In Calabria cade il vincolo di esclusività degli infermieri

Anche in Calabria è caduto il vincolo di esclusività degli infermieri. Ciò permetterà agli infermieri calabresi dipendenti di esercitare la libera professione oltre l’orario lavorativo istituzionale presso altri enti del Servizio Sanitario Regionale, strutture private (anche) accreditate o anche in favore di singoli utenti.

Un punto d’arrivo che segue il via libera contenuto nella legge 26 maggio 2023, di conversione del decreto legge n. 34 dello stesso anno, nella quale erano confluite le indicazioni fornite dalla Conferenza delle Regioni.

Sono già diversi i regolamenti attuativi della procedura di rilascio delle autorizzazioni adottati, o in via di attuazione, dalle Asp (in quella di Catanzaro è già in vigore) o da altre Aziende del territorio regionale.

Giovanna Cavaliere, presidente di Opi Catanzaro, esprimendo soddisfazione e orgoglio per il risultato, ha evidenziato come, così, si «apre una nuova stagione per la nostra professionalità e la nostra incidenza sul territorio».

«Siamo di fronte –  hanno aggiunto dall’ Ordine delle Professioni Infermieristiche di Catanzaro – a un passo gigantesco per l’idea di assistenza che si apre al territorio».

«Anche grazie all’attuazione del Pnrr – hanno proseguito – saranno notevoli i benefici di cui si avvantaggeranno le cure a domicilio e il comparto sanitario nel suo complesso considerato».

«A trarne i maggiori benefici, com’è facile intuire – hanno spiegato – le categorie svantaggiate, che potranno godere di un servizio aggiuntivo, eliminando il difficile, e spesso “chilometrico”, impegno di spostarsi per raggiungere ospedali e ambulatori».

L’Ordine degli Infermieri di Catanzaro, inoltre, espresso un plauso al consigliere regionale Antonello Talerico, «per avere seguito e monitorato con dovuta compiutezza l’intera vicenda e con il quale l’Ordine, attraverso la presidente Cavaliere, si è più volte positivamente interfacciato su problemi e questioni di primo rilievo, tra cui, ovviamente, il vincolo di esclusività».

All’indirizzo del consigliere Talerico numerosi sono stati, infatti, i solleciti con cui la presidente Cavaliere ha chiesto con ripetizione delucidazioni  oltre che interventi decisi e concludenti per risolvere definitivamente e positivamente la vicenda.

«Un sincero grazie glielo dobbiamo –  ha evidenziato ancora l’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Catanzaro – sia per la determinazione, sia per la incisività con cui ha preso a cuore la problematica, dimostrando di essere politico che su questioni di rilevanza particolare agisce indipendentemente dagli steccati ideologici e di appartenenza».

«A lui, dunque – ha aggiunto l’Opi Catanzaro – ma anche al commissario dell’Asp di Catanzaro Antonio Battistini, che ha impresso sin dall’inizio un cambio di passo al divenire della soluzione, il merito di aver guardato oltre con un occhio particolarmente attento ai fabbisogni dei pazienti calabresi e compreso che su certe materie non si può e non si deve perdere tempo».

Poi la chiosa con «l’auspicio che altri seguano il suo esempio in modo da imprimere la definitiva e positiva accelerata della sanità calabrese». (rcz)

LA DENUNCIA / Gli infermieri dell’AOUD Dulbecco di CZ: «Siamo infermieri monouso»

Riceviamo e pubblichiamo

Siamo infermieri precari dell’AOU Dulbecco di Catanzaro, del presidio Pugliese-Ciaccio. Ad agosto 2023 abbiamo partecipato ad una manifestazione di interesse per sostituire il personale assente a vario titolo (gravidanze, malattie, infortuni, aspettative, ecc…).
Da ottobre 2023 abbiamo preso servizio e ci era stato detto che la graduatoria sarebbe durata due anni e che quindi, per due anni, avremmo lavorato anche se con qualche probabile periodo di pausa tra un incarico e l’altro. Dopo nemmeno due mesi,  ci viene invece comunicato che l’azienda non intende più sostituire il personale assente e quindi ci manderà a casa. Bisognerebbe però considerare che siamo persone e non numeri, e che abbiamo famiglie con figli piccoli, e che alcuni di noi hanno lasciato un contratto indeterminato nel privato con la certezza che per almeno due anni avremmo lavorato.
Non è corretto cambiare le carte in tavola una volta iniziato il gioco, e soprattutto unilateralmente, senza averci interpellato, senza aver pensato al nostro futuro e senza nemmeno darci una spiegazione. Ci è stato detto che le sostituzioni non si possono più fare, per un decreto (forse della Regione Calabria) emanato a fine dicembre. Ma la cosa non ci torna, in quanto l’asp di Reggio Calabria il 31 gennaio c.a., ha assunto alcuni infermieri per sostituzioni, con le stesse caratteristiche dell’avviso di Catanzaro.
In ogni caso, di chiunque sia la responsabilità, vorrei ricordare a queste persone che noi siamo quegli infermieri/e che si prendono cura di loro e dei loro cari, quando vengono al pronto soccorso e in ospedale. Lo stesso Governatore e i suoi familiari, sono stati assistiti e accolti da quegli infermieri che adesso verranno messi alla porta.
Nella graduatoria eravamo circa 100 infermieri (tra l’altro tutti vincitori di concorso), e quelli che hanno avuto un incarico siamo circa 30/40 infermieri.
Alcuni di noi si sono visti già arrivare la Pec con la comunicazione del termine del rapporto di lavoro, senza rispettare nemmeno i 15 giorni di preavviso e soprattutto senza rispettare quello che c’è scritto sul contratto, e cioè: “che il rapporto sarebbe terminato al rientro del titolare”.
In molti casi, le lavoratrici titolari, finiti i tre mesi di maternità obbligatoria, non sono comunque rientrate a lavoro, e ciò avrebbe dovuto comportare la prosecuzione della nostra sostituzione, ma nonostante ciò, l’azienda ha comunque licenziato gli infermieri.
Questo è un comportamento totalmente irrispettoso delle più elementari regole di civiltà e di tutela della dignità dei lavoratori. Questa costante mancanza di rispetto è il motivo per cui oggi sempre meno giovani decidono di fare l’infermiere. A quale pro? Per essere usati al bisogno e poi gettati nella spazzatura come un qualsiasi prodotto monouso? E cosa importa se nel cesto dei rifiuti ci finiscono persone, famiglie, figli, sogni, speranze, anni di studio! Tanto siamo infermieri monouso. (rcz)

L’OPINIONE / Fausto Sposato: “Imboscati” termine che mortifica qualsiasi tipologia di lavoratore

di FAUSTO SPOSATO – “Imboscati” è un termine che onestamente mortifica qualunque tipologia di lavoratore. Generalizzare non fa altro che porre tutto sullo stesso piano.

Semmai c’è bisogno di una ricognizione seria del personale ed una eventuale ricollocazione per le competenze acquisite; noi su questo abbiamo detto la nostra più volte e non possiamo che esserne felici ma in questo momento c’è la necessità di dare risposte ai bisogni dei cittadini e soprattutto di reclutare personale sanitario. Sarebbe il caso di pensare una mobilità extra regionale per poter far rientrare tutti quei colleghi che non ce la fanno più a sostenere le spese per il caro vita nelle altre regioni e che vorrebbero tornare in Calabria. Utilizzare le graduatorie esistenti per dare ossigeno ai lavoratori.

Intanto dobbiamo dire che utilizzare il termine “imboscati” nella sanità non sembra appropriato perché nell’immaginario collettivo si pensa a qualcuno che non ha voglia di fare nulla. Non è esattamente così. Ad onor del vero, però, bisogna dire che molto personale sanitario è stato utilizzato in altre mansioni proprio per carenza di personale amministrativo ma che oggi, a distanza di tempo, è diventato indispensabile per quel servizio.

Semmai, bisognerebbe chiedere alle aziende di cambiare o modificare il profilo a questo tipo di personale che svolge un lavoro diverso rispetto al profilo di assunzione. Addirittura in categorie diverse che non appartengono, probabilmente, al ruolo sanitario. Perché succede questo? Questo perché molti hanno delle limitazioni perché abbiamo una categoria di operatori sanitari anziani, soprattutto gli infermieri sopra i cinquantadue anni: questa è la media nazionale. Per cui diventa normale il manifestarsi di alcune limitazioni. Non tanto per difendere la categoria, ma a tutela di quegli operatori che hanno delle limitazioni reali, per cui basterebbe fare una ricognizione seria del personale e ricollocare cambiandone il profilo.

Siamo convinti che avremo meno bisogno di personale amministrativo, meno bisogno di personale tecnico ma più bisogno di personale sanitario, di infermieri, di medici, di tecnici sanitari e di operatori di supporto. Poi, resta il gap di fondo: quasi ottomila unità in meno di operatori nella sanità pubblica. Infermieri? Ne mancano più di tremila per poter garantire anche l’assistenza domiciliare e poter mettere in atto quanto previsto dal decreto ministeriale settantasette e dal Pnrr per aprire gli ospedali di comunità ad esempio.

Anche perché il personale è stanco, lo ribadiamo ancora una volta. Stanco non solo per il carico di lavoro ma anche delle aggressioni che subiscono da pazienti e da parenti di pazienti. Ma anche di quei personaggi che si rivolgono agli ospedali e poi si scagliano contro, fomentati da chi vede negli operatori della Sanità pubblica gli unici responsabili di questo degrado. Gli infermieri sono stati sempre in prima linea. Gli infermieri continueranno ad essere in prima fila ma gli infermieri cercano risposte ancora oggi a quelli che sono i nuovi percorsi da attivare anche negli ospedali.

Abbiamo infermieri che hanno capacità manageriali, che potrebbero gestire molti processi e fare in modo di recuperare altre figure professionali. Ci aspettiamo di essere convocati ai tavoli per poter dire anche la nostra.

Prima di tutto, ad ogni modo, si metta ognuno al proprio posto, nel rispetto delle competenze acquisite che oggi sono un patrimonio anche per la stessa azienda. In ultimo ci piacerebbe che gli utenti che beneficiano delle competenze e delle prestazioni dei sanitari avessero maggiore rispetto di chi, in quel momento, sta cercando di dare risposte ai bisogni dei pazienti e sostegno alle moltitudine di richieste da parte dei parenti. (fs)

[Fausto Sposato è presidente dell’Ordine Professioni Infermieristiche Cosenza]

 

Indagine di Nursing up, infermieri e personale sanitario non soddisfatto delle condizioni di lavoro

Gli infermieri italiani non sono soddisfatti. Ed è un dato molto preoccupante visto il delicato lavoro che ogni giorno svolgono. La voce degli infermieri italiani e degli altri professionisti dell’assistenza che lavorano nella nostra sanità pubblica, i loro pensieri e gli stati d’animo quotidiani sulla realtà che li circonda, di cui fanno parte, e anche sui fatti della stretta attualità: dallo scorso novembre, attraverso i propri strumenti social, lanciando una serie di sondaggi sulle tematiche chiave che riguardano proprio i professionisti della sanità, il sindacato Nursing Up sta raccogliendo preziose testimonianze, che diventano spesso oggetto di dibattito da parte degli stessi infermieri e professionisti dell’assistenza.

I risultati dell’indagine, evidenziano che i nostri professionisti sono costantemente informati, spesso studiano fino in fondo le normative che li riguardano, tra diritti e doveri. Vogliono essere sempre più protagonisti del proprio presente e del proprio futuro, amano il percorso che hanno scelto, ne comprendono il valore, si sentono orgogliosi di indossare la propria divisa, la maggior parte di essi non rinnega affatto i sacrifici che caratterizzano il proprio vissuto quotidiano.

Tuttavia sono pienamente consapevoli che la sanità di cui fanno parte sta vivendo una profonda crisi, e non sono certo disposti ad accettare passivamente le iniquità. L’insoddisfazione serpeggia, tra coloro che hanno risposto al Survey, e li accomuna un malcontento generale.

Gli infermieri inoltre, seguono, con estrema attenzione le evoluzioni della politica sanitaria, e naturalmente confidano, più che mai in questo momento storico, che qualcosa possa finalmente cambiare. Sostengono le azioni di lotta e sollecitano il sindacato nella sua attività di denuncia quotidiana.

«Abbiamo raccolto le loro testimonianze, ed è emerso in modo palese che oltre il 90% degli interventi si incentra sulla più delicata delle questioni, quella degli stipendi. Non sono per niente soddisfatti della propria retribuzione. Oltre il 90% degli intervistati, ritiene senza mezzi termini di non sentirsi valorizzato, addirittura non sono poche le testimonianze di chi, dopo oltre un decennio di attività sul campo, ancora giovane, sotto i 50 anni, avrebbe voglia di abbandonare il nostro SSN, e di passare volentieri alla libera professione». Così Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up.

Ecco le altre importanti richieste che emergono dall’indagine: chiedono meno stress, meno turni massacranti, più spazio per la famiglia e i propri affetti. Non è solo economica quindi la ragione che spinge molti dei professionisti intervenuti al nostro dibattito a manifestare la palese intenzione di rassegnare le dimissioni dalla sanità pubblica. Per alcuni è solo un pensiero costante, per altri si profila già l’intenzione di agire».

«In particolare ci hanno colpito, continua De Palma, le dichiarazioni di una giovane infermiera di appena 38 anni, sono il sintomo evidente di un malcontento generale di cui Governo, Regioni, aziende sanitarie, dovrebbero tenere conto».

«Abbiamo una eccellente formazione universitaria, mettiamo in gioco solide competenze, siamo in grado di gestire elevate responsabilità»…. Ed ancora, parlando della media dello stipendio: «… non è assolutamente equiparata al carico fisico-emotivo a cui siamo sottoposti ogni giorno, all’approccio non solo scientifico, ma anche umano che sappiamo offrire ai pazienti. Il piatto della bilancia è decisamente disequilibrato tra responsabilità/autonomia professionale e una valorizzazione economico-contrattuale che attendiamo da tempo e che sembra non arrivare mai»…

«Nursing Up denuncia da tempo l’acuirsi di un profondo senso di insoddisfazione emotiva da parte dei professionisti dell’assistenza, dice ancora De Palma, e la politica troppo spesso fa orecchie da mercante, ma dovrebbe invece tenere conto di quanto sta accadendo, dal momento che il clima di legittima sfiducia, rischia di continuare a sfociare in dimissioni volontarie dal San per passare alla libera professione, e poi in fughe all’estero o addirittura abbandono definitivo del mondo sanitario. Possiamo davvero permetterci tutto questo? I cittadini, soprattutto, possono davvero permettersi un servizio sanitario che perde pezzi costantemente, visto che di fatto gli infermieri e gli altri professionisti dell’assistenza rappresentano, numericamente e qualitativamente, lo scudo per la tutela della loro salute? Non dovremmo mai smettere di chiedercelo», conclude De Palma.

Nei prossimi giorni seguirà una nuova inchiesta, realizzata al fianco dell’Amsi, Associazione medici stranieri in Italia, che riguarda il potenziale rischio, da parte dei professionisti sanitari, di cadere nella rete di false offerte di lavoro all’estero affidandosi ad agenzie non accreditate. (rrm)

Gli infermieri cococo dell’Asp di Catanzaro: Da “eroi” a “infermieri usa e getta”

Gli infermieri cococo dell’Asp di Catanzaro, hanno denunciato come, da “eroi”, sono stati definiti “infermieri usa e getta”, “vagabondi”, da «chi, invece, dovrebbe integrarci nel personale sanitario».

«Secondo molti, non dovremmo lamentarci – hanno scritto gli infermieri – poiché siamo stati “ben retribuiti”. Ma retribuiti di cosa? Il nostro monte orario era fissato dapprima a 35 ore settimanali, poi a 18 e poi a 12 e quelle sono state retribuite, ma in realtà non avevamo orari e tante volte ne abbiamo fatte molte di più. A noi non è stato pagato nessuno “straordinario”, eppure lavoravamo anche di domenica e in tutti gli altri giorni rossi, consentendo l’apertura degli hub per le vaccinazioni persino a Natale, a Santo Stefano e all’Immacolata».

«Abbiamo firmato un contratto lavorativo privo di tutele – hanno spiegato ancora – con la consapevolezza che la nostra sia una professione-missione ed è stato solo l’amore verso il prossimo e verso il nostro lavoro a spingerci a combattere questa battaglia contro un virus sconosciuto di cui abbiamo avuto paura anche noi che ci siamo trovati faccia a faccia con lui quotidianamente. Abbiamo firmato un contratto Co.Co.Co. che non prevedeva turni lavorativi, eppure abbiamo lavorato con dei turni».

«Paradosso del paradosso – hanno proseguito – nel nostro contratto non è prevista neanche la “malattia”, dunque chi di noi ha preso il covid, semplicemente non ha percepito stipendio per tutti i giorni di assenza dal lavoro. Per questi e per mille altri motivi fa male sentirsi definire ora “avvoltoi” dopo essersi spesi così tanto per la comunità. Non abbiamo esitato a rispondere alla chiamata d’aiuto e siamo entrati in servizio non appena ve n’è stata la possibilità, ma adesso a lanciare un urlo d’allarme siamo noi. Ci sentiamo ignorati e abbandonati dalla nostra classe politica, dalle istituzioni, anche dai cittadini che sanno quanto abbiamo lavorato per loro, persino dal nostro sindacato che, piuttosto che tutelarci, dopo aver rappresentato la nostra situazione in tutti questi mesi, con turni estenuanti, festivi e straordinari mai pagati, ha saputo solo risponderci: “Chi vi ha detto di farli?!”. Alcuni hanno addirittura ironizzato con “Ora che vi scade il contratto, venite a fare le pulizie a casa mia”».

«Ci sentiamo usati e presi a pesci in faccia – hanno evidenziato –. Sentiamo addosso il peso dell’irriconoscenza. Noi c’eravamo durante la pandemia, abbiamo aiutato nella gestione e prevenzione del covid negli ambienti scolastici e successivamente negli hub vaccinali, effettuando oltre 1000 vaccinazioni al giorno, rischiando la nostra stessa vita e quella dei nostri cari. Tanti di noi sono stati trasferiti addirittura nei reparti ospedalieri e nei pronto soccorso per sopperire a ferie e a turni massacranti degli infermieri già presenti nelle medesime strutture con contratto a tempo indeterminato. E ogni volta che è stato fatto presente che si trattava di impieghi diversi rispetto a quelli previsti dai nostri contratti, la risposta è stata: “O accetti o te ne vai a casa!”».

«Dopo l’ennesimo rinnovo dei nostri contratti, sempre con la stessa formula e la drastica riduzione delle ore a 12 settimanali – hanno concluso – non ci è stata data alcuna speranza sulla possibilità di una prossima proroga, poiché sostengono che non ci sarebbero fondi. Ma allora che fine hanno fatto e che fine fanno ogni giorno i soldi destinati alla sanità calabrese? Si parla tanto della grave carenza di personale e della difficoltà sanitaria tanto conclamata da parte del presidente regionale Roberto Occhiuto e ora 81 operatori sanitari saranno davvero mandati a casa?». (rcz)

L’OPINIONE / Fausto Sposato: Gli infermieri non sono operatori di serie B

di FAUSTO SPOSATO – Succede già da un po’ di tempo che si parla di emergenza/urgenza, soprattutto del 118 e della presenza del medico sulle Pet. Proprio in questi contesti si tende a sminuire la figura degli operatori presenti sulle ambulanze, infermieri ed autisti soccorritori, spesso considerati operatori di serie B, quasi dei laici.

Questa diminutio non appartiene alla nostra categoria che, è bene ricordarlo, proviene da formazione universitaria, si aggiorna costantemente, ha esperienza maturata negli anni ed è competente. Da più tempo assistiamo ormai a questo strano e triste fenomeno. Sembra che l’esito del soccorso dipenda dalla presenza o meno del medico senza tenere conto che gli operatori che fanno emergenza sono abilitati a farlo ed hanno competenze avanzate oltre a momenti di retraining.

