di ALESSANDRA BALDARI – Ennesima aggressione ad una dottoressa di continuità assistenziale, ancora una volta una donna, forse la più traumatica in quanto la dinamica con cui si è consumata sottende il pericolo che si sia trattato di un tentativo di violenza sessuale presso il domicilio del paziente.
Esprimiamo non solo la vicinanza alla giovane dottoressa, ma anche tutta la nostra indignazione e preoccupazione per un gesto vile e inquietante su cui attendiamo che gli inquirenti facciano velocemente chiarezza. Tuttavia riteniamo che non sia più possibile che il personale sanitario della nostra regione sia esposto ad aggressioni ripetute sia nei luoghi in cui si eroga direttamente assistenza, ma anche sulle ambulanze, presso i domicili, ai Cup o ovunque.
È del tutto anomalo e inaccettabile che chi lavora debba provvedere a munirsi di scorta familiare per affrontare un pericolo ipotetico da mettere in conto nell’espletamento di funzioni di cura e assistenza a pazienti che dovrebbero, invece, accogliere l’intervento dei professionisti sanitari come atto salvifico del proprio benessere e della propria salute. Sono necessarie maggiori e diffuse tutele per mettere fine a condizioni di rischio incomprensibili riguardo le professioni sanitarie. Questa che sembra una contraddizione in termini, un paradosso, ha origini che affondano in troppi anni di discredito dei sanitari pubblici vittime piuttosto di non essere messi nelle condizioni di dare risposte ai cittadini.
Diciamo “Basta!” alle aggressioni e non ci “Basta” più la solidarietà e l’indignazione. Riteniamo che chi svolge un lavoro così importante e che sente sulle proprie spalle e sulla propria coscienza la responsabilità dell’altrui benessere debba essere tutelato, fisicamente, moralmente e socialmente. Consideriamo assurde e insensate le polemiche di questi giorni che additano quali “imboscati” i lavoratori e le lavoratrici dichiarati inidonei o parzialmente idonei al ruolo e alla funzione per cui sono stati assunti, con certificati medici specialistici che supportano le decisioni dei medici competenti. Infatti, sarebbe consigliabile, piuttosto che sollevare dubbi e sospetti generici sui “grandi numeri”, provare a comprendere che nelle nostre strutture sanitarie l’età media elevata delle lavoratrici e dei lavoratori dovuta al lungo blocco delle assunzioni, insieme a carichi di lavoro inadeguati, mancati riposi, assenza di sollevatori meccanici per pazienti, sommati alle statistiche delle patologie che esistono mediamente nella popolazione ( non risulta che i sanitari abbiamo un dna diverso o sistemi immunitari rinforzati), sono tutte cause che concorrono a creare fragilità o inidoneità al ruolo delicato e impegnativo da svolgere.
In sintesi, sarebbe molto più utile provare a comprendere quali siano le condizioni di lavoro, dove insistono i maggiori disagi e quali conseguenze una cattiva qualità di date condizioni riverbera sui pazienti una assistenza insoddisfacente che, a volte, genera insofferenza e violenza. Intendiamo sottolineare che non saremo mai paladini di chi ha perpretrato abusi o ha approfittato di posizioni funzionali convenienti per conseguire altri scopi, quelli vanno certamente corretti.
Alimentare però sospetti diffusi, danneggia la già difficile condizione di chi svolge un lavoro”usurante”, impegnativo e di grande responsabilità fondato su un affidamento fiduciario ineludibile e lo fa ancora con mezzi insufficienti, poche risorse e un salario inadeguato. Siamo pienamente convinti che vada sostenuto e difeso il Servizio Sanitario Pubblico, essenziale per garantire il diritto universale alla salute, per farlo non si può che partire dalle donne e dagli uomini che erogano i servizi e le prestazioni, tutelandone la sicurezza e la salute, migliorando le condizioni di lavoro e i salari ed evitando di alimentare narrazioni negative che allontaneranno definitivamente molti dall’intraprendere professioni bellissime, almeno qui in Calabria. (ab)
[Alessandra Baldari è segretaria generale di Fp Cgil Calabria]