L’OPINIONE/ Giusy Staropoli Calafati: Calabria terra di emigrazione

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Se l’Italia fosse davvero l’ambito stivale con i suoi venti valorosissimi passi, che vanno dal gambale all’estrema punta e oltre, e la sua storia venisse ancora raccontata, e con amor di Patria, partendo da “Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno”, passando per “Sempre caro mi fu quest’ermo colle”, raggiungendo speditamente “Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte”, fino a imbarcarsi verso “Chi ha il cuore contento sempre canta”, per raggiungere finalmente “ I fior di Sardegna”, forse sì che si potrebbe scrivere il vero atteso sermone dell’unità di Patria.

Luogo e sentimento, spirito e valore, esperienza morale, affettiva e politica. Ma il tempo è galeotto ed è tiranno, e gli esodi che in esso si sono succeduti, e selvaggiamente si avvengono ancora, hanno distrutto sogni e disilluso speranze. Frammentato irrimediabilmente l’identità del Sud del paese. 

Emigranti, scriveva, nel 1928, Francesco Perri. La vita nei paesi del Sud, non era che una piccola epopea rurale, in cui la bellezza della terra veniva ciclicamente affiancata dal forte dolore della gente. Gente in viaggio invece, narrava Saverio Strati nel 1966, quando gli sconfinamenti venivano brutalmente indotti, e le partenze, decise nottetempo, avallate da un progresso illusorio, dentro cui il mondo del Sud non avanzava mai, anzi, vecchio vi entrava, e sempre più vecchio sopravviveva. 

La verità è che l’Italia ha sempre meschinamente contrapposto al sorriso del Settentrione, vispo tra lavoro e pane, il pianto del Meridione, reietto dalla fame. Che mentre il Nord sviluppava, avanzava e si apriva all’Europa, il Sud scriveva ancora “Il canto dei nuovi emigranti”. E Franco Costabile, si sacrificava per non far morire del tutto la sua Calabria, uccidendosi. 

Il Sud è una terra amara. Agra come il sapore dei limoni, torbida, a volte, come l’acqua dei fiumi d’inverno. Un destino che ti partorisce e non ti sa sfamare. Ti cresce e non ti sa tenere. Ti fa piangere quando ci nasci e ti piange invece quando gli muori, o parti. E la Calabria resta, nella storia, una vecchia e stanca stazione di partenza. In tanti ne ha visti salire sopra i treni di lunga percorrenza. In molti li ha osservati scrivere sui quaderni della propria esistenza l’ora esatta dell’emigrazione. Il giorno della partenza, in cui hanno lasciato per sempre il suolo benedetto della Patria. 

Tanto tempo è trascorso da allora, ma nulla è mutato. I viaggi continuano ad essere sempre di andata e quasi mai ritorno.

Si parte, si sente dire ancora. E non sono più le voci dei padri a parlare, ma quelle dei figli. 

Se con Francesco Perri, i meridionali partono verso un sogno chiamato America, fondando dopo Ellis Island, la little Italy, con Corrado Alvaro, si assiste ad una sorta di emancipazione dell’emigrazione. Non si arresta, si modifica. 

L’alfabetizzazione induce a urgenti mutazioni. La scuola rivoluziona la genesi delle partenze, crea i nuovi emigrati, e dopo i viaggi cominciati per fame, per mancanza di farina e di pane, prendono avvio le partenze dovute alla necessità del sapere. L’emigrazione intellettuale.

«Mio padre – scrive Alvaro – diede l’avvio, nel mio paese, alla fuga per mutare condizione. […] Il paese era abituato all’emigrazione. […] Ma un’emigrazione intellettuale nessuno l’aveva mai pensata. E Alvaro diventa il pioniere di questo genere di viaggio».

Da Perri ad Alvaro fino a Saverio Strati, l’emigrazione trova terreno fertile in quella che la storia conia come “questione meridionale”.  

Dopo la spedizione dei Mille, e l’avvento dei piemontesi, il Sud subisce il più grande scippo della storia dell’umanità. Privo delle sue industrie cade in rovina, ridotto a poco più di una colonia. L’unità, contrariamente a quanto si prospetta, aumenta le distanze tra i due poli del paese, marchiando precisi confini politici, sociali e  morali tra il Sud e il Nord della nazione.

