di MARIACHIARA MONACO – Si chiama Giuseppe Samà, ed è il golden boy dell’architettura newyorkese.
Partito da un piccolo paesino della sulla costa tirrenica cosentina, con tanti sogni e aspirazioni in valigia, ha conquistato la Grande Mela, con il suo talento e la sua classe, tutta made in Italy.
Egli, dopo la laurea in architettura a Roma e un master in restauro monumentale, ha deciso circa 12 anni fa, di oltrepassare l’Oceano e di mettersi alla prova, all’interno di una realtà completamente diversa da quella italiana, dove però ha trovato il modo di esprimere al meglio la sua idea di design.
«Era il 2012 quando è nata l’idea di fare qualche esperienza all’estero. L’ambizione e la voglia di confrontarmi con un’altra cultura e migliorare dal punto di vista professionale erano troppo grandi. All’inizio è stato molto difficile, ma poi nel 2016, dopo diversi colloqui di lavoro, cinque studi di architettura mi hanno assunto e sponsorizzato per il visto lavorativo. L’America offre a tutti, ma proprio a tutti, l’opportunità di realizzarsi, anche se questo non significa che tutti ce la fanno. Anzi, molti abbandonano subito l’idea di vivere qui e rientrano al proprio paese di origine. – continua – I primi due anni sono stati difficili, lavoravo come un dannato arrivando fino a 16 ore al giorno, ma non perché fossi costretto a farlo, ma perché era forte la voglia di affermarmi».
A piccoli passi, Samà diventa Associate Architect per Fzad Architecture & Design, studio che vanta clienti come Max Mara, Davide Cenci, Jacob & Co., Tommy Hilfiger. Tutti nomi importanti, simbolo dell’economia a stelle e strisce.
«New York – racconta – è uno stile mentale, estetico, di vita. La gente viene qui perché aspira ad essere nella città che darà loro la libertà di fare quello che vogliono e realizzare le loro aspirazioni, i loro sogni».
E, proprio nel 2020, in piena pandemia, il giovane realizza il suo più grande sogno, decidendo di camminare da solo, e fondando il suo studio di architettura e design: “Giuseppe Samà Architect”.
La sua è stata una scommessa vinta, viste le numerose richieste che ogni giorno pervengono in sede, pur mantenendo la semplicità e l’umiltà che sono non comuni in chi raggiunge grandi risultati come i suoi.
«Se tutto è così veloce, è per l’ottimo sistema burocratico. Qui non esiste che tu debba aspettare dai sei ai nove mesi per ottenere un permesso di costruire. Devi aspettare così tanto tempo solo se il progetto riguarda un grattacielo. Negli Stati Uniti il tempo è denaro, ed un costruttore non si può permettere di aspettare a lungo».
In questi anni il Golden boy dell’architettura ha realizzato progetti, anche molto ambiziosi, come la realizzazione degli interni di un attico, nel grattacielo residenziale più alto al mondo, e nella “Billionaire’s Row”, (la strada dei miliardari) di New York City.
Ma ci sono anche altri progetti, che il giovane architetto calabrese sta portando a compimento, come l’ideazione di una catena di locali italiani, trapiantati negli Usa, come Numero 28, rinomato ristorante che a New York ha sei location, altre a Miami, Austin (Texas), Londra. Un luogo concepito come uno spazio di ricerca, dove gli interni e la costruzione stessa fanno da cornice a cibo e cocktail, e dove i cosmopoliti abitanti di New York, amano rifugiarsi e rilassarsi.
«In ogni progetto che faccio lo stile italiano è tutto. Non faccio altro che dare libero sfogo alla mia fantasia utilizzando materiali come il vetro, il legno e l’illuminazione. Questa è una cosa unica perché alla fine dei lavori il risultato è proprio quello che inizialmente avevi ideato. Ed il fascino di questa meravigliosa professione è il fatto che ti dia la possibilità di dare vita a cose che ancora questo mondo saturo, in tutto e per tutto, non è stato in grado di creare». (mm)