PONTE, ANCHE LANDINI È UN BENALTRISTA,
INTANTO RIPARTE LA ‘STRETTO DI MESSINA’

di SANTO STRATI – Ci mancava anche il “benaltrismo” del segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini come ciliegina sulla torta degli “antagonisti” a 360 gradi del Ponte sullo Stretto. Sono 50 anni che tutti parlano di “priorita” che devono avere la precedenza sul Ponte, opere pubbliche di cui si parla ma non si realizzano, e prevale la logica che “ci vuole ben altro”. Senza che nessuno abbia il minimo senso di vergogna per le tante parole spese al vento, pur di contrastare un’opera che non serve solo ai calabresi e ai siciliani, ma è utile al Mezzogiorno e soprattutto all’Europa. E allora sorge spontanea la domanda: ma dove erano tutti questi strenui oppositori del Ponte che in nome di un benaltrismo di facciata in questi ultimi 50 anni sono rimasti a guardare (e parlare)? E dove sono adesso?

Accanto a discutibili posizioni (nel rispetto, ovviamente, delle singole idee, purché suffragate da dati scientifici e non da ambientalismo di facciata o da strategia politica) arriva, per fortuna, una notizia buona per chi aspetta (e spera) che sia giunta l’ora giusta per il Ponte. Questa settimana, all’Anas, si (ri)aprono gli uffici della riesumata società Stretto di Messina, nata nel 1981 per progettare, realizzare e gestire il collegamento stabile tra le due sponde dello Stretto e – inopinatamente – messa in liquidazione il 15 aprile 2013. È un segnale forte di un cambiamento di rotta e, probabilmente, sempre questa settimana il ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini convocherà i sindaci metropolitani di Reggio e Messina per concordare il coinvolgimento degli enti locali nel progetto destinato (?) a stravolgere, in termini positivi, i territori di Calabria e Sicilia.

L’uscita – infelice, permettetecelo – di Landini non aiuta certo a rasserenare gli animi, anzi alimenta un evitabile dissidio tra i no-ponte (che continuano a portare avanti pretestuose e infondate motivazioni, prive di qualunque fondamento scientifico) e la maggior parte della popolazione calabrese e siciliana che, invece, vede nel Ponte un’occasione di riscatto, di crescita e sviluppo del territorio.

Si sono dette e si continuano a dire cose inesatte sul Ponte e i suoi costi (ultima la somma dei dati progressivi delle spese già affrontate che fornisce un dato falso e fuorviante) e sarebbe opportuno che tra i primi impegni del ministro Salvini (che ha detto, convinto, che si metterà mano al Ponte nel corso di questa legislatura) ci sia quello di avviare una campagna di comunicazione seria e onesta che spazzi via ridicoli dubbi su venti, correnti, pericolo sismico e quant’altro, in modo tale che non possano esserci ulteriori alibi per i no-ponte e, soprattutto, per i politici che oscillano – pericolosamente – tra atteggiamenti a favore o contro.

È sicuramente un momento favorevole: il Governo sta dando indicazioni chiare sulla volontà di mettere mano al Ponte e le dichiarazioni d’intenti, a partire dalla premier Meloni, indurrebbero a un moderato ottimismo. Il condizionale è d’obbligo, visti i precedenti.

Ma la compattezza della coalizione al Governo nei confronti dell’attraversamento stabile dello Stretto dovrebbe giocare a favore della realizzabilità dell’Opera.

Intanto, con grande sollievo, si sono risparmiati i 50 milioni di nuovi studi che avventatamente l’ex Ministro Giovannini aveva stanziato con l’evidente obiettivo di rinviare ogni decisione. Ed è già un buon risultato sulla gestione del denaro pubblico. Poi c’è da registrare l’idea di Salvini di rimettere in piedi tutti i contratti “congelati”, incluso quello dell’assegnazione al general contractor Eurolink (oggi WeBuild di Pietro Salini), in modo da interrompere ogni controversia giudiziale che avrebbe – sicuramente – visto soccombere lo Stato al pagamento di penali ultramilionarie (quasi 800 milioni). E, soprattutto, la riattivazione dei contratti in essere facilita e accelera l’adeguamento del progetto esistente (approvato nel 2010 e poi fermato dal Governo Monti nel 2011) in modo che i progettisti che saranno individuati per le necessarie modifiche dei costi e dei materiali (in questi ultimi 12 anni la tecnologia ha fatto passi da gigante nel campo delle costruzioni) non debbano partire da zero.

