MEDITERRANEO, L’ITALIA PUÒ COMPETERE
MA DOVRÀ INVESTIRE SUI PORTI DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Una volta si chiamava Mare nostrum. Ed era un mare di civiltà sul quale si sono affacciati grandi Paesi e tutte le religioni monoteiste. I nostri progenitori lo percorrevano in lungo e in largo tanto che più che un mare era un lago che univa popoli .

In tale mare l’Italia è centrale fisicamente ma purtroppo si sta facendo sfuggire i traffici internazionali. Prima con la scoperta dell’America i porti atlantici sono diventati quelli fondamentali per i traffici con il nuovo mondo, poi con l’apertura del canale di Suez non si è riusciti a far diventare i porti mediterranei centrali perché quelli atlantici, malgrado la loro lontananza fisica sono riusciti a prevalere per la loro efficienza e la capacità di collegarsi via terra al centro dell’Europa  con collegamenti ferroviari, autostradali e aerei. 

Quindi la centralità dell’Italia è rimasta solo fisica, considerato che il Sud che doveva essere il luogo di attracco per le navi provenienti da Suez in realtà è rimasta un’area isolata. Il porto di Augusta, frontaliero a Suez, peraltro non utilizzabile anche per le scorie esistenti nei suoi fondali é rimasto non collegato con una linea ferroviaria veloce.  Ma che anche se fosse esistita avrebbe trovato nell’attraversamento dello Stretto di Messina un blocco difficilmente superabile, visto che il collegamento veniva fatto con i Ferry Boat. 

Ma anche Gioia Tauro, che non aveva il problema della strozzatura dello stretto di Messina, non è stata collegata adeguatamente con la linea ferroviaria al Centro Europa, per cui le maxi navi porta containers avevano più convenienza a percorrere tutto il Mediterraneo, attraversare il canale di Suez, costeggiare la Spagna, il Portogallo, la Francia, attraversare il canale della Manica ed arrivare poi ai porti dell’Europa del Mare del Nord, dai quali le merci, dopo essere state lavorate creando migliaia di posti di lavoro nei retroporti relativi, potevano essere trasportati nel centro Europa. 

In realtà l’Italia ha sempre puntato ai due grandi porti dell’ascella del paese, Genova e Trieste, che non sono mai riusciti a competere adeguatamente con Rotterdam, Amburgo e Anversa. Con investimenti importanti fatti in essi, forse meno giustificati di quelli non effettuati nei grandi porti meridionali che caratterizzano tutto lo stivale, da Napoli a Salerno, a Gioia Tauro a Messina, Taranto, Bari e poi di tutti quelli della Sicilia che da Palermo, Trapani, Marsala, Mazara del Vallo, Porto Empedocle, Gela arrivano fino a Siracusa, Augusta e Catania. 

Con la chiusura degli approvvigionamenti energetici dalla Federazione Russa, l’esigenza di guardare verso sud è diventata prioritaria e con essa la favola del Mezzogiorno Batteria del Paese. Cioè si è cominciato a capire che essendo a pochi chilometri di distanza dalla costa africana la Sicilia poteva diventare un territorio fondamentale di attracco per i vari oleodotti, elettrodotti, metanodotti che, partendo dal Nord Africa, ricca di energia fossile, sarebbe potuta diventare un punto di passaggio importante per portare l’energia alle aree produttive del Nord e magari anche al centro Europa. 

Tale approccio insieme alla favola di una seconda industrializzazione, dopo quella mancata degli impianti petrolchimici, è diventato fondamentale per illudere i meridionali che tali impianti avrebbero portato anche posti di lavoro. 

L’altro elemento che è diventato fondamentale è stato quello relativo agli impianti eolici e solari, che necessari portano però uno stravolgimento dello skyline delle realtà interessate e un consumo di suolo agricolo, per quanto attiene agli impianti solari, estremamente elevato. 

Tanto che recentemente si è pensato di permettere la costruzione di tali impianti soltanto offshore, cosa che è estremamente più costosa di quanto non si realizzano sul territorio. 

Il recente progetto che dovrebbe realizzarsi con il piano Mattei in realtà poco può fare se diventa una realizzazione che riguarda solo l’Italia. Con tutta la buona volontà che il nostro Paese può metterci è chiaro che se parliamo di accordi di cooperazione che aiutino l’Africa ad uscire dalla condizione di sottosviluppo in cui si trova, per evitare i flussi drammatici di emigrazione, che ci riguardano, ci preoccupano e rischiano di far saltare gli equilibri socioeconomici di tanti paesi dell’Unione Europea, dobbiamo guardare a dimensioni finanziarie di aiuti che certamente il nostro Paese da solo non può consentisi. 

Il rischio che lo scambio con l’Africa continui ad essere quello predatorio, che prevede l’acquisto di energia in cambio di risorse, che spesso si perdono a favore della nomenclatura di paesi ancora che non hanno ancora raggiunto o consolidato processi democratici evoluti e che non contribuiscono ad innescare quel processo di sviluppo necessario per creare un percorso autonomo di autosufficienza, è alto.

In tale contesto l’interesse della Cina per quest’area, conseguenza degli interesse per tutto il continente africano, rischia di consentire l’esproprio di un’area che naturalmente dovrebbe far parte di una zona teorica di influenza riguardante l’Italia. 

Mentre anche la Russia manifesta l’esigenza di affacciarsi sul Mediterraneo, per cui si capiscono  i grandi interessi di conquistare il Donetsk ucraino in modo che tramite Odessa, Mariupol, che si affacciano sul Mar Nero, arrivare al grande lago salato che si chiama Mediterraneo. 

In tale contesto geopolitico l’Europa sembra totalmente assente e sta guardare i conflitti che stanno avvenendo sulle coste del grande lago salato, come se non la riguardassero, mentre invece nascono da interessi ben precisi contrapposti di influenza in tali aeree. 

Se le politiche che il Paese vuole portare avanti riguardano lo spopolamento del Mezzogiorno, fornendo anche aiuti a chi si voglia trasferire, non investendo adeguatamente in tale realtà attraendo investimenti dall’esterno dell’area, infrastrutturando adeguatamente tale territorio, lavorando fin da adesso per mettere a regime i porti del Mediterraneo e della Sicilia orientale in maniera tale che all’apertura del ponte sullo stretto del 2032 siano già pronti, perché competere con Rotterdam non è un gioco da bambini, se tutto questo non si fa quando ci sveglieremo dal lungo sonno troveremo i giochi già tutti fatti e non potremmo che essere spettatori in casa nostra. 

Per guardare al Mediterraneo non basta solo affermarlo a parole o sostenere soluzioni parziali come quella di diventare il centro di formazione per i paesi arabi, o altre correte visioni ma parziali, ma è necessario un approccio sistemico, che guardi a tutte le variabili economiche e geopolitiche. Prima ce ne rendiamo conto e più facile sarà avere un ruolo. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

Il corto “Riace, Mediterraneo” vince il Reggio Film Fest

È Riace, Mediterraneo, il corto sulla storia di Mimmo Lucano ad aver vinto come miglior cortometraggio “Premio Rhegion” al Reggio Film Fest, chiusosi con la proclamazione e premiazione dei vincitori del concorso per cortometraggi “Millennial Movie”.

La kermesse, con la direzione artistica di Antonio Flamini, è stata realizzata grazie al sostegno di Fondazione Calabria Film CommissionCittà Metropolitana di Reggio Calabria e Ministero della Cultura, e si conferma, ancora una volta, contenitore di cultura e riflessioni, aiutate dalla forza del cinema e che, grazie al cinema, riescono a proiettarsi ben oltre il grande schermo.

Il film, di Damiano Bedini, ripercorre, trasformando le immagini in cartoon e in 18 minuti intensi e commoventi, la storia del Sindaco ed europarlamentare, dal racconto, visivamente potente e diretto, del “modello Riace”, simbolo di accoglienza e integrazione, alle sorti giudiziarie di Lucano che, in occasione della proiezione del corto, era presente al Festival.

Invitato sul palco dalla conduttrice Vicky Catalano e dal direttore artistico del Festival, Antonio Flamini, Lucano ha ringraziato «chi mi ha voluto accompagnare in questo viaggio verso l’utopia», ha detto visibilmente emozionato e commosso, per poi soffermarsi brevemente sulla sua vicenda recente: «Gli eventi si sono susseguiti e io sono tornato a essere sindaco Riace», ha aggiunto, raccogliendo un caloroso applauso.

