FAR RESTARE QUEI CERVELLI IN FUGA: AL
SUD SI PUÒ ESSERE CITTADINI DI SERIE A

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Trattenere i 40.000 laureati che ogni anno se ne vanno dal Sud dovrebbe essere l’obiettivo centrale delle politiche di sviluppo perché ognuno di quelli è un pezzo di Pil che se ne va». Cosi Luca Bianchi, direttore della Svimez commentava,  nei giorni scorsi, il tema  al centro di un incontro di studio organizzato da Banca d’Italia e Istat. 

Il messaggio univoco che proviene dall’indagine che il calo della popolazione in età lavorativa richiede un aumento del tasso di occupazione in particolare di donne e giovani ed anche un’attenta politica migratoria é di quelli scontati. Il merito sta nel fatto che il tema della emigrazione dei cervelli ritorna centrale.

Chiedersi perché in tanti scelgono fin dalla frequenza della università di puntare al Nord è un esercizio quasi scolastico. Da una realtà dove lavora una persona su quattro come il Mezzogiorno, nel quale rispetto ai 20 milioni di abitanti vi sono solo poco più di 6 milioni che lavorano, compresi i sommersi, non si può che fuggire. Per una serie di motivazioni: alcune delle quali riguardano le ragioni della mancanza assoluta di opportunità. Ed in ogni caso quando queste dovessero presentarsi, considerato che i livelli superiori sono concentrati nelle realtà nelle quali le direzioni generali sono localizzate, nel momento in cui bisogna crescere nelle responsabilità, l’esigenza di lasciare il Mezzogiorno diventa sempre più cogente. Ma vi sono anche altre motivazioni che riguardano il fatto che l’emigrazione a cui assistiamo é alla ricerca dei diritti. 

Proprio così si tratta di una generazione di meridionali, che hanno deciso che non vogliono accontentarsi di essere cittadini di serie B e poiché hanno già cessato di sperare in una possibilità di cambiamento, poiché ritengono che non sia possibile avere gli stessi diritti di cittadinanza che si hanno al Nord, hanno deciso di spostarsi. I diritti fondamentali che cercano  sono quelli alla mobilità, alla salute, agli asili nido per i loro bambini, a una buona scuola. Se a questo aggiungi quello che afferma sempre Luca Bianchi e cioè che “in realtà se continuano ad emigrare è perché la qualità del lavoro e le retribuzioni sono troppo basse, circa il 20% inferiori al resto d’Italia” il quadro si completa. 

Ciò vuol dire che le gabbie salariali tanto invocate e richieste da una parte del Nord  sono già una realtà. 

Ovviamente il Centro Nord gode di tutto questo come evidenziato dall’ultimo Rapporto Istat sulle migrazioni nel Paese: «Il Centro-Nord “recupera” le perdite accumulate nel decennio 2012-2021 con gli studenti in arrivo dal Mezzogiorno. Negli ultimi 10 anni, il Nord guadagna oltre 116mila giovani risorse provenienti dal Sud e dalle Isole, il Centro quasi 13mila. Nel complesso, le uscite dal Mezzogiorno verso l’estero e le altre regioni d’Italia determinano una perdita di circa 150mila giovani laureati». 

Non per fare il conto della serva ma dire che tutto questo costa al Sud 45 miliardi, considerato che per formare un laureato  servono 300 milioni,  non è sufficiente ad individuare il vero costo per la realtà meridionale, perché i 45 miliardi riguardano solo il danno emergente, la valutazione del lucro cessante è più difficile da calcolare. 

Ma certamente il processo emigratorio è quell’elemento che non consente più alla foresta dello sviluppo di crescere e che avvia ed alimenta un processo di desertificazione.

Per questo l’autonomia differenziata voluta in primis da Calderoli/Zaia, ma anche da Fontana e Bonaccini, sodali in quel mai costituito ufficialmente, ma sempre in azione,  Partito Unico del Nord, che prevede la istituzionalizzazione dei diversi diritti di cittadinanza è una deriva pericolosissima. 

Bisogna puntualizzare peraltro che sbaglia chi confronta l’emigrazione dal Sud con la mobilità che vi é al Nord. Perché se è vero che gli arrivi da Sud compensano numericamente la fuga e che resta il fatto che anche tutte le Regioni del Nord hanno un saldo dei giovani laureati verso l’estero negativo non si può non precisare che quella dal Sud è emigrazione e l’altra invece è mobilità. 

L’Istat ricorda che sempre nel decennio 2012-2021 è espatriato dall’Italia oltre un milione di residenti di cui circa un quarto in possesso della laurea, in buona parte settentrionali. Tra rimpatri ed espatriati il saldo insomma è chiaramente negativo, al punto che la perdita complessiva dell’Italia per l’intero periodo è di oltre 79mila giovani laureati. 

Tutto vero ma bisogna calcolare però che vi sono una serie di stranieri che vengono a lavorare in Italia e che compensano, anche se solo in parte,  il drenaggio che avviene,  in un processo di scambio di esperienze che non può che essere positivo. 

L’emigrazione di cui soffre il Sud è invece un fenomeno tipico dei paesi poveri, che perdono i loro migliori residenti spesso senza guadagnare giovani stranieri che decidono di trasferirsi nelle aree meridionali. Lamentarsi di un processo che ha le sue origini in politiche che prevedono che alcune parti del Paese siano considerate come colonia, nelle quali anche con il Pnrr si pensa di dotare i comuni interessati degli asili nido con bandi competitivi è un esercizio non solo inutile ma anche vigliacco. 

Deve essere chiaro a tutti che il Mezzogiorno è funzionale, in tutte le sue componenti di territorio e capitale umano, alla crescita sempre più contenuta di un Nord che pensa di poter sostenere la propria competitività rispetto alle aree ricche della MittelEuropa sfruttando  a suo vantaggio, in una cannibalizzazione degli altri territori,  un Mezzogiorno debole.  Anche se é evidente che fin quando il rapporto nei confronti delle  parti forti del Paese sarà in una forma di ascarismo perdente, sia in termini elettorali che conseguentemente in termini economici,  i risultati non potranno che essere quelli registrati ormai da oltre cinquant’anni. 

Se come nelle tragedie greche il Sud aspetterà che un deus ex machina, che sia lo Stato centrale o un partito nazionale,  si occupi di impegnarsi seriamente per politiche di sviluppo adeguate allora non potrà che rimanere deluso. Anche se è difficile con la mancanza di formazione e di consapevolezza,  dovuta anche ad una diffusa dispersione scolastica oltre che alla mancanza di tempo pieno nelle scuole e alla poco occupazione che non consente di avere in casa delle donne occupate quindi più inserite nelle problematiche del Paese, è necessario che vi sia un colpo di reni che preveda non questue rispetto ad un Paese che può essere più o meno generoso, ma pretese legittime da far rispettare con la forza delle urne. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

Il presidente Occhiuto: Il Sud è luogo di opportunità

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ha evidenziato di come il Sud è luogo di opportunità, e di come può «essere hub dell’Europa sul Mediterraneo».