«Pensano all’Italia meridionale – dice Corrado Alvaro – come a una contrada che ha, per ideale, di vivere a spese dello StatoI braccianti – continua – che per tutta la vita hanno dissodato e reso fertile le terre non loro, hanno bisogno di una terra che finalmente amministreranno da produttori, senza servi né padroni, ma come soci d’un nuovo assetto civile , come cittadini alla pari, presi all’idea di vedere i proprio bambini saltare dal grembo materno all’ombra d’un albero proprio».

Il Sud diventa una ferita d’Italia, e su di esso si accaniscono oltre che gli eventi, gli uomini, portando a una crisi storica, come scrive Luigi Tallarico, senza più origini e senza passato, ma anche senza uomini autentici perché privati del padre e senza patria. 

L’abbandono dei paesi natii e dei centri interni, non trasfigura solo i luoghi, ma smembra l’animo di chi vi parte e di chi vi resta, gettando il Meridione nella più selvaggia delle contraddizioni. E l’unità del paese, da momento di innalzamento dell’uomo, si traduce in un’emigrazione biblica il cui viaggio si pone alla ricerca di una terra “nuova” come patria comune. 

La Calabria si impoverisce. Perde gli uomini e il suo valore. E non bastano i sentimenti del cuore per trattenere a sé nessuno. Abbandonata dai suoi e dallo Stato, diventa terra di banditi e latitanti. E i contadini muoiono schiacciati due volte, dai proprietari terrieri e dai mafiosi. Il popolo viene depauperato. Emigra. Quasi mai nessuno ha più la fortuna, in patria, di realizzare i sogni di gioventù e della maturità. Nella terra sola prolifica la mafia. Il brigantaggio si trasforma irrimediabilmente. Il persistere del disagio sociale, vinto dalla rabbia della povertà obbligata, presenta una società contadina ribelle, e che contro i soprusi, reagisce. È in essa che cova la prima forma di onorata società, la genesi della “maledetta” ‘Ndrangheta.

La magra del Sud è che nessuno mai ha potuto scegliere. Né ieri né oggi. La dualità tra erranza e restanza, non ha mai avuto occasioni di recupero, o tregua. A restare si moriva di fame, a partire, di nostalgia e di dolore. E la ribellione diventava vendetta.

La sorella di mia nonna, partì per l’Argentina dicendo a sua madre che si sarebbero riviste all’altro mondo. Il fratello di mio nonno invece, neppure il vento l’ha mai riportato indietro. E sua madre per ingannare l’attesa, perse addirittura la ragione

Il viaggio resta una tragica “questione” del Meridione d’Italia. E l’esodo intellettuale, incominciato da Corrado Alvaro, non si è mai ancora arrestato. Anzi. Dalla valigia di cartone si è passati ai trolley di pelle. È cambiata la forma, ma la formula no. Il tempo è mutato, è progredito, ma la “questione” non è mai finita. E forse mai finirà. Il calabrese continua a essere ancora l’uomo “stratiano” con i suoi due cuori in conflitto. Uno che dice, va. E l’altro, che vai a fare?

Come l’emigrante di Francesco Perri non trova pace alla sua anima pellegrina, e resta il vecchio passeggero sulla tratta “intellettuale” di Corrado Alvaro. 

Cosa volete che vi dica? Io quando sono qui vorrei essere in America, e quando ero in America tutte le notti sognavo la mia casa. Questa terra bruciata ci perseguita e non ci lascia dormire fino in capo al mondo. Cosa avevo lasciato io qui? Miseria! Eppure queste brutte strade sporche, queste case, questi orti, li avevo sempre davanti agli occhi.

L’uomo del Sud porta dentro di sé una dolorosa, vecchia, storia, che sempre lo ha costretto a rinunciare alla sacrosanta identità del suo popolo, trascinandolo altrove. L’Italia è sempre stata come il mantello di Cristo. Divisa in più parti. Il Nord e il Sud. È nell’ultima che, come scriveva Franco Costabile, “anime di emigranti vengono la notte a piangere sotto gli ulivi .