«Il messaggio nel mio immaginario è questo – ha spiegato – io ho voluto raccontare che esiste un’alternativa ai lager libici, alle deportazioni in Albania, alla disumanità. Ho avuto questo ruolo solo perché mi sono trovato sindaco al momento di quel primo sbarco di migranti. È come se gli eventi mi avessero travolto, ma i veri protagonisti sono il senso di accoglienza e la solidarietà che caratterizzano i villaggi dove le case non hanno chiavi e il concetto di proprietà e di egoismo si annullano. E c’è la sensibilità, di fronte a persone in difficoltà, di non girarsi dall’altra parte. È questo il messaggio essenziale per contrastare la chiusura delle coscienze», dice ancora, sottolineando che l’apertura verso laltro non è solo un atto di umanità, ma rappresenta anche una possibilità di sopravvivenza per i piccoli centri, che altrimenti rischiano di scomparire».

Lucano, poi, si è soffermato sulle parole di Wim Wenders, che a Riace girò un film particolarmente toccante, rimanendo incantato e dicendo, successivamente, «La vera utopia non lho vista nella caduta del muro di Berlino, ma in quello che è successo in un piccolo villaggio della Calabria chiamato Riace», e così Riace è stato proiettato nel mondo.

E sono proprio altre parole di Wenders a chiudere il corto, che include interviste e interventi di personaggi come Don Ciotti e Roberto Saviano.

«Condannare Mimmo Lucano a 13 anni di carcere è tanto scandaloso quanto assurdo. È un grande pacificatore, umanitario e coraggioso. Puoi anche imprigionare tutte le persone di buona volontà, comprese quelle che predicano la compassione e la fraternità. Ora sono pronto a vedere Papa Francesco in manette, non sarebbe meno ridicolo o farsesco», la frase del regista tedesco impressa sui titoli di coda.

 

«Wenders mi ha dato speranza e voglia di continuare a lottare», dice ancora il sindaco, annunciando con orgoglio che lo porterà con sé al Parlamento Europeo, affinchè «tutti gli europarlamentari e il mondo intero sappiano che esiste unalternativa alle deportazioni, agli accordi con i cosiddetti Paesi terzi, ai lager libici e alle stragi come quelle di Cutro o Roccella Ionica. E questa alternativa si chiama umanità».

DOPO LE ELEZIONI, QUALE EUROPA SERVE
PER LO SVILUPPO DI TUTTO IL MERIDIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAQualche anno fa Giorgia Meloni affermava che Roma avrebbe tutte le carte in regola per essere capitale d’Europa. Ma la realtà è invece che il centro dell’Unione si è spostato verso Nord. 

Mentre i centri decisionali dell’Europa sono sempre più in realtà Berlino e Parigi, più che Bruxelles e Strasburgo. Ma forse per il Mezzogiorno che l’asse si sposti verso Nord è pure più conveniente, considerati i risultati acquisiti da 162 anni di governo romanocentrico.  

E infatti al Sud serve una governance meno nordista e disattenta alle sue problematiche. Al di là delle colpe degli scarsi  risultati acquisiti, non vi è dubbio che siamo di fronte a un fallimento delle azioni per il Sud. Di fronte a un Paese spaccato in due, economicamente e socialmente, che si avvia, con l’autonomia differenziata, anche verso una spaccatura normata costituzionalmente. 

Per questo la speranza che rimane è quella di più Europa. Perché accada quello che non si è verificato, e cioè quello  che potrebbe sembrare semplicissimo, di riuscire a dare i diritti di cittadinanza a una popolazione di 20 milioni di abitanti. 

Oggi che il Mediterraneo è ridiventato centrale, l’interesse sull’area diventa sempre più evidente, ma anche il pericolo che venga sfruttato soltanto senza che sul territorio rimanga nulla. 

Il concetto propalato di batteria del Paese va in questo senso. Pale eoliche che deturpano le bellissime colline di vigne, impianti solari che sostituiscono alle verdi colline grigie distese metalliche, impianti di rigassificazione a fianco delle Valle dei templi come nel passato la raffineria di Gela a fianco delle mura puniche. E in cambio il nulla in termini di occupazione. 

Forse l’Europa, ormai bloccata ad Est dalla guerra con la Federazione Russa, può diventare un interlocutore più attento e meno predatorio. 

Ma in realtà cosa chiede il Mezzogiorno alla Europa che sta rinnovando il suo Parlamento. La prima richiesta riguarda il controllo sulla destinazione dei fondi strutturali. Troppe volte essi sono stati utilizzati in Italia per sostituire la dotazione delle risorse ordinarie. 

Anche la destinazione dei fondi del Pnrr, che sembrava avesse l’obiettivo di ridurre i divari economici e quindi dovessero essere destinati ad aumentare la base produttiva, visti gli indicatori utilizzati per la distribuzione delle risorse, tasso di disoccupazione, popolazione complessiva e reddito pro capite, in realtà in buona parte andranno a finanziare l’equiparazione dei diritti di cittadinanza, perdendo di vista il vero problema del Sud che è il diritto al lavoro. Diritti che dovevano essere finanziati con le risorse ordinarie. 

Una seconda richiesta riguarda la sostituzione del disimpegno automatico con la sostituzione dei poteri, in modo da evitare la penalizzazione dei destinatari degli interventi.

È l’approccio utilizzato con il Pnrr che dovrebbe essere esteso a tutti i fondi strutturali. L’opportunità di collegare la erogazione delle risorse al raggiungimento di obiettivi meno aleatori e più quantitativi, come incremento del Pil e aumento del numero di occupati, è un terzo obiettivo. 

Per troppo tempo si è giocato con approcci del tipo sviluppo dal basso o investimenti a pioggia che, più che avere obiettivi di bene  comune, servivano   a soddisfare le clientele fameliche di una classe dominante estrattiva, affamata di risorse pubbliche. Un altro obiettivo importante per non penalizzare i territori delle realtà industrializzate, dove esistono aree a sviluppo ritardato, come in Italia,  é una armonizzazione europea della imposizione fiscale. Perché mentre una tassazione più favorevole può essere adottata più facilmente da Paesi piccoli come l’Irlanda, diventa più complesso per Paesi grandi che se vogliono adottarla solo per aree limitate rischiano di incorrere nell’accusa di concedere aiuti di Stato.      

Un’altra richiesta sarebbe quella di incrementare più possibile gli accordi di cooperazione con il Nord Africa facendo diventare Napoli e Palermo gli avamposti culturali del rapporto con i Paesi Arabi, considerato peraltro gli interscambi che nei secoli hanno caratterizzato le due sponde. 

Magari istituendo una Agenzia Europea per promuovere tali collegamenti e incrementando  i rapporti  nel settore della formazione, della sanità, della collaborazione ai grandi progetti infrastrutturali. 

Se l’idea è quella di evitare di continuare nei rapporti di colonizzazione predatoria, un simile intervento potrebbe essere non solo opportuno ma anzi indispensabile. E certo è più facile che tali collaborazioni possano localizzarsi in realtà frontaliere piuttosto che a Bruxelles o Helsinki. 

Se la vocazione mediterranea dell’Europa vuole diventare azione e non solo sfoghi di vento è necessario che il Mediterraneo ridiventi un lago che unisce e non un cimitero che divide. 

Ma una richiesta su tutte va soddisfatta; quella di chiarire  alla Commissione che i Paesi in Italia sono due, economicamente e socialmente. Allora molti blocchi che sono legittimi quando si parla di Francia di Spagna e oggi persino di Germania, per l’Italia, ancora profondamente divisa in due parti,  non devono valere. 

E per non rimanere nel vago e dimostrare l’assunto, basta verificare con cluster adeguati come le regioni meridionali, al di là di piccole differenze, si raccolgono per quanto attiene la maggior parte degli indicatori, come tasso di disoccupazione, reddito pro capite, export  pro capite, presenze turistiche per km quadrato, km di alta velocità, numero di posti in asili nido per popolazione, e potrei continuare per molte altre variabili, nello stesso nucleo. 

Cosi come accadrebbe per il Centro Nord. Situazione analoga non esiste in nessun altro  Paese europeo. Se viene accettato tale principio di conseguenza potranno essere adottate misure differenziate,  che per altri Paesi sarebbero inconcepibili. 

L’Europa ha un interesse estremo che le differenze territoriali diminuiscano tanto da finanziare con il debito comune il Pnrr, ma lo ha in particolare quando riguarda un territorio che se fosse uno Stato indipendente sarebbe il quinto per popolazione. Dopo solo Germania, Francia, Spagna, Italia del Nord e Polonia.  (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

A Roma il confronto sul Mediterraneo e nuove sfide

di PAOLA LA SALVIAMediterraneo e nuove sfide è il tema dell’incontro che si è tenuto a Roma, giovedì 28 marzo, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio. Il Mediterraneo, come occasione di sviluppo, cultura e storia è stato al centro di questo importante convegno organizzato dalla Fondazione Cre (Calabria Roma Europa), dal Consolato Onorario del Regno del Marocco in Calabria, da Roma Capitale e moderato dal direttore del quotidiano Calabria.Live, il giornalista Santo Strati.