«Devo esprimere la mia riconoscenza a The European House Ambrosetti per aver contribuito a modificare il paradigma della discussione sul Mezzogiorno, che spesso è stato rappresentato nella comunità nazionale soltanto come un luogo di problemi. Oggi invece cominciamo a parlarne anche come luogo di opportunità e di investimenti nazionali e internazionali. Un luogo di opportunità non solo per le regioni del Sud ma per il Paese e per l’Europa», ha detto il Governatore nel corso del suo intervento al Forum Verso Sud: La strategia europea per una nuova stagione geopolitica, economica e socioculturale del Mediterraneo.

«Questo perché – ha detto ancora – il Sud Italia può davvero candidarsi ad essere l’hub dell’Europa sul Mediterraneo, in grado anche di interloquire con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Quindi non solo un hub energetico, ma anche un luogo cruciale per il commercio internazionale».

«Io lo sto vivendo sotto i miei occhi – ha proseguito – perché la mia Regione ospita il primo porto d’Italia, quello di Gioia Tauro, che fa 3,5 milioni all’anno di movimentazione di container. Oggi ancora non produce ricchezza in Calabria perché è un porto di transhipment ma è un asset logistico straordinario in questo nuovo scenario internazionale. Credo che le Regioni del Sud se sanno interpretare l’attività di governo in chiave moderna, e non meramente rivendicativa, possono vivere le stesse condizioni di crescita che hanno avuto le Regioni del Nord nei decenni passati».

«La coesione si realizza non solo attraverso la spesa produttiva del governo nazionale e dell’efficacia delle risorse dell’Unione europea, ma anche con una visione in grado di creare sviluppo. Noi lo stiamo facendo», ha sottolineato ancora Occhiuto.

Il Governatore, poi, ha parlato dei fondi Ue, dicendo come «non credo che il presidente Emiliano abbia ragione quando dice che ci sia l’intenzione da parte del governo di dirottare verso altri lidi le risorse dell’Fsc».

«Le risorse destinate alle Regioni devono essere spese in quelle Regioni. Dobbiamo però dimostrare di essere una classe dirigente che abbia onestà intellettuale», ha detto ancora, ricordando come «sulla spesa ci sono dei problemi strutturali da affrontare, ma le risorse ci sono. Inoltre giudico come un fatto positivo che ci sia un unico ministro, Fitto, che si occupi di tutti gli strumenti di finanziamento e programmazione».

«Certo, anche io vorrei che questo lavoro di ricognizione dei programmi di spesa che sta facendo il ministro fosse rapportato ai dati attuali – ha concluso – e vorrei anche si passasse presto alla fase operativa dell’accordo con le singole Regioni.
Ma confido che a questa fase ci si arrivi da qui a qualche giorno». (rrm)

Biondo (Uil): Il Governo frena su attuazione del Pnrr

Il segretario generale di Uil Calabria, Santo Biondo, ha denunciato come il Governo, mentre accelera sul progetto Calderoli, «che autonomia differenziata non è, frena su attuazione del Pnrr e la politica locale e gli amministratori locali, il Mezzogiorno e la Calabria stanno a guardare».

«In questi giorni il governo, nel silenzio da parte della Calabria – ha spiegato – ha provveduto a rivedere la governance del Pnrr e delle politiche di coesione 14/20 e 21/27, questo è un fatto che non aiuta la velocizzazione sull’attuazione delle risorse e degli investimenti per l’apertura dei cantieri proprio nel 2023 anno in cui bisogna avviare gli investimenti, promuovere l’occupazione e migliorare i servizi così come prevede il Pnrr».

«Piuttosto – ha sottolineato – sarebbe più utile e opportuno avviare un confronto sul territorio, avviare la cabina regia, avviare il monitoraggio su piano attuazione per evitare che il Pnrr non diventi un nuovo miraggio come quello del ponte sullo Stretto che ci accompagna dagli anni Settanta».

«La macchina in questa direzione – ha spiegato ancora – è completamente ferma, il rischio di perdere le risorse è pesante, la politica è disattenta. È necessario, invece, che vengano applicate queste risorse e anche trovi applicazione la clausola della destinazione del 40% dei delle risorse del Pnrr allocabili territorialmente, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, sia destinato  alle  regioni  del  Mezzogiorno».

«Purtroppo – ha detto ancora – si perseguono metodi da vecchia politica, non ci si concentra sull’attuazione progetti e non si risolve il problema che impedisce la giusta applicazione dei fondi che, nei fatti, è il ritardo della pubblica amministrazione locale, la sua incapacità a poter assolvere ai compiti che gli sono stati assegnati».

«In primo luogo – ha suggerito – occorre affrontare, sul livello nazionale e regionale, il tema dell’incapacità amministrativa della pubblica amministrazione, soprattutto dei Comuni. Occorre un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale specializzato, che riveda anche i parametri per le assunzioni di quegli enti locali che si trovano in situazioni di dissesto e predissesto, e in Calabria sono più del 50% i comuni che si trovano in questa condizione, e non possono di fatto procedere alle assunzioni di personale. Vanno stabilizzati, così come fatto per i loro colleghi nei ministeri, i tecnici assunti nei mesi scorsi nei comuni calabresi con contratti tempo determinato per attuare il Pnrr».

1Nel frattempo – ha continuato – che si dia l’avvio alle assunzioni, la Regione promuova l’aggregazione dei comuni per ambito territoriale per l’attuazione del Pnrr. Questa è un’operazione funzionale a mettere in campo tra gli enti territoriali una “solidarietà amministrativa” che abbia come centralità la messa a disposizione di competenze da alcuni comuni in favore di altri che ne sono carenti».

«Si convochi subito – ha rilanciato – la cabina di regia per il Pnrr in Regione e nei comuni per facilitare l’azione di sorveglianza sociale sulla spesa di questi importanti finanziamenti europei. Allo stesso tempo vanno attenzionati i cronoprogrammi sulle opere e gli impatti occupazionali delle stesse in Calabria e gli investimenti previsti dal Piano. Vanno applicati i protocolli di legalità e sicurezza sui luoghi di lavoro tra istituzioni, procure e prefetture».

«Solo la corretta applicazione di questi percorsi virtuosi – ha concluso – può evitare alla Calabria di vedere sprecata questa importante occasione di ripartenza e di cadere nella trappola del sottosviluppo». (rcz)

L’OPINIONE / Luigi Sbarra: La necessità di una strategia di crescita che rilanci Mezzogiorno e Calabria

di LUIGI SBARRA – Il Paese non si rimetterà in piedi senza una strategia di crescita, sviluppo, lavoro e formazione che rilanci il Mezzogiorno e la Calabria. Investimenti pubblici e privati che faticano ad arrivare anche e proprio per le infrastrutture che ancora mancano nel territorio.