Cos’ha detto Landini a Messina? «Il Sud e la Sicilia non possono perdere il treno del Pnrr e il lavoro deve essere al centro di nuove politiche. Il governo Meloni ha però iniziato male, introducendo di nuovo i voucher e non combattendo il precariato. Il Ponte sullo Stretto? Non è una priorità, mentre i trasporti, penso alla lentezza dei treni, e l’emergenza occupazionale lo sono». Benaltrismo sul modello ormai diffuso da tempo per tutte le grandi opere del Paese.

Al leader sindacale ha replicato subito il senatore leghista Nino Germanà: «Per Landini la ricetta sarebbe ‘no al Ponte, sì al Reddito di cittadinanza’? Si occupasse dei lavoratori».

Sul Ponte si è, quasi contemporaneamente, espresso su Instagram lo stesso Berlusconi, non facendo mancare un pesante attacco ai no-ponte ispirati dai 5 Stelle: «I nostri governi di centrodestra hanno certamente reso l’Italia più moderna ed efficiente. All’ambientalismo ideologico della sinistra, ai propositi di decrescita infelice del Movimento 5 Stelle, che avrebbe voluto un’Italia solo agricola, senza più industria, abbiamo risposto con progetti e opere che oggi consentono ai nostri cittadini di viaggiare comodamente e rapidamente da una parte all’altra del Paese, consentono a milioni di turisti di visitare il nostro Paese ogni anno, consentono alle nostre imprese di trasportare e consegnare i loro prodotti in poche ore». Ottimisticamente, il leader di Forza Italia parla addirittura di mesi per l’avvio dei lavori: «Abbiamo creato le condizioni per realizzare una grande opera necessaria, il Ponte sullo Stretto di Messina, che, però, è stata poi fermata dei governi della sinistra. Oggi, finalmente, si sono convinti tutti della bontà della nostra intuizione: apriremo finalmente i cantieri nei prossimi mesi».

Gli ha fatto eco la sottosegretaria ai Trasporti Matilde Siracusano: «Le parole del presidente Silvio Berlusconi rappresentano un’ulteriore conferma della volontà politica del centrodestra di riavviare il progetto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. La costruzione di questa infrastruttura rappresenta una battaglia storica di Forza Italia. I governi guidati dal nostro leader hanno più volte dato il via libera a questa grande opera, ma l’ideologia della sinistra, dei 5 Stelle, ed errori tragici fatti da passati esecutivi tecnici, hanno sempre stoppato l’apertura dei cantieri. Per il centrodestra le infrastrutture sono la colonna portante attorno alla quale si può creare lavoro, sviluppo e crescita, sono un fattore indispensabile per attrarre imprese e con esse investimenti: al Sud più che in altre zone del Paese. Per queste ragioni siamo convinti che la realizzazione del Ponte sullo Stretto non sia più rinviabile, anche in virtù del ruolo strategico che sta sempre più assumendo l’area del Mediterraneo. La Sicilia e il Mezzogiorno non possono perdere questa grande occasione. L’impegno del premier Meloni, del ministro Salvini e del presidente Berlusconi va nella giusta direzione».

Pare evidente, dunque, che ci siano le condizioni “politiche” per un’Opera che l’Europa ci chiede. Le altre opere pubbliche, di cui in tanti si sgolano in nome delle “priorità”, hanno un senso specifico in presenza del Ponte: occorre quindi ragionare in termini di visione complessiva sulla mobilità del Mezzogiorno e la necessità di infrastrutturare adeguatamente tutto il Sud. A partire dalla vergognosa realtà della Statale 106, la famigerata strada della morte, per finire ai collegamenti stradali interni che in Calabria penalizzano oltre ogni ragionevole misura chi vive nei piccoli centri.

Un discorso a parte merita l’Alta Velocità ferroviaria in Calabria, il cui suicida progetto che allunga i tempi di percorrenza, per fortuna non è ancora stato approvato. Ma l’Alta Velocità – ammesso che veda finalmente la luce – a cosa serve se poi si ferma a Villa San Giovanni con la strozzatura dell’attraversamento a mezzo traghetti? I siciliani (che sognano ugualmente l’AV) si fermerebbero al molo di Messina. Il Ponte non è un capriccio, ma una effettiva e provata necessità, con buona pace  di quanti remano contro. ν

Landini (Cgil): Bisogna investire per creare lavoro al Sud

«Bisogna investire per creare lavoro al Sud», ha dichiarato Maurizio Landini, segretario nazionale di Cgil, nel corso dell’assemblea della nascente Cgil Area Metropolitana.