I saluti istituzionali sono stati affidati all’ on. Federico Rocca per Roma Capitale e a Rocco Genua per la fondazione Cre. Ha introdotto l’incontro l’avvocato Domenico Naccari, console Onorario del Regno del Marocco per la Regione Calabria. Sono intervenuti l’on. Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, l’on. Nicola Procaccini, europarlamentare, Youssef Balla, smbasciatore del Regno del Marocco in Italia, Abdellah Redouane, segretario Generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, Alfredo Carmine Cestari, presidente della Camera di Commercio ItalAfrica Centrale, l’ammiraglio Andrea Agostinelli, Presidente dell’Autorità Portuale Mari Tirreno Meridionale e Ionico, Giacomo Saccomanno, presidente dell’Accademia Calabra, Dominique Carducci Polsella, consulente Aziendale e l’imprenditore Francesco Terlizzi.

Il Console Naccari, in apertura dei lavori, ha evidenziato l’importanza della “Regione del Mediterraneo” intesa come unica piattaforma allargata tornata sempre di più al centro delle contese geopolitiche e degli interessi di grandi e medie potenze e area fondamentale per quanto concerne il “Piano Mattei”: «Questo incontro rappresenta un’occasione di confronto – ha sottolineato il console Domenico Naccari – tra Autorità istituzionali e privati per valorizzare la costruzione di un nuovo partenariato tra l’Italia e gli Stati Africani che sia democratico e non di mero sfruttamento del territorio, sulla base dei principi enunciati dal cosiddetto “Piano Mattei”».

Con i suoi due milioni e mezzo di chilometri quadrati e ben 46.000 chilometri di coste, il Mar Mediterraneo rappresenta solo lo 0,67% delle superfici oceaniche, ovvero un piccolo puntino nel pianeta terra, che però ha da sempre un’immensa forza di attrazione per tanti e differenti interessi e universi culturali. Furono i greci, per primi, a considerare “loro” quello che chiamavano “mare interno”, oltre il quale c’era “l’oceano”, ossia un grande mare esterno che si estendeva in zone ignote. Giulio Cesare, impegnato nella costruzione del dominio romano, parlò per primo nel “De Bello Gallico”, di “Mare Nostrum”. Un mare controllato dalla potenza di Roma a sottolineare l’estensione delle sue conquiste.

Il Mediterraneo, tuttavia, non si può circoscrivere esclusivamente alla cultura greco romana, va piuttosto inteso come sinonimo di esplorazione, di scoperta, di conoscenza dell’altro, mare come ibridazione e quindi ricchezza, con un patrimonio storico, culturale ed economico, proveniente dalla sostanziale e pressoché continua contaminazione di tutti i Paesi, e le relative culture, che si affacciano sulle sue coste: Italia, Spagna, Francia, Principato di Monaco, Grecia, Albania, Montenegro, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Malta, Israele, Territori Palestinesi, Libano, Siria, Marocco, Libia, Algeria, Egitto e Tunisia.

S.E. Youssef Balla, ambasciatore del Regno del Marocco in Italia ha ribadito l’importanza della cooperazione tra l’Italia e i Paesi africani sottolineando, in particolare, gli ottimi rapporti tra Marocco e l’Italia e specialmente con la Calabria.

Il viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, on. Edmondo Cirielli, ha ampiamente illustrato come l’Italia da anni lavori per portare al centro del dibattito europeo e atlantico l’importanza del Mediterraneo allargato.

In questa fase storica, con le criticità derivanti della crisi energetica e dai vari conflitti in corso, ma anche di fronte a nuovi assetti geopolitici che vanno formandosi nel mondo, la necessità di stabilire forti relazioni con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo è una priorità urgente che finalmente anche in Europa sembra essere stata compresa. E l’Italia può svolgere, in questo contesto, il ruolo di Paese guida per l’Europa in questa regione allargata.

Il Piano Mattei va in questa direzione come piano strategico per la costruzione di un nuovo partenariato tra Italia e Stati Africani, che vede assegnare all’Italia un posto da protagonista nella Regione e, in tale scenario, la Calabria, posizionata strategicamente al centro del Mediterraneo, potrà assumere un ruolo prioritario. 

In tale ottica l’Ammiraglio Andrea Agostinelli, presidente dell’Autorità Portuale Mari Tirreno Meridionale e Ionico, ha rimarcato l’importanza che l’Italia, la Calabria e, in particolare, il Porto di Gioia Tauro acquisiranno grazie al posizionamento nel centro del Mediterraneo. È stato anche ribadito che in questi ultimi anni il porto ha incrementato i traffici mercantili, raggiungendo risultati mai ottenuti. Il porto di Gioia Tauro è il più grande terminal per il transhipment presente in Italia e uno dei più importanti hub del traffico container nel bacino del Mediterraneo. L’infrastruttura portuale, con una superficie complessiva di 620 ettari, ha assunto una rilevanza internazionale essendo dotata di infrastrutture e mezzi che consentono di accogliere le navi transoceaniche in transito nel Mediterraneo e in grado di movimentare qualsiasi categoria merceologica. «Il porto di Gioia Tauro – ha concluso l’Ammiraglio Agostinelli – ha significato maggiori posti di lavoro e dunque maggiore ricchezza per la Calabria e l’Italia intera».

Nella stessa direzione si è espresso l’avv. Giacomo Saccomanno, Presidente dell’Accademia Calabra, e componente del Consiglio di Amministrazione della Società dello Stretto di Messina, che ha evidenziato come le infrastrutture, in primis quelle di trasporto, ricoprono un ruolo chiave per lo sviluppo socioeconomico e la competitività dei territori, e il Ponte sullo Stretto assicurerà la continuità territoriale fra l’Europa e la Sicilia e avvicinerà l’Italia all’Africa. Senza dubbio la realizzazione del ponte oltre a eliminare il gap col resto del Paese – una volta messo in rete con porti, ferrovia, strade e autostrade – sarà un volano per la crescita, l’occupazione e lo sviluppo dell’intero sistema del Mezzogiorno. 

Per l’Italia dunque il Mediterraneo costituisce una priorità irrinunciabile. I fatti avvenuti nell’ultimo anno hanno rilanciato ancora di più l’importanza di questa regione e la sua centralità a livello globale. Dalle migrazioni ai cambiamenti climatici, dai conflitti alla logistica, attraverso il Mediterraneo passano alcune delle maggiori sfide che coinvolgeranno l’Europa e il mondo. Ma perché il ruolo dell’Italia come player politico, anche europeo, nella regione possa diventare sempre più rilevante, avrà bisogno di essere sostenuto da uno sforzo unitario da tutto il Sistema Paese e delle sue Istituzioni, accomunato da una comune visione strategica e una capacità di azione pragmatica.

«Il Mediterraneo è terra e mare insieme, è un mare circondato da terre, un’unica terra bagnata dal mare, è il mare della vicinanza», (Predrag Matvejevic)

Cos’è il Piano Mattei?

L’espressione è stata scelta dal Governo Meloni per sintetizzare un piano strategico per la costruzione di un nuovo partenariato tra Italia e Stati Africani, richiamando il nome dell’ex presidente di Eni, scomparso nel 1962, di cui si vuole emulare l’approccio democratico e non di mero sfruttamento del territorio.

Il 29 gennaio 2024, la Presidente Giorgia Meloni, nell’Aula del Senato della Repubblica ha presentato il cosiddetto Piano Mattei, di fronte a una platea composita, tra cui rappresentanti di 46 paesi e di 25 leader provenienti dal continente africano, tra cui anche il Presidente dell’Unione Africana.

Dal punto di vista strutturale, si tratta di un progetto complesso e articolato, le cui differenti ramificazioni dovranno essere delineate in maniera dettagliata in seguito.

Per adesso quel che sappiamo è che ci saranno nove Paesi africani coinvolti in progetti pilota: Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Repubblica democratica del Congo e Mozambico; che ci sarà una cabina di regia a guidare il progetto, presieduta dal Presidente del Consiglio, dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, da tutti i Ministri coinvolti nei progetti e dai dirigenti delle aziende pubbliche e delle istituzioni che collaborano al progetto.

I pilastri principali sui quali si vuole concentrare l’azione sono: Istruzione, Agricoltura, Salute, Energia e Acqua.