Va realizzata la più grande mobilitazione meridionalista di sempre, utilizzando bene e fino all’ultimo centesimo le risorse del Pnrr e le altre dotazioni nazionali ed europee: oltre 200 miliardi in 5 anni destinati al Mezzogiorno che vanno trasformati in investimenti attraverso la qualità della spesa e la partecipazione attiva delle parti sociali nella governance dei progetti. Pensare di escludere il sindacato, gli enti locali e gli altri soggetti, dai processi di decisione sarebbe un grave errore e porterebbe nel verso del fallimento.

In Calabria va completata e ammodernata tutta la Statale e la ferrovia Ionica e portata fino a Reggio l’alta velocità e capacità ferroviaria, vanno riallineati agli standard europei i livelli di autostrade, i collegamenti e le connessioni alle aree interne, come pure la banda larga, gli acquedotti, il risanamento idrogeologico. Va colta appieno la grande opportunità del Porto di Gioia Tauro e il potenziale produttivo che offre l’area industriale retrostante, il progetto della Zes, la prospettiva di realizzazione del rigassificatore.

Occorre assumere personale negli enti locali, stabilizzare il precariato storico nella pubblica amministrazione, nelle scuole, negli ospedali, garantire un potenziamento delle politiche socio-sanitarie di prossimità per sostenere il pieno diritto alla salute, la terza età e la non autosufficienza. La sanità in Calabria serve curarla veramente per poter curare le persone. In un contesto integrato di politica di sviluppo e in modo coerente con una strategia di rilancio di reti fisiche e servizi sociali, noi sosteniamo anche la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Una grande opera che può dare un impulso forte e positivo allo sviluppo occupazionale ed economico non solo calabrese e siciliano, ma nazionale ed europeo. (lb)

Sangalli (Confcommercio): La ripresa del Paese passa dal rilancio del Sud

«Se non riparte il Mezzogiorno non riparte il Paese». È quanto ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio nel corso dell’Assemblea pubblica di Confcommercio Cosenza, dal titolo Il ruolo dei corpi intermedi per il rilancio del Mezzogiorno.

«Penso agli imprenditori, a partire da quelli del Sud presenti in questa Sala. Donne e uomini che hanno dimostrato nelle difficoltà e dimostrano oggi nel lavoro quotidiano, tanta responsabilità e determinazione, prima di tutto nei confronti dei loro collaboratori, per le comunità, per il Paese. È difficile non arrendersi in un tempo in cui la parola più ricorrente è stata “crisi”. Crisi pandemica, crisi economica, crisi diplomatica, crisi energetica. E se non c’è stata anche una crisi sociale lo dobbiamo proprio ai corpi intermedi, quelli vivi e che hanno funzionato, come la Confcommercio» ha detto Sangalli.

E, proprio sui corpi intermedi, il presidente di Confcommercio ha evidenziato come quest’ultimi sono «determinanti per gli equilibri sociali ed economici del territorio. Dialogare infatti significa far vedere che innanzitutto i corpi intermedi, le parti sociali e quindi anche il mondo associativo, sono una realtà importantissima in grado di offrire alla politica le richieste del mondo delle imprese».

«Coraggio nelle scelte, trasparenza, responsabilità, ascolto e buoni esempi. Sono queste le parole che devono comparire in primo piano nel vocabolario economico e sociale della Calabria.  Lo chiediamo alla politica ma anche ai corpi intermedi. È tempo che istituzioni, enti e corpi intermedi assumano comportamenti di responsabilità negli interessi di tutti», ha dichiarato Klaus Algieti, presidente di Confcommercio Cosenza.

Tanti complimenti per il Presidente della Regione sul lavoro svolto ma anche tanti spunti su temi che andrebbero affrontati: «Ci sono tanti temi sanità, porto di Gioia Tauro, lavoro, politiche energetiche e del mare, testo unico sul commercio e turismo, rigenerazione urbana – ha proseguito Algieri – per ognuna di esse Confcommercio è al fianco della politica e delle istituzioni per portarle a compimento. Questo è il ruolo dei corpi intermedi, fornire spunti, opinioni, collaborare e non dare giudizi. Essere di supporto e non di peso. Prima di giudicare bisognerebbe trovarsi nelle condizioni in cui si è agito per capire come si è arrivati a quell’azione».

Un bel confronto con il Presidente Occhiuto che nell’apprezzare le proposte di Confcommercio ha dichiarato: «Concordo con quanto detto dal presidente Algieri nel suo intervento – ha sostenuto Roberto Occhiuto, Presidente della Regione Calabria – coinvolgere i corpi intermedi nelle scelte strategiche che riguardano la nostra Regione, è per me un percorso ineludibile. Voglio cambiare la Regione che ho l’onore di governare, ma per farlo ho bisogno della partecipazione attiva di tutte le energie positive del territorio e Confcommercio è una di queste».

«Vorrei che le associazioni di categoria – ha concluso il Governatore – diventassero sportelli della Regione e front office del mondo delle imprese. Soprattutto di quelle micro che non hanno accesso ai bandi o perché i bandi non esistono o perché non hanno personale capace di intercettare questi finanziamenti».

L’incontro ha visto l’alternarsi di tre momenti distinti. Il primo la proclamazione dei risultati dell’Assemblea Elettiva di Confcommercio Cosenza, che ha visto riconfermato alla carica di Presidente l’uscente Klaus Algieri. Successivamente sono state premiate cinque soci del sistema Confcommercio: Enzo Barbieri, Franco Totera, Mario Tarsitano e Renata Tropea per la storicità delle proprie imprese, Ester Chimento per essere stata la prima a creare in Italia Confcerimonie.

Momento culmine è stato il dibattito pubblico aperto dai saluti dell’assessore del Comune di Cosenza, Pina Incarnato e della presidente della Provincia di Cosenza, Rosaria Succurro.  Tutto l’evento è stato moderato dalla direttrice di Confcommercio Cosenza, Maria Santagada(rcs)

“FARE” E NON “DEFINIRE” I LEP: SOLO COSÌ
SI PUÒ INIZIARE A PARLARE DI PARI DIRITTI

di PINO APRILE – Prima si fanno i Lep, i livelli essenziali (e uniformi) delle prestazioni (sanità, istruzione, trasporti…), e dopo l’Autonomia regionale (non differenziata). Ripeto: si fanno, non “si definiscono” i Lep o “si finanziano”.

