” e gli studi relativi sono stati adottati da tutti i Paesi che costruiscono ponti come base di partenza per i loro progetti. E quando la comunità scientifica internazionale lo ha riconosciuto come uno dei più studiati e come una storia di successo. 

Né può affermare  che è dispendioso, dopo che risorse abbondanti sono state destinate a tante grandi infrastrutture nel resto del Paese per le quali non si è condotta la stessa battaglia. Né si possono disconoscere  gli studi approfonditi, consacrati dal timbro Nomisma, che hanno calcolato in 6 miliardi e mezzo il costo della insularità per la Sicilia. Non considerando ancora che i cittadini delle due sponde stanno partecipando al costo della costruzione con risorse proprie regionali,  cosa che non è mai stata chiesta per innalzare le barriere contro l’acqua alta di Venezia,  o per costruire la Tav che collegherà Torino a Lione.

Devono forse pensare i meridionali di essere figli di un Dio minore, di essere considerati come colonizzati, per i quali spendere le risorse necessarie diventa uno spreco, come impunemente e inopinatamente ha affermato l’animatore di Libera don Luigi Ciotti, quando si è lasciato sfuggire la battuta infelice che il ponte non unisce due coste ma due cosche? 

La responsabilità di un partito come il PD, sempre più partito guida che si candida come federatore di tutta la sinistra, non  può sposare tesi così estreme e far correre il pericolo o far temere che una loro vittoria possa far ripartire una serie di infrastrutture dall’anno zero, come in un perenne un gioco dell’oca, come è stato già fatto una volta da quel Monti che definanziò  il ponte per investire quei soldi sottratti all’opera a Genova? Forse sarebbe necessaria una riflessione maggiore per evitare che si possa pensare che alcuni partiti siano contro lo sviluppo e in particolare contro il Sud. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’OPINIONE / Francesco Gagliardi: Elly Schlein, lasci il Pd per farlo vivere

di FRANCESCO GAGLIARDIPer far vivere il Partito Democratico il Segretario Elly Schlein, eletto 8 mesi fa, dovrebbe lasciare il partito, perché fino ad oggi è stato incapace di esprimere una linea politica, non ha nessuna esperienza. Oggi il P da lei retto è un partito fantasma, un partito che non esiste. Chi ha scritto queste cose non è un Deputato o un segretario di un partito della maggioranza di governo, non è Giorgia Meloni o Capezzone, Del Pietro o Porro, è Piero Sansonetti, un comunista incallito, l’attuale Direttore del giornale “Unità”, organo ufficiale del defunto Partito Comunista Italiano, giornale fondato da Antonio Gramsci.

Elly Schlein dovrebbe subito dimettersi perché finora la sua segreteria non ha prodotto nulla. Per Sansonetti il Pd è un partito fantasma.  In otto mesi il segretario Schlein ha combattuto una sola battaglia e l’ha persa. E’ quella del salario minimo, iniziativa di Conte e del Movimento 5 Stelle. Su tutto il resto è stato un susseguirsi di silenzi e di dichiarazioni contorte e incomprensibili. E’ stata finanche richiamata da Lilly Gruber durante una intervista sulla TV 7: – Ma chi la capisce se lei parla così –. E Giovannini ha rincarato la dose:– Non dice una parola chiara, questo è il limite della sua segreteria –. Sa solo attaccare Giorgia Meloni e il suo governo annunciando una grande manifestazione a Roma l’11 novembre sulla sanità, sui salari, sulla casa.

L’apice della non esistenza è stato raggiunto in questa settimana. C’è la guerra, si combatte in Ucraina, nella Striscia di Gaza, si discute ovunque, talk show nelle reti televisive Rai e private, in tutte le città del mondo si svolgono grandi manifestazioni per chiedere il cessate il fuoco, si invoca a gran voce la pace, bandiere dell’arcobaleno sventolano negli edifici pubblici e persino nei  campanili delle chiese, si parla dei diritti dei Palestinesi e degli israeliani, si parla di antisemitismo e di antisionismo, si ricorda la Shoah e gli otto milioni di ebrei morti nei lager nazisti, e il Pd cosa ha scelto? Il silenzio. Silenzio assoluto ha scritto Sansonetti nel suo editoriale del 7 novembre. E Sansonetti fa l’elenco: Silenzio sulla scuola, sul welfare, sulla giustizia, sull’accoglienza ai migranti, sul fisco.

Il danno che sta facendo la Schlein è enorme. Lasci il Pd per farlo vivere. Cara Schlein, il tempo è finito: ridacci il Pd che serve all’Italia.  E se lo dicono Sansonetti e l’Unità dobbiamo crederci. È una bordata da sinistra, dove fa più male. Il Direttore Sansonetti si allinea alle critiche del Governatore della Campania Vincenzo De Luca il quale liquida l’esperienza della Schlein come un tentativo di togliere potere ai vecchi marpioni del Pd, a tutti i principali responsabili del disastro elettorale, ma poi sono tutti lì.