L’obiettivo generale è di costruire una linea di cooperazione che, a detta della Meloni, si distanzi da quell’approccio predatorio che ha costituito fino ad ora il rapporto tra Occidente e Stati Africani.

Dal punto di vista economico, verranno stanziati 5,5 miliardi di Euro, divisi in questo modo: 2,5 miliardi dai fondi della Cooperazione allo Sviluppo e 3 miliardi dal Fondo Italiano per il Clima, Fondo nato sotto il Governo Draghi, con la legge di bilancio per il 2022.  La Presidente Meloni ha dichiarato che il progetto si basa su un approccio nuovo, diverso nei rapporti e nella cooperazione con il continente africano, che non è predatorio, che non è paternalistico, che non è caritatevole.

La cooperazione che si vuole mettere in piedi coni Paesi africani è una cooperazione che tiene conto del fatto che l’Africa non è un continente povero. L’Africa è un continente che attualmente detiene il 60% di metalli e terre rare, il 60% di terre arabili, un continente in forte crescita demografica e quindi anche con un enorme potenziale di capitale umano, che non sempre è stato messo nella condizione di poter sfruttare al meglio quelle risorse per sé stesso prima di tutti, non per gli altri.


L’Europa in molti casi ha avuto – rispetto ad altri attori che pure sono molto presenti oggi nel continente africano – la capacità di cooperare lasciando qualcosa sul territorio – lo ha fatto anche l’Italia in diverse occasioni -, ma un approccio di questo tipo è un approccio che bisogna saper rafforzare e mettere a sistema se vogliamo essere competitivi con altri attori che sono molto presenti e che hanno però un atteggiamento diverso. 

La Presidente Meloni ha, altresì, ribadito che questa capacità di immaginare la cooperazione come un rapporto da pari a pari, e non come un semplice aiuto di chi ti vede in difficoltà e vuole essere a posto con la sua coscienza dandoti una mano, è una cosa che viene molto ben vista da questi interlocutori che sono stanchi di essere considerati o trattati semplicemente come persone che vanno salvate da qualcosa. Noi non ci siamo approcciati con i Paesi con i quali ci siamo incontrati, con i quali abbiamo dialogato e con i quali stiamo già lavorando, cercando di spiegare a loro cosa fosse necessario per loro.

Noi abbiamo detto quali erano secondo noi le priorità di intervento sulle quali l’Italia era anche meglio capace di lavorare, ma quello che noi stiamo facendo con il Piano Mattei è condividere con i Paesi nei quali operiamo attraverso il Piano, su quali siano, nell’ambito delle cose che l’Italia sa fare bene, quelle che per loro sono prioritarie. E quindi anche in questo c’è un rapporto da pari a pari e una cooperazione strutturale che diventa cooperazione di medio e lungo periodo nella capacità di costruire insieme risposte durature, non iniziative-spot. 

Quello che ho in mente è che l’Italia può essere pioniera in questo nuovo approccio, ma è fondamentale che noi riusciamo – con il nostro buon esempio e se dimostriamo che funziona – a coinvolgere a livello internazionale tanti altri: riguarda il tema dell’Unione europea, riguarda il tema del G7 – non è un caso che abbiamo aperto il G7 proprio con il Vertice Italia-Africa, non è un caso che il tema del rapporto con l’Africa, del ruolo del continente africano nell’attuale contesto geostrategico sia una delle principali questioni che l’Italia ha scelto di portare nella sua presidenza del G7, che ha scelto di portare al Summit dei leader, che come voi sapete si svolgerà tra il 13 e il 15 di giugno, ma lungo tutto l’anno della nostra Presidenza. 

Se noi vogliamo riuscire in questo sforzo di immaginare una strategia italiana, che però è utile non solamente all’Italia, e convincere gli altri, portarli su quella strategia, è importante che sappiamo farlo bene noi. Se non lo sappiamo fare bene noi difficilmente coinvolgeremo gli altri. Questa è la ragione per la quale abbiamo voluto una struttura e una convocazione così ampia che potesse davvero coinvolgere tutti coloro che possono fare la differenza.  (sls)

OLTRE IL MEDITERRANEO, NIENTE MIOPIE
UNO SGUARDO DAL PONTE DELLO STRETTO

di ENZO SIVIERO – Il tema del rapporto Nord-Sud non riguarda la sola Italia. Si tratta di un atteggiamento culturale (o meglio in-culturale…) che attraversa le genti e i luoghi perdendosi nella notte dei tempi. Ma il caso Italia merita una particolare attenzione sia per l’avvenuta globalizzazione sia per il fiume di denaro che l’Europa ha stanziato per il nostro Paese proprio a partire dalle acclarate diseguaglianze che ci connotano.

Tanto palesi da orientare l’Europa come ben noto, a riservare una quota del 40% proprio al Sud. Pur tuttavia con il “gioco delle tre carte” (che vogliamo sperare sia frutto più di necessità che di vera e propria volontà vessatoria), sembra ai più che al Sud siano stati finanziati con i fondi del Pnrr, molti progetti già in itinere (e quindi già finanziati con altri capitoli di spesa) e conseguentemente definanziati, sottraendo di fatto risorse già allocate. Non vogliamo pensar male, ma qualche dubbio sembra lecito… vedremo prossimamente quale sarà il reale quadro della situazione.
Con questa premessa si intende fare chiarezza sui diversi punti di vista tra nord e sud , con un occhio non miope verso, o meglio oltre, il Mediterraneo. Se è vero come nessuno può negare che l’Italia è il molo naturale verso il Mediterraneo, ad una visione strategica che interessa già l’oggi (e siamo già notevolmente in ritardo) ma soprattutto le prossime generazioni, non può negarsi che sia l’Africa il vero futuro dell’Europa! Ed è ovvio che da questo come da molti altri punti di vista, in questa prospettiva geopolitica è l’Italia a giocare il ruolo principale utilizzando quel “ponte liquido” che è il Mediterraneo, come è stato nel passato più o meno recente e com’è oggi ancor più pregnante visto anche il raddoppio del Canale di Suez. Non a caso Turchia (e lo stesso Egitto…) unitamente a Russia e Cina stanno pressoché spadroneggiando nel Mare (non più) Nostrum approfittando di un’Europa intrinsecamente debole, incapace di una politica unitaria visti gli interessi contrastanti di taluni, non pochi, suoi membri.

Ebbene il Sud è indiscutibilmente il vero trampolino di lancio verso l’Africa, così come l’Africa si proietterà verso l’Europa tramite il Mezzogiorno. In una prospettiva geostrategica gli investimenti al sud sono vieppiù necessari certamente per lo stesso sud ma anche e soprattutto per il nord che avrebbe tutto da guadagnare per la propria vocazione oggi mutata dovendo guardare a sud sia per le proprie esportazioni verso il nuovo immenso mercato africano sia per ricevere e far transitare le merci verso il centro e il nord Europa anziché come avviene oggi riceverle dai porti tedeschi e olandesi ben attrezzati per accogliere le navi in transito nel Mediterraneo.

Ma vi è di più in una prospetto ancora più ampia, guardando a Est con le vie della seta (: ) la Cina approda al Pireo con la prospettiva di raggiungere tramite i Balcani, e nuove infrastrutture ferroviarie ormai in esecuzione, il centro Europa . E così l’Italia (non solo il Sud) resterà tagliar fuori. Altro che Marco Polo o Matteo Ricci!

Immaginando anche collegamenti stabilì Tunisia Sicilia (TuneIt) e Puglia Albania GRALBeIT) che da oltre un decennio vengono proposti da chi scrive senza alcun riscontro da parte di chi ci governa, l’ingegneria visionaria (ma non troppo…) che ha fatto la storia del progresso, il Sud e l’Italia stessa sarebbero la cerniera tra tre continenti Africa Europa Asia. Ovvero una eccezionale piattaforma logistica ben più importante a livello globale, andando oltre il Mediterraneo.

È chiaro quindi che con questi presupposti il Ponte sullo Stretto di Messina è un piccolo ma fondamentale tassello di un disegno più complesso (indiscutibilmente praticabile purché lo si voglia…) capace di dare prospettive concrete per i nostri giovani (soprattutto del sud) perché restino a costruire il proprio futuro a partire dai loro lunghi di origine. Senza contare che il crescente indebitamento che ricadrà sulle generazioni future, potrebbe non essere sufficiente a ridare al Sud e all’intera Italia quella lucentezza che merita. Non limitiamoci al Sole al Mare alla cultura e al turismo.