Si fanno; ovvero: prima si mettono tutti gli italiani nella stessa condizione (stessi treni, stesse autostrade, stessi diritti all’istruzione, alla salute, al lavoro…) e poi si può pensare di porli in concorrenza nella gestione dei servizi da garantire ai cittadini “e vediamo chi è più bravo”. Chiaro, no? E semplice. Il contrario è barare, rubare, voler vincere facile: la sapete quella del campionato di pallanuoto nel lager nazista, “prigionieri contro alligatori”? È questo che hanno in mente i secessionisti arricchiti a spese di tutt’Italia e i razzisti.

E fingono di non capire: come grande concessione, il ministro leghista all’Apartheid (“alle Autonomie e alle Regioni”. Del Nord) offre alle tribù terroniche, che i Lep siano definiti in sei mesi (non ci sono riusciti il 22 anni, ora vogliono farci credere di sbrigarsela in 180 giorni), da una commissione furbescamente a maggioranza leghista (ovvero del partito retto da un condannato per razzismo); e, ove non ci si riuscisse (pare che si corra tale rischio!), si gira tutto a un commissario unico con il compito di far da solo quello di cui non è stata capace la “qualificata” commissione.
Tempo? Sei mesi, ferie e feste comprese; poi un decreto preparato da Calderoli e firmato da Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, trattata («Firma qua!») qual prestanome da falso condominiale, visto che il capo del governo può emettere decreti amministrativi, non leggi di rilievo costituzionale (non lo dico io, ma giuristi); quindi, un passaggio pro-forma in parlamento: zero diritto e possibilità di intervenire, solo votare sì o no a scatola chiusa, per approvare come gregge o cade il governo e si va tutti a casa! Fine della favoletta dell’estrema destra che raggiunge il potere e tenta di camuffarsi da partito conservatore, mostrandosi obbediente ai veri padroni del vapore, nazionali e no (tassare gli extra-profitti delle grandi compagnie dell’energia, come gridato da Giorgia Meloni pre-governo? No: bollette mostruose a famiglie e aziende, come prima; taglio di accise sui carburanti, come da Meloni e Salvini pre-governo? No: prezzi da strozzini alla pompa, come prima; eccetera).
E con questo, “definire i Lep”, il furbetto del Giambellino, Calderoli Roberto, pensa di liquidare la faccenda. Ma posto che davvero li definiscano (ripeto: in sei mesi, dopo 22 inutili anni), poi bisogna finanziarli: i servizi, dalla salute alla scuola eccetera, hanno un costo, vanno pagati. Con quali soldi? E qui Calderoli svicola, di fatto, nella sua bozza per l’Autonomia differenziata: in pratica, andrebbero finanziati, senza toccare il dippiù che da sempre le Regioni arricchite del Nord si prendono a spese del resto del Paese. Una presa in giro, perché soldi non ce ne sono: siamo in deficit.
E poni si riuscisse a ricavarne fra le pieghe di bilancio, si tratterebbe di qualche miliardo? Addirittura qualche decina? Sono tanti? Pochi? Sono nulla, visto che solo per i tre-quattro servizi essenziali più importanti (e in elenco ce ne sono 23, pur se non tutti con uso di Lep), di miliardi ne servono da 80 a 100, calcolò l’allora ministro incaricato Francesco Boccia. Quindi, ci vogliono fottere, ancora una volta, con il giochino delle tre carte padane.
Ma facciamo un salto nel mondo della fantasia e immaginiamo che davvero si disponga che i Lep vengano finanziati per come è necessario (dai cento miliardi in avanti, tutti insieme, al Sud, per i diritti sempre negati. Pozz’essere cecato chi nun ce crede). Potremmo sentirci finalmente garantiti e sarebbe soddisfatta la condizione “Prima il Lep”, poi l’Autonomia (non differenziata)?
I finanziamenti sono una certezza a Nord e volatili a Sud. Devo ricordare qualche esempio? Un governo Berlusconi stanziò 3,5 miliardi di euro per la realizzazione delle prime opere del Ponte sullo Stretto di Messina (ma a me piace chiamarlo, come suggerisce il professor Pasquale Amato: Stretto di Scilla e Cariddi); il governo cade, arriva Prodi, leva i 3,5 miliardi dal Ponte (lui è contrario) e li destina sempre a quell’area geografica, ma per strade dissestate e porti; il governo cade e torna Berlusconi: il ministro Tremonti toglie quei 3,5 miliardi da strade e porti di Sicilia e Calabria e li usa per abbuonare l’ici sulle case di lusso (una delle poche tasse sui ricchi).
E il miliardo per i ricercatori del Sud e le start-up (nuove aziende) da far sorgere sulle loro idee, stanziato dal governo Prodi? Con il governo Berlusconi lo stanziamento viene girato alle società di navigazione sul lago di Garda, per l’illuminazione del Veneto, l’industria delle armi bresciana, e altre urgenze nordiche. E i soldi per il Sud spesi per aiutare le aziende casearie emiliane, con l’acquisto di stato e di favore di centomila forme di parmigiano? E i 3,5 miliardi bloccati per il Sud, con legge, nel Fondo di Coesione? Il governo Renzi, per mano del ministro Graziano Delrio li sblocca cambiando la legge e li usa per incrementare l’occupazione al Nord, dove c’è il più basso tasso di disoccupazione, a danno del Sud, che ha il maggior indice europeo di senza lavoro. Devo continuare?
Quindi, “definire” i Lep non garantisce niente; “finanziarli” nemmeno; fare i Lep può garantire qualcosa, verificando cosa e quanto e come. Solo allora, a parità di diritti riconosciuti e ugualmente resi a tutti gli italiani e ai territori, di Autonomia (non differenziata) si potrebbe, forse, parlare. Questa è una cosa chiarissima, ma intorbidiscono le acque, per celare l’ovvio.
La determinazione e la spudoratezza con cui un partitino dell’8 per cento (in calo) lo fa, sono accentuate dall’imminenza delle elezioni regionali in Lombardia, dove il candidato della Lega è un ronzino zoppo: Attilio Fontana, il presidente della Regione che gestì peggio di tutti (non in Italia, al mondo, secondo il Los Angeles Time) la pandemia di covid-19, facendo riaprire gli ospedali infetti e liberamente andar via nel resto del Paese, dalle zone dei focolai, centinaia di migliaia di persone senza alcun controllo. In più, fallita la strategia della “Lega nazionale”, e mentre rischia la scissione guidata da Umberto Bossi, Salvini punta sull’Autonomia differenziata per rinverdire gli egoismi animali della Lega-Nord. Se perde le elezioni pure in Lombardia, non gli resta che cercare qualcosa che (come Bossi e altri) non ha mai conosciuto in vita sua: un lavoro.
Giorgia Meloni è ostaggio della disperazione leghista, del confuso attivismo del suo ministro all’Apartheid e delle balle senza ritegno dei sostenitori della Secessione dei ricchi, da Stefano Bonaccini, Pd, presidente dell’Emilia Romagna, a Luca Zaia, Lega, presidente del Veneto. Il primo continua a dire di non volere un euro in più di quanto già riceva la sua Regione e a sperare che la furbata passi non capita.
Il fatto è che proprio il criterio di suddivisione delle risorse nazionali seguito finora, la “spesa storica” (troppo, quasi tutto a poche regioni del Nord, e il nulla o poco più al Sud) è la causa dello squilibrio economico e geografico; ed è la “spesa storica” che i marpioni pigliatutto vogliono garantirsi con legge costituzionale: «Non chiediamo un euro in più», dice, senza vergogna, Bonaccini (Ma va’!); nella più recente delle interviste in ginocchio del Corriere della sera a Zaia, il presidente veneto, senza obiezioni da parte dell’intervistator cortese, spara castronerie galattiche, tipo: «Non ci sono regioni più ricche, perché hanno avuto di più» (no: quelle del Nord emersero dalle acque primordiali già con tutte le autostrade, le ferrovie, l’alta velocità, i Centri di ricerca, le pedemontane a costi da record mondiale a chilometro e non percorse da nessuno, le Olimpiadi invernali a costo zero e le Expo strafinanziate che chiudono in deficit…: mica roba pagata da tutti gli italiani; mentre le Ferrovie dello stato non sanno che esiste Matera, nei paesi del Sud non si arriva perché le strade sono franate, il Ponte sullo Stretto non si fa, perché c’è la mafia, che va bene, “imprenditoriale” solo al Nord…); oppure che l’Autonomia ci può «rendere un Paese bellissimo e con infinite risorse» (al Nord, ovvio, sottraendole agli altri), «moderno come il mondo ormai richiede».
Sì, Zaia, e sarà ogni giorno Natale, festa tutto l’anno, il leone e l’agnello giaceranno insieme (ma l’agnello non chiuderà occhio, se ricordate la battuta). L’altra carognata con cui vogliono rendere “logica” la pretesa dell’Autonomia differenziata è: noi (faccio un esempio semplificato) abbiamo scolari che finite le elementari, devono proseguire gli studi e serve costruire le scuole medie, perché non dovremmo avere (da tutti gli altri) i soldi per farle, solo perché al Sud sono analfabeti?
Il fatto è che le elementari, con i soldi di tutti, le hanno fatte solo al Nord e al Sud sono rimasti analfabeti; ora, quel vantaggio acquisito a danno dell’equità territoriale e della parità dei diritti, diviene un merito del ladro e una colpa del derubato, perché il primo continuerà a pretendere (vuoi fermare la locomotiva?) le scuole superiori, le università e il secondo sarà insultato per la sua ignoranza, mentre resta senza le elementari, perché non ci sono soldi per tutti e per tutto (ma quelli di tutti sempre agli stessi, sì). È così che al Nord progettano di farsi finanziare l’hyperloop (il treno monorotaia da 1.200 km all’ora), mentre al Sud son stati tagliati più di mille chilometri di ferrovia e città capoluogo di Provincia (non solo Matera) sono senza treni e per curarsi, studiare, lavorare, bisogna emigrare inseguendo i soldi rubati al Mezzogiorno.
Ma così quanto tempo ci vuole per metter tutti gli italiani a parità di diritti e condizioni? E che ne so: anni? Decenni? E a quando slitterebbe, così, l’Autonomia (non differenziata)? Non ne ho idea e me ne occupo: il mio problema è riuscire a diventare, dopo più di 160 anni, un cittadino italiano vero, non di serie inferiore.
Giorgia Meloni è finalmente (sogno della vita sua e dell’estrema destra) al governo del Paese, anzi, “della Nazione”; ma può restarci solo se non rompe con la Lega-Nord che la ricatta; e quindi deve assecondarla sull’Autonomia differenziata. Ma se passa quella porcheria, si rompe il Paese, anzi “la Nazione”, per eccesso di disuguaglianze (l’Italia è già il Paese più ingiusto del mondo) e perché il Sud, sempre più convinto che meglio soli che mal accompagnati, se non c’è parità di diritti e possibilità, comincia seriamente a considerare la secessione come l’unica via di uscita da uno stato coloniale. (pa)