[…] Siamo i treni più lunghi. 

Siamo il disonore la vergogna dei governi

L’odore di cipolla che rinnova le viscere d’Europa. […]

Milioni di macchine escono targate Magna Grecia.

Noi siamo le giacche appese nelle baracche nei pollai d’Europa.

Addio, terra.

Salutiamoci, è ora. (F.C.) (gsc)

Il vuoto educativo nelle aree interne del Meridione. Quali prospettive per il Terzo Millennio

di FRANCESCA SARACENO – Venerdì 16 luglio, sulla piattaforma Microsoft Teams, si è svolto il webinar Il vuoto educativo nelle aree interne del Meridione. Quali prospettive per i docenti del Terzo Millennio?, organizzato dall‘Associazione Universitaria Themis con il patrocinio del Consiglio degli Studenti e del Dipartimento DiGiES dell’Università degli studi “Mediterranea” di Reggio Calabria, oltre che con la partecipazione del Dipartimento Calabria – Associazione Nazionale Sociologi.

All’incontro, moderato da chi scrive queste note, studentessa della Themis, hanno partecipato, porgendo i saluti istituzionali, il Direttore del Dipartimento DiGiES, prof. Massimiliano Ferrara, e la prof.ssa Amalia Chiara Di Landro, coordinatrice del Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria, corso di studio che ormai da quasi quattro anni ha arricchito l’offerta formativa dell’Ateneo reggino.

A seguire, si è tenuto il trittico di interventi degli illustri relatori che hanno preso parte al webinar, nell’ordine: prof.ssa Alessandra Priore, dott. Francesco Rao, prof.ssa Rosa Sgambelluri. Dopo ulteriori interventi e domande, da parte degli studenti della Mediterranea, il Presidente della Themis, Girolamo Giovinazzo, ha curato le conclusioni del percorso seminariale, svoltosi in forma telematica. Sebbene si sia trattato, come ormai da consuetudine in questo periodo, di un incontro esclusivamente online, il contatto creatosi tra i relatori e i partecipanti ha ricordato il bel clima proprio delle aule universitarie, di quando ancora ci si poteva riunire liberamente per discutere di importanti e interessanti tematiche; non rappresentando, lo schermo, una “barriera” per i lavori svolti dagli ospiti e dai relatori, ognuno dei quali ha apportato il proprio prezioso contributo alla discussione del 16 luglio.

Iniziando proprio dal prof. Massimiliano Ferrara, Direttore del Dipartimento DiGiES, che nel portare i saluti istituzionali, oltre a ringraziare gli organizzatori per «aver avuto la sensibilità culturale di proporre un tema di novità e grande interesse che si incardina nell’ambito delle scienze umane», ha anche effettuato svariate considerazioni su alcuni aspetti caratterizzanti le aree interne. Dalla sua introduzione, infatti, è emerso come il 56% dei comuni sia rubricato come “area interna”, ossia come il territorio che dista tra i 40 e gli 80 minuti dalla città polo di riferimento (che in alcuni casi è già isolata di per sé), e di come il discorso attorno alle povertà diventi più complesso con l’introduzione di ulteriori elementi quali, ad esempio, l’invecchiamento della popolazione e il calo demografico, problematici sin da prima dell’avvento del Covid.

La situazione si è, ovviamente. aggravata con l’avvento della didattica a distanza e delle criticità da essa nascenti – come il non perfetto cablaggio delle reti di telecomunicazione nelle aree interne –, per cui il problema della povertà educativa si è detto poter diventare strutturale in alcuni contesti. Il direttore si è, infine, congedato ringraziando il gruppo di ricerca formato dai docenti del corso di Scienze della formazione primaria e incentivando gli studenti a continuare a organizzare tali iniziative di confronto.