«La parola Sud – ha spiegato – nemmeno esiste nella legge di bilancio, mentre pensare allo sviluppo del Mezzogiorno vuol dire pensare allo sviluppo dell’intero Paese. Non è questa la strada da seguire. Ma non finisce tutto con la Legge di bilancio, bisogna fare concretamente le riforme di cui il Paese ha bisogno. A partire dalle pensioni, dalla riforma fiscale alla cancellazione del precariato. Il governo decida se vuole discutere con i sindacati e con il mondo del lavoro».

«Il nostro giudizio sulla manovra rimane negativo – ha aggiunto – non ci sono miglioramenti. Riteniamo che i problemi più grossi non vengano affrontati, la gente non sa come arrivare a fine mese, bisogna aumentare i salari, c’è un livello di precarietà che non è più sostenibile. Non abbiamo pregiudizi, giudichiamo dai governi da quello che fanno e in questo caso da ciò che non c’è e dalle scelte sbagliate che sono state fatte. Sono stati capaci di diminuire le aziende dalle quali si prendono i profitti. Dai dieci miliardi di euro previsti dal governo Draghi, la cifra è scesa a due e mezzo, In una situazione di crisi in cui le diseguaglianze sono aumentate, i salari sono diminuiti e i profitti sono aumentati, la nostra è una proposta molto precisa: un contributo straordinario di solidarietà da chiedere alle aziende sui profitti che hanno realizzato. È ora di smetterla di fare cassa sul lavoro dipendente o addirittura sul reddito di cittadinanza».

«Siamo partiti da quota 100 per arrivare a 103 – ha proseguito – in sostanza siamo tornati alla Legge Fornero, anzi l’hanno peggiorata con opzione donna e ora si danno contributi per non andare in pensione. Non si affronta il problema dei giovani che non andranno mai in pensione e si fa pagare un prezzo doppio alle donne».

«C’è un’idea del lavoro sbagliato. Reintrodurre i voucher significa aumentare il lavoro nero, quello sfruttato e non pagato. Chi viene pagato in voucher non avrà mai una pensione,  troverei utile che venisse pagato a voucher chi lo propone, quindi i politici», ha detto ancora Landini che ha puntato il dito anche contro la flat tax.

«Averla estesa – ha commentato – da 65 a 85 mila euro è una marchetta elettorale pura. Riguarda un numero molto ridotto di persone. Coloro che sono a partita iva e che nemmeno arrivano a quelle cifre, hanno un altro problema: quello di avere gli stessi diritti degli altri, malattia, infortunio, ferie, tfr. Noi chiediamo un nuovo statuto dei diritti dei lavoratori, in cui tutte le persone che lavorano, a prescindere dal lavoro che fanno abbiano gli stessi diritti e tutele».

«Per questo – ha concluso – sarebbe giusto arrivare ad una legge di rappresentanza in cui si cancellino i contratti pirata e si dica che i contratti collettivi nazionali valgono per tutte le forme di lavoro al fine di alzare la qualità del sistema di imprese e favorire chi vuole fare seriamente il proprio lavoro, colpendo chi gioca sulla riduzione dei diritti e l’evasione fiscale». (rrc)

L’OPINIONE / Raffaele Malito: Conte e Landini, i dioscuri del populismo corporativo

di RAFFAELE MALITO – Non mi pare che gli opinionisti dei salotti televisivi  che discettano  su tutto, si soffermino su un tema politico che sta emergendo e, probabilmente, condizionerà il controverso dibattito sulle sorti del Pd: quello del rapporto tra Maurizio Landini, leader del nostro più grande sindacato, la Cgil, e il nuovo camaleonte della politica italiana, Giuseppe Conte. 

Qualcuno li ha definiti  i dioscuri del populismo corporativo. In effetti si frequentano, si stimano, condividono idee ed analisi della situazione politica, economica e sociale.  Governano le proprie organizzazioni con un dominio totalizzante.                                                                   Landini non ha mai pensato di promuovere una qualche forma di protesta contro i due governi presieduti dal  Che Guevara di Scampia: ha detto, di fatto, sì al reddito di cittadinanza e a quota 100, misure, l’una pauperista e l’altra corporativa, disinteressandosi, da una parte dei conti pubblici e, dall’altro, di un’autentica emancipazione dei giovani attraverso il lavoro, la ricerca di un’occupazione. Si potrebbe aggiungere che non ha mai detto nulla contro i decreti sicurezza di Salvini. 

