La Santa ‘Ndrangheta di Pantaleone e Anna Sergi

Il libro La ‘Santa’ ‘ndrangheta di Pantaleone Sergi, ripropone a distanza di 30 anni, con l’integrazione di una criminologa esperta di mafia, Anna Sergi, figlia dell’autore, il libro La ‘Santa’ violenta, con la presentazione di Enzo Ciconte.

Cos’è cambiato in questi trent’anni? Sembra cambiato tanto eppure non sembra essere cambiato molto. Quello che era indagine, è diventato sentenza. Quello che era intuizione è diventato analisi. Quello che era rischio è spesso diventato realtà. Un libro, insomma, che si è trasformato nel mentre il mondo è cambiato e la ’ndrangheta da “violenta” si è fatta “contesa”.

La ‘Santa’ violenta di Pantaleone Sergi, già inviato speciale di Repubblica, è stato uno dei primi testi sulla ’ndrangheta, pubblicato nel 1991, dopo la stagione dei sequestri di persona e la cosiddetta “pax mafiosa”. Un besteseller e un longseller. Ripercorre con lucidità, empatia e spunti critici, quella che è stata la trasformazione della ’ndrangheta in Santa, un’organizzazione criminale che non si accontenta più dell’accumulazione di denaro, ma vuole usare quel denaro per conquistare fette di potere, politico ed economico, in Calabria e altrove. Questa trasformazione, ci racconta Pantaleone Sergi, è stata certamente violenta.
Trent’anni dopo, alla penna esperta di Pantaleone Sergi, che la storia della ’ndrangheta negli anni Settanta, Ottanta e Novanta l’ha narrata in diretta, si accompagna un’analisi critico-accademica di Anna Sergicriminologa, docente all’Università di Essex nel Regno Unito, e affermata ricercatrice del fenomeno mafioso e ’ndranghetista in Italia e all’estero.
In questa raffinata pubblicazione dal titolo «La Santa ‘ndrangheta. Da “violenta” a “contesa”», edita dalla Casa editrice Pellegrini nella Collana «Ossidiana. Teoria cultura e vita quotidiana» e da pochi giorni in libreria, Anna Sergi riprende l’eco della violenza mafiosa che «La ‘Santa’ violenta» aveva raccontato e si chiede cosa sia cambiato.
La Santa ’ndrangheta è ancora violenta? No, adesso «la ’ndrangheta è una mafia a cui piace piacere, non spaventare, se non quando è strettamente necessario».
E se non è più violenta, cosa fa, cosa è diventata? È diventata, tra le altre cose, una Santa ‘contesa’ per quattro motivi: l’unitarietà, la violenza dei clan, la loro mobilità e l’essenza stessa della Santa, come organizzazione cerniera con politica ed economia del territorio.
Queste pagine – la Santa ‘contesa’ e la Santa ‘violenta’ – lette in successione, ci ricordano quanto sia fondamentale preservare la memoria storica di certi anni per arricchire le analisi di oggi. (dl)

CALABRIA, LA DEMOCRAZIA È ATROFIZZATA
TAGLIO COL PASSATO E STOP COMPROMESSI

di ENZO CICONTE – I mafiosi votano, ormai lo sanno tutti. Soprattutto la ‘ndrangheta che ha dimostrato di saper indirizzare le preferenze in Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio, come i fatti dell’ultimo decennio hanno ampiamente dimostrato. E dunque bisogna scoraggiare in ogni modo questo voto nelle imminenti elezioni comunali di Milano. Bologna. Roma. Nessuno si può chiamare fuori. È un problema che riguarda tutti. Per evidenti ragioni la Calabria, di cui pochi s’occupano in tempi normali, acquista in questa tornata elettorale un significato particolare perché chi vincerà le elezioni gestirà i soldi, e sono davvero tanti!, in arrivo dall’Europa. Non è secondaria, dunque, la qualità degli eletti. Qui, più che altrove, la politica è tutto, decide tutto, persino le sorti individuali e la vita concreta delle persone, perché la spesa pubblica è stata la greppia usata per ingabbiare la società civile, ha sopito le spinte di cambiamento e ha governato con l’ausilio anche della corruzione processi sociali e carriere personali avendo costruito nel corso degli anni un sistema diffuso di illegalità e un blocco di interessi diffusi sociali, economici, politici che si frammischiavano con la ‘ndrangheta. È del tutto evidente che qui c’è un grande problema di classi dirigenti e di personale politico. Intendiamoci bene: la Calabria non è un’eccezione; i processi che si manifestano in questo territorio accadono, seppure diversamente, anche altrove. La crisi della classe dirigente è una crisi nazionale, come dimostra l’eccezionalità del governo Draghi, ed in Calabria è amplificata e complicata per la storia recente della regione. A maggior ragione è molto più determinante ed urgente la selezione delle classi dirigenti politiche stante la crisi permanente dei partiti e la deriva dei Cinque stelle.