Il Sud È il nostro futuro. Da questo punto di vista (e non solo…) il ponte di Messina va visto come asset strategico per l’Italia che guarda al Mediterraneo. Ormai tutti (o quasi..) si sono convinti che il futuro dell’Italia passi dal Mediterraneo per proiettarsi verso l’Africa. È del tutto evidente che in questo quadro geostrategico il ruolo della Sicilia e dell’intero Meridione è cruciale e con esso il Ponte sullo Stretto di Messina diventa fondamentale e improcrastinabile. Del resto il collegamento stabile tra Calabria e Sicilia è da decenni sancito dall’Unione Europea come parte del corridoio Berlino Palermo più di recente ridenominato Helsinki La Valletta.

Ne consegue che i tentennamenti dell’Italia verso quest’opera, con ricorrenti “stop and go” puramente politici, sono del tutto incomprensibili a livello europeo. Ora finalmente è giunta la conferma della necessità di un collegamento stabile. E le attività connesse al riavvio dei cantieri sono ormai una certezza. Del resto giusto per tornare su cose note ma su cui i NoPonte tornano in modo ricorrente senza pudore, il ponte a campata unica ha avuto il placet tecnico ma uno stop politico da parte del governo Monti generando un pesante contenzioso da parte del contraente generale Eurolink fortunatamente annullato con la ripresa del contratto iniziale.

Ebbene voglio qui richiamare a futura memoria ciò che scrivevo un paio di anni fa in merito alla discussione allora in atto in parlamento prima delle elezioni.“Ma ecco spuntare l’ennesimo ostacolo. Archiviata la proposta “assurda” di un tunnel , “non volendo” incomprensibilmente accettare la soluzione più logica di aggiornare il progetto definitivo già approvato (tempo pochi mesi) ed eventualmente indire una nuova gara, si da credito ad una soluzione già bocciata da decenni come esito degli studi di fattibilità propedeutici all’indizione della gara internazionale (vinta da Eurolink ). Ovvero un Ponte con piloni a mare così giustificato “presumibilmente ti costa meno”. Affermazione priva di riscontro oggettivo.

Certamente censurabile in un documento ufficiale. Tanto più che per valutarne la realizzabilità sono necessari studi e indagini molto estesi e costosi! Ma tant’è! Se non vi è consenso politico c’è sempre qualche “tecnico” pronto ad avallare i voleri del ministro di turno! Ma quel che più indigna è il fatto che non viene spiegato in linea tecnica il perché di debbano spendere altri 50 mln per studi di fattibilità già sviluppati nel passato (con non marginali profili di danno erariale), studi che semmai andrebbero aggiornati. E come giustificare gli oltre 350 mln spesi dallo Stato per il progetto definitivo a campata unica? Va ricordato che il progettista è la danese Cowi e la verifica parallela indipendente sviluppata dalla statunitense Parson, società con decine di migliaia di dipendenti e con acclarata esperienza su ponti di grande luce, a livello mondiale.

Ma vi è di più, abbandonando il progetto iniziale. l’ulteriore ritardo nell’inizio dei lavori per la realizzazione dell’opera è valutabile in almeno 5 anni. Orbene procrastinare nel tempo una infrastruttura strategica come questa (del valore di 5-6 mld per il solo Ponte), significa penalizzare ulteriormente il Mezzogiorno. Mentre il costo dell’insularità è stimato in oltre 6 mld (ovvero un Ponte all’anno).

I livelli occupazionali sono valutati in decine di migliaia. E il solo indotto fiscale conseguente agli investimenti sulla “metropoli della Stretto” consentirebbe un rientro in pochi anni dei costi che lo Stato dovrebbe sostenere. Va da se (ma non sembra così chiaro a taluni contrari all’opera) che sarebbe ridotto drasticamente l’inquinamento dello Stretto senza contare gli attuali rischi per la sicurezza conseguenti alle possibili collisioni dei traghetti.

L’amara conclusione è che si “buttano” centinaia di milioni per ripartire da capo, ignorando le conseguenze di un ulteriore ritardo. Perché queste decisioni “masochistiche”? La quasi totalità dei tecnici “qualificati” e non asserviti alla politica la pensano allo stesso modo. (es)

[Enzo Siviero è Rettore E-Campus]

Giovedì a Roma l’incontro su “Mediterraneo e nuove sfide: Storia, cultura e sviluppo”

Giovedì 28 marzo, a Roma, nella Sala della Promoteca del Campidoglio, è in programma l’incontro sul tema Mediterraneo e nuove sfide, organizzato dalla Fondazione Cre (Calabria Roma Europa), dal Consolato Onorario del Regno del Marocco in Calabria e da Roma Capitale.

L’incontro sarà moderato dal giornalista dott. Santo Strati, direttore del quotidiano Calabria.Live. I saluti istituzionali saranno affidati al Federico Rocca per Roma Capitale e al dott. Rocco Genua per la fondazione Cre.

Introdurrà l’avv. Domenico Naccari, console Onorario del Regno del Marocco per la Regione Calabria. Interverranno il dott. Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Wanda Ferro, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’ Interno, Nicola Procaccini, Europarlamentare; Youssef Balla, ambasciatore del regno del Marocco in Italia, il dott. Abdellah Redouane, segretario Generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, il dott. Alfredo Carmine Cestari, presidente della Camera di Commercio ItalAfrica Centrale, l’Ammiraglio Andrea Agostinelli, presidente Autorità Portuale Mari Tirreno Meridionale e Ionico, Giacomo Saccomanno, presidente Accademia Calabra, il dott. Dominique Carducci Polsella, Consulente Aziendale, l’ing. Francesco Terlizzi, imprenditore.

Con i suoi 2,5 milioni di km2 e 46000 km di coste, il Mar Mediterraneo, il “mare in mezzo alle terre”, Rappresenta solo lo 0.67% delle superfici oceaniche, un piccolo puntino nel pianeta terra che ha da sempre un’immensa forza di attrazione per tanti e differenti interessi e universi culturali.

Furono i greci, per primi, a considerare “loro” quello che chiamavano “mare interno”, oltre il quale era “l’Oceano”, ossia un grande mare esterno, in quelle zone in pratica ignote. Giulio Cesare, impegnato nella costruzione del dominio romano, parlò per primo nel “De Bello Gallico”, di Mare Nostrum: fu davvero mare nostrum, allora. E tale rimase per secoli. Un mare controllato dalla potenza di Roma a sottolineare l’estensione delle loro conquiste. Ma il discorso sul Mediterraneo non si può circoscrivere alla cultura greco romana, questo mare va inteso come esplorazione, come sinonimo di scoperta, conoscenza dell’altro, mare come ibridazione e quindi ricchezza. 

Il Mediterraneo possiede un patrimonio storico, culturale e economico, scaturito dalla sostanziale e pressoché continua contaminazione di tutti i paesi, che si affacciano sulle sue coste: Italia, Grecia, Albania, Algeria, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Egitto, Francia, Israele, Libano, Libia, Malta, Marocco, Monaco, Montenegro, Palestina,Siria, Slovenia, Spagna,Tunisia,Turchia. Mediterraneità ieri e oggi è opportunità di congiungimento fra molteplici diversità oltre che, purtroppo, di scontri militari e bellici. Un interscambio continuo, non di rado crudelmente feroce, che è da sempre così, come ci raccontano la letteratura, i miti, i simboli atavici. (rrm)

LA CALABRIA PUÒ ESSERE HUB LOGISTICO
CHIAVE PER IL SUD E PER IL MEDITERRANEO

di ERCOLE INCALZA – Sono apparse a dicembre tante notizie relative alla nascita di un polo logistico in Austria; in particolare nella Carinzia; una Regione che riveste un ruolo strategico in quanto attraversata da un asse che collega Vienna e Venezia; inoltre rappresenta l’ambito territoriale più meridionale dell’Austria ed è anche attraversata dal Corridoio delle Reti Ten – T Baltico Adriatico. Esistono poi una serie di progetti infrastrutturali che amplificano ulteriormente la dimensione strategica della intera Regione come la ferrovia di Koralm ed il porto interno di Furnitz.

Ricordo che la galleria di Koralm, completata ultimamene, è lunga 33 Km e quando l’intero asse ferroviario sarà completato collegherà in modo davvero veloce i capoluoghi delle provincie Graz e Klagenfurt. Inoltre una volta completata questa ferrovia i collegamenti tra l’Austria ed il Veneto potranno contare su un asse ferroviario veloce e l’intero Corridoio Baltico diventerà interessante e strategico quanto quello Helsinki – La Valletta; disporremo in realtà di una seconda spina dorsale che dal Mar Baltico raggiungerà oltre che Trieste tutti i porti dell’Adriatico fino a Bari e a Brindisi.