Ha, invece, solertemente, promosso uno sciopero, insieme con l’Uil ma senza la Cisl, contro il governo Draghi che stava riportando credibilità,  prestigio, all’Italia, capacità di governo, che aveva avviato un lavoro serio di ripresa del Paese. 

Uno sciopero, solo, dunque, per  una dimostrazione di esistenza in vita.

Un combinato disposto tra i settarismi di ribellismo sociale, politico, qualunquista, fatto di slogan: giù le armi, su i salari, assistenza a tutti. Queste le stelle polari che orientano i cinque stelle del Conte camaleonte. Ma non possono essere le stesse per chi rappresenta e dirige un sindacato come la Cgil che ha una grande storia di responsabilità di fronte ai grandi fatti politici del nostro Paese. 

Conte e Landini: entrambi condividono una sorta di spaesamento populista che pesa su una sinistra radicale, che trova, ahinoi ascolto in una parte del Pd,incapace di interpretare i mutamenti nel sistema economico e nelle trasformazioni avvenute nel mercato del lavoro: metodi rivendicativi  del passato- salario come variabile indipendente- rifiuto della decentralizzazione con contratti sempre più centrati sulla azienda piuttosto  che sui contratti nazionali.  Così come netto è stato il rifiuto di ogni innovazione riformista del mercato del lavoro nel senso della flessibilità.  Difesa ad oltranza dell’art.18, contro il jobs act – ottusamente contrastato – che ha aperto opportunità per i giovani,  i voucher  che consentivano lavori stagionali, contratti a termine, flessibilità di orari e tempi di lavoro. Lavorare, comunque, intanto. 

Poi,  certo, l’impegno contro la precarietà ma  anche contro forme di puro assistenzialismo, come il reddito di cittadinanza, vissuto sempre più come uno strumento corporativo. Ma guai a modificarlo né, tanto meno, ad abolirlo: insomma nella logica del conservatorismo sindacale e grillino i poveri diventano una categoria che fa comodo per mantenere e accrescere il consenso.                                                         

Oggi le cinque stelle dell’onda grillina,  identificata nel camaleonte Conte, rischiamo di essere la bussola impazzita di un sindacato sempre più corporativo e chiuso a ogni forma di autentico riformismo:  la storia insegna che quando si insegue e si sceglie la linea corporativa e “rivoluzionaria” si favorisce la destra conservatrice e autoritaria.

Il populismo corporativo di Conte e Landini non è la via migliore per rilanciare il progressismo in Italia e per promuovere una nuova stagione del lavoro. Vanno in questo senso le annunciate mobilitazioni, con scioperi regionali, di Cgil e Uil – ancora una volta senza la Cisl – nei prossimi giorni, a cui si lega, non casualmente, la manifestazione di piazza del Pd contro il governo per il 17 dicembre.

Ho seguito per molti decenni da vicino, da giornalista, l’impegno – o meglio, la missione-  del Sindacato,  dei  dirigenti calabresi  e quelli,  di grande prestigio, nazionali. Ne cito solo alcuni momenti cruciali: quando Luciano Lama e Giovanni Agnelli, nel 1975, firmarono il patto per la scala mobile contro l’inflazione; quando  Bruno Trentin, Pierre Carniti, Giorgio Benvenuto,  gli storici leader dei metalmeccanici, vennero, con Lama, a Reggio, nel 1972, capeggiando la grande “ marcia dei cinquantamila” per rispondere alla strategia fascista della “rivolta”; quando, a metà anni ’70, Bruno Trentin guidò una grande manifestazione a Gioia Tauro per il V Centro siderurgico;                                                                                                                                     quando  Cgil, Cisl e Uil, nel 1992, firmando, con il governo Amato,  in piena emergenza economica e politica,  l’accordo per la concertazione sulla politica dei redditi,  nuove relazioni industriali con la riforma del sistema contrattuale- nazionale e decentrato- si  caricavano sulle spalle il destino del Paese assumendo impegni e responsabilità da classe dirigente  nazionale, interpreti e portatori di interessi generali.                

Un abisso tra quei dirigenti sindacali del  passato e quelli del populismo corporativo di oggi. (rcs)

Nicola Gratteri e il segretario generale della Cgil Maurizio Landini a confronto su “Il lavoro parte civile”

Un importante confronto è in programma domani, che vedrà confrontarsi il Procuratore Nicola Gratteri e il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, sul tema Il lavoro parte civile.

Enzo Scalese, segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia, ha sottolineato che «non è casuale che la Cgil abbia scelto la fondazione Terina, in un luogo adiacente a quello all’aula Bunker di Lamezia dove si sta celebrando il maxiprocesso Rinascita Scott, per ospitare una importante iniziativa che vedrà a confronto domani tra il Segretario generale della Cgil Maurizio Landini e il Procuratore Capo di Catanzaro Nicola Gratteri».

«E che questo incontro – ha aggiunto – dal titolo “Il lavoro parte civile” arrivi nell’ultimo giorno di una campagna elettorale molto anomala, tanto silente nei grandi temi, a partire da quello della legalità, quanto piccata e poco incisiva nel confronto con i cittadini-elettori».

«Un’ iniziativa, quindi – ha proseguito – che rappresenta un modo per essere ancora più vicini alla magistratura nella sua azione quotidiana di contrasto alla pervasività mafiosa che si annida nei rapporti torbidi con la politica, con la pubblica amministrazione danneggiando e scoraggiando la parte sana di una società onesta e laboriosa che si spacca la schiena dalla mattina alla sera anche per cambiare l’immagine di questa terra che agli occhi di molti nel resto del Paese appare piegata al destino della “perdizione”».

«Dall’area centrale della Calabria, invece – ha detto ancora – davanti al nostro segretario nazionale, vuole partire un messaggio ancora più forte nell’esprimere vicinanza e riconoscenza all’impegno della magistratura. Una presa di posizione che va a rafforzare un patto di collaborazione finalizzato a “liberare” la nostra regione dalla illegalità che soffoca i diritti di cittadinanza, distrugge l’economia, incide in maniera negativa sulla qualità del lavoro drogando il mercato a danno delle donne e degli uomini che sono impegnati  ogni giorno per riconquistare spazi di democrazia per continuare a sperare». (rcz)

LA CALABRIA TRASCURATA DALLA POLITICA
IL 26 A SIDERNO I SEGRETARI CGIL-CISL-UIL

di ANGELO SPOSATO – Il 26 luglio in Calabria, a Siderno, nella Locride, torneranno a distanza di due anni dalla manifestazione nazionale di Reggio Calabria i Segretari generali di Cgil Cisl Uil. Un segnale di forte attenzione del sindacato confederale nazionale verso la Calabria.

Con Maurizio Landini, Luigi Sbarra, Pierpaolo Bombardieri, proveremo a mettere nuovamente al centro dell’attenzione nazionale i problemi del Sud, della nostra Regione, del lavoro, della salute, della legalità, del territorio. Una fase difficile per la Calabria che vive la più grave crisi economica, sociale, politica, dalla nascita del regionalismo.

Un Consiglio ed un a Giunta regionale decaduti per via della prematura scomparsa della Presidente Jole Santelli, nel pieno della pandemia, rischiano di compromettere ogni utile segnale di ripresa che potrebbe essere determinata dalle diverse ed ingenti misure economiche previste dal piano nazionale di ripresa e resilienza, dalla programmazione dei fondi Europei, dal bilancio nazionale.

Nonostante le ingenti risorse disponibili, assistiamo ad una privazione di ogni dibattito pubblico sui temi dello sviluppo, del lavoro, della salute, del territorio, degli investimenti. Grave l’assenza della politica nazionale e regionale che non mostra alcun interesse verso i bisogni dei cittadini calabresi, considerando la Calabria un problema di difficile soluzione. Grave l’assenza e l’atteggiamento dei partiti nazionali, che continuano a tergiversare concentrando la loro azione non su progetti concreti per superare la crisi, ma su scelte verticistiche ed elettorali, che non colgono la necessità di avviare un confronto con le migliori energie della Calabria per individuare un protagonismo di nuove classi dirigenti, dinamiche, fresche, giovani, capaci di misurarsi con le sfide dell’innovazione, della transizione economica, ecologica, energetica, sociale.

L’atteggiamento della politica nazionale verso la Calabria da l’idea dell’abbandono con un tentativo sterile di riproporre scelte con schemi del passato che non hanno nessuna proiezione innovativa, con vecchie logiche correntizie e di potere, che aprono praterie a populismi e sovranismi.