Ci sono quelli che hanno governato per 15 anni. Quelli che hanno fatto parte della segreteria. Quelli che sono stati al governo senza nessun merito. Ci sono i vecchi marpioni e capicorrente. Sono tutti lì. Non ha avuto il coraggio politico di rifiutare i loro appoggi, di prenderne le distanze, in nome della propria autonomia. Povera Elly Schlein, pensava di aver guidato lo sbarco in Normandia. (fc)

L’OPINIONE / Raffaele Malito: Elly Schlein ha portato una ventata di freschezza al Pd

di RAFFAELE MALITOChe cosa c’è in Elly Schlein del socialismo, della sua storia, dei grandi temi, delle tante proposte di ammodernamento del sistema politico-istituzionale, delle grandi riforme sociali della sanità universalistica, dei diritti e della dignità  nel posto di lavoro, della difesa dell’ambiente e del patrimonio artistico-architettonico, del superamento di vecchie storture e di barriere etiche che impedivano alle donne di decidere sulla propria vita,  del riformismo, insomma, stella polare, del Psi?

È l’interrogativo che ha posto Sergio Dragone, sciogliendo, con grande generosità, in senso sostanzialmente positivo, il dilemma. Se la nuova segretaria del Pd dovesse recuperare, e farne i temi centrali del suo progetto politico-ideologico, le grandi questioni che hanno caratterizzato, negli anni, l’azione politica del Psi, la risposta all’interrogativo posto da Dragone sarebbe giustificata e coerente.

I temi, assunti da Schlein – sostiene Dragone – come patrimonio del proprio programma politico, sono presenti, come idee-guida, nel Pantheon dei grandi e storici dirigenti socialisti: il nonno, il senatore Agostino Viviani, artefice della legge sull’interruzione della gravidanza, la 104, e la tutela sociale della maternità; l’eliminazione del sistema  sanitario mutualistico per quello universalistico  con il ministro Aldo Aniasi, preceduta da  quella contro la poliomelite, autentica battaglia di civiltà vinta dal ministro della sanità, Giacomo Mancini che si ripeté, da ministro dei Lavori Pubblici, impedendo lo scempio della valle dei Templi e dell’Appia Antica; in tema della difesa  dei diritti e della dignità dei lavoratori, lo Statuto con l’art. 18, punto di grandi controversie  politiche e di scioperi, pensato e approvato da Giacomo Brodolini e Gino Giugni; Infine, per le battaglie storiche delle donne di cui la segretaria del Pd si dichiara leader femminista, il Pantheon socialista ne ricorda alcune protagoniste storiche: da Anna Kuliscioff a Anna Maria Mozzoni, la scrittrice Anna Franchi, la poetessa Ada Negri, Angelica Balabanoff, Lina Merlin che lega il suo nome all’abolizione della legge che consentiva  l’inciviltà della prostituzione  nelle case chiuse.                                                                                                                                         

Il socialismo è stato riformismo proiettato sul presente per cambiare storie storte della società civile, il sistema vecchio dei diritti personali e collettivi, gli assetti economici  arretrati, lo stesso sistema politico-istituzionale ma anche, e sempre, con lo sguardo proiettato sul futuro: in questo senso andava, già nel 1979, Bettino Craxi, quando aveva richiamato l’attenzione della classe politica  proponendo,  con la Grande Riforma, l’esigenza di un cambiamento del sistema politico-istituzionale: radicale, necessario per un’efficiente capacità di governo del Paese. Questione  affrontata a più riprese, con il totale fallimento dei propositi, da varie commissioni parlamentari, quella di Bozzi, di De Mita e l’ultima, bicamerale, di D’Alema.

Il socialismo è dunque riformismo. Che  richiama un filone culturale oltre che politico con il fine di aprirsi al mondo, alla società e ai temi della trasformazione  in ogni settore: dalla scuola alla sanità, dalla ricerca scientifica  alla tutela dell’ambiente fino allo sviluppo sostenibile. 

Quanti dei grandi temi che sono stati il patrimonio del riformismo socialista possono essere assunti -o far parte- del progetto politico-programmatico di Elly Schlein, è impossibile, al momento, e forse, anche nel futuro, prevedere. Di sicuro la nuova segretaria del Pd, un partito al rischio di estinzione, ha portato un ventata di freschezza e di vitalità, di emozioni, che erano spente, di partecipazione che latitava, negli iscritti e  negli elettori astenuti, perché giovane e, soprattutto, perché donna mentre a governare il Paese è un’altra donna.