Ma leggendo un protocollo d’intesa firmato tra l’Italia e l’Austria scopriamo che si sono costruite le condizioni per la istituzione di un “Corridoio doganale ferroviario transfrontaliero” tra il porto di Trieste e l’interporto di Villach Sud/Furnitz. Grazie a tale Corridoio le merci in arrivo al porto di Trieste potranno essere caricati dalla nave sulla ferrovia in direzione Villach Sud/Furnitz senza dover espletare le procedure doganali ed il relativo stoccaggio intermedio. È inutile ricordare i vantaggi di un simile collegamento sia in termini di contenimento di tempi, sia in termini di consumi energetici, sia in termini di produzione di Co2.

Ho voluto dilungarmi su questo esempio, tra l’altro ritengo utile precisare che pochi giorni fa il Corridoio doganale è entrato in funzione, perché lo ritengo davvero un esempio concreto di intervento finalizzato a modificare sostanzialmente l’assetto sia di una vasta area austriaca, sia del nostro Nord Est e indirettamente, come dicevo prima, a trasformare un Corridoio, quello Baltico Adriatico, da interessante asse di collegamento a impianto logistico lineare in grado di amplificare al massimo i vantaggi sia delle realtà produttive ubicate lungo il Corridoio che del vasto mercato dell’area orientale della Unione Europea.

Ma chi legge questa mia nota non riesce a comprendere quale sia il collegamento con la Calabria, quale sia la motivazione che mi ha portato a questa lunga premessa e, soprattutto, cosa c’entra con la Calabria un progetto così avanzato di intelligenza logistica; in realtà la mia è solo una banale provocazione basata essenzialmente sulla delusione che provo ogni volta che analizzo una serie di condizioni privilegiate possedute da alcuni ambiti della Calabria e che da anni restano solo grandi potenzialità. Elenco di seguito tali riferimenti strategici:

Il porto di Gioia Tauro

È il primo porto italiano per traffico merci e il decimo porto in Europa. Si estende su una superficie di 620 ettari ed è una delle maggiori infrastrutture presenti nel Mar Mediterraneo

Il porto trae vantaggio dalla profondità naturale delle sue acque (fino a 18 m) e offre una banchina lunga 3,4 km. Le strutture comprendono ventidue gru di banchina in grado di raggiungere fino a ventitré file di container, i dipendenti sono oltre 1.300 e la struttura ha una capacità massima di quattro portacontainer ultra grandi. La portata del porto ha raggiunto i 3.467.772 di TEU (container lungo 20 piedi) e può raggiungere e superare la soglia dei 5 milioni di Teu.

Il distretto portuale ha una superficie di 440 ettari. L’ingresso del canale ha una larghezza di 300 m e si allarga in un bacino di evoluzione con un diametro di 750 m. Il porto canale si dispiega verso nord per oltre tre chilometri, con una larghezza che varia da 200 a 250 m. All’estremo nord del canale c’è un secondo bacino di evoluzione con un diametro di 500 m. Il porto ha 5.125 m di banchine.

Con l’arrivo di Gianluigi Aponte, armatore italiano, fondatore e proprietario della Mediterranean Shipping Company, cioè della prima compagnia di gestione di linee cargo a livello mondiale (220.000 dipendenti, 800 navi, circa 22,5 milioni di TEU movimentati all’anno) lo scalo è stato protagonista di un vigoroso piano di investimento, che ha interessato il rinnovo del parco macchine, operanti nel piazzale portuale. Tra gli altri mezzi, sono giunte a Gioia Tauro, direttamente dalla Cina, le tre gru a cavalletto, tra le più grandi al mondo, capaci di lavorare navi da 22 mila Teu.

L’aeroporto di Lamezia

L’aeroporto, realizzato negli anni ’70 dalla Cassa del Mezzogiorno dispone di un terminal merci, sempre attivo e in grado di effettuare movimentazione di merci varie. Inoltre, è dotato di un vasto magazzino per la temporanea custodia doganale, con doppi accessi air-side e land – side che agevolano le operazioni in ingresso e in uscita delle merci soggette alle procedure di custodia temporanea. Sono a buon punto inoltre i lavori per l’allestimento del Posto di Ispezione Frontaliera (Pif) che ha la finalità di sdoganamento diretto sullo scalo di prodotti di origine animale.

Importanti risultano anche le attività dei corrieri espressi, tenendo conto dello stretto rapporto di sinergia esistente con Aeroporti di Roma e in particolare con lo scalo di Roma-Ciampino, che risulta essere tutt’oggi la base operativa dell’Italia centrale per le principali compagnie di Express Couriers. Infine, la grande opportunità in termini di traffico è offerta principalmente dal potenziamento dell’intermodalità dell’aeroporto con il porto di Gioia Tauro, uno dei maggiori del Mediterraneo per questo tipo di movimentazioni.

Un asse ferroviario, quello lungo la tratta Salerno – Reggio Calabria

Un asse ferroviario ubicato sul Corridoio delle Reti Ten – T Helsinki – La Valletta che entro sette – otto anni potrebbe essere un asse con caratteristiche di alta velocità e che potrebbe rappresentare, senza dubbio, il progetto infrastrutturale dell’Italia meridionale tecnicamente, dopo il Ponte sullo Stretto, più importante e finanziariamente più rilevante. Questo nuovo intervento garantirà l’accesso al sistema ferroviario Av del Paese e renderà possibile l’accessoa diverse zone a elevata valenza territoriale quali il Cilento e il Vallo di Diano, la costa Jonica, l’alto e il basso Cosentino, l’area del Porto di Gioia Tauro e il Reggino, oltre che una velocizzazione dei collegamenti verso Potenza, verso la Sicilia, verso i territori della Calabria sul Mar Jonio e verso Cosenza. Allo stesso tempo, contribuirà in maniera significativa al potenziamento dell’itinerario merci Gioia Tauro-Paola-Bari

Un’asse autostradale quello tra Salerno – Reggio Calabria

Un asse, ubicato sul Corridoio Ten– T Helsinki – La Valletta, tra i migliori del Paese, che si estende per 432 Km. Il suo percorso si snoda in gran parte su territorio montano. Comprende 190 gallerie e 480 tra ponti e viadotti. Dei suoi 432 km, 125 km si percorrono in galleria e 97 km tra viadotti e ponti. 35 gallerie hanno una lunghezza che oltrepassa i 1000 metri e 70 ponti superano la lunghezza di 300 metri, Sarà la prima smart road italiana ed europea, cioè sarà dotata di un’infrastruttura wireless di ultima generazione, che metterà in collegamento autostrada, utente e veicolo tramite un’apposita app, la quale fornirà in tempo reale servizi di deviazione dei flussi di traffico nel caso di incidenti, suggerimenti di traiettorie alternative, interventi tempestivi in caso di emergenze.

La smart road è una “strada intelligente” sulla quale i veicoli possono comunicare e connettersi tra di loro L’investimento complessivo del programma Smart Road di Anas è di un miliardo di euro e verrà messo in atto in tre step. La prima fase, che sarà realizzata nei prossimi tre anni, prevede un investimento di circa 250 milioni di euro, anche grazie a contributi europei, e riguarderà alcuni dei più importanti nodi stradali del Paese, tra cui appunto la A2 Autostrada del Mediterraneo. I primi 100 km sono già stati cablati

Ebbene, questi quattro pilastri infrastrutturali già esistenti o disponibili entro un arco temporale certo, questo impianto logistico da qualche anno seguito con interesse da un grande imprenditore come Aponte, questa vasta realtà territoriale oggi guidata da un Presidente della Regione come Roberto Occhiuto convinto che la Calabria ha tutte le condizioni per diventare un Hub logistico chiave non solo del Mezzogiorno ma del “sistema Mediterraneo”, tutto questo fa scattare automaticamente un interrogativo: perché la Carinzia senza questa ricchezza strutturale ed infrastrutturale può permettersi il lusso di diventare uno degli Hub logistici più avanzati della Unione Europea?

Molti risponderanno precisando che le cause vanno ricercate nella ubicazione geografica della Carinzia, praticamente al centro dell’Europa, molti diranno che il porto di Gioia Tauro, a differenza del porto di Trieste, è solo un porto transhipment e quindi non c’è attività di manipolazione dei prodotti e di relativa distribuzione e commercializzazione, potrei continuare ad elencare tante motivazioni senza però raccontare quella che ritengo sia la più vera: noi stessi, sì noi meridionali, spesso non siamo coscienti di questa ricchezza infrastrutturale e, come emerso lo scorso anno nel primo Festival Euromediterraneo (Feuromed) a Napoli, inseguiamo una narrazione sbagliata delle nostre ricchezze e non siamo in grado di costruire un catalizzatore capace di trasformare queste potenzialità in ricchezze.

