A Mesiano di Filandari posto il trittico raffigurante il Calvario opera dell’arista Michele Zappino

di PINO CINQUEGRANALa storia dello scultore Michele Zappino è fortemente legata al mondo contadino dell’area del  Poro (nella provincia di Vibo Valentia) terra basiliana, dove ancora antiche tradizioni popolari raccontano storie multiple di grotte ed eremiti, di leggende e magie, della coltivazione dei grani e degli allevamenti di bestiame, dell’artigianato sotto il vigile sguardo della Madonna della Neve, l’immagine acheropita a cui la gente di Zungri quanto lo stesso artista Zappino sono fortemente devoti.

Ancora studente viene notato dal professor Reginaldo D’Agostino che sarà il gancio per coinvolgere la famiglia, bisognosa di braccia nella terra, a farlo proseguire negli studi artistici presso l’Accademia delle Belle Arti. Zappino si trasferisce quindi a Milano dove segue a Brera i corsi di scultura di Francesco Messina, dimostrando una forte capacità artistica. Questa città culturalmente ricercata darà al grande maestro del bronzo continui stimoli nelle ricerche figurative ed oggi è tra i più grandi ritrattisti viventi.  

A Zungri, una viuzza conduce verso il cortile dove bassorilievi di porte di cattedrali introducono al grande laboratorio esaltato dalla grande sala espositiva di opere religiose, mezzibusti, torsioni di animali, cavalli in particolare, figure religiose. Alle pareti progetti e disegni raccontano l’idea prima che questa prende forma e diventi monumento. L’emigrazione è uno dei temi a lui cari la cui narrazione è posta nel centro di Zungri vicino al calvario del paese con un Cristo contadino per le sue forme fortemente umane fortemente cariche di dolore per le grandi fatiche. 

Di recente ha posto in essere il calvario a Mesiano di Filandari alla presenza del Vescovo della diocesi di Mileto, Nicotera e Tropea, S. E. Attilio Nostro che ha benedetto il trittico composto da San Giovanni, Maria e il Cristo crocefisso. Una rappresentazione scenica nata per volontà della gente del paese e dal contributo di diversi imprenditori. Un grande appuntamento sottolineato dalle parole del sindaco Concettina Fuduli, e da altri intervenuti moderati dal giornalista Franco Pagnotta.

L’opera presenta un Cristo sofferente i cui chiodi in ferro fanno percepire i colpi assestati alla crocifissione perforando i polsi del Figlio di Dio coronato di una corona di spine che l’autore ha realizzato con chiodi intrecciando le settantadue punte che si vuole abbiano segnato a sangue l’Unigenito.

Da notare il legame del legno verticale con quello orizzontale che nel centro forma una lettura numerica dei dadi – il numero 4 – di riferimento alle quattro parti in cui il drappello dei soldati romani si divise le vesti del Crocefisso lasciando intatta la tunica. Una narrazione scultorea che l’artista ha voluto concretizzare secondo letture evangeliche invitando ognuno a sapere stare sotto la croce nella speranza, nel silenzio della meditazione ponendo al centro dell’offerta il proprio cuore proprio come Maria e Giovanni. (pc)

 

LA CHIESA DI PARAVATI SARÀ SANTUARIO:
UN ALTRO “MIRACOLO” DI MAMMA NATUZZA

di PINO NANO«Natuzza è la prova che Dio non si distrae, che Dio ha un progetto per ciascuno di noi. E tutti noi che l’abbiamo conosciuta, che abbiamo avuto modo di vederla, di ascoltarla, siamo stati colpiti da questa sollecitudine. Potremmo riassumere così il senso del suo messaggio. “Tu non sei solo”. “Dio è accanto a te”. “Dio ti conosce”. “Dio non si è sbagliato con te”».

Credo di poterlo scrivere senza ombra di smentita, ma questa è la frase più bella e più completa che un “servo di Dio” potesse pronunciare su Natuzza Evolo. Natuzza Evolo non si poteva raccontare meglio di così, e ogni qualvolta io rileggo questa frase mi rendo conto di quanto il mistero di Natuzza sia in realtà molto più grande di quanto nessun cronista abbia mai saputo raccontare.

«Natuzza è la prova che Dio non si distrae».

Dentro queste parole, pronunciate da Mons. Attilio Nostro il giorno del suo primo arrivo a Paravati, la sua prima uscita pubblica da Vescovo in Calabria, c’è il senso profondo del rispetto che la Chiesa riserva alla mistica calabrese. C’è una considerazione di fondo che travalica ogni altra analisi scientifica e che vede in Natuzza un riferimento fondamentale della storia della nostra Pietà Popolare.

Ci sono stati momenti della mia vita in cui mi sono avvicinato a Natuzza con grande scetticismo, e ci sono momenti in cui ho persino provato a non credere in tutto quello che l’evidenza mi poneva sotto gli occhi, ma quando rileggo sul mio diario di lavoro le cose dette in quel lontano 1° novembre del 2001 dal giovane Vescovo appena arrivato a Paravati, allora mi fermo a riflettere e vado in crisi. 

Se un “Uomo di Chiesa”, autorevole come lui, severo, attentissimo alla forma e al linguaggio, documentatissimo e pieno di mille certezze, ci dice che “Natuzza è la prova che Dio non si distrae”, allora forse si capisce meglio il senso delle sue ultime dichiarazione ufficiali, quello che mons. Attilio Nostro dice il giorno della Festa della Mamma dall’altare che era tanto caro a Natuzza, e da dove annuncia al suo popolo che presto la Chiesa di Paravati diventerà Santuario Mariano.

Emozionante. 

Emozionante anche per me, che di Natuzza avevo quasi paura. Paura che un giorno mi potesse dire, come faceva ai tanti che andavano a trovarla, «Figlio mio, fatti vedere da un medico, vedo che forse hai qualcosa che non mi piace».

Paura che Natuzza potesse leggere il mio pensiero, e quindi potesse carpire i miei dubbi e le mie incertezze su quanto le avrei chiesto. 

Paura di sentirmi dire «Sai ho visto tuo padre, che è ancora in attesa del paradiso». O peggio ancora, «Ma perché scappi in continuazione?». 

Paura che potesse leggere ed entrare nella mia vita privata “«Perché l’angelo che hai alle spalle mi dice che…».

Ecco allora che mi viene in aiuto la voce di don Attilio.

«Natuzza per noi è stato un segno profetico, di quale è la strada che noi siamo chiamati a percorrere. Ecco perché la nostra presenza non è soltanