Sandra Lonardo: «Cultura fondamentale per sviluppo del Meridione e dell’Italia»

di MAURO ALVISI –  Sandra Lonardo, o Lady Mastella, come si è autodefinita recentemente, durante questa intensa campagna elettorale per le Europee 2024 è senza dubbio una donna con una forte e garbata attitudine al comando. Un esempio di come la leadership femminile possa affermarsi anche alle latitudini meridionali di questo nostro Paese. Profonda conoscitrice delle leggi e dei protocolli istituzionali, che ha sempre rispettato e fatto rispettare. Memorabili sono le sue sedute alla Presidenza del Consiglio Regionale della Regione Campania.

Anche nei momenti più difficili della sua carriera politica, che è ben lungi dal considerarsi al tramonto, ha saputo muoversi sempre con sagacia e adottando un low profile, mai disgiunto da uno spirito combattivo, propositivo e mai domo, in ogni avversità. Caratteristiche di una personalità politica di alto rango, innamorata della sua terra, del meridione e dell’Italia tutta. Una politica del saper fare e del saper essere, quella di Donna Sandra, di cui ha dato ampie dimostrazioni anche come senatrice della nostra repubblica. Oggi ha scelto di correre a fianco di Matteo Renzi in Stati Uniti d’Europa, che contiene nel suo stesso nome la promessa politica e il programma costituente del suo agire. Siamo riusciti ad intercettarla, durante i suoi spostamenti da flipper lady, nelle terre del Mezzogiorno e a porle qualche domanda, in questo botta e risposta.

-Quanto è importante per la sua azione europea promuovere i valori guida della Magna Grecia e del Mezzogiorno a Bruxelles, e quali sono? 

«La cultura è il valore fondamentale da promuovere, la Grecia ha grandi presenze e immense testimonianze nel nostro territorio. La cultura è fondamentale ai fini dello sviluppo del meridione e dell’Italia intera. La cultura per me è la radice. È il petrolio che zampilla ad ogni angolo dei nostri amati e antichi borghi e pievi. Un patrimonio incommensurabile che l’Europa e i suoi abitanti conoscono in minima parte. Con la cultura noi portiamo avanti la nostra storia passata e presente. Progredendo»

-Se Lei sarà a Bruxelles pensa che la Cultura e la Diplomazia della Cultura possano essere un cavallo di battaglia con cui intendere il suo ruolo? Uno dei cavalli o è il principale? 

«Io posso dire che è il principale, perché la cultura produce benessere e felicità. Ho vissuto una parte importante della mia educazione e formazione in America, dove il diritto alla felicità è costituzionale. La nostra costituzione è formidabile ma forse all’articolo 1 ben figurerebbe, oltre al lavoro, il fondarsi sulla cultura. Cultura che è sempre stata presente nel mio lavoro, nella città di Benevento ho promosso tanta cultura, perché promuovendo la cultura, promuovi il territorio, la sua gente, i giovani talenti e tutte le maestrie che ne fanno parte».

-Secondo lei gli italiani che vivono al Sud hanno una coscienza del loro patrimonio o no?

«Io credo che in qualche modo la conoscenza della propria cultura vada sempre alimentata. Bisognerebbe insegnarla dalle scuole elementari, accarezzare le nostre pietre che sono testimonianza della nostra cultura e della grande storia che abbiamo avuto. Bisogna farne tesoro, per poterlo tramandare e promuovere nel migliore dei modi. E il migliore dei modi possibili è sempre quello di indossare la propria storia».

-Quali sono i punti che fondano il suo impegno, il suo programma in queste Europee?

«Oltre a quello già ben citato, un altro dei miei punti forti è l’agricoltura. In questi giorni sto visitando tantissime aziende agricole sia nel collegio elettorale della Campania, in Puglia, Basilicata e Calabria. La difficolta che ho potuto riscontrare sono comuni e oggettive. La grande preoccupazione dei padri rispetto al futuro delle aziende, dato che i figli vogliono andare via e si rischia di non tramandare le tante competenze acquisite negli anni. L’Europa deve lavorare di più per stare vicino al mondo agricolo, sicuramente con un reddito certo, con aiuti della digitalizzazione, difendere il made in Italy in modo serio. L’Europa può limitare la coltivazione delle terre. Non deve penalizzare le eccellenze. C’è la necessità di avere più attenzione alla persona agricola. È custode del territorio. Poi c’è il problema della sicurezza, in questo quadro geopolitico, se non siamo ancora in guerra, è senza dubbio finita quella che chiamavamo la pace. Ma con Stati Uniti d’Europa, si può trovare maggiore coesione ed unità, basandosi sul modello americano. Le politiche europee devono combattere per la salvaguardia del nostro pianeta e del territorio, ma vanno fatte in maniera cosciente e con rispetto di tutti gli individui e della loro disponibilità economica e temporale. Occorre combattere la concorrenza sleale. Liberare tutte le energie identitarie dei luoghi. Non umiliare la grande sapienza millenaria della tradizione mediterranea. Le tasse sono ancora troppo alte e con forte disparità di trattamento fiscale tra nazioni, i prezzi non sono competitivi, i salari vanno adeguati ma nel contempo occorre abbassare il costo degli infiniti oneri sociali della mano d’opera».

-Lei pensa che l’Italia sfrutti a dovere l’economia del mare? 

«Io credo di no. Ancora non completamente. Bisognerebbe fare una politica più orientata alle potenzialità del mare, perché credo che i costi possono essere abbassati e i ricavi drasticamente aumentati. Non abbiamo una politica concreta del Mediterraneo, ripartendo da Sud.Perché si dice sempre cresce l’Italia se cresce il Sud. Ma poi il Sud si tiene al guinzaglio. Politica di attenzione e di coesione, una politica di tutti per una progettualità di larga scala, per il benessere del nostro paese. Un altro problema è il veto, bisogna togliere il veto al parlamento europeo. Oggi basta che una sola nazione dica no che tutto ritorna punto e a capo. Più politica e meno Burocrazia pseudo-democratica. Per avere più Italia dobbiamo avere più Europa».

-Che messaggio darebbe ai giovani dal punto di vista degli Stati Europei, ma soprattutto come si può ripopolare il Sud? 

«La politica deve creare le condizioni adatte per cui un giovane possa restare. Con una mobilità veloce, le strutture e le infrastrutture adeguate sono fondamentali. Dobbiamo far sì che il sud sia una terra per laureati.  Ci vuole una politica di adeguamento dei prezzi. I salari devono essere contemperati. È la politica che deve lavorare per i giovani. Non il contrario

-Quale pensa possa essere il ruolo che le donne vanno a giocare, sia dal punto di vista di leadership, sia dal punto di vista dell impegno attivo, tra oggi e il 2030, quale deve essere l’obbiettivo al femminile secondo lei?

«Le donne hanno sempre dimostrato qualcosa in più, perché hanno una cosa che le differenzia dagli uomini. Quelle della Magna Grecia, come in Calabria, in Puglia, in Campania, in Basilicata, Abruzzo e Molise, nel meridione in generale, l’hanno nel Dna. E l’intuito femminile. Qualcosa di innato ed ancestrale. Le donne lo hanno sempre utilizzato perché dovevano salvaguardare la specie. Le donne devono sempre dimostrare più degli uomini, e talvolta bisogna dare alle donne il diritto alla “Stupidità”. Le donne possono fare tanto, però chiedo alle donne di riappropriarsi di quella quella moderazione che è di noi vere donne. Noi possiamo coinvolgere, ascoltare, fare la differenza. Il futuro è di una donna Concurante. Intelligente. Comunitaria. Cooperante.

-Quali sono i tre grandi fraintendimenti, errori che in questo momento l’unione Europea porta avanti? Quali sono le tre mosse che l’Europa dovrebbe fare a breve?

«La mossa numero uno bisogna aiutare Zelensky, perché non si può accettare di passare sopra all’occupazione violentissima dell’Ucraina. Ma allo stesso tempo occorre non coinvolgere l’Europa direttamente, in un conflitto che diventerebbe mondiale. Aiutando, ma non coinvolgendo. Bisogna compattarci ma pensare anche per il futuro. L’Europa deve avere un unico esercito per la sua difesa. Non è più rimandabile. A patto che si dia sempre più la parola all’intelligenza della mediazione diplomatica».

-Chiudiamo con un suo aforisma o pensiero?

«Aforisma/ Pensiero: Mai come in questo momento, per via del quadro politico che c’è intorno a noi, dobbiamo tutti andare a votare. Perché i prossimi anni saranno determinanti».(ma)

 

Vittorio Sgarbi: «Rifondare l’Europa partendo dalla Magna Grecia»

di MAURO ALVISIPuò capitarvi, ancora per poche ore, di vederlo sfrecciare per le strade degli Appennini e delle coste meridionali, nei tanti entroterra delle terre di mezzo e degli splendidi borghi abbandonati del meridione, con la sua capramobile. Indice della sua autentica ironia. Nel caso in questione auto-ironia. Sempre pronto a scendere, a cambiare programma, con improvvisi intermezzi tra la gente o attratto da una promessa di scoperta negli immensi e sconosciuti anfratti di un museo all’aperto diffuso, qual è il nostro Bel Paese. Chi ne segue il percorso e la scaletta quotidiana, alla fine dovrà forse fare ricorso ad un periodo di assoluto riposo.

La passione logora chi non ce l’ha. Parafrasando Belzebù che ormai non c’è più. Vittorio Sgarbi è ormai il meme di sé stesso. Il sembiante di un oracolo dell’arte. Enciclopedia vivente della cultura agita su tela o con scalpello. Anzi di più. Una Sgarbipedia che s’aggiorna ad ogni chilometro tra il patrimonio culturale più grande al mondo. Quello italiano in primis e quello continentale. L’icona geniale e sregolata, significante e significato della conoscenza del bene culturale, che ora promette di rifondare l’Europa partendo dalla Magna Grecia. Il suo potrebbe assomigliare allo sbarco d’un alieno a Bruxelles. Ascoltiamolo.

-In questi giorni di campagna elettorale, lei gira in lungo e in largo il Mezzogiorno peninsulare. Con una forte attenzione al riscatto culturale del Sud. Tutta la cultura occidentale e quella europea sono figlie di un pensiero agito in aree del Paese come la Puglia e la Calabria, in Magna Grecia, ma l’Europa sembra non averne coscienza. Che fare?

«È indubbio che esistano alcuni principi, pure importanti, che indicano cose in comune tra i popoli della Ue. La vera integrazione in una Euro-Nazione non è mai partita, perché passa necessariamente attraverso una esaltazione delle diversità. Di ciò che distingue e caratterizza le aree dove il pensiero è nato e dove la civiltà si è creata, che sono guarda caso proprio nel Meridione e nella Magna Grecia che vede nella Calabria la regione più difficile d’Italia e la sua rappresentazione più riconosciuta nel mondo che sono i Bronzi di Riace. Questo paradosso vede una delle cose più importanti che l’uomo abbia mai immaginato e creato in una regione che ha molti problemi da risolvere. Allora l’orgoglio della Magna Grecia che è lo stesso della Calabria è giusto sia rappresentato in Europa da chi da sempre avverte e promuove il valore della diversità. Con una strategia di valorizzazione che possa rovesciare il rapporto tra aree d’Europa egemoni, o economicamente più avanzate, e aree d’Europa che hanno vissuto una lunga sofferenza da cui devono essere riscattate».

-Quindi il Mediterraneo, che in questo momento si trova al centro delle agende geo-politiche e strategiche di tutto il mondo, ci sta indicando che forse parte da Sud anche un futuro nuovo rinascimento? Parte da questo Sud un possibile cambiamento radicale del pensiero e dell’azione politica comunitaria?

«Che il Mediterraneo sia centrale nel mondo è ormai cosa nota, che sia anche il luogo che rappresenta il punto più critico dell’Europa è provato da Lampedusa e dal tema degli sbarchi che vedono un ampio conflitto in essere, tra il nostro mondo, l’Europa, e l’Africa. Il momento più dolente e più pericoloso perché è quello da cui passa non solo una forza lavoro che dev’essere comunque organizzata, ma anche un passaggio di civiltà, di valori, di comportamenti che possono essere pericolosi per l’Occidente. Il Mediterraneo è occasione di unione ma anche di divisione, di separazione».

-È immaginabile utilizzare la parola rinascimento, entrata ormai a far parte, come meme molto forte per tutti ancora, dell’immaginario collettivo, per poter parlare di un’Europa che debba in qualche modo contemplare nella bellezza, nell’arte, nella cultura la sua rinascita?

«La parola rinascimento è un etimo per me molto chiaro, occorre definire pienamente se abbia a che fare con il destino della Magna Grecia, della Calabria e del Meridione, certamente il risultato e l’effetto dell’operare in Europa dev’essere quello, cioè di rinnovare, esaltare e far capire fino a che punto ci siano qualità, risorse e potenzialità, largamente ancora inespresse, nel meridione. Il punto è disegnare uno sviluppo e un progresso comune che tenga conto di queste diversità, come una nuova prospettiva».

-Vi è in atto un forte e progressivo impoverimento sociale e relazionale, diffuso anche in Europa come nella nostra Italia, cui si coniugano una serie di derivate come il bullismo, le baby gang, le azioni e le incursioni di terrorismo deturpativo nell’arte, forme di razzismo sempre più ricorrenti. Può dirsi questo il frutto noncurante di un deficit culturale e interculturale, di aver trascurato una educazione aggregante che la coscienza del bello e di una fraternità necessaria tra sconosciuti, promuove e insedia, scongiurando questo grande impoverimento dell’uomo?

«Diciamo che è la coscienza e la conoscenza sono elementi nevralgici, quelli per cui il riscatto è più difficile. Perché il lamento, il piagnisteo, la richiesta passiva e ossessiva di assistenza prevalgono sopra l’orgoglio e la passione, vi è l’esaltazione di quello che il meridione rappresenta. Quando questo avviene il risultato è straordinario. Quando vi siano una scienza, una coscienza e una conoscenza del valore dei luoghi, del valore delle produzioni economiche e agricole, prevalentemente biologiche e identitarie, si eleva il meridione alla massima potenza. Quindi occorre un’iniezione di fiducia, competenza guidata dalla conoscenza».

-Un’iniezione di fiducia, in termini pratici e usando la metafora, cos’è in termini pratici? Un’intramuscolare? Quali vie e pratiche dobbiamo utilizzare per iniettare fiducia in queste genti? Perché la sfiducia è un virus che infetta su larga scala ormai.

«È fondamentalmente una operazione di educazione alla consapevolezza del proprio patrimonio culturale. Un fare in modo di sedurre e innamorare il Meridione di sé stesso. Dalle istituzioni, alle famiglie, alle scuole, alle università al mondo del lavoro. Per poi tornare a sedurre di nuovo l’Europa».

-Quali sono i punti cardinali che fondano il suo impegno una volta dovesse essere eletto alle europee e approdare a Bruxelles?