Nella prossima edizione del 2° Festival Euromediterraneo forse sarà opportuno ed utile avanzare proposte che rendano concreta e possibile la ricaduta di queste misurabili capacità, di questa sommatoria di occasioni perse sulla economia della Calabria, del Mezzogiorno e del Paese.

Forse è bene ricordarlo e ribadirlo: la Calabria non ha nulla di meno della Carinzia. (ei)

L’ITALIA PUNTI SULLA CALABRIA E SUL SUD
PER UNO SVILUPPO “EURO-MEDITERRANEO”

di MIMMO NUNNARIDopo la visita al porto di Gioia Tauro della presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni si può tirare qualche somma sul futuro della Calabria.

Non che la premier abbia portato molti doni o disegnato prospettive interessanti per la regione terminale d’Europa, tuttavia sono da incorniciare le sue nette sincere parole sul porto di Gioia Tauro: «È un gioiello, il primo porto italiano e il nono europeo per traffico merci. Noi però siamo una piattaforma in mezzo al Mediterraneo, quel mare che è il punto di contatto tra l’Indopacifico e l’Atlantico. Noi siamo in mezzo, con un porto che sta nella punta di questa piattaforma. E allora il nono posto in Europa non è l’obiettivo massimo a cui possiamo ambire. Molti passano da Rotterdam e Amsterdam banalmente perché non abbiamo le infrastrutture».

Dobbiamo partire da qui nel tirare le somme della visita di Meloni in Calabria, fidandoci del ruolo di sentinella degli interessi della regione che sta svolgendo il presidente della Giunta Roberto Occhiuto, che – ora o mai più – ha la grande occasione di proiettare la Calabria nel Mediterraneo, in quel mare dove si può trovare il filo della della rinascita di una vecchia e dignitosa regione del Sud, perché questo la Calabria è.

Con i suoi 800 chilometri di costa, che nel tratto del basso Tirreno ospita il porto di Gioia Tauro e più a sud lo Stretto, da sempre crocevia del mondo, la Calabria, isole di Sicilia e Sardegna a parte, è la regione più di tutte immersa nel vecchio “mare nostrum”: il mare dove tutta la storia dell’umanità è scritta. Circa 5000 anni fa un uomo fenicio, di nome forse Onoo, fu il primo ad avventurarsi con coraggio tra le onde, con una specie di canoa, forse per fuggire dai suoi nemici, oppure perché curioso di scoprire nuove isole e nuove terre che stavano oltre la linea dell’orizzonte.

Da allora, è cominciato il viaggio nel mare che si chiama Mediterraneo. A raccontarlo questo “viaggio”, significa narrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia e poi realtà antiche, ancora vive, a fianco dell’ultramoderno; oppure, immergersi negli arcaismi dei mondi insulari e, allo stesso tempo, stupire di fronte all’estrema giovinezza di metropoli antiche che da secoli sorvegliano e consumano il mare. Qualcuno, dice che nel sud del Mediterraneo accade ciò che nel Sud Italia accade da due secoli almeno: stessa eredità di antiche civiltà, stesso crepuscolo e destino, nel collocarsi nella storia dalla parte del torto.

E la Calabria, di questo Sud Mediterraneo, è indiscutibilmente e storicamente il centro. Quando la presidente Meloni da Gioia Tauro guarda all’Africa e al Mediterraneo, può essere certa che l’Italia il suo Mediterraneo lo ha in casa: con la Calabria, che rappresenta – messa giù in fondo allo Stivale – l’avanguardia dell’Occidente verso l’Oriente e l’Africa del Nord. La Calabria è geograficamente, storicamente e culturalmente, il territorio più vicino a quel grande teatro di dimensioni mondiali, a quel piccolo universo davanti al quale, come ha scritto domenica Lucio Caracciolo su la Repubblica: «L’Italia è quasi isola, esposta per ottomila chilometri al mare da cui importiamo le materie prime che non abbiamo e con cui esportiamo le merci che sostengono la nostra economia. La Penisola prospera finché il Mediterraneo è libero e aperto, soffoca se scolora in campo di competizione o peggio di battaglia fra potenze avverse».

L’Italia dunque ha bisogno del Mediterraneo e tutte le ragioni suggeriscono, perciò, rapporti non solo economici, ma anzitutto dialettici, culturali e di sfida sociale con la realtà mediterranea, e la Calabria, con le sue Università, le sue imprese eccellenti, il suo immenso patrimonio culturale, può legittimamente candidarsi a svolgere questo ruolo di punta di diamante del Sud nel Mediterraneo.

Tutte insieme, le regioni meridionali, in prospettiva mediterranea, possono rivestire, nell’Unione Europea, quel ruolo che Francesco Compagna, un illuminato meridionalista, in tempi lontani, indicava nella definizione di geopolitica come “Mezzogiorno d’Europa”. Gli scenari (incerti) del futuro, saranno difficili da gestire, senza un’accorta politica mediterranea e sarà l’Italia – se le sue visioni glielo consentiranno – a dover svolgere un ruolo importante in un processo di sviluppo euro-mediterraneo che comporterà certamente dei costi, ma che avrà innegabili convenienze.

Ma, senza puntare sulla Calabria, e sul resto del Sud, ogni visione, ogni progetto, rischiano il fallimento. (mnu)

LA SCOMMESSA CALABRESE SUL FUTURO
È NELLA CENTRALITÀ DEL MEDITERRANEO

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – La centralità del Mediterraneo emerge con l’apertura del Canale di Suez nel 1869. Il raddoppio del 2015 poi ne ha potenziato la sua importanza strategica. Il suo costo 8,2 miliardi di euro e due anni di lavori ne hanno fatto un’opera di ingegneria tra le più importanti mai realizzate. Il raddoppio del Canale permette il passaggio di 97 navi al giorno contro le precedenti 49 e consente all’Egitto di raddoppiare i ricavi da transito che, nel 2023, dovrebbero essere corrispondenti a 13 miliardi di dollari all’anno, molti di più dei 5 precedenti.

Non sono mancate le critiche della comunità internazionale per la nuova infrastruttura. Una lettera appello di 500 scienziati ha chiesto alle autorità una valutazione ambientale. Le storie sono sempre banalmente le stesse, e si ripetono se guardiamo al progetto del Ponte sullo stretto. Quello che si sa per certo è che si è detto addio alla circumnavigazione dell’Africa, perché con il nuovo canale arrivano nel Mediterraneo anche le navi di grandi dimensioni finora impossibilitate ad attraversarlo.

Uno studio condotto da Intesa Sanpaolo ha calcolato l’impatto sulla portualità italiana, sulla base del possibile spostamento della convenienza del passaggio via Suez di alcune rotte, valutabile in un aumento di circa 170 mila containers. Tutto perfetto? Sembrava di si. Fino a quando si è visto che sono in pochi a prevedere come cambieranno davvero le rotte commerciali transoceaniche.

Perché se la realtà dell’area del Mar Rosso va a fuoco, come sta accadendo in questi giorni, tutto può cambiare.

In realtà l’Italia non è riuscita a sfruttare adeguatamente la sua posizione geografica. E del 20% del traffico mondiale che passa dal Mediterraneo è riuscita ad intercettarne una piccola parte.

Per problemi di organizzazione portuale, di fondali adeguati, di mancato messa a regime di un porto come quello di Gioia Tauro, che possiede un retro porto con ettari disponibili molto rilevanti, per il non utilizzo, conseguente all’annullamento del 2012 della costruzione del ponte sullo stretto da parte di Monti, che ci trova ancora in una fase di passaggio, di Augusta, per i bassi fondali che non consentono di accogliere le maxi navi e le opere di dragaggio in ritardo, vedi Taranto, vi è una mancata valorizzazione del sistema logistico da parte del Paese, che fa perdere migliaia di posti di lavoro possibili, considerato che la sola Rotterdam, tra diretti ed indiretti, occupa oltre 700.000 persone.

È incredibile come i “frugali “olandesi siano riusciti a non farsi mettere in crisi dall’apertura del Canale di Suez, che ha riproposto il Mediterraneo come centro dei commerci mondiali, dopo che nel 1492, con la scoperta dell’America, aveva perso il suo ruolo di centro unico dei traffici.

Bene un Medio Oriente che si infiamma, come si è visto dalla ripresa da parte delle navi maxportacontainers della circumnavigazione dell’Africa, equivale ad una nuova scoperta dell’America e gli effetti potrebbero essere devastanti soprattutto per i Paesi che su questo mare si affacciano. E ciò potrebbe contribuire ad incrementare i flussi di migranti verso l’Europa.