Essere chiamati eroi fa anche piacere ma non può avvenire solo nel momento del bisogno per poi lamentarsi se non si trova il medico a bordo anche quando non è necessario. Nessun conflitto professionale (non è necessario)e ben vengano tutte le risorse possibili ma la riuscita di un intervento è un insieme di attività che dipendono da più attori e gli infermieri non sono da meno, fermo restando le competenze di ognuno.

Il messaggio sbagliato è quello che paradossalmente il cittadino sia stato abbandonato. Non è affatto così. Gli infermieri sanno benissimo cosa fare e quando intervenire. Eppure siamo trattati alla stregua di operatori minori, aggrediti e mortificati come se fossimo solo degli esecutori o degli improvvisatori dell’ultimo momento messi lì per caso. Questo fenomeno va molto di moda soprattutto fra chi non ha a cuore il sistema sanitario dimostrando, così, di non conosce nulla. Anche in altre regioni le Pet non sono medicalizzate pur avendo a supporto le auto con medici a bordo che intervengono in caso di effettiva necessità.

Per questo occorre rassicurare i cittadini sul fatto che sia gli infermieri che gli autisti soccorritori sono operatori qualificati e preparati, che seguono scrupolosamente tutti i protocolli nazionali e regionali. E poi, permetteteci, siamo professionisti tutti i giorni (Non a fasi alterne) in grado di fornire risposte ai pazienti ed a chi ne ha bisogno. Siamo front-line perennemente pronti e formati per intervenire.

È un retaggio culturale che non giova a nessuno. Bene sta facendo il Dipartimento salute della Regione nel valorizzare gli infermieri nei nuovi percorsi di accesso ai Pronto Soccorso. Da qui una nuova gestione che deve vedere tutti gli attori dell’emergenza/urgenza dalla stessa parte al fine di trovare le soluzioni migliori per fornire le migliori e tempestive risposte. Purtroppo molti bandi continuano ad andare deserti, il reclutamento non decolla e come Lea persistiamo nei ritardi ormai noti, che collocano  la Calabria agli ultimi posti in tutte le classifiche sanitarie.

Rivediamo tutti insieme il sistema sanitario, concretizziamo nuovi percorsi anche per il pronto soccorso e smettiamola, una volta per tutte, di mescolare ruoli, competenze e professionalità. L’emergenza deve essere gestita dal 118 e dal pubblico. Il terzo settore faccia il proprio e sia da supporto per tutte le altre attività della rete dell’emergenza. Tutto ciò che ne conseguirà sarà battezzato come sacrosanto momento di crescita. Per tutti. In difesa della professione, al fianco degli infermieri, con i pazienti.

La vera sfida è proprio questa: condividere i percorsi nel rispetto delle competenze di ognuno. Ma la sfida maggiore è rendere partecipi i cittadini ed educarli ad un nuovo modello di gestione degli eventi che non può mettere al centro le convinzioni anacronistiche di qualche populista ma che metta al centro il bene dei cittadini ed i loro effettivi bisogni, in modo sistematico. (fs)

[Fausto Sposato è presidente di Opi Cosenza]

Sposato (Opi Cs): In Calabria non c’è nessuna graduatoria unica regionale

Fausto Sposato, presidente dell’Ordine Professioni Infermieristiche di Cosenza, ha denunciato che in Calabria, non solo c’è carenza di dirigenti sanitari, ma anche che non c’è nessuna graduatoria unica regionale per l’assunzione degli infermieri.

L’Opi, infatti, in passato aveva già chiesto di comporre una graduatoria lunga tenendo tutti dentro, ma senza ottenere risultati, «e oggi – ha spiegato Sposato – ci ritroviamo a dovere pubblicare manifestazioni di interesse alle quali parteciperanno pochissimi ed accetteranno ancora meno. Altre regioni espletano concorsi regionali e non aziendali per un motivo molto semplice perché, altrimenti, si rischia di trovare in graduatoria sempre le stesse persone, invece con una graduatoria unica regionale questo problema sarebbe superato. Chi deve farlo? La Regione ha l’onere, evitando così la frammentazione e sgravando le aziende di ulteriori criticità, uniformando i processi ed evitando che le aziende vadano a velocità diverse».