«Senza dubbio la proposta di certificare la Magna Grecia come patrimonio dell’umanità. Attraversa un’area così vasta rispetto a quella del Prosecco o delle Langhe, che riguarda cinquanta luoghi che sono inevitabili. Da Sibari a Metaponto, a Riace, a Paestum, al museo di Taranto. Una quantità di siti storici, archeologici e museali inimmaginabile. Quando noi banalmente e spesso restringiamo la narrazione del nostro patrimonio culturale ad alcune grandi icone stereotipo. Come gli Uffizi a Firenze, Capodimonte, o Brera a Milano, ci rendiamo conto che nel mezzogiorno esiste una rete di luoghi che non hanno paragone al mondo e neanche in Italia. Pertanto l’identificazione di cinquanta riferimenti, come in Calabria ad esempio Altomonte o Palmi, la prima capitale del regno normanno degli Altavilla a Mileto, i grandi segni della presenza federiciana, alcuni conosciutissimi e altri no, (come il castello sul mare di Roseto Capo Spulico ndr.), tra tradizioni religiose e civiltà antica».

-È proprio il baricentro del suo agire politico in Europa quello di portare o riportare la cultura, quasi dimenticata, della Magna Grecia al centro della percezione, della conoscenza e della coscienza europea?

«Certamente. Se solo si pensasse di fare un incontro di figure iconiche, a partire da Gioacchino da Fiore e tutto quello che ha indicato come principi di una società basata non solo sui principi religiosi. Ci fa velocemente arrivare al cuore dell’Europa che è l’emblema di Castel del Monte e di Federico II di Svevia, stupor mundi, come il primo costituente dell’Europa. Quindi tutto può trovare nome, luogo, storia, pensiero, nel Meridione».

-Parlando di intelligenze e di storia della cultura e passando un attimo ad un tema di grande attualità, che va riempendo i media e l’intera comunità digitale: quello dell’intelligenza artificiale e l’affacciarsi, in contrasto, di un nuovo umanesimo. Dignità dell’uomo e democrazia sono a rischio, in un apparato diventato sintetico, dove le tecnologie la fanno da padrone? Bellezza e Cultura possono agire da costanti del progredire umano? Sono costanti vitali di cui non possiamo privarci, anche in Europa?

«Sì, a patto che siano ben lette e quindi interpretate. Il testimone che è al parlamento dev’essere ben convinto di questo ed in grado di difenderlo. Per questo il voto che viene dato alla mia persona è l’affidamento e l’incarico a una voce autorevole di interpretare quello che molti pur sanno o pensano si dovrebbe affermare con forza. La traduzione di una tradizione culturale, largamente tradita nei fatti e negli anni. Va spiegata e poi amplificata.

-Passando all’economia e alla giustizia sociale, piani tra loro molto collegati, oggi l’Europa mostra alcuni indicatori economici finanziari che apparentemente e nel complesso sono in lieve crescita. In realtà aumentano le differenze d’impatto e progresso economico tra gli stati dell’unione. E vi sono larghissime differenze della distribuzione e del livello di reddito tra Nord, Est e Sud dell’Europa. Alla base di questi larghi divari sociali in Europa, c’è forse la mancanza di una ‘cultura di coesione’? La dimensione economica è mossa da un vettore culturale. In questo caso un deficit evidente di una politica interculturale tra le nazioni europee?

«Esiste una intuizione di un’Europa che non è stata realizzata in cui il meridione d’Italia è del tutto assente. E’ impossibile che lo sia ma così accade».

-Dopo il fallimento dell’Onu come decisore della mediazione e un’Europa largamente discorde, al suo interno, su molte azioni e risoluzioni politiche, che riguardano la difesa e i drammatici conflitti in corso, in Ucraina e in Medio Oriente, pensa sia più funzionale parlare di un corpo civile di pace e mediazione, di una Diplomazia della Cultura o di un vero e proprio schieramento e corpo militare dell’Unione Europea?

La cultura, sia chiaro, esclude la guerra. La cultura propone l’intelligenza, la dialettica, la persuasione, la capacità di convincere, la maieutica, quindi tutti gli strumenti che provengono dal pensiero antico e lo proiettano nella contemporaneità che, come nelle civiltà primitive, pensa che la guerra sia l’unica soluzione. È inverosimile che noi si pensi di affidare la soluzione dei problemi alla guerra, quando si può adoperare l’intelligenza persuasiva e la mediazione. Il tema è che lo sviluppo dell’Europa è uno sviluppo cieco, sordo, con una sola idea di avanzamento che viene chiamato sviluppo sostenibile. In realtà occorre uno sviluppo compatibile con le differenti aree e luoghi, che studi e includa quello che i luoghi possiedono come loro vocazione (genius loci), li faccia produrre ciò che essi sono. Diventa quello che sei diceva Nietzsche. La sorgente di pensiero del mondo meridionale può diventare la soluzione per risolvere i grandi conflitti. Se si usano, al posto della ragione e del pensiero profondo, la violenza, la forza, le armi e la catastrofe della guerra, è evidente che noi tradiamo anche le premesse di un grande pensiero filosofico che è nato in Grecia e in Magna Grecia». (ma) 

 

L’ambizioso progetto de “La città del mare”, un sogno realizzabile grazie al Pnrr

di ARISTIDE BAVAPer molti cittadini della Locride l’ambizioso progetto de “La città del mare”, che pure potrebbe cambiare il volto dell’intero territorio e aprire spazi per il grande turismo è una specie di sogno difficilmente realizzabile. Uno scetticismo che deriva da tutta una serie di vicende e promesse del passato, vicino e lontano, che hanno accompagnato la vita di questo territorio.

Eppure sono anche in molti, soprattutto a livello istituzionale, ad essere convinti che questa volta questo importante progetto che segnerebbe una “forte” unione tra Siderno e Locri e una spinta notevole per l’economia e il comparto turistico riuscirà a vedere la luce grazie ai fondi del Pnrr che, come detta la normativa, hanno tempi precisi. Di questa iniziativa abbiamo parlato, in maniera compiuta, con l’architetto che è stato tra i protagonisti del  che – non tutti lo sanno – anche se vive a Como, dove studia e lavora,  ha origini Locresi. Si chiama Paolo Albano; ha 51 anni ed è indicato come un architetto e designer “poliedrico” che spazia dall’ambito architettonico al design.

Tra l’altro Paolo Albano, che dopo aver lasciato Locri ha conquistato un posto al sole nella sua professione, al Nord, già nel 2019 è stato selezionato  tra i migliori progettisti italiani e inserito nella monografia “Architettura e Design il valore del bello e del Made in Italy” – Munaro Editore Bologna, Un libro che racconta lo stile italiano nel mondo e si sofferma su architetti, designer e aziende alla ricerca del bello e della qualità. Paolo Albano ha accettato di buon grado di rispondere alle nostre domande sull’importante ipotesi progettuale.

  • Come è nata l’idea della Città del Mare e del suo segno architettonico?

«Dalla volontà di presentare una proposta progettuale – ci dice – che rispondesse non solo ad una funzione infrastrutturale e contemporanea, ma soprattutto culturale, Sperimentando un’idea di opera architettonica come interprete della melodia del luogo. Cosi, abbandoniamo il modo locrio – ripetitivo, ostico – per immergerci nel modo jonico molto giocoso e vivace. Un ritorno naturale alla luce, al blu del Mar Jonio. La morbidezza delle forme, i rapporti costruttivi e l’arco fuori asse del ponte leggono questa scelta. Un’opera che diventa tale grazie alla condivisione con  l’ing. Maurizio Fiumanò co-progettista strutturista, all’arch. Angela Versace a cui si deve lo sviluppo paesaggistico ed al coordinamento del rup della PA di Locri arch. Nicola Tucci. L’opportunità di dialogare con il luogo interpretandone la melodia non ha precedenti a cui si aggiunge che il settimo modo chiamato locrio nasce nello stesso territorio grazie a Senocrito e di conseguenza introduce il Modo Jonico». 

  • La Città del Mare quale importanza potrà avere per il territorio?

«Un valore inestimabile, nel senso che non possiamo oggi sapere come il territorio e la società risponderà dopo la sua realizzazione. Ma possiamo immaginare che il luogo del suo sviluppo saprà accogliere ed alimentare con la sua luce, il suo mare blu un’opera architettonica e di rigenerazione rivolta all’uomo ed al suo ambiente. Un progetto che favorisce le attività turistiche ed economiche riducendo con grande determinazione l’uso delle automobili  ricercando un nuovo rapporto tra ambiente e frequentazione dei luoghi per il nostro sostenibile benessere. Un’opera pubblica come bene comune con la consapevolezza che il futuro è oggi. Convinti che le attività presenti lungo il suo sviluppo sapranno trovare nuove energie esperienziali. Un innesto iconico alla città del mare sarà certamente a nord il Rione sbarre di Siderno che saprà cucire gli ambiti urbani delle due città introducendo un’anima marinara. Non dimentichiamo che il simbolo grafico della città del mare e stato firmato da Andrea Puppa noto in ambito internazionale per aver creato il logo di Expo 2015».

  •  Quali sono i rischi che potrebbero bloccare la realizzazione?

«Ogni iter tecnico/amministrativo sia in ambito delle PA che di iniziativa privata può incontrare delle difficoltà di ogni genere e natura, Ma non dobbiamo sottovalutare che per la Città del Mare l’impegno è massimo a tutti i livelli di competenza tecnica, amministrativa e politica. Inoltre coinvolge quattro Città (Siderno, Locri,Gerace, Antonimina ndr)  che sono determinanti per il rilancio della Costa dei Gelsomini, oltre ad essere un’opportunità irripetibile per il comprensorio. Cosa potrebbe accelerare i tempi delle fasi di lavoro? Quando le procedure hanno una deadline non è opportuno pensare di contrarre i tempi operativi, ma è necessario avere il controllo di ogni fase  del cronoprogramma. L’importante è finire». 

  • Quali saranno allora i tempi tecnici prevedibili?

«Le opere di rigenerazione urbana che utilizzano l’opportunità dei fondi Pnrr sono condizionati da tempi già programmati. Ad oggi dovranno essere realizzate, collaudate e rendicontate non oltre il primo semestre del 2026». 

L’opera è veramente innovativa e l’auspicio è veramente che il progetto si possa realizzare L’Architettura strutturale della “Città del mare”  prevede – come precisa la relazione – il parallelismo della linea ferrata  con la sinuosità organica della costa. Nella concezione strutturale il terzo elemento costruttivo, l’arco, è indipendente nella composizione, posizione e inclinazione ma nel contesto è la chiave per leggere l’intera architettura e mantenere in equilibrio il rapporto tra terra e mare. È previsto anche un pontile  proteso verso il mare (Marina Lounge) che  invita a cogliere l’opportunità di riappropriarsi dello Jonio e richiama suggestioni zoomorfe.

Architettura del paesaggio prevede la sistemazione paesaggistica della Città del mare (Parco del Marecosta, Parco della Natura e Parco della Biodiversità-Fiumara Novito), ed  esalta la sinuosità del ponte negli aspetti formali  valorizzando le caratteristiche del territorio negli aspetti vegetazionali reinterpretando i paesaggi locali tipicamente mediterranei qui declinati in cinque giardini tematici armonizzati dal ciliegio e ritmati dal gelsomino. Un sistema di fluide connessioni, ciclopedonali e carrabili, poi  distribuisce una ricca sequenza di spazi destinati alle diverse attività (ricreative/sportive/culturali/naturalistiche/formative/ludiche) e svela un paesaggio sempre diverso per offrire ai fruitori esperienze multisensoriali.

Il progetto sarà veramente realizzato? (ab)

Il sindaco f.f. Brunetti: Un onore Reggio scelta per celebrare la memoria di Vialli

di BIAGIO MAIMONE – Reggio Calabria diventa, ancora una volta, capitale dello sport, con il Memorial Gianluca Vialli in programma il 10 settembre allo stadio “Oreste Granillo”. Per l’occasione, abbiamo intervistato il sindaco f.f. del Comune di Reggio, Paolo Brunetti, per cui «è un onore celebrare la memoria di un monumento del calcio mondiale».

Reggio Calabria diventa teatro di una straordinaria iniziativa, che è, nel contempo, di natura sportiva e di natura solidale, al fine di  ricordare il grande campione Gianluca Vialli. È ben evidente che Reggio Calabria sia una città in costante crescita, che dimostra grande attenzione a rilevanti tematiche culturali, ponendosi, in tal modo, in un’ottica che fa della cultura la chiave di volta per realizzare un’autentica e rilevante inclusione nella vita socio-politica ed anche economica della nazione italiana. Un Suo parere in merito.

«È un onore che si sia scelta Reggio Calabria per celebrare la memoria di un monumento del calcio mondiale. Gianluca Vialli è stato un grande atleta, ma soprattutto un uomo che, nel momento più difficile delle sua vita, ha saputo affrontare la malattia con coraggio, dignità e divenendo esempio per ognuno di noi».
«Il suo insegnamento si cala perfettamente nelle dinamiche che dovrebbero governare una comunità. Solidarietà, empatia, determinazione sono elementi essenziali per ogni amministratore. In questo senso, sport e cultura assumono un ruolo molto importante per la crescita di un territorio. Per Reggio Calabria rappresentano una leva strategica per lo sviluppo. In questi anni abbiamo puntato sulla qualità e sulla fruibilità di eventi che possono davvero contribuire a modificare una narrazione spesso errata e distorta della nostra magnifica realtà oltre, ovviamente, a produrre economia per le moltissime attività che costituiscono un indotto davvero rilevante».
Si parla molto, in questi giorni, della rinascita del Sud Italia, che può rendere Reggio Calabria protagonista di un cambiamento. Al centro del dibattito vi è la realizzazione del ponte sullo stretto, che apre uno scenario di possibilità di crescita socio-economica per i territori coinvolti, ossia la Calabria e la Sicilia, oltre all’intero territorio italiano. Si crea – senza dubbio – un terreno fervido di opportunità che possono condurre ad una trasformazione epocale del Sud Italia, rimasto per lungo tempo negletto, se non addirittura ai margini della vita socio – economica e politica italiana. Quali sono le Sue aspettative?
«Sono decenni che si fa un gran parlare del Ponte sullo Stretto. Personalmente credo serva più alla Sicilia, ma con le giuste garanzie e con un coinvolgimento pieno, diretto e concreto delle comunità locali da parte del Governo ritengo possa rappresentare un’opportunità sotto l’aspetto turistico. Di epocale, al momento, esistono solo una miriade di studi e progetti sulla carta. Non vorrei rimanesse un’eterna incompiuta e, per questo, l’ennesimo sfregio al nostro bellissimo paesaggio».
«I miliardi che si vorrebbero spendere per questa mega opera li avrei spesi diversamente, ma non tocca ovviamente al Comune decidere. Qui servono servizi, strade, ferrovie, una rivoluzione della mobilità interna che potrebbe davvero costituire una svolta per territori difficilmente raggiungibili o che scontano un tributo pesantissimo in termini di morti sulle strade. Credo siano queste le priorità per il nostro territorio. Poi, ma solo poi, anche il ponte sullo Stretto».
I giovani calabresi spesso sono “cervelli in fuga”, in quanto per trovare occupazione devono lasciare la propria amata terra d’ origine. I tempi sono maturi perché i giovani possano trovare in Calabria l’ambito in cui esprimere i propri talenti e le proprie conoscenze?
«Frenare l’emigrazione dal Mezzogiorno sarebbe in assoluto il miglior risultato che un Governo potrebbe portare a casa. Ed è un auspicio che, almeno a parole, si sono prefissati più o meno tutti i governi dal dopoguerra ad oggi. Purtroppo, nei fatti, paghiamo un secolo di disinteresse, di vero e proprio abbandono di intere fette del Paese. Uno sviluppo del Sud serio, concreto, reale è mancato nell’agenda di qualsiasi esecutivo a Palazzo Chigi. Questi ritardi li pagano i nostri figli costretti a cercare opportunità altrove».
«La fuga dei nostri migliori talenti è un freno irremovibile. Oggi esistono formule, come lo “smart working” che, almeno parzialmente, costituiscono un’opportunità per riportare i nostri giovani a casa. Ma è obbligatorio, per chiunque abbia un minimo di coscienza, lavorare per costruire qui delle opportunità in grado di dare un futuro alle giovani generazioni. L’emigrazione, deve essere una scelta, non una necessità».
Reggio Calabria affonda le sue radici storiche e culturali nell’antica Grecia. Può essere la rivalutazione di tali radici culturali la fonte primaria di quel  capovolgimento di mentalità che realizza lo sviluppo del proprio territorio rendendolo polo di attrazione nazionale ed internazionale?
«L’ultimo anno ha segnato il 50esimo anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace. Le iniziative organizzate per questa ricorrenza hanno riproposto al mondo la bellezza e l’unicità dei Guerrieri che, più e meglio di chiunque altro, continuano a raccontarci della magnificenza di un’epoca in cui la civiltà era tutta raccolta fra le acque del “greco mar”. Quel fascino antico rappresenta davvero l’elemento distintivo di un’intera comunità. Il territorio reggino, infatti, è costellato di tesori da conoscere e scoprire».
«Rhegion, Medma, Scyllaeum, Locri, Caulonia sono nomi evocativi che, da tremila anni, accompagnano la vita delle nostre popolazioni. Oltre ai Bronzi, il Museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria custodisce una miriade di reperti, testimonianza dei fasti di quelle antiche civiltà che attirano le attenzioni di studiosi, turisti e visitatori dell’intero pianeta».
Mai come nell’epoca attuale si sente l’urgenza di riscattare il valore delle proprie tradizioni e della cultura “green”, dell’amore per la natura, che è viva anche in Calabria e nel resto del Sud Italia. Lo esige il cambiamento climatico. Reggio Calabria, a Suo parere, può essere fautrice di un’economia green, ossia di un’economia che trae dal rispetto dell’ecosistema la sua linfa vitale?
«È l’unica via percorribile. Gran parte delle nostre politiche, in questi ultimi anni, sono proiettate ad un prospettiva sostenibile e sempre più a contatto con la natura. Il ‘900 è il secolo in cui l’uomo ha abusato del pianeta che ci ospita. Se vogliamo continuare a vivere quella normalità conosciuta dai nostri avi è inevitabile tornare ad avere rispetto per ciò che ci circonda, iniziando a sfruttare al massimo le opportunità energetiche che arrivano dalla natura».
«Politiche sempre più green garantiranno un futuro migliore ai nostri figli e sappiamo che il tempo a disposizione è ormai poco. I disastri naturali che, ciclicamente, colpiscono i nostri territori rappresentano un severo e drastico ammonimento per ognuno di noi. Si devono, dunque, ridurre al minimo le pressioni, ormai insostenibili, sulla qualità e quantità dei beni naturali. Attraverso la riforestazione di ampia parte del comprensorio, la promozione di nuovi strumenti di mobilità e urbanizzazione, il taglio netto al consumo del suolo e lo sfruttamento di fonti energetiche sostenibili proviamo a resistere agli stravolgimenti climatici su cui si stanno concentrando le massime attenzioni della comunità internazionale». (bm)

L’INTERVISTA / Aldo Ferrara: Non bisogna fermarsi solo al Pnrr per il futuro della Calabria

di ARISTIDE BAVAL’incontro con Aldo Ferrara, presidente regionale di Unindustria Calabria avviene a Gerace in occasione di una importante manifestazione organizzata dal Cenacolo della cultura e delle Scienze. Parlare con lui del futuro del territorio e della  Calabria alla luce delle possibilità offerte dal Pnrr è quasi una scelta obbligata. Di seguito l’intervista esclusiva nella sua versione integrale.

Qual’è il futuro della Calabria?

«Abbiamo la nostra grande occasione – ci dice – per quella che viene considerata la programmazione in Italia legata al Pnrr, ma, a mio avviso, non bisogna fermarsi solo per quanto riguarda il Pnrr. Anche la programmazione 2021/2027 e parte della rimodulazione 2018/2020 possono costituire, con i grossi fondi disponibili, delle buone occasioni. È necessario, però, mettere a terra queste risorse con una visione di futuro ben precisa. Noi abbiamo tentato di farlo come Confindustria con la redazione della cosiddetta Agenda Calabria che è indirizzata a mettere insieme investimenti pubblici e investimenti privati per puntare ad una adeguata programmazione. Soprattutto una programmazione temporale. Riteniamo che per quanto riguarda gli investimenti pubblici siano indispensabile una tempistica avanzata e fatti e dati concreti».

Qui si vive in un territorio difficile con grosse carenze e scarsità di infrastrutture. Che futuro ci può essere?

«Partiamo dalla prevista realizzazione del Ponte sullo Stretto. Noi siamo per la realizzazione del Ponte; ma non pensiamo che la realizzazione del ponte debba essere un cattedrale nel deserto. Il ponte deve essere un attrattore di infrastrutture. Parliamo di infrastrutture ad alta velocità ma anche a tutto ciò che riguarda la costa ionica a partire dalla SS. 106, di elettrificazione della linea ferrata che va da Sibari a Reggio Calabria, e sappiamo che purtroppo sembra sia stata definanziata dal Pnrr per essere rimodulata su altri fondi. Dopodichè insieme alle infrastrutture pubbliche di cui la nostra Calabria  ha molto bisogno per colmare il gap con le altre Regioni c’è la necessità di investire  sul sistema economico.

«Noi nell’agenda Calabria abbiano indicato una serie di idee e di proposte  molte delle quali hanno trovato accoglienza nelle linee guida che sono state licenziate ai primi di agosto dalla giunta regionale. Si punta su innovazione, sulla sostenibilità e su un sistema produttivo che sia di alta innovazione e quindi di tecnologia, di capitale umano con elevate competenze, digitale, sostenibile e soprattutto internazionalizzato».

Da anni si parla delle Zes come possibile volano economico di sviluppo ? 

Come Confindustria assieme al sindacato abbiamo sviluppato un memorandum con il commissario Zes Calabria, Giuseppe Romano.  Sappiamo, perché lo abbiamo appreso dal Ministro Fitto, che le Zes riguarderanno non solo alcune zone ben precise delle altre regioni ma anche l’intero Meridione e quindi pure la Calabria dove, ad esempio, il Porto di Gioia Tauro costituisce un nostro grande punto di forza. Ma ci sono altre possibilità e credo che la Zes calabrese possa diventare una forza trainante per lo sviluppo. Ovviamente questo è un fatto positivo ma aspettiamo di leggere i contenuti prima di fare delle considerazioni che potrebbero cozzare con la realtà».

Per la Calabria la situazione in questo momento sembra positiva ma, viste le esperienze del passato, quali possono essere i rischi che si corrono e quali, se ci sono,i fattori positivi per la nostra Regione?

«I fattori che potrebbero far perdere le risorse sono la debolezza della macchina amministrativa. Ho sostenuto e sostengo che spostare i fondi del Pnrr ad altri finanziamenti non è la stessa cosa. Il Pnrr obbliga a serrare i tempi e rispettare i protocolli. Nel passato tutti gli altri fondi non hanno dato grandi risposte e molti sono andati perduti. Ci possono essere, quindi, fattori negativi sia nella progettazione sia nella messa a terra. Bisogna, quindi fare affidamento a un necessario drastico cambiamento della situazione e non sarebbe male chiedere al Governo la possibilità di farci dotare delle figure neessarie anche utilizzando dei nuclei di progettazione e dei professionisti validi per fare in modo che si possano colmare le carenze dei Comuni e si possano superare le problematiche legate alla fase di progettazione e alla eventuale fase di realizzazione delle opere. Questo è un rischio che la Calabria ha e che noi dobbiamo scongiurare. D’altra parte questa è l’opportunità che ci può consentire non dico di colmare il Gap con le altre Regioni ma almeno di poter fare un salto di spesa nel nostro sistema produttivo ed economico. Abbiamo assolutamente bisogno di avere una  crescita economica soprattutto per frenare l’emorragia dei giovani».

«Noi purtroppo stiamo perdendo i nostri cervelli migliori e questo pesa enormemente. Per quanto riguarda i punti di forza posso dire che siccome siamo la Regione a maggior ritardo di sviluppo, siamo anche quella che ha le maggiori possibilità di crescita. Una grande risorsa sono le bellezze naturali e di conseguenza lo sviluppo del Turismo legato alle sue grandi potenzialità. In questo momento ci troviamo in una splendida località che può fare la differenza. Ovviamente possimo puntare sulle attività culturali, sull’agriturismo, sulle tradizionali  risorse enogastronomiche. Soprattutto ci si può, e si deve, concentrare sulle “fabbriche” del futuro, su quelle sostenibili, su quelle digitalizzate, su quelle per i giovani, ma che non siano di natura contingente. Risorse ci sono ma bisogna saperle cogliere».

«Sono anche convinto – questa è una visione prettamente personale – che alcune risorse del Pnrr produrranno benefici solo per brevi periodi. Noi dobbiamo adattarli, invece, ad una visione del futuro».

A proposito di questo qual’è la sua convinzione personale sul futuro? 

«Io non conosco pessimisti di successo, bisogna essere ottimisti ma con un ottimismo della ragione. Ciò anche perché finalmente abbiamo le risorse per fare un reale cambiamento; quindi dobbiamo essere ottimisti per forza e, soprattutto trasmettere questo ottimismo, per quanto è possibile, a tutti i calabresi. Il cambiamento nel nostro Paese ci può essere e la Calabria può realmente recitare un ruolo fondamentale. Non dimentichiamo che siamo situati in una zona strategica, un luogo di eccellenza che è il Mediterraneo. Possiamo quindi recitare un ruolo fondamentale ma bisogna essere consapevoli che tutto dipende da noi stessi». (ab)

LA “GRANDE COSENZA” SI PUÒ E DEVE FARE
MA SERVE RIVEDERE LA LEGGE REGIONALE

di FRANCESCO CANGEMI – La Grande Cosenza. Un vecchio sogno che potrebbe realizzarsi con la fusione dei comuni limitrofi dell’area metropolitana (Castrolibero e Rende) per costituire un unicum che formalmente esiste già, ma strutturalmente non produce frutti, soprattutto a vantaggio dei cittadini. Calabria.Live è andata a chiedere cosa ne pensa il sindaco di Cosenza.

Non si nasconde certo dietro un dito il sindaco di Cosenza Franz Caruso quando si tratta di parlare della fusione dell’area metropolitana di Cosenza che riguarderebbe i Comuni di Rende, Castrolibero e lo stesso capoluogo di provincia. Non esita a dire che si tratta, la proposta di legge regionale, di un qualcosa di confusionale e di una «operazione policistica per mettere le mani sulla città».

Il presidente della giunta regionale della Calabria Roberto Occhiuto, nel corso dell’intervista, viene anche definito dal sindaco Caruso come l’autore di «una vera azione di sabotaggio della realizzazione del nuovo ospedale della Annunziata nel sito di Vagliolise».

Sindaco Caruso, perché la fusione che vuole il consiglio regionale non va bene?

Non va bene perché il testo di legge presentato, più che una proposta istitutiva della nuova città unica, sembra essere finalizzata esclusivamente alla sola estinzione dei Comuni oggi esistenti. La Città unica nella realtà urbana esiste già. L’area metropolitana cosentina è già vissuta dai cittadini come una città unica e dalla continuità territoriale. Una legge istitutiva regionale dovrebbe essere utile e funzionale, dunque, ad una organizzazione e riordino di tipo amministrativo, da ottenere attraverso la nascita del nuovo ed unitario ente comunale. Il disegno di legge regionale, invece, crea solo una grande confusione. Quella depositata dal centrodestra è una proposta improvvisata e lacunosa. Ho la sensazione che invece di pensare agli interessi dei cittadini, si tenta di fare una operazione politicista per mettere le mani sulla città. E ciò, ritengo, è soprattutto dovuto al fatto che Occhiuto non ha mai accettato la sconfitta elettorale che nell’ottobre del 2021 ha portato alla mia elezione a sindaco della città.

E quindi?

Si presenta una proposta di legge che contiene solo la data di entrata in vigore della nuova forma amministrativa ed istituzionale della città unica.  Per il resto solo omissioni.  Non è stato previsto alcun efficace percorso, sia dal punto di vista amministrativo che sotto l’aspetto giuridico-legislativo, per una effettiva e sapiente opera di costruzione del nuovo ente. Anzi, cosa gravissima, è che è tanta la fregola di puntare evidentemente ad un vero e proprio colpo di mano, che è stato depotenziato persino il referendum popolare a  cui deve essere sottoposta la scelta.  Dalla decisione vengono esclusi completamente i Comuni, ma soprattutto non decidono più le popolazioni interessate, perché hanno deciso che il referendum debba essere solo consultivo. Insomma la Regione ha avocato a sé pieni poteri.  Un mostro giuridico, anticostituzionale che il Governo nazionale ha avallato. Sulla modifica della forma di referendum e la esclusione dei comuni dal percorso decisorio, si è consumato un vero e proprio scambio tra Occhiuto e il ministro Calderoli. Occhiuto vota a favore della sciagurata ipotesi dell’autonomia differenziata e Calderoli non impugna la legge con la quale la Regione  può decidere la fusione tra Comuni anche a prescindere da un eventuale pronunciamento contrario delle popolazioni.

In che modo?

Attraverso la modifica del comma 3 dell’art. 5 della legge regionale 55/2006, deliberata dal Consiglio Regionale a colpi di maggioranza, che elimina le delibere dei Consigli Comunali e ribadisce che il referendum è consultivo e non vincolante.  Di fatto si mortifica l’autonomia dei Comuni, calpestando il diritto di autodeterminarsi dei territori. Un atto, insomma, antidemocratico ed illiberale. Una modifica che contrasta con ciò che prevede una altra legge in vigore: “La Regione valorizza ed incentiva, sulla base dell’iniziativa dei Comuni, la costituzione di gestioni associative tra le stesse Istituzioni”.

Con altre “regole”, la Grande Cosenza si può fare?