Democrazia atrofizzata

Tutti i partiti da tempo non hanno una reale vita democratica. Il Pd è da anni commissariato a livello regionale e a livello provinciale (3 commissari provinciali su 5 province). Il partito che si dice democratico ha un processo in apparenza inarrestabile di verticalizzazione delle decisioni. Contano gli eletti, non gli iscritti; e gli eletti, si sa, tendono a perpetuare la loro permanenza dentro le istituzioni, e per fare ciò devono comprimere e mettere ai margini chi possa insidiarli o essere un possibile e temibile concorrente. Così facendo le migliori energie {donne e giovani, che ci sono e sono davvero tanti) non contano nulla e tendono a ritrarsi, a non impegnarsi in prima persona. Il rischio è che i candidati, in questo quadro, per affermarsi facciano ricorso al voto mafioso e al finanziamento mafioso, perché le campagne elettorali hanno un costo elevato. Cosa fare per impedire questa deriva o per arginarla? Si possono fare tante cose. L’onorevole Roberto Occhiuto, candidato presidente del centrodestra, propone che sia la Commissione antimafia a vagliare le candidature prima che i partiti formalizzino le scelte e non dopo aver compilate le liste, come vuole la legge. Capisco l’intento, e lo apprezzo, ma non mi convince perché si dà l’impressione che la scelta, invece che sul candidato presidente, ricada sulla Commissione antimafia che verrebbe a svolgere un ruolo improprio.

Le candidature devono essere proposte dai partiti o dai responsabili delle liste civiche e approvate in via definitiva dal candidato presidente che si assume per intero la responsabilità politica perché tutti i candidati si richiamano al suo nome. Non c’è una soluzione valida in assoluto.

Un impegno pubblico

Io credo, e lo vado ripetendo da mesi, che è molto utile, dal punto di vista morale e culturale, chiedere ai singoli candidati la sottoscrizione di un impegno pubblico e formale a non accettare i voti della ‘ndrangheta e a respingerli in caso fossero offerti. So bene che questa proposta non è risolutiva: la storia di Montante è lì a farci da monito. Eppure sono convinto che se tutti i candidati sottoscrivessero un simile impegno sarebbe un segnale potente per gli uomini della ‘ndrangheta che vivono anche di simboli e sono alla ricerca del consenso. Devono sentire che sono disprezzati. Vorrei che il mafioso avvertisse su di sé il fatto che la sua persona fa tanto schifo che il candidato a cui si appresta a dare i voti non li potrà accettare né chiedere pubblicamente. E gli elettori devono sapere di poter votare per una persona che, almeno a parole e pubblicamente, esprime una ripulsa verso i mafiosi e che non avrà alibi di sorta se tradirà questo impegno sottoscritto solennemente. Io faccio appello a tutti i candidati presidenti, nessuno escluso: fate sottoscrivere questa dichiarazione a tutti i candidati che vi sostengono. Non vi convince questa proposta? Fatene un’altra, si apra una discussione pubblica; ma bisogna sapere che occorrono azioni concrete, visibili. Tra queste io annovero il ricambio radicale della rappresentanza politica che tagli i ponti con il passato recente e chiuda con la pratica compromissoria dove non c’è stato un confine netto tra maggioranza e opposizione perché tutto accadeva in una terra di nessuno dove tutto si mischiava, si arrotolava in compromessi indicibili e indecenti che hanno bloccato il rinnovamento della Calabria e degli stessi partiti. (ec)

[courtesy Domanieditorialedomani.it]

RENDE (CS) – Il webinar sulla storia delle mafie con Enzo Ciconte

È in programma per questa sera, alle 20.45, sulla pagina Facebook e Youtube di Calabria News 24, il webinar sulla storia delle mafie con il prof. Enzo Ciconte, autore del libro Alle origini della nuova ‘ndrangheta. Il 1980 edito da Rubbettino.

L’evento rientra nell’ambito del 10° ciclo seminariale Barbiana 2040 a.a. 2020-2021 per una scrittura collettiva contro le mafie del laboratorio di Pedagogia dell’Antimafia all’Università della Calabria.

Introducono Giancarlo Costabile, laboratorio di Pedagogia dell’Antimafia all’Unica, e Michele Inserra, giornalista de Il Quotidiano del Sud – l’Altravoce dell’Italia. Relaziona Enzo Ciconte.