L’onda travolgente di Elly Schlein sembra essere arrivata proprio a purificare  il partito dalle  sue recenti infezioni: perdita d’identità della sinistra, eccesso di governismo. Oggi il Pd sembra voler cominciare un’altra storia ed  emanciparsi persino dal suo atto fondativo: il manifesto riformista del Lingotto con la vocazione maggioritaria. Manifesta, tuttavia,  uno spirito di apertura e di accoglienza, dando valore a tutte le culture fondative del Pd, socialisti, cattolici democratici, laici liberali, ecologisti, cristiano-sociali, con richiami a pietre miliari identitarie, come “stare dalla parte di chi fa fatica”.

Parla di un mix di giustizia sociale e giustizia climatica riprendendo il magistero di Papa Francesco sull’economia integrale, rilancia le parole d’ordine della difesa della Costituzione, della sanità e del lavoro. Ma il programma del Pd, in questo momento, sembra una rimasticatura di luoghi comuni. Principi  alti e, magari, condivisibili, sostenuti  da strumenti superati e inadeguati: la difesa della Costituzione che non è in pericolo, la sanità che non  è a pezzi nella sua efficacia, ma deve essere sostenuta con nuovi investimenti che la rendano più efficiente, più pronta rispetto alla domanda dei cittadini. Schlein è stata europarlamentare  ma dimentica che c’è una bandiera da impugnare che è quella della ratifica e, poi, dell’adozione del Mes a cui è possibile accedere, con una dotazione di 37 miliardi da destinare a interventi nel sistema sanitario: ecco un tema sul quale sfidare il governo Meloni.

Ma non ne parla. Sul tema del lavoro propone una battaglia su questioni giuste ma che non affrontano gli assetti economico-sociali strutturali. Il salario minimo è un dato di civiltà,  una misura sacrosanta anche per non fare restare indietro l’Italia rispetto ai parametri europei, così come la tutela dei rider per aggredire  il tema dell’occupazione.  Ma l’idea di proibire l’adozione dei contratti a termine rivela una concezione rigida del mercato del lavoro, immaginato solo come lavoro impiegatizio, modello pubblico. 

Lontana, dunque, dal modo in cui sono evolute le dinamiche sociali in un sistema del lavoro fondato sul terziario avanzato. Infatti non una sola parola è dedicata da Schlein al mondo delle partite Iva, considerate  una deviazione dall’ideologia dominante a sinistra. Ignorata è anche l’idea che la riforma del mercato passa dalle misure a sostegno dell’occupazione femminile, visto il gap occupazionale intrecciato con il gap di genere. Insomma il mondo reale sembra estraneo alla narrativa  di un Pd schiacciato a sinistra, ancor più nettamente con i condizionamenti determinati dall’arrivo della sinistra-sinistra di art. 1. Nessuna parola sulle imprese che – non si può negare – sono i soggetti  senza i quali non c’è creazione di ricchezza e di nuovi lavori.

Nessun accenno sui settori strategici dell’economia italiana  sui quali il governo è chiamato a rispondere, mentre il Pd s’interroga sui problemi identitari, puntando tutto, o quasi, sull’attrattività delle fasce disagiate. Il rischio è, così, di imboccare le ristrettezze del socialpopulismo e di subire il condizionamento  del ribellismo dei Cinque Stelle con la difesa acritica del reddito di cittadinanza.     

Il compito che ha di fronte la nuova segretaria e, con lei, l’intero Pd, è d’ immensa responsabilità perché si tratta di dare alla sinistra una strategia e una prospettiva politica  vincente per il governo del Paese. Per ridare al Pd la credibilità e il sostegno della maggioranza degli italiani, occorre ripensare  e rifondare la sinistra, riprendendo il filone culturale e politico del riformismo e la conquista graduale degli obiettivi di ammodernamento del Paese.  

In questo senso  si è speso Aldo Schiavone con il saggio che porta proprio il titolo Sinistra, affrontando il tema del cambiamento e del rinnovamento della sinistra, dopo le mutazioni sociali ed economiche, con nuove idee in grado di riempire il vuoto  di pensiero del tempo che viviamo. Con il tentativo, cioè, di ovviare alla fine della età del  lavoro e, di conseguenza, del socialismo  e dei fatti prodotti dalla svolta del tecno-capitalismo, senza ricorrere a  una serie di piccoli sotterfugi di espedienti, per rimanere a galla.     

«Se la lotta di classe è finita – scrive Schiavone – bisogna allora cambiare la classe cui appoggiarsi, non più gli operai ma gli emarginati, gli sfruttati, i senza lavoro,  gli immigrati di ultima generazione oppure sostituire il genere alla classe. Oppure mettere i diritti di libertà al posto dei diritti sociali. 