Pensiamo all’Egitto che sulle risorse provenienti dall’attraversamento del canale ha pensato di trarre redditi relativamente importanti, alla Grecia che ha investito molto sul Pireo, a Tangermed che rappresenta una certezza ed una speranza per l’Algeria.

Infine l’Italia nella quale il progetto di alta velocità ferroviaria che parta da Augusta a Berlino, per collegare Singapore, Hong Kong alla Mittel Europa, può essere messo in discussione dalla chiusura di una via d’acqua, che è diventata fondamentale per il commercio mondiale.

Qualcuno potrebbe dire che in ogni caso vi è un collegamento col Nord Africa, che diventerà sempre più importante e che non ha bisogno di passare dal canale, ma certamente sappiamo tutti che intercettare il traffico proveniente dall’Estremo Oriente, Cina, Giappone, Corea, India ma anche degli Emirati e dal Corno d’Africa è un fatto non irrilevante.

Non vi è dubbio che Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Libano, Siria, Turchia siano Paesi con i quali avverrà un incremento notevole dei traffici, ma non vi è altrettanto dubbio che tutto parte dalla pacificazione dell’area del Medio Oriente.

Se questo non dovesse avvenire e il conflitto dovesse protrarsi, con l’accentuazione delle tensioni anche con l’Iran, probabile finanziatore dei terroristi che stanno mettendo in discussione i traffici dal Mar Rosso, potremmo avere effetti paragonabili alla scoperta dell’America del 1492. L’evento in quel caso fu un evento positivo per il mondo, ma certo un problema non da poco per il Mediterraneo.

In questo caso è solo un problema per tutti, ma lo è meno per esempio per Germania e Francia, che pagherebbero solo per i maggiori oneri di trasporto.

Per l’Olanda e i Paesi Atlantici probabilmente potrebbe alla fine essere anche un vantaggio, perché a quel punto, dovendo circumnavigare l’Africa, i porti più vicini sarebbero quelli degli amici, “frugali” ma sempre bulimici.  Per questo l’Italia non può consentire che l’Europa continui a non recitare che un ruolo di comparsa, in quella che per noi ma per tutto il Continente può trasformarsi in tragedia.

Ancora l’Europa sta subendo gli effetti di un’interruzione di rapporti con la Federazione Russa, che ha messo in crisi soprattutto, come si è visto anche dai riflessi economici che l’attraversano, la Germania.

Il blocco del Mar Rosso, se dovesse protrarsi per un periodo non limitato, potrebbe essere un duro colpo per le economie che sul Mediterraneo si affacciano. In questo il Sud italiano diventa, in questo caso nel male, un protagonista assoluto, perché subirebbe gli effetti negativi della ripresa degli sbarchi senza avere quelli positivi della vicinanza al canale di Suez.

Altro che il fumoso piano Mattei, del quale poco si sta comprendendo tranne il fatto che vorrebbe che l’ Africa diventasse la batteria d’Europa, come si è sempre fatto con i Paesi a sviluppo ritardato e con il Sud, ma effetti concreti immediati su un commercio già poco florido che in questo modo si annullerebbe. (pmb)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

SERVE UN PROGETTO DI TRASFORMAZIONE
EPOCALE PER UNIRE CALABRIA ALL’EUROPA

di MARCELLO FURRIOLO – Puntuale come sempre il 57mo Rapporto Censis sulla situazione della società italiana fotografa un Paese “inabissato in una ipertrofia emotiva, mosso da scosse emozionali che tramutano tutto in emergenza e conducono a spasmi apocalittici e fughe millenaristiche”. Mentre i problemi veri sono rimossi dall’agenda collettiva.

Un paese di“sonnambuli inabissati nel sonno del raziocinio. Ciechi dinanzi ai presagi. Gli italiani non sarebbero più alla ricerca dell’agiatezza, ma alla ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano. Registriamo una siderale incomunicabilità generazionale e va in scena il dissenso senza conflitto dei giovani. Esuli in fuga. 36.000 ragazzi tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’ Italia nell’ultimo anno. Come si vede un’immagine lacerante. Il rapporto, mai come quest’anno, si sofferma su aspetti di psicologia collettiva che hanno un riflesso socio-economico. In un paese invecchiato, sfiduciato e stressato da due guerre alle porte di casa e da una situazione economica e politica, complessa nella sua fragilità.

Un ritratto per molti versi sostanzialmente mutato rispetto agli ultimi anni. Non tanto cambiato nelle sue diversità e contrapposizioni territoriali ma pressoché omologato nelle sue preoccupazioni e nell’incapacità di guardare al futuro con fiducia e di mettere in campo azioni adeguate per modificarne il corso. I “sonnambuli” della lunga notte della politica. In un meraviglioso territorio privilegiato dalla natura, in cui si muore per  selvaggia violenza  di genere, ma anche per l’isolamento patologico dell’anoressia.E la Calabria che posto occupa in questa foto di gruppo, un po’ dagherrotipo e un po’ videoclip della società della fluidità dei pensieri e dei costumi? Sicuramente la Calabria fornisce il suo contributo decisivo nell’invecchiamento della popolazione, nella fuga esilio della sua meglio gioventù, nella paralisi sonnambula della sua vita sociale e soprattutto politica. Eppure in queste ore non mancano piccoli segnali, sia pure contraddittori, dell’emergere di una possibilità di riscrittura della vocazione della regione rispetto non solo al resto del Paese, ma anche dello stesso Mezzogiorno.

Appare evidente che il destino della Calabria debba ormai legarsi sempre di più non al resto del Mezzogiorno, prendendo atto del fallimento delle politiche dei vari Governi nazionali e locali in risposta alla letteratura querula della “Questione Meridionale”, ma all’Europa e al Mediterraneo. Il Presidente Roberto Occhiuto è stato ricevuto al Quirinale dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un colloquio definito “positivo e cordiale”.

A conclusione è stata diffusa alla stampa una foto che ritrae “i due Presidenti” in un atteggiamento di grande rispetto reciproco, che evocava quasi la conclusione di un incontro tra due rappresentanti di due paesi alleati.

Occhiuto a margine dell’incontro con Mattarella ha affermato che la Calabria deve diventare “la Porta dell’Europa sul Mediterraneo”. Come dire che, forse, finalmente si è individuata la strada che fa uscire la regione dall’isolamento e dalla sua storica marginalità. Ma per fare questo occorre con coraggio ripensare ad una nuova idea di Calabria, aggiornare il suo identikit socio economico, riscrivere il diario non dei sogni ma delle necessità strutturali per diventare “la Porta” dell’Europa, su cui si affacciano i territori e le popolazioni  più travagliati, ma anche più giovani e portatori di nuovi bisogni e nuove culture.

Fare questo significa dotare la Calabria di infrastrutture a livello europeo, significa impedire che si continui a morire su tratti ferroviari ottocenteschi per mancanza di elettrificazione, doppi binari e sicurezza nei passaggi a livello. Significa potenziare il Porto di Gioia Tauro e aprire nuove strutture portuali di primo livello anche sullo Jonio e realizzare una grande area metropolitana nell’area centrale della Calabria tra i due mari. Significa ancora alzare il livello dell’impegno e degli investimenti per l’ambiente, a partire dal nuovo rigassificatore. Significa rendere la sanità pubblica e privata in grado di dare le risposte più adeguate alla domanda di salute non solo dei cittadini calabresi, ma delle popolazioni che si affacciano sulle nostre coste. Ma  principalmente – sono sempre le parole di Marcello Furriolo – significa rendere le nostre tre Università autentici fari del sapere umanistico e scientifico, in grado di diffondere la storia e la visione avveniristica del futuro, in un confronto sempre più  pregnante con le popolazioni del Mediterraneo. E in un quadro di autentica e motivata autonomia amministrativa.

Ma, forse, pensare e realizzare tutto questo si traduce nella necessità di dotare questo territorio delle infrastrutture, porti, aeroporti, strade e ferrovie, in grado di unire realmente la Calabria all’Europa, all’Africa e all’est europeo. In questa nuova geografia il Ponte sullo Stretto rischierebbe di apparire del tutto fuori scala, anche se appartiene ai sogni di una generazione politica che ha vissuto di immagini simbolo e opere di regime di vago sapore “millenaristico”. Il futuro della Calabria non passa dalla Sicilia, ma dalla sua capacità di trasformarsi e farsi riconoscere nell’immagine inclusiva dell’Europa da parte di tutte le civiltà che guardano al Mediterraneo. Un sogno da “sonnambuli” o un grande progetto di trasformazione epocale. (mf)

[Marcello Furriolo è ex sindaco di Catanzaro, giornalista e scrittore]