Di profondo impatto è stato anche il contributo della prof.ssa Amalia Chiara Di Landro, coordinatrice del Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria, di cui ha portato i saluti, la quale si è soffermata sui problemi educativi nascenti dalla pandemia da Covid-19, di cui la DaD rappresenta «un tema nel tema». Tema importante, per come risulta dal rapporto universitario di quest’anno e dal rapporto sulle prove invalsi, che danno la misura del divario tra Nord e Sud, polarizzato col crescendo del percorso formativo, dalla scuola primaria a quella superiore, per poi sfociare nel “problema dei problemi”, ossia la dispersione scolastica, esplicita o implicita che essa sia.

Un divario presente non solo tra il Settentrione e il Meridione, ma anche tra regioni e macroaree e tra classi o scuole della stessa città, che sottolinea come sia proprio da tale discorso che nasce l’importanza di fare rete e del compito di “formare i formatori”, in quanto la DaD ha fatto capire e imposto una riflessione sulla necessità di una didattica che non sia solo frontale, i cui soggetti passivi si trovano al di là di uno schermo, ma di una didattica più interattiva.

Procedendo con la triade di interventi, si è assistito ad un ampio discorso sulla formazione dei docenti e le loro competenze chiave da parte della prof.ssa Alessandra Priore, docente di pedagogia generale, che, partendo dall’allarme lanciato da Save the Children col progetto Illuminiamo il futuro – ossia che l’Italia non sarebbe un Paese “adatto ai minori” –, ha messo in luce la necessità di sconfiggere il vuoto educativo e la povertà in tutte le sue manifestazioni: dall’accesso limitato all’istruzione ai vari servizi di base, dalla discriminazione all’esclusione sociale, col fine di perseguire una crescita economica e sociale inclusiva, “traguardi ineludibili” secondo l’Onu.

Non solo povertà economica ma anche diverse forme del rischio della vulnerabilità sociale, da combattere attraverso la formazione di quella che sarà la nuova classe docente del futuro e soffermandosi non solo sulla “mera” trasmissione dei contenuti che, per quanto importanti, sono oggi più facilmente accessibili, ma sulla attivazione di “relazioni significative”, perché «è solo per mezzo delle stesse che si realizzano apprendimenti significativi».

Coinvolgente, a seguire, è stato l’intervento intitolato Povertà educative, deprivazioni culturali e dispersione scolastica nelle aree interne della Calabria. Il ruolo della comunità educante del dott. Francesco Rao, sociologo e presidente del Dipartimento Calabria – Associazione Nazionale Sociologi, arricchito dall’esperienza praticata sul territorio, che quest’ultimo ha raccontato. Esperienza che risale al 2004, anno nel quale il dottore ha iniziato ad occuparsi, con numerose attività, dei temi in oggetto in varie parti del territorio dell’odierna Città metropolitana di Reggio Calabria. Seguendo gli insegnamenti da pedagogista di Don Milani con l’affermazione “I care”, ha ribadito quanto, ancora oggi, sia fondamentale prendersi cura dei discenti, anziché, come spesso succede, «tenere dentro le scuole i ragazzi che studiano e lasciare fuori alunni aventi storie personali e circostanze pressanti a livello sociale». Dopo aver toccato diverse tematiche, il relatore ha concluso evidenziando come non sia molto lontana nel tempo la perdita di più di 100 plessi scolastici in Calabria, e ha sottolineato come «quando in un Paese si chiude la scuola, si chiude un presidio di democrazia e legalità e si perde di vista lo Stato», ponendo l’accento su come la scuola sia necessaria perché «per educare serve una comunità», lasciando aperta la porta a future nuove collaborazioni con l’Università “Mediterranea”. Ha citato infine l’Émile di Rousseau, secondo cui «le persone sono buone, è la società che le rende cattive»: allora la scuola deve essere quella società buona che rende “buono” anche colui che si era perso.