Occorre tornare al merito, ai contenuti, alle proposte vere per far uscire la nostra regione e l’intero Mezzogiorno dal cono d’ombra e da una crisi che potrebbe diventare irreversibile.

L’intero Sud, come il resto del Paese, ha necessità di strategie di sviluppo su base macroregionale. Servono investimenti veloci, non si ha tempo di aspettare anni.

Servono politiche industriali che producano lavoro. Al Paese, al Mezzogiorno serve produrre cose, beni, servizi. Il nostro Paese, nell’era della globalizzazione ha delocalizzato tutto. Occorre una strategia nazionale per riallocare le fabbriche e nuove filiere produttive, con i settori innovativi, puntando sulle nuove tecnologie digitali, sulle infrastrutture, le reti materiali e immateriali.

Anche le politiche per il commercio, il turismo, il terziario, l’ambiente, le infrastrutture, hanno necessità di una proiezione nazionale e macroregionale. Nessuno può farcela da solo, serve una visione di sistema e collettiva, con interventi mirati e con un cronoprogramma certo. Va riformato il Paese e la nostra regione, il ruolo della pubblica amministrazione deve aiutare questo processo riformatore. Ma occorre sbloccare il turn over nella pubblica amministrazione con un piani di assunzione nella scuola, negli enti locali, nella sanità, atteso che il piano Brunetta per le assunzioni nel Sud è stato completamente inadeguato.

Il ruolo del governo, del pubblico, diventa determinante nell’orientare il mercato della produzione. Negli Stati Uniti, nella più grande crisi economica del dopoguerra determinata dalla bolla finanziaria dei titoli tossici, la prima azione messa in campo dal Governo è stata quella di ricostruire il settore industriale e dell’auto, a partire da Detroit. Il nostro Paese non può uscire dalla crisi senza un piano strategico di sviluppo industriale, senza una visione strategica nello scenario internazionale, a partire dal ruolo strategico nel mediterraneo.

Le rotte internazionali, lo sviluppo della logistica, impone al nostro Paese di fare scelte che facciano recuperare i divari che sono aumentati sia a livello internazionale, dove la precarietà del lavoro e la poca competitività delle Imprese limitano la crescita, sia a livello nazionale che ha visto nella pandemia una accentuazione della forbice tra nord e sud, aumentando la precarietà e la disoccupazione nel mezzogiorno che rischia di diventare una vera polveriera sociale. La Calabria può diventare la più grande piattaforma logistica dell’Euromediterrano e la politica regionale e la deputazione parlamentare calabrese dovrebbe battersi per questo.

Se non si attivano subito misure immediate per l’occupazione, la ripresa della emigrazione, la bassa natalità, porterà ad un declino veloce del mezzogiorno e ad un graduale ed irreversibile invecchiamento e spopolamento, peraltro già in atto.

Per queste ragioni, il confronto con il Governo nazionale sul Recovery plan, il confronto con le Regioni, con le amministrazioni locali, il partenariato economico e sociale avrà un ruolo determinante. Per il Sud e la Calabria sarà strategico.

Cgil Cisl Uil nazionali hanno avviato una serie di mobilitazioni per aprire un confronto con il governo centrale su questi temi. La tappa del 26 luglio a Siderno con i Segretari generali di Cgil Cisl Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra, Pierpaolo Bombardieri sarà importante anche per rilanciare le proposte unitarie che abbiamo fatto in Calabria sui temi del lavoro, dello sviluppo, dell’ambiente, della salute, del territorio, della legalità.

Nella regione tra le più povere d’Europa e con la mafia tra le più potenti nel mondo il tema della legalità è precondizione necessaria per ogni ipotesi di sviluppo.

Il lavoro, la scuola, l’istruzione, sono le più grandi infrastrutture sociali ed investimenti che vanno fatti per combattere la ‘Ndrangheta. Queste precondizioni non possono essere sottovalutate dalla politica nazionale e regionale che dovrebbe essere più in sintonia con tutta la parte sana della società calabrese, ascoltarne i bisogni e determinarne le azioni. Solo con il lavoro si può curare l’Italia e la Calabria, ed il 26 luglio per la Calabria sarà la giornata del Lavoro e dei diritti. (as)

*Angelo Sposato è Segretario generale Cgil Calabria