La Grande Cosenza si deve fare. È stato l’orizzonte che ho indicato nel mio programma elettorale. Ma va fatta con responsabilità e serietà.  Per la fusione tra la città di Pescara e i comuni di Montesilvano e Spoltore è stato previsto un percorso della durata di ben nove anni.  Un percorso costituente e partecipato, con i comuni e le popolazioni come protagonisti primari. Serve innanzitutto uno studio di fattibilità e poi bisogna finanziare il  processo di fusione. Un adeguato finanziamento di premialità capace di supportare la nascita di un nuovo ente che dovrà amministrare oltre centomila abitanti e curare e manutenere un esteso territorio. Di tutto questo non c’è traccia nella proposta della Regione.  I firmatari della legge non si pongono minimamente il problema di come la fusione possa avvenire, in questo caso, alla presenza di fattori non certamente ordinari.

Infatti, oltre che la sopraggiunta presenza della gestione commissariale di Rende, soprattutto la condizione di dissesto finanziario del comune di Cosenza, con il registrarsi di una vera e propria voragine debitoria, ereditata dalla gestione dei dieci anni precedenti al mio insediamento alla guida della città costituiscono elementi non banali e che il legislatore regionale possa ignorare.  Serietà e responsabilità vorrebbero che Roberto Occhiuto, intanto, finanziasse ed azzerasse il debito pregresso di Cosenza ed evitare, così, che siano i cosentini e tutti i cittadini della area urbana con le loro tasche a farne le spese.

Ma non mi pare che ci sia questa volontà. Anzi, finora abbiamo registrato da parte di Occhiuto una vera azione di sabotaggio della realizzazione del nuovo ospedale della Annunziata nel sito di Vagliolise, cioè nel cuore della potenziale città unica ed il blocco della metropolitana leggera. Una opera questa che declina la materializzazione fisica della nuova città e che, oltre ad essere proposta in maniera lungimirante da Beniamino Andreatta al momento del suo insediamento a Rettore per la integrazione della università con l’area urbana, oggi sarebbe un innovativo fattore di modernizzazione di una città green, più vivibile e meno inquinata.

Tra riprese e silenzi la proposta della città unica non è nuova. Ritiene che sia ancora rivoluzionaria o bisogna guardare altrove?

È sicuramente rivoluzionaria l’ipotesi di area vasta Metropolitana, per includere anche altri territori legati al capoluogo come la Valle del Crati, il Savuto, le Serre cosentine. Una “Città Territorio” che potrebbe essere  una area strategica, nodo centrale di un asse di sviluppo che si estende da Gioia Tauro a Sibari.

Lei confida in un fecondo confronto istituzionale tra Regione e Comuni intorno alla procedura per la istituenda città unica?

 Finora non abbiamo registrato segnali incoraggianti. Da parte della maggioranza di governo regionale abbiamo registrato chiusure e, in qualche caso, qualche polemica di bassa lega.  Non mi pare di cogliere ad oggi un approccio metodologico consapevole di trattare un tema di forte valore storico. Ritengo che la nascita della città unica della area metropolitana cosentina non possa essere derubricata ad una questione di tipo semplicemente ordinaria e burocratica. L’ambizione dovrebbe essere quella di sollecitare un protagonismo sociale, istituzionale e culturale degno di un grande evento. E poi su questo terreno si dovrebbe facilitare la espressione di una forte volontà unitaria e non insistere in un atteggiamento assolutamente divisivo. I comuni finora hanno dimostrato volontà propositiva e di predisposizione alla cooperazione istituzionale.

Certo, se il quadro non muta, non possiamo subire passivamente.  Attiveremo tutte le azioni che la legge consente per fermare ciò che oggi si configura come un obbrobrio legislativo ed amministrativo. (fc)

Peppino De Rose: «Portiamo la Calabria a Bruxelles»

di PINO NANOEconomista, Esperto in Politiche e Programmi dell’Unione Europea, Professore Universitario di “Impresa turistica e mercati internazionali” presso l’Università della Calabria, campus nel quale ha conseguito con lode la laurea in “Economia e Commercio con indirizzo in Economia delle Amministrazioni Pubbliche e delle Istituzioni Internazionali”, il prof. Peppino De Rose è l’uomo che per motivi di studio oggi conosce meglio di chiunque altro oggi il mondo dei calabresi sparsi per il mondo.

All’ Università della Calabria, dove oggi insegna, ha ricoperto da studente, la carica di Presidente del Consiglio degli Studenti. Ha conseguito il Dottorato di ricerca in “Formazione della Persona e Mercato del lavoro” presso l’Università di Bergamo e diverse specializzazioni. Tra queste, la specializzazione in “Governo del territorio” presso l’Università Guglielmo Marconi di Roma e in “Management delle imprese non profit” alla Bocconi di Milano. È stato cultore della materia in Diritto Pubblico, Legislazione Scolastica e Pedagogia presso l’Università della Basilicata. 

Da giovanissimo è stato chiamato a svolgere funzioni di consulente e consigliere politico nei Bureaux dei Deputati al Parlamento Europeo, e di esperto presso vari dipartimenti della Regione Calabria, in particolare presso il Dipartimento Programmazione Nazionale e Comunitaria e il Dipartimento Turismo e Beni Culturali. Fra le altre cose che fa è anche direttore scientifico di progetti di ricerca sperimentale sul turismo internazionale e l’internazionalizzazione delle Regioni del Mezzogiorno d’Italia.

Professore, nessuno meglio di lei conosce il mondo dei Calabresi che sono lontani. Da dove vogliamo partire?

Dalla consapevolezza che i calabresi nel mondo rappresentano uno straordinario patrimonio di conoscenza e cultura oltre che un modello vincente di impegno, sacrificio e abnegazione nel mondo del lavoro. 

In che senso Professore?

Essi rappresentano una grande risorsa per le importanti reti di relazioni intessute a livello nazionale ed internazionale che possono tornare utili al sistema Calabria, aiutando ad accrescere la reputazione della regione nei Paesi in cui oramai vivono e lavorano, stimolando anche la domanda di beni e servizi nei mercati ed incoraggiando l’attrazione degli investimenti in Calabria. 

Ha un valore sociale tutto questo?

Non lo dice mai nessuno, ma i Calabresi nel mondo, grazie ai successi ottenuti in tutto il mondo, rappresentano il miglior testimonial della Calabria e rappresentano anche un grande esempio per i giovani calabresi, che oggi, così come nel passato, sono ancora costretti a partire dalla Calabria in cerca di fortuna altrove. 

Mi pare che nella maggior parte dei casi non abbiamo molte altre alternative, non crede?

Mettiamola allora così, la Calabria oggi è una meravigliosa terra che gode di una serie di potenzialità in linea alle esigenze dei mercati internazionali. Una serie di fattori favorevoli, come l’andamento demografico in Europa e le nuove abitudini o aspettative dei turisti, richiamano oramai ad un adeguamento rapido da parte degli attori dello sviluppo dei territori per poter creare un livello di competitività soddisfacente in grado di utilizzare al meglio l’importante patrimonio storico, culturale e naturale disponibile capace di generare posti di lavoro continuativo. 

Cosa c’entra tutto questo con i giovani?

C’entra, e come! I giovani calabresi svolgono un importante ruolo di promotori dello sviluppo. Il problema è che il passaggio, naturale e spesso scontato dal mondo della scuola, della formazione a quello del mercato del lavoro, nell’ultimo decennio si è configurato sempre più difficoltoso ed all’insegna di una strada incerta e tortuosa da percorrere, tanto da spingere le istituzioni europee e nazionali a considerare nuovi strumenti per garantire ai giovani l’accesso alla vita attiva. 

Sembra una cosa facile?

È un passaggio quanto mai delicato, che implica l’incontro tra più attori quali giovani, istituzioni scolastiche, università e mercato del lavoro, poiché non sono ancora ben chiari i legami e le corrispondenze tra formazione, sostegno all’occupazione e conseguente sviluppo economico della Calabria. Nonostante il ritardo di sviluppo della Calabria rispetto alle altre regioni d’Italia e d’Europa, di cui tutti siamo consapevoli per come emerge anche dai documenti report della Commissione europea, si stanno verificando una serie di condizioni favorevoli che possono generare un cambiamento ed una rinascita della nostra Regione.  