«Altro punto dolente – ha spiegato – è la carenza di Dirigenti delle professioni sanitarie. Non è pensabile che a governare i processi assistenziali/organizzativi sia una sola figura visto che il comparto rappresenta più della metà dei dipendenti delle aziende. E vogliamo pensare che dove non riesce un commissario con pieni poteri possa riuscire un solo dirigente? Riteniamo sia impossibile. Per questo, bisogna investire sulle professioni sanitarie e togliere dalle mani di altre figure la progettazione e la gestione dei processi organizzativo/assistenziali. Assumere più dirigenti delle professioni sanitarie è un investimento a breve e medio termine, che porterà risultati importanti in termini di ottimizzazione ed organizzazione delle risorse».

«Ma bisogna avere coraggio nelle scelte ed essere lungimiranti – ha evidenziato – scrollandosi di dosso vecchi stereotipi che hanno affossato il sistema. Nonostante qualcuno cerchi di screditare il nostro operato, noi lavoriamo e ragioniamo sulla base di alcuni e semplici elementi: il rispetto per i cittadini, la sicurezza degli operatori e l’amore verso questa terra e verso questa gente che merita di godere di servizi che diano risposte serie, reali ed appropriate. È tempo di guardare oltre e di progettare una sanità basata sui reali bisogni dei cittadini, puntare su un territorio che è vasto ed articolato e che necessita di risposte adeguate. E solo ragionando tutti insieme, ognuno per le proprie competenze, potremmo mettere sul tavolo un progetto di sanità nuovo e diverso mettendo il cittadino al centro».

«Noi abbiamo fatto e stiamo facendo la nostra parte – ha concluso – certi che, anche questa volta, il tempo ci darà ragione dimostrandosi, come sempre, galantuomo». (rcs)

Fausto Sposato (Opi Cosenza): Urgente assumere infermieri

Il presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche CosenzaFausto Sposato, di assumere immediatamente infermieri «prima che sia troppo tardi», sopratutto perché i Livelli Essenziali di Assistenza sono a rischio.

Il presidente, da tempo ormai, si batte per l’intera categoria che «non riesce più a reggere il sistema sanitario. Senza noi professionisti, che sta tenendo in piedi l’intero comparto sanitario, il collasso sarebbe avvenuto già dalla prima ondata. Ma adesso non è più tempo di chiamarci eroi, siamo professionisti con la P maiuscola che lavorano, senza soste, per tutti. Bisogna assumere velocemente, i colleghi sono stremati: inutile girarci intorno».

Sposato cita, non a caso, il collega Gianfranco che – attraverso una foto che ha fatto il giro del web – saluta la mamma, stremato anche lui da ritmi lavorativi impressionanti.

«Dobbiamo dire grazie a Gianfranco ed a chi, come lui – ha detto Sposato – tutti i giorni è impegnato a prestare servizio, soccorso ed aiuto alle strutture sanitarie ed ai pazienti. Insieme a tutto il direttivo sentiamo il dovere di ringraziare i tanti Gianfranco che non si conoscono. Quella foto, così eclatante, esprime appieno anche il senso di paura, il coinvolgimento con le mamme, i genitori, i familiari, le moglie e i mariti, i figli, i nipoti. Anche loro sono sempre stati messi a rischio per il nostro lavoro».

«Sta venendo meno – ha aggiunto – quel patrimonio umano che è uno degli aspetti più significativi di questo momento storico. Non si va da nessuna parte se l’iter continua ad essere questo e gli infermieri sono costretti a scegliere altri luoghi, lontani da casa, pur di lavorare. Le chiusure degli ospedali sono state una iattura per tutta la Calabria. E domani, quando dovremo occuparci di cronicità, mancheranno altre risposte ai calabresi».

«Pur se questo sarà il nostro habitat naturale – la chiosa del presidente – purtroppo tutta la categoria pagherà un prezzo ancora più salato, rispetto ad oggi, se non si invertono scelte finora del tutto sbagliate». (rcs)