PER SVIMEZ, NEL 2022 IL SUD IN RECESSIONE
IL PIL DELLA CALABRIA SI FERMERÀ A -0,9%

di FILIPPO VELTRILe previsioni Svimez segnalano per il 2023 il rischio di una contrazione del Pil nel Mezzogiorno dello 0,4%, un peggioramento della congiuntura determinata soprattutto dalla contrazione della spesa delle famiglie in consumi, a fronte della continuazione del ciclo espansivo, sia pure in forte rallentamento nel Centro-Nord (+0,8%).

Il 2024 dovrebbe essere un anno di ripresa sulla scia del generale miglioramento della congiuntura internazionale, unitamente alla continuazione del rientro dall’inflazione che scende al +2,5% e +3,2% nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno nell’anno. Si stima che il Pil aumenti nel 2024 dell’1,5% a livello nazionale, per effetto del +1,7% nel Centro-Nord e dello +0,9% al Sud.

Il dato del Sud, di per sé apprezzabile visto che dovrebbe tornare in territorio positivo dopo il calo del 2023, sarebbe comunque sensibilmente inferiore a quello del resto del Paese. Un aspetto strutturale che contribuisce a spiegare la debole ripartenza meridionale è rintracciabile sul lato dell’offerta: a seguito dei continui restringimenti di base produttiva sofferti dal Sud dal 2008, si è sensibilmente ridimensionata la capacità del sistema produttivo dell’area di agganciare le fasi espansive del ciclo economico.

Dopo lo shock della pandemia, l’Italia ha conosciuto una ripartenza pressoché uniforme tra macro-aree. Il “rimbalzo” del Pil nel 2021, +6,6% a livello Paese, è stato sostenuto dalla ripresa degli investimenti, soprattutto quelli in costruzioni, e dalla domanda estera, interessando tutte le aree del Paese, ma è stata più rapida nel Nord (+7,5% nel Nord-Est; +7% nel Nord-Ovest), dove più pronunciata era stata la recessione del 2020. Il Mezzogiorno ha però partecipato alla ripartenza nel 2021: il Pil meridionale è cresciuto infatti del 5,9%, superando la media dell’Ue-27 (+5,4%), beneficiando dell’inedita intonazione espansiva delle politiche a sostegno dei redditi delle famiglie e della liquidità delle imprese che hanno contribuito a sostenere i consumi e a preservare condizioni favorevoli di continuità operativa per le attività economiche.