Nel senso che ci sono ancora spazi di movimento importanti?

Ne sono certo. La Calabria, nonostante tutto, rimane ancora una regione attrattiva ed a forte potenziale di crescita, oltre per le oggettive bellezze e patrimonio culturale e turistico, ma anche per tutta una serie di mutamenti a livello globale.

Da economista, ci aiuta a immaginare il futuro?

Entro il 2030 la maggior parte dei Paesi mondiali avranno a disposizione una popolazione identificabile in maggioranza come “middle class’’. Ci sarà una maggiore richiesta di beni e servizi di qualità ed una crescente urbanizzazione: ogni anno entreranno a far parte della popolazione urbana di 65 milioni di persone. La dimensione della “classe media globale’’ crescerà sino a un valore di 4,9 miliardi di persone nel 2030, ci saranno popolazioni sempre meno giovani ed i trend settoriali nel turismo sono quelli del turismo lento, naturalistico, esperienziale e culturale. Infine, c’è una grande attenzione da parte delle persone a livello mondiale sull’alimentazione di qualità, e la Calabria è la patria della Dieta Mediterranea, questa antica pratica alimentare supportata da studi scientifici che incide positivamente sulla longevità delle persone. 

Tradotto in valore reale cosa significa tutto questo?

Vede, queste nuove esigenze, impongono un significativo cambiamento nei processi per offrire ai mercati internazionali prodotti eccellenti ed innovativi con un forte orientamento al cliente globale soprattutto per il turismo e l’agricoltura. L’export della Calabria vale purtroppo ancora lo 0,1 % sul dato nazionale, ma ci sono segnali incoraggianti che la strada è quella di sostenere la creazione di reti commerciali con l’estero. 

Che ruolo gioca in questo la comunità di quelli che vivono fuori dalla Calabria?

Sono convinto che i calabresi all’estero, accumunati da un forte attaccamento alle radici, rientrano tra quel target di turisti internazionali, a cui soprattutto i piccoli Comuni, possono orientare la loro strategia di marketing internazionale, poiché viaggiatori animati dalla forte motivazione della riscoperta delle proprie origini e della propria storia familiare oltre che dalla voglia di esplorare e visitare nuovi luoghi. Chi emigra non dimentica mai la sua terra natale da cui è nata e prende forma la propria storia personale. A emigrare non è solo un corpo, è errata una visione in cui nell’ emigrazione si vede e si percepisce un semplice spostamento di persone. A emigrare con le persone è la cultura di quel paese. Paradossalmente più si è lontani da “casa” e maggiore diventa l’esigenza di tutelare altrove le tradizioni e la cultura che sono elemento caratterizzante della persona. Per salvaguardare e tramandare tra gli emigrati questo aspetto culturale, sono nate all’estero diverse associazioni. 

Esistono dei numeri reali relativi a questo mondo?

Assolutamente si. Le associazioni italiane all’ estero sono distribuite nel seguente modo: in Europa 3.319 unità, 2.865 unità tra America settentrionale e meridionale, Oceania 755, Asia 702 ed infine 15 unità in Asia. Il maggior numero di associazioni italiane si trova in Svizzera con le sue 1.438 unità e in Germania con 645 gruppi, come risulta dai dati provenienti dal sito del Ministero degli Affari esteri, Direzione Generale dell’Emigrazione e degli Affari esteri. 

Sono tante, e che ruolo hanno a suo giudizio?

Le associazioni cercano di preservare e rafforzare l’identità di provenienza, creando dei momenti di socializzazione senza operare con l’idea di contrapporsi a quella che è la società che li ospita. L’ obiettivo è quello di creare una posizione intermedia tra la comunità di partenza e i luoghi che ospitano gli emigrati. Anche le associazioni calabresi sono nate con questo spirito ed assumevamo la forma di società di mutuo soccorso. 

Può darci un’idea di quante siano oggi le associazioni dei calabresi all’estero?

Attualmente le associazioni calabresi all’ estero che sono iscritte ai registri sono un totale di 178 unità. 

Abbastanza per dare il senso della nostra presenza nel mondo?

Sa cosa succede? Che i processi che si innescano con questo tipo di azioni sono più che positivi perché abbattono qualsiasi confine nazionalistico, aprono gli occhi ad un mondo multiculturale dove chi prima era percepito come uno “straniero” possa essere invece oggi una risorsa che permette di aprire una finestra su delle realtà diverse rispetto a quelle che siamo abituati a vivere quotidianamente. 

Esiste sulla carta un minimo di regolamentazione ufficiale?

Il testo normativo più recente ed articolato che regolamenta i rapporti tra la Regione Calabria e i calabresi all’ estero è la “Legge organica in materia di relazioni tra Regione Calabria, i calabresi nel mondo e le loro comunità” o anche semplicemente detta come legge n.8 del 26 Aprile 2018. 

È una legge sufficiente a garantire questo mondo?

Nell’art. 2 sono state evidenziate quelle che sono le finalità da conseguire, nell’ambito delle finalità fissate dallo Statuto e in ordine agli obiettivi economici e sociali e nei limiti stabiliti dalla Costituzione. La Regione Calabria opera per incrementare e valorizzare le relazioni con i calabresi nel mondo ed interviene a favore dei calabresi nel mondo che intendono rientrare definitivamente in Calabria, agevolandone il reinserimento sociale. 

E questo secondo lei è sufficiente?

La verità è che gli strumenti legislativi vanno ripresi con forza e vigore, perché vanno nella direzione di considerare la stessa emigrazione come opportunità di sviluppo per l’attivazione dei processi di internazionalizzazione dei territori e dei Comuni. Un approccio mirato a un nuovo posizionamento della Calabria nella “gerarchia” delle destinazioni turistiche nel Mediterraneo.  

Perché secondo lei serve una maggiore integrazione tra politica e mondo dell’emigrazione?

Solo una vera sinergia tra calabresi all’ estero e le autorità regionali può far nascere una nuova progettualità per la Calabria quale terra dalla quale non si scappa più, ma si ritorna per creare nuovi scenari, prospettive, sviluppo e benessere. I canali web adesso più che mai, permettono di lanciare messaggi diretti ai calabresi che vivono lontani in modo immediato e che possono essere condivisi facilmente con il resto della collettività. La competizione globale e le nuove necessità del mercato hanno reso obsoleto il modello classico di turismo e in uno scenario di sviluppo del settore dei servizi, l’ambiente competitivo nei prossimi anni sarà ancora sensibilmente diverso da quello del presente. La definizione di piani e programmi ben definiti nelle policy di settore, non può prescindere da questo palese interesse per la Calabria e dall’opportunità che i calabresi all’estero offrono alla loro terra anche per l ‘attrazione degli investimenti soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo, capaci di esprimere un potenziale per la creazione di posti di lavoro, specialmente per i giovani. 

Esistono insomma dei margini di ripresa di questo rapporto tra chi è partito e chi invece è rimasto?

Io credo che l’innovazione e la diversificazione dei prodotti turistici, una formazione mirata per il potenziamento delle conoscenze e delle competenze ad ogni livello, possono essere una via per dare prova di resilienza ai tanti Comuni e innescare finalmente la crescita sperata e prova di resilienza persino durante i periodi di emergenza sanitaria ed economica. Se questo sforzo si fa complessivamente, sono sicuro che possiamo raccogliere questa sfida con tutti i nostri ritardi ma anche con tutte le nostre grandi capacità. (pn)