Ci si è immersi, poi, nel mondo dell’inclusione e dell’interculturalità grazie alla relazione della prof.ssa Rosa Sgambelluri, docente di pedagogia interculturale, intitolata Alleanza educativa tra scuola e università: verso nuove prospettive interculturali e didattico-inclusive. Nella corso della sua trattazione, la neo-professoressa associata dell’UniRC ha delineato un excursus sulla storia e le vicende legate ai due concetti summenzionati: inclusione, anzitutto, come problema di significativo interesse pedagogico e obiettivo chiave delle politiche internazionali, come necessità di integrare nelle scuole comuni alunni che vengono indirizzati in istituti speciali, ponendo maggiormente l’accento sul discorso di “efficacia educativa”; educazione interculturale come “imparare a vivere insieme” in un mondo in cui le relazioni con gli altri e l’incontro con le differenze sono sempre più ingredienti normali della vita quotidiana. Tutto ciò pensando di attivare percorsi di progettazione universale nella didattica inclusiva (universal design for learning), sia nei contesti scolastici che universitari; avendo al centro di tutto il singolo studente e le sue diversità che ne caratterizzano l’identità.

Infine, dopo qualche minuto dedicato alle domande e ai commenti dei partecipanti, ci si è avviati alle conclusioni curate dallo studente Presidente Themis, Girolamo Giovinazzo il quale, intervenendo dapprima con ulteriori quesiti che hanno contribuito ad arricchire il dibattito tra i relatori, ha poi tirato le somme di quanto detto durante la mattinata: l’istruzione calabrese (insieme a quella italiana) necessita di una profonda riforma, come ribadito dalla prof.ssa Priore, ma anche di un sistema proprio, “autoctono”, non importato da altri Paesi in cui tale aspetto è sì efficiente e idoneo, ma non è “nostro”, non è adatto a noi.

Si conclude, così, un’intensa mattinata all’insegna del dialogo e del “mettersi in gioco”: per l’Associazione Universitaria “Themis” e tutte le istituzioni e i professionisti partecipanti è motivo di orgoglio aver dato vita ad un’importante occasione di confronto, che si spera possa riproporsi negli anni a venire. (fs)

Abate (Alt. c’è): Non c’è adeguata ripartizione per collegamenti ferroviari alta velocità per il Sud

La senatrice di Alternativa c’èRosa Silvana Abate, ha dichiarato che il Recovery Plan, «che sarà inviato a Bruxelles per una valutazione complessiva da parte dell’Unione europea non prevede, in realtà, una corretta e adeguata ripartizione delle risorse riguardanti i collegamenti ferroviari ad alta velocità tale da favorire il Sud e, nello specifico, la Calabria».

«Il documento, ad esempio – ha spiegato – parla di una riduzione di circa 80 minuti sul tempo di percorrenza del tratto Salerno-Reggio Calabria, ma non viene indicato rispetto a quale tempo attuale si avrà la riduzione. Non c’è il temine iniziale di paragone, ecco perché non è chiaro quale sarà il tempo finale di percorrenza del tratto Salerno-Reggio Calabria. C’è chi dice che sarà un’Alta velocità a 300 km/h, ma non è scritto esplicitamente da nessuna parte».

«La stessa cosa – ha proseguito – si può dire anche in riferimento al fatto che il fatto che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, continui a dire che il Pnrr è rivolto al Sud e che più del 50% degli investimenti nelle infrastrutture sia al destinato a Sud. Non è così, leggendo bene le schede del Recovery Plan emerge come il Meridione rischi di diventare il grande tradito di questo Piano di cui tutti parlano ma che nessuno ha realmente approfondito».

«Per questo motivo – ha spiegato ancora Abate – nella risoluzione elaborata insieme agli altri colleghi del gruppo “L’Alternativa c’è” al Senato, abbiamo chiesto l’inserimento di un punto dove si dica chiaramente che è necessario modificare l’attuale distribuzione tra Nord e Sud delle risorse riguardanti i collegamenti ferroviari ad alta velocità perché, attualmente, Il Piano Nazione di Ripresa non favorisce un importante rafforzamento dei territori maggiormente sprovvisti di collegamenti ferroviari (come il Sud e le isole)».

«Se si vuole riequilibrare davvero la preoccupante sperequazione tra le regioni italiane al Sud – ha concluso – dovrebbe andare il 60% dei fondi, come previsto dai criteri indicati da Bruxelles in merito a Pil, popolazione e tassi di disoccupazione». (rp)