I sistemi produttivi delle regioni meridionali si sono mostrati meno pronti ad agganciare la domanda globale in risalita, registrando un ritmo di crescita dell’export più contenuto del resto del Paese. Gli investimenti delle imprese orientati all’ampliamento della capacità produttiva, inoltre, sono stati meno reattivi nel Mezzogiorno. Sono stati soprattutto quelli in costruzioni a crescere nel Sud, grazie allo stimolo pubblico (Ecobonus 110% e interventi finanziati dal Pnrr). Le dinamiche globali avverse, compreso il trauma della guerra, hanno esposto l’economia italiana a nuove turbolenze, allontanandola dal sentiero di una ripartenza relativamente coesa tra Nord e Sud del Paese. Nel corso del 2022 la Svimez ipotizza una crescita media dei prezzi al consumo dell’8,5%; dato che racchiude una significativa differenziazione territoriale: + 8,3% al Centro-Nord e +9,9% nel Mezzogiorno, con un differenziale sfavorevole al Sud dovuto in larga parte a un effetto composizione. o assunto proporzioni drammatiche.

Al netto del peggioramento delle condizioni rilevate nel corso del 2020, l’insieme di queste misure ha avuto effetti significativi nel contrastare la povertà. Nel 2020, dunque, i corposi trasferimenti governativi hanno preservato le condizioni economiche delle famiglie, limitando fortemente la contrazione dei redditi. Gli effetti delle misure per contrastare gli effetti della pandemia sono stati positivi anche nel mitigare le disuguaglianze. Senza questi interventi le famiglie povere sarebbero state quasi 2,5 milioni, quasi 450 mila in più rispetto al valore registrato nel 2020 (poco più di 2 milioni), cui corrispondono oltre un milione di persone in meno in condizione di povertà assoluta (-750 mila al Sud e -260 mila al Centro-Nord). Senza le erogazioni le famiglie in povertà assoluta sarebbero state il 9,4% anziché il 7,7%, l’incidenza per le persone sarebbe aumentata all’11,1% anziché fermarsi al 9,4%. In particolare, nelle regioni meridionali, senza sussidi l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie avrebbe raggiunto un picco drammatico di circa 13 famiglie ogni 100 (13,2% al Sud e 12,9% nelle Isole), che grazie agli interventi cala di 3,4 punti al Sud e 4,5 punti nelle Isole. assoluta di 2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno contro lo 0,4 del Nord e lo 0,5 del Centro.

In valori assoluti al Sud sarebbero circa mezzo milione di poveri in più. Il risultato stimato per il Sud è spiegato essenzialmente dalla maggiore diffusione nelle regioni meridionali di famiglie più numerose (numero di componenti maggiore di 3) e con minori a carico per le quali il rischio povertà è segnatamente più elevato rispetto ai nuclei più ridimensionati.

Nel Mezzogiorno la ripresa occupazionale è stata tuttavia di bassa qualità, alimentandosi all’aumento della precarietà è tornata sui livelli pre-pandemia, in anticipo rispetto al Centro-Nord attestandosi su livelli comunque inferiori rispetto al 2008 (–2,9%), al contrario di quanto avvenuto nel Centro-Nord (+2,6%). L’occupazione (media dei primi due trimestri), cresciuta in Italia del 3,6% (+791 mila unità) nel 2022, rispetto alla prima metà del 2021, ha premiato soltanto i maschi con un +0,2%, a fronte di un moderato calo dell’occupazione femminile a–0,8%. Più precari e più a lungo, in sintesi: ciò si traduce in una maggiore percezione di insicurezza del lavoro nelle regioni meridionali.

Tra i divari tra Nord e Sud rimangono preoccupanti quelli nella filiera dell’istruzione. I servizi socio-educativi per l’infanzia sono caratterizzati dall’estrema frammentarietà dell’offerta e da profondi divari territoriali nella dotazione di strutture e nella spesa pubblica corrente utilizzata dalle Amministrazioni locali. In Italia la percentuale dei bambini di età compresa fra i 3 e i 5 anni che frequenta una struttura educativa (93,2%) è più alta della media europea (89,6%).

Nella scuola d’infanzia, la carenza d’offerta a sfavore del Mezzogiorno riguarda soprattutto gli orari di frequenza. Nel Mezzogiorno è molto meno diffuso l’orario prolungato (offerto solo al 4,8% dei bambini); viceversa è più diffuso l’orario ridotto (20,1%) rispetto al Centro-Nord: 17,0% e 3,6% rispettivamente per orario prolungato e ridotto. Mentre nella scuola primaria la percentuale di alunni che frequenta a tempo pieno è più bassa nelle regioni meridionali (18,6%) rispetto al resto del Paese (48,5%). Nel Mezzogiorno circa 650 mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. In Campania se ne contano 200 mila (87%), in Sicilia 184 mila (88%), in Puglia 100 mila (65%), in Calabria 60 mila (80%). Nel Centro-Nord gli studenti senza mensa sono 700 mila, il 46% del totale. Circa 550 mila allievi delle scuole primarie del Mezzogiorno (66% del totale) non frequentano scuole dotate di una palestra. Solo la Puglia presenta una buona dotazione di palestre mentre registrano un netto ritardo la Campania (170 mila allievi privi del servizio, 73% del totale), la Sicilia (170 mila, 81%), la Calabria (65 mila, 83%). Nel Centro-Nord gli allievi della primaria senza palestra corrispondono al 54%. Analogamente, il 57% degli alunni meridionali della scuola secondaria di secondo grado non ha accesso a una palestra; la stessa percentuale che si registra nella scuola secondaria di primo grado.  (fv)

Statti (Confagricoltura Calabria): Mezzogiorno grande assente dalla legge di Bilancio 2023

«Il Mezzogiorno è il grande assente nel disegno di legge di Bilancio del 2023», ha denunciato il presidente di Confagricoltura Calabria, Alberto Statti, spiegando che «non c’è nessun riferimento nel testo varato dall’esecutivo Meloni a misure che tengano conto della delicata situazione che vive questa area del Paese e la Calabria in particolare».

Questo, per Statti, è «una grave disattenzione del Governo».

«Misure come il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno – ha sottolineato Statti – che si sono rilevanti importanti per generare sviluppo ed occupazione nella nostra regione, non vengono rinnovati. E non c’è traccia di iniziative che possano sostenere imprese che lavorano o hanno intenzione di investire in Calabria».

«In questo modo – ha aggiunto – c’è il rischio concreto che il divario tra regioni particolarmente fragili come la nostra ed il resto del Paese possa crescere sensibilmente. Soprattutto alla luce dell’intenzione palesata dal Governo di voler accelerare sull’autonomia differenziata».

«Occorrono correttivi alla manovra finanziaria – ha evidenziato Statti – che così come impostata dimostra scarsa attenzione a quanti lavorano per consentire alla Calabria di recuperare terreno e di creare condizioni favorevoli affinché si limiti la fuga di cervelli e capitali da una regione già fortemente fragile».