Il precariato contro cui dobbiamo fare i conti è fluido, sparso, diffuso, sminuzzato e il nuovo capitalismo se la gioca soprattutto con la tecnica che è incorporea: le merci digitali ma anche quelle materiali viaggiano oltre e sopra i confini, stabiliscono un mercato in cui il lavoro dell’operaio è marginale e probabilmente destinato scomparire sostituito dalle macchine governate dall’intelligenza artificiale, ristretta nel mani di pochi gruppi, più potenti di singoli Stati.                                                                                                           

Ognuno di questi “brandelli del nuovo mondo”, afferma Schiavone, merita ovviamente l’attenzione e il favore della sinistra. Ma nessuno di loro può sostituire l’utopia – e siamo al tema centrale di questa nota – del socialismo, diventare un nuovo sol dell’avvenire, se  non è sorretto da un  pensiero, da un progetto di cambiamento che unifichi l’universo frammentato dei nuovi lavori determinati dalla digitalizzazione, dalla tecnica e dall’intelligenza artificiale  fornendogli un cemento ideale, un consenso di massa e le armi della lotta politica.

Di tutto questo, la  nuova classe dirigente del Pd  ancora non parla. La nuova segretaria l’ha riunita-tutta- attorno a sé, coinvolgendo anche i vituperati capobastone, capicorrente, i cacicchi, perché, in questa fase, ha bisogno di tutti per ridare vita a un partito che era in via di estinzione. E per i grandi progetti e le grandi ambizioni di cambiamento, se ci saranno, occorre aspettare. Occorre una nuova, radicale visione.Non è il momento di stabilire se e quando  ritornerà, in forme nuove, l’utopia del socialismo. (rm)

Elly Schlein e il socialismo italiano

di SERGIO DRAGONEMa siamo così sicuri che nel pensiero e nelle linee di Elly Schlein non ci siano tracce di socialismo? Siamo così sicuri che nel nuovo PD ellyano – che brutto neologismo, lo ammetto – non ci sia spazio per le componenti riformiste, libertarie e garantiste?

Io non ne sono così sicuro e anzi registro una significativa sovrapposizione tematica e ideologica su alcuni punti-chiave della mozione presentata (e vincente) della ragazza con lo zainetto: difesa dei diritti civili, lotta alle disuguaglianze, dignità del lavoro, difesa dell’ambiente. In altre parole, tutto il bagaglio ideologico del socialismo italiano.

Su questo tema ho discusso più volte in queste ultime settimane con due esponenti di rilievo del PD calabrese, entrambi di ispirazione socialista, che si sono schierati nelle primarie con Stefano Bonaccini ritenuto, a torto o a ragione, più vicino alle idee e ai valori del riformismo italiano: Giacomo Mancini, già deputato e nipote del leader del PSI, e Michele Drosi, presidente del PD della provincia di Catanzaro e autore di saggi politici, l’ultimo dei quali dedicato proprio al futuro del Partito Democratico.

Ma veniamo al nocciolo della questione. Proviamo un attimo a capire cosa ancora resta di vitale della cultura socialista nello Schlein-pensiero. 

Non voglio ridurre il tutto ad una questione di dna, ricordando che il nonno materno di Elly, l’avvocato Agostino Viviani, è stato un partigiano e convinto antifascista, senatore del PSI per due legislature dal 1972 al 1979, amico e compagno di Lelio Basso. Anche se appare utile sottolineare che Viviani è stato una personalità di rilievo del socialismo e che durante la sua presidenza della Commissione Giustizia del Senato fu approvata la legge per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, nota come “la 194”.

Fu anche il primo a proporre un disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati, sollevando all’epoca vivaci polemiche.

Lasciamo da parte il dna e tentiamo una comparazione, sia pure non facile, tra quello che la Schlein dice e alcuni pilastri del pensiero socialista contemporaneo.

Elly parla nel suo programma di lotta alle diseguaglianze che «in questi anni di crisi hanno raggiunto livelli spaventosi», di «fortissima concentrazione della ricchezza in poche mani», di «divari salariali, occupazionali e pensionistici che colpiscono le donne».

Ma sono gli stessi, identici concetti che animarono, ai primi del Novecento, i socialisti italiani che favorirono la nascita delle società di mutuo soccorso, delle casse mutue volontarie, delle leghe, delle mense popolari, per contrastare diseguaglianze, povertà, analfabetismo e malattie.

Elly parla, nella sua mozione, di un «grande investimento nella sanità pubblica e universalistica, difendendola dagli attacchi di chi la vuole tagliare e privatizzare» e di un «servizio sanitario nazionale a rischio». 

E chi più dei socialisti ha difeso la sanità pubblica? Ricordiamo Giacomo Mancini che, da ministro della sanità, debellò la poliomielite con una straordinaria campagna di vaccinazione. O Aldo Aniasi, il ministro a cui si deve la creazione del Servizio Sanitario Nazionale e l’eliminazione del vecchio sistema mutualistico.

Elly parla di garantire a tutti «pari opportunità e diritti di accesso a un’istruzione di qualità» e dell’esigenza di «un grande investimento sull’educazione dell’infanzia che contrasti da principio le diseguaglianze e la povertà educativa e supporti le famiglie nella conciliazione tempi di vita e lavoro».

Nel 1904 furono o socialisti ad ottenere che l’obbligo scolastico fosse portato a 12 anni. Un esercito di maestri socialisti, come narra De Amicis, portò istruzione e cultura a milioni di ragazzi italiani. Nel 1962 venne istituita la scuola media unificata, una delle condizioni poste dal PSI per entrare a fare parte di un governo di centrosinistra con la Dc.

Elly parla di lotta al lavoro precario e dell’esigenza di alzare il salario medio annuale reale. «Non basta creare nuova occupazione – dice – bisogna che sia di qualità e che assicuri un’esistenza libera e dignitosa alle persone».

In campo di difesa dei lavoratori, non c’è partito che possa storicamente superare i socialisti, con riforme storiche come quella della sicurezza sociale varata da Giacomo Brodolini e lo Statuto dei lavoratori pensato dallo stesso Brodolini e da Gino Giugni.

Elly parla di diritti civili e a me viene in mente, da subito, la grande battaglia socialista per l’approvazione della legge sul divorzio firmata da Loris Fortuna, confermata nel referendum del 1974. Ma senza dimenticare le orgogliose battaglie condotte da Giacomo Mancini sul piano del garantismo e della difesa della libertà di pensiero ed espressione.

Infine, l’ambiente e la tutela del territorio e qui torna ancora in ballo Giacomo Mancini con le sue memorabili battaglie per difendere la valle dei Templi e l’Appia Antica dalla speculazione edilizia.

Elly si dichiara non una leader donna, ma una leader femminista. La storia del socialismo italiano è lastricata di donne che si sono battute per l’emancipazione femminile, da Anna Kuliscioff ad Anna Maria Mozzoni, dalla scrittrice Anna Franchi alla poetessa Ada Negri, da Argentina Altobelli ad Angelica Balabanoff, fino a Lina Merlin.

E allora, siamo davvero sicuri che di socialismo non ci sia nulla nella proposta politica di Elly Schlein?

Certo, oggi il socialismo classico è in forte declino, ma i suoi valori fondanti restano vitali e attuali. Tocca alle nuove generazioni rinvigorire questa “civiltà politica”, adeguarla alle sfide sempre più ardue e delicati che la crisi climatica, l’avvento di tecnologie sempre più sofisticate, le migrazioni, impongono.

Resto del parere che la leadership della ragazza con lo zainetto deve essere verificata sul campo e ammetto che esiste un rischio di marginalizzazione identitaria per il nuovo PD.

Ma vedo contemporaneamente grandi potenzialità, enormi margini di crescita di consenso e concrete possibilità di intercettare i bisogni di una larga parte dell’elettorato progressista. Il bagaglio socialista potrebbe tornarle molto utile. (sd)

[Sergio Dragone è giornalista e già fondatore del Circolo “Willy Brandt]

L’OPINIONE / Gregorio Corigliano: la nuova Primavera della Schlein. Cristallo e Locanto in Direzione Pd

di GREGORIO CORIGLIANO – È esagerato dire che la Schlein ha dimostrato di essere una nuova Renzi? Se si pensa all’attuale collocazione dell’ex segretario del pd, certo che sì. Se si pensa invece alla ventata di novità rappresentata dalla elezione di Renzi – due volte – alla guida del Pd, certo che no. Infatti Renzi, soprattutto da quando è con Calenda, non ha nulla a che spartire con il partito democratico oggi; se invece, Renzi, lasciasse Calenda e tornasse ad essere il leader che tutti abbiamo conosciuto potrebbe essere la dimostrazione di quel che occorre al Pd Di Schlein. La novità, va bene. L’entusiasmo, va altrettanto bene, la “rottamazione” dei vecchi cacicchi, ancor meglio.

Deve, il nuovo corso schleineiano, tener conto dell’anima cattolico democratica che c’è, eccome, nel pd. Anche se ha vinto perché donna. Pensate che se l’avversario di Stefano Bonaccini fosse stato il signor  “Ello”, pur se fratello di Elly, la pasionaria dei democratici avrebbe vinto le elezioni primarie? Certo che no. E questo che vuol dire? Ello, pur svizzero e americano, pur figlio di due docenti universitari, pur fratello di una diplomatica italiana in Grecia, non avrebbe mai convinto un milione di persone a recarsi ai seggi e ai gazebo per scegliere il nuovo segretario di quel partito che, nato sotto i migliori auspici e che ha avuto segretari come Prodi e Veltroni e Renzi – tutti leader di partito e presidenti (o vice) del consiglio, non avrebbe raggiunto neanche il 30 %. E perché. Si sarebbero tutti affidati al bravissimo Bonaccini, uomo di governo e di provata esperienza. Invece, hanno lasciato il presidente dell’Emilia alla guida della sua regione e, comunque alla presidenza del Pd, per votare la Schlein, sorella vera ed esistente di fronte ad un fratello, appunto, immaginario.

E questo perché? Perché Elly, l’eletta, è “donna, ama un’altra donna, non è una madre, non per questo è meno donna!” Come ha scritto Giorgia Meloni “essere donna è un vantaggio. Voglio dire alle donne di questa nazione che il fatto di essere sempre, o quasi sempre sottovalutate è un grande vantaggio, perchè sì, spesso non ti vedono arrivare”. Le stesse parole usate da Elly Schlein la notte delle primarie, quando da poco aveva sconfitto Stefano Bonaccini. “Ancora una volta non ci hanno visto arrivare, aveva detto, citando il titolo del libro femminista di Lisa Levenstein. They didn’t see us coming, la storia nascosta del femminismo negli anni ‘90. A Raffaella De Santis di Repubblica, la scrittrice americana, orgogliosa per essere la più citata dalla politica italiana, è del parere che la Schlein con la citazione del suo libro ha alluso al movimento femminista, mentre la Meloni ha parlato di sé stessa come singola donna. Ed ecco, la vittoria, affatto scontata alle primarie.

La Levenstein si è detta del parere che «è un bene per la società che le donne possano essere capaci, quanto gli uomini, nel guidare partiti e nel ricoprire cariche elettive». Una controprova? «Ero presente all’incontro che la Schlein ha avuto con tantissime donne, studentesse universitarie, sindacaliste, madri di famiglie, consigliere comunali, docenti universitarie, legittime aspiranti leader politiche. Tra queste, Jasmine Cristallo e Maria Locanto, appena elette in direzione nazionale. Mi ha colpito, leggendo i giornali, una donna che, come e più delle altre, si è dichiarata vicina alla neo-segretaria: è Maria Albanese, di Palermo. Ha dichiarato che, all’inizio, la prendevano per pazza, visionaria. Tanto è che su 13 eletti in Sicilia, due sole le donne all’Assemblea regionale siciliana. Con Elly è convinta che possa partire una rivoluzione gentile, com’è partita a Palermo», dice. Si spera che possa partire anche in Calabria.

Un vento forte si è abbattuto, fino ad oggi, sul principale partito di opposizione, un vento così forte che i radar non l’anno segnalato, ha dichiarato Daniela Hamaui, per la quale sia la Meloni che la Schlein sono state premiate per quello che sono e per quello che potrebbero diventare. Vestirà il nuovo PD di slancio e curiosità: era alla “Nuvola” di Fuksas, ieri, alla proclamazione, quando si è detta pronta ad estirpare cacicchi e capibastone, “stiamo arrivando: è una nuova primavera”! Con il suo “Radicalità” anche l’ingegner De Benedetti è convinto che la giovane politica italiana potrebbe far primavera. Non sappiamo se verrà travolta dalle correnti e dall’impossibilità di volare in alto. Le ali, però, non se le farà facilmente tagliare. Ed “il soffitto di cristallo non si rompe da solo”! (gc)

 

L’OPINIONE / Gregorio Corigliano: Perché ha vinto Elly Schlein

di GREGORIO CORIGLIANO – C’è anche una spiegazione semplice semplice sul perché ha vinto Elly Schlein alle primarie del Pd. E bisogna ancora una volta rifarsi a quel che sosteneva Giulio Andreotti: il potere logora, ma chi non ce lo ha. In questo caso il potere ha logorato chi lo ha avuto.

Da Franceschini ad Orlando, da Guerini a Letta e compagnia piangendo, altro che cantando. Elly, 37 anni, ma che ne dimostra di meno –l’ho conosciuta ed apprezzata all’Università della Calabria- ha vinto perché il popolo che si riconosce nel Pd e dintorni – io sono nei dintorni – non voleva e non vuole avere a che fare con quanti hanno “distrutto” il Pd, dopo essersene serviti abbondantemente. Per cancellare la storia (e la geografia) dei vari leader che hanno tentato di sopravvivere facendo finta, in massima parte, di sostenerla, hanno scelto lei, l’italo-svizzera che non aveva nulla a che fare, o assai poco, con lorsignori di tessere e ministeri e che hanno fatto finta di servire il partito, del quale, invece, si sono serviti.

Il prezzo pagato? “Solamente” il sacrificio di gestire il potere, fare qualche comizio, andare da Floris o dalla Gruber, qualche volta da Bruno Vespa o da Formigli. Essenzialmente a far danni o a giustificare i loro comportamenti politici e di governo. Com’è accaduto al povero Letta che, pur bravissimo, ogni qual volta appariva in televisione faceva perdere voti al partito della stagione di Prodi e Veltroni, dei quali i non iscritti al pd si sono, con tutta evidenza, stancati. Rifacendosi all’Ecclesiaste, Martinazzoli diceva: «c’è un tempo per ogni cosa».

Lo ha ripetuto, immeritatamente anche a me, nel corso di una passeggiata in Sila, quando venne in Calabria, da ministro. E i leader di oggi, non avendolo voluto capire solo per tentare di sopravvivere, sono stati d’un colpo spazzati via. E non dagli iscritti al pd, che hanno preferito in maggioranza, l’altro leader pur bravo davvero, Stefano Bonaccini, mentre il popolo senza tessera e legami ha scelto Elly Schlein. Non volevano aver a che fare con quanti per dieci anni hanno avuto le mani in pasta dappertutto, senza esser riusciti ad avviare a soluzione un problema che la ggente (di curziana  memoria) si aspettava.

Mezzogiorno, ius soli, emigrazione, diritti dei deboli solo per accennarne alcuni. E la giovane Elly ha affascinato i più. Con capacità, stile, impegno. Udite udite: hai votato Schlein? Sì, perché sono uno dei tanti che, per il pd, è rimasto deluso, dal pd di ieri e che nutre speranze, da non iscritto, dal Pd di oggi e di domani, il Pd  schleinesiano (copyright!).Mi ha affascinato ed affascina Renzi, ma l’Azione(bloccata) con Calenda gli ha fatto innestare la marcia indietro, nel migliore dei casi quella della posizione in “folle”, cioè senza che venga inserita una marcia e gira senza essere accoppiata all’albero di trasmissione dell’auto. E chi lo dice che, nella nuova stagione della politica, la Schlein non guardi – oltre che alla sinistra – anche ai cattolici democratici?  Deve farlo. Stefano Cappellini, di Repubblica, se lo augura, la reggina vicedirettrice della Stampa, Annalisa Cuzzocrea, intervistata da Luca Bottura e Marianna Aprile, per Forrest (radiouno) le ha consigliato di non pensare, per ora, alle alleanze perché ha tanto da fare, dopo la inconcepibile durata della fase congressuale, che ha pure portato ai seggi più di un milione di elettori non iscritti.

Elettori che al Sud hanno scelto Bonaccini, ripeto bravissimo ed attrezzato, politicamente ed amministrativamente, ma sostenuto da Emiliano e De Luca e, purtroppo, dal giovane Irto mentre al Centro e al Nord (vorrà dire qualcosa?) hanno preferito la giovane Schlein. Ha indubbiamente suscitato, la giovane pasionaria, nuovo entusiasmo, che non è poco. Certo non è tutto: la vittoria e la scalata al Nazareno, è solo una speranza concreta.

Deve lavorare e concretamente per avere il successo che iscritti e simpatizzanti meritano. Il fatto che non abbia condiviso il ministro Piantedosi sugli emigranti morti di Crotone (“non dovevano partire e pensare ai propri figli!”) e si sia pronunziata per l’accoglienza dei poveri cristi con l’apertura dei porti (“la strage dei migranti pesa sulla coscienza del governo!”) come il vice presidente della Cei, mons. Savino (è la sconfitta della politica”) come ha anche egregiamente sostenuto il parroco di Botricello, don Morrone, ai colleghi del Tg1 e della Tgr, “la vita viene prima della morte” e “sono prima uomo che parroco”, lascia ben sperare. Il buon tempo, in genere, si vede dal mattino. La piccola rivoluzione è appena cominciata. (gc)

Primarie Pd, la Calabria la regione più “Bonacciniana” d’Italia

di SERGIO DRAGONELa Calabria è risultata la regione più “bonacciniana” d’Italia nelle primarie aperte che hanno incoronato Elly Schlein nuova segretaria del Partito Democratico.

Più “bonacciniana” della Campania e della Puglia, i cui governatori De Luca ed Emiliano erano apertamente schierati con il loro collega. Più “bonacciniana” della stessa Emilia Romagna, vale a dire la Regione di cui Stefano Bonaccini è presidente. 

Un risultato quello calabrese (65% per cento Bonaccini, 35% Schlein) che si presta a più di una riflessione.

Intanto, solo in Calabria c’è stata un’adesione così totale alla mozione di Bonaccini, praticamente il 95% della dirigenza e degli amministratori locali erano schierati con il governatore emiliano: il senatore-segretario regionale Nicola Irto, l’intero gruppo consiliare alla Regione a cui si è aggiunta anche l’indipendente Amalia Bruni, quattro segretari di Federazione su cinque, il sindaco sospeso di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, molti ex socialisti.

Ciò vuol dire che questo gruppo dirigente – a cui si devono ascrivere le ultime cocenti e rovinose sconfitte elettorali alla Regione prima contro Jole Santelli, poi contro Roberto Occhiuto – ha puntato tutte le sue carte di autoconservazione sul candidato che sulla carta appariva favorito e praticamente predestinato alla segreteria.

C’è stata in Calabria una corsa ad andare in soccorso del vincitore. Nicola Irto, in caso di vittoria di Bonaccini, avrebbe avuto probabilmente un ruolo di rilievo a livello nazionale e carta bianca su ogni decisione nella gestione del partito in Calabria.

Lo stesso istinto di autoconservazione ha attraversato i territori ed ha impedito al Pd calabrese di comprendere e di intercettare la ventata di novità rappresentata da Elly Schlein. Nei fatti, non l’hanno vista arrivare.

Così la ragazza con i jeans e lo zainetto (che peraltro le è stato rubato sul treno) si è dovuta “accontentare” di appoggi sporadici, molto significativi sul piano mediatico, ma che certo non manovravano truppe cammellate, come l’ex sardina Jasmine Cristallo, una che “buca lo schermo” come poche.

Il sostegno ad Elly del sindaco di Catanzaro Nicola Fiorita, che comunque non è iscritto al PD, è stato un po’ timido e istituzionale, ma c’è stato, tanto che nel Capoluogo si è verificato un sostanziale pareggio, con la Schlein vincente nella zona centro-nord della città e Bonaccini straripante nella zona a sud.

Se teniamo conto di queste condizioni di partenza, il 35% della Schlein nella regione più conservatrice d’Italia può apparire quasi un miracolo.

Resta il problema di questo gruppo dirigente del Partito Democratico calabrese, specialista in sconfitte e capace perfino, come ha argutamente osservato qualcuno, di perdere anche le primarie. Si, perché il 65% a Bonaccini nella sfida dell’innovazione del PD non è una vittoria, ma una sonora sconfitta perché consegna l’immagine di un partito non in sintonia con la spinta innovatrice di tutto il centro-nord e quindi delle aree più progredite del Paese.

Cosa succederà ora? Conoscendo le capacità camaleontiche dei politici calabresi, non è difficile immaginare che molti si precipiteranno alla corte della Schlein. Sicuramente non si dimetterà nessuno in attesa degli eventi. Io penso che nel dna di Elly non ci sia il sentimento di rivalsa e non ci sarà quindi nessuna testa tagliata.

Ci sarà però il problema di rinnovare profondamente l’impianto di un partito finora a guida patriarcale, teso a chiudere le porte ad ogni novità e non a caso puntualmente sconfitto. Il PD calabrese – che alle battaglie sui diritti e sul lavoro ha preferito l’autoconservazione – tocca rigenerarsi se vuole riproporsi seriamente nel 2026 alla guida della Regione come alternativa al centrodestra. (sd)

Elly Schlein è il nuovo segretario del Pd con il 53,8 % dei voti dei gazebo

Risultato a sorpresa dai gazebo per la scelta del nuovo segretario PD: Elly Schlein prevale su Stefano Bonaccini con il 53,8% dei voti. Sono andati a votare oltre un milione di persone: per la prima volta il risultato del voto ai gazebo ribalta il voto espresso dagli iscritti. Ricordiamo che hanno potuto votare anche i non iscritti al Pd.

Stefano Bonaccini, dato per vincente, ha ammesso la sconfitta congratulandosi con la sua avversaria: «Un applauso a Elly Schlein, in bocca al lupo per la grande responsabilità che assume alla guida del partito». La Schlein a risultato concluso, dalla sede del suo comitato elettorale ha detto che «Il partito è vivo, avrà una linea chiara».

«Saremo– ha poi detto il neo-segretario Schlein – un bel problema per il governo di Giorgia Meloni. Da oggi noi daremo un contributo a organizzare l’opposizione in Parlamento e in tutto il Paese a difesa dei poveri che il governo colpisce e non vuole vedere.  Abbiamo vinto, insieme fatta una piccola grande rivoluzione. Anche stavolta non ci hanno visto arrivare. Non dobbiamo tradire questa fiducia. Mi hanno colpito tanto le donne di più di cento anni che sono andate a votare per me e che hanno detto che erano novanta anni che aspettavano di votare per una segretaria». (rrm)