«Con il saggio del prof. Ciconte, tra i maggiori esperti mondiali di storia delle mafie – ha dichiarato Giancarlo Costabile – vogliamo approfondire il momento di trasformazione della ’ndrangheta da mafia agropastorale a holding del crimine mondiale, indagando sia le responsabilità delle classi governative dell’epoca sia i generosi tentativi di contrasto al fenomeno posti in essere dalPartito Comunista Italiano. Le ‘morti rosse’ di Peppe Valarioti a Rosarno e Giannino Losardo a Cetraro, conclude Costabile, sono in quegli anni il prodotto della resistenza che una generazione di comunisti ha provato ad esercitare anche in Calabria contro il potere mafioso in un diffuso contesto di complicità e contiguità». (rcs)

Alle origini della nuova ‘Ndrangheta. il 1980
di Enzo Ciconte

Due sono soprattutto le novità nel bel libro di Enzo Ciconte “Alle origini della nuova ‘ndrangheta. Il 1980” (Rubbettino, pp. 204) dove ravvisiamo in primis la valorizzazione e conoscenza delle figure di Peppe Valarioti e Giannino Losardo, che attendono ancora giustizia, con contestuale riferimento agli ambiti politici di quegli anni lontani ma non troppo, comunque difficili… Sono passati quaranta anni esatti dalla loro uccisione. Ciconte è docente di Storia delle mafie italiane presso l’Università di Pavia…

Ricordiamo intanto cosa accadde in quegli anni. A Palermo, il 6 gennaio 1980, viene ucciso dalla mafia il Presidente democristiano della Regione Siciliana Piersanti Mattarella; i costruttori romani Caltagirone sono coinvolti nello scandalo nazionale Italcasse; lo scandalo dei petroli che coinvolse alti ufficiali della Guardia di Finanza come il Comandante Generale Lo Giudice e il Ministro democristiano Bisaglia. Il finanziere Michele Sindona è arrestato negli USA per il fallimento della Franklin National Bank, e indiziato in Italia per l’omicidio Ambrosoli.Molti sono i morti per mafia e terrorismo: il 12 febbraio a Roma Vittorio Bachelet, Vicepresidente del CSM e docente universitario, è assassinato dalle B.R. all’interno dell’Università; il 19 marzo a Milano il Giudice Guido Galli viene ucciso da Prima Linea; il 28 maggio a Milano viene ucciso il giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi. Il 27 giugno un aereo dell’Itavia con a bordo membri dell’equipaggio e settantasette passeggeri, che da Bologna deve raggiungere Palermo, viene abbattuto da missili “misteriosi” nei cieli sopra Ustica; il 2 agosto a Bologna una bomba esplode nella sala d’attesa della stazione causando ottantacinque morti e centinaia di feriti. In autunno, lo scontro sociale in atto nel paese vede sfilare a Torino, ferita dalla cassa integrazione per decine di migliaia di operai della Fiat e dell’indotto, la” Marcia dei quarantamila” che manifestano per il ritorno alla normalità della vita e della città… L’anno si chiude con il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre che provocò circa tremila morti, diecimila feriti e centinaia di migliaia di sfollati, dando inizio alla guerra di camorra per la spartizione degli utili (Cutoliani e Nuova Famiglia)…

Tornando alle vicende della Calabria, l’emergere della potenza ‘ndranghetista non si può capire senza soffermarsi sulla questione sociale calabrese di cui i moti di Reggio Calabria del 1970 sono il faro… Dietro la protesta per l’assegnazione a Catanzaro di divenire capoluogo regionale, esiste un grande malessere per la situazione complessiva della regione, per la mancanza di lavoro e per l’emigrazione… nonostante gli importanti progetti programmati dal Ministro Dc Emilio Colombo, quali il Quinto Centro Siderurgico di Gioia Tauro, la Sir di Lamezia Terme, la Liquichimica di Saline Joniche che non decolleranno mai.

Nel libro in esame si è trattato dell’inizio dell’azione politica e delle nuove strategie della ‘ndrangheta, che è penetrata nella politica, nei partiti, nelle istituzioni e nella massoneria; la mafia che s’impadronisce della Calabria e diventa la mafia più temibile d’Italia. Una storia non nuova che spiega quel che accade oggi. Mitica la figura di Valarioti che riteneva che la politica e in primis la cultura, fossero validi mezzi contro la ‘ndrangheta anche per assicurare importanti opportunità ai giovani della sua regione…
Il grande Giorgio Bocca, in un’intervista, disse “…in Italia se si fa un passo in avanti, qui (in Calabria) se ne fanno due indietro… forse per alcune cose è sempre peggio”. Racconta anche di Rosarno, della morte di Peppe Valarioti e della battaglia di Peppino Lavorato, che fu sempre vicino agli operai, ai disoccupati, ai giovani per difendere e garantire la tutela dei diritti Costituzionali… E aggiunse: “… per quale maledizione della storia, per quale fatalità geografica noi italiani del nord e del sud non riusciamo a fare di questo Paese un paese unito… nessuno si è occupato di capire la ragione vera di questo arretramento… La radice è storica. Ma non riesco a capire quale è, perché ci sia questa perseveranza nel male… C’è il sud peggiore del Mediterraneo… mi sono fatto la convinzione che le mafie sono parte costituente della politica italiana, perché credo che ci sia la necessità che esistano…”. (Raffaele Vacca)

Alle origini della nuova ‘Ndrangheta. il 1980
di Enzo Ciconte
Rubbettino Editore – ISBN 9788849862300