«C’è la necessità che i parlamentari calabresi – ha concluso Statti – facciano fronte comune per impedire che si perpetui ai danni della Calabria e del Sud in generale quella che riteniamo una vera e propria ingiustizia. Siamo convinti che esistano i margini per spingere il Governo ed il Parlamento a sanare questa grave mancanza». (rcz)

È CAMBIATA LA MUSICA: IL MEZZOGIORNO
NON È PIÙ PASSIVO E VUOLE I SUOI DIRITTI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAIl Mezzogiorno corpo morto che non reagisce più a nessun stimolo? Forse in passato era così. Oggi sta diventando una realtà che prende consapevolezza dei suoi diritti e, si spera, anche dei suoi doveri.

Per questo è necessario che il Governo nazionale stia molto attento rispetto ai provvedimenti che, mal consigliato dalla Lega, ha intenzione di prendere, in particolare rispetto al reddito di cittadinanza e anche all’autonomia differenziata. Certo, rispetto al grande, pericoloso e competente attivismo del ministro Calderoli, le reazioni più naturali sarebbero state quelle di una levata di scudi generalizzata, progressivamente, fino ad un blocco totale di tutte le attività.

Se si vuole istituzionalizzare  il principio che i diritti di cittadinanza sono diversi, come già oggi avviene, tra le diverse parti del Paese, e cioè che esistono cittadini e coloni, individui di serie A e di serie B, persone che hanno diritto ad una scuola con il tempo pieno, agli asili nido, ad una mobilità di buon livello su treni e auto, a vivere più a lungo in media, ad una sanità più efficace ed efficiente, a un lavoro ed altri che invece, solo perché sono nati sotto il Garigliano, hanno meno diritti, allora qualunque tipo di reazione potrebbe essere consentita. 

Visto peraltro che in termini di tassazione, come prevede la nostra Costituzione, tutti i cittadini, in modo progressivo rispetto al reddito prodotto, partecipano alla tenuta del sistema fiscale nazionale.

Il Quotidiano del Sud, ed Il nostro Direttore in prima fila, hanno fatto un’operazione verità importante per far capire che in realtà se ci fosse una spesa pro-capite uguale il Mezzogiorno avrebbe diritto a 60 miliardi di ristoro annui. E che l’autonomia avrebbe cristallizzato tale situazione. E da mesi porta avanti la sua battaglia ritornando sull’argomento con i suoi prestigiosi opinionisti.

 Ora arrivano le reazioni sia da parte dell’intellighenzia colta meridionale e dell’Accademia, che da parte della politica.

Massimo Villone, PRofessore emerito di diritto costituzionale dell’Università degli studi “Federico Secondo”, rappresentante del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, è passato all’attacco, insieme ai sindacati Nazionali della scuola Cgil, Cisl, Uil, Snals, e Gilda, presentando una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare che dice “no“ all’autonomia differenziata. 

 «La nostra proposta punta a riscrivere parte degli articoli 116 e 117 della Costituzione, almeno in quei commi che aprono a chi mina l’unità del Paese – spiega Villone –. Vogliamo tagliare gli artigli a chi lavora non per ridurre le disuguaglianze, ma per accrescerle».  

 «Con le modifiche proposte all’articolo 116 vogliamo scongiurare una frantumazione non reversibile del Paese. Un rischio gravissimo che è ciò che auspica Calderoli». 

«Le modifiche proposte limitano l’autonomia delle Regioni – continua Villone – introducono una clausola di supremazia della legge statale, affidano allo Stato la potestà legislativa su alcune materie cruciali come scuola, lavoro, coordinamento della finanza pubblica, reti di trasporto e comunicazione».

E si è già aperta una sottoscrizione che parte con 120 firme di costituzionalisti intellettuali e rappresentanti della società civile. Mentre da Bari Gianfranco Viesti continua a ad affermare che quella che si sta consumando è la secessione dei ricchi.

Ma anche tra i giornalisti Marco Esposito si spende con interventi mirati che dimostrano come l’affermazione che con l’autonomia il Nord non acquisisce più risorse sia falsa, dimostrando con una simulazione quello che accadrebbe nella scuola.

Pino Aprile, che ha dato indicazioni nel voto del 25 settembre di annullare la scheda votando no all’autonomia differenziata, adesso mira a consapevolizzare il pubblico ampio sui pericoli che il Mezzogiorno corre. L’Associazione Istituti Meridionalisti con il suo segretario Francesco Saverio Coppola rafforza il gruppo.  

Esempi di intellettuali del Sud, che non esitano a prendere posizioni estreme. il Partito Unico del Nord continua a dettare legge ad un Sud che, però, inizia ad avere consapevolezza di sé stesso. Per quanto attiene invece alle posizioni della politica la destra l’aveva nel suo programma elettorale, il terzo polo non ha preso posizione, ma la presenza della Gelmini al suo interno, che si era dichiarata favorevole da ministro per gli affari regionali, non fa ben sperare, I Cinque Stelle si sono pronunciati contro ed il Pd ha una posizione molto sbilanciata a favore

Infatti al di la delle affermazioni note di Stefano Bonaccini, quello che afferma Piero Fassino, certo non l’ultimo arrivato nel Pd è illuminante: «Due terzi del prelievo fiscale del nostro Paese sono attinti dai redditi del Nord. Due terzi o forse più delle partite Iva sono concentrati nel Nord. Nel Nord c’è una presenza di cittadini stranieri che è pari al 20 per cento a fronte della media nazionale del 7-8. Dalle regioni del Nord e da Emilia, Toscana e Marche parte l’80 per cento delle esportazioni italiane», dice Fassino in una intervista. Sottintendendo che è giusto che ognuno si tenga le risorse che produce. 

La risposta di Adriano Giannola, presidente di Svimez, che afferma «tutto ciò è un siluro alla Costituzione sin dal 2001 ed è fuori dalla legge del 2009 che è stata elaborata e firmata dall’attuale ministro Calderoli. Questa si chiama eversione», la dice lunga sul livello dello scontro. 

Il Sud fa sistema e capisce che l’argomento di un eguale interesse del Nord e del Sud per l’autonomia differenziata è una presa in giro. Non basterà Calderoli a vendere questo “pacco” al Sud. Vedremo quale sarà la posizione ufficiale del PD, soprattutto nel caso che Bonaccini diventi segretario. 

Intanto dice Villone «ne approfitti Fassino per studiare. Siamo ragionevolmente certi che anche i piemontesi, volendo, possono imparare».

Il sindaco di Napoli Manfredi, il Governatore della Campania De Luca, quello della Puglia Emiliano, in dissonanza con il partito di appartenenza, prendono posizione contro, facendo ben sperare su una mobilitazione più ampia.  Assente la Regione Siciliana e la Calabria sia perché i due presidenti sono del centro destra, che probabilmente, per la Sicilia, l’illusione che avendo una sua autonomia pensa, sbagliando, che le autonomie rafforzate delle Regioni del Nord non la riguardino. Il corpo provato di un Mezzogiorno esanime prova a reagire ad un attacco che lo vuole emarginare ulteriormente.  (pmb)

[Courtesy Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

CI PENSI IL MINISTERO DELL’ECONOMIA
A RILANCIARE DAVVERO IL MEZZOGIORNO

di ERCOLE INCALZASta cominciando una stagione nuova; è l’inizio di una nuova Legislatura ed è anche l’inizio di una esperienza che da molti anni il Paese non viveva: un politico alla gestione del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Con questo non intendo criticare l’operato dei Ministri tecnici che si sono succeduti nella gestione di tale Dicastero, anzi ritengo che Daniele Franco sia stato un grande Ministro, sia stato un membro del Governo che ha davvero reso il Pnrr un riferimento strategico difendibile e per rendersene conto del lavoro encomiabile fatto dal Ministro Franco è sufficiente leggere cosa era il Pnrr prodotto dal Governo Conte 2.

Ma affrontiamo il ritorno, dopo oltre venti anni di un Ministro politico al Dicastero di Via XX Settembre (ricordo in proposito che il Ministro Tremonti era stato eletto nelle fila di Forza Italia ma era e rimane senza dubbio un Ministro tecnico). Ed allora questo ritorno di un politico pone, a mio avviso, un problema non facile: come sarà affrontata la emergenza Mezzogiorno? Forse sarà bene che al Mezzogiorno pensi essenzialmente il Ministero dell’Economia e delle Finanze d’intesa con la Presidenza del Consiglio.

Non ha senso nominare un Ministro senza portafoglio per affrontare una emergenza che, soprattutto, nella passata Legislatura, in particolare con i Governi Conte 1 e Conte 2, ha prodotto solo annunci, ha sottoscritto solo impegni, ha garantito solo percentuali e che, nel campo delle infrastrutture, in particolare di quelle strategiche, ha però prodotto Stati Avanzamento Lavori (Sal) solo per circa 6 miliardi di euro in quasi cinque anni. 

Quindi primo atto da prendere subito dovrebbe essere quello di trasferire al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed alla Presidenza del Consiglio la gestione delle scelte da varare per il rilancio di una realtà che, come da me più volte ricordato, da 70 anni mantiene inalterate tante distanze con il Centro Nord e tra queste una riveste una patologia incredibile per un Paese come il nostro “industrialmente avanzato”, mi riferisco alla distanza nel “reddito pro capite”. Sono diventato noioso ma chi non è noioso come me che ripete sistematicamente questo dato vuol dire che gode constatando che nel terzo millennio esista una dicotomia così folle.

La distanza è nota da sempre a tutti, alla Sinistra, al Centro ed alla Destra e, purtroppo, è rimasta solo nota e basta per la Sinistra, per il Centro e per la Destra. Anche perché non era e non è facile porre fine a questa drammatica ed offensiva discriminazione.

Riporto quindi un dato che, spesso, la stessa Unione Europea stenta a credere: in otto Regioni del paese il reddito pro capite si attesta su un valore medio pari a 17.400 euro, nel resto del Paese tale valore varia tra 32.000 e 40.000 euro. 

Allora l’agenda del nuovo Governo deve porre nella fascia temporale dei primi 100 giorni oltre alla esplosione delle bollette e quindi della crisi energetica, oltre alla crescita pericolosa della inflazione, la “emergenza del Mezzogiorno”. Non ha senso, ripeto ancora una volta, parlare di percentuali, non ha senso annunciare interventi inesistenti come le Zone Economiche Speciali (Zes) (decise con apposite norme cinque anni fa e rimaste solo tali), non ha senso nominare commissari per affrontare e risolvere problematiche che non saranno mai risolte.

Non voglio proporre soluzioni, o meglio, non voglio anticipare possibili soluzioni che competeranno al futuro Governo ma voglio solo ricordare un dato: la infrastrutturazione del Paese, sia quella relativa alle grandi reti di trasporto urbane ed extraurbane, sia quella legata alla funzionalità dei nodi urbani e logistici, sia quella legata al riassetto idrogeologico, sia quella legata al riassetto funzionale dell’offerta sanitaria e scolastica, sia quella legata all’articolata e complessa attività manutentiva, cioè tutti gli interventi che rendono vivibile e funzionale la griglia strutturale ed infrastrutturale su cui viviamo, se realizzata in modo organico e contestuale (per contestuale intendo avvio contemporaneo di tutti gli interventi e non per fasi disgiunte dell’intero processo), consente ad un sistema territoriale, già nella fase di avvio degli interventi, di crescere come Prodotto Interno Lordo per un valore superiore al 25 – 30% ed una volta completate le infrastrutture tale soglia si attesta su un valore stabile superiore al 15 – 20%.

Sappiamo, sulla base di una serie di studi ed approfondimenti fatti da diverse Società, che la sola infrastrutturazione organica e contestuale del Mezzogiorno ha un costo di circa 140 miliardi di euro. Il Pnrr ne assegna globalmente circa 55 miliardi e la cosa davvero non positiva e che questo volano di risorse presenti nel Pnrr è relativo a tessere infrastrutturali di un mosaico che non esiste; cioè segmenti di ferrovie, segmenti di interventi in aree urbane, segmenti in comparti logistici privi di un contesto pianificato, sono cioè tessere di un mosaico che volutamente non è stato neppure immaginato. Solo se il nuovo Governo accettasse da subito un approccio basato su almeno 4 condizioni chiave:

 

  • Il quadro globale delle iniziative infrastrutturali da avviare tutte contestualmente
  • Le esigenze finanziarie globali
  • Gli strumenti capaci di coinvolgere capitali privati ricorrendo a forme di Partenariato Pubblico Privato
  • La rivisitazione integrale dell’utilizzo del Fondo di Sviluppo e Coesione 


allora verrebbe meno questa prorogata atarassia che ha caratterizzato, specialmente durante i Governi Conte 1 e Conte 2, la politica del Governo nei confronti del Sud. 

Un simile approccio, in realtà, rappresenterebbe, finalmente un cambiamento sostanziale nei confronti di quell’area che geograficamente chiamiamo Sud ma che economicamente dovremmo definire “area del sottosviluppo”.

Devo però aggiungere una ulteriore condizione: il rispetto del “fattore tempo”, cioè la capacità che questo rivoluzionario processo accada a partire già nel primo semestre del 2023. 

Se lo si vuole è possibile realizzare un simile progetto e, sembra davvero strano ed inconcepibile ma questo approccio da sempre è seguito nelle aree settentrionali del Paese. (ei)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’altravoce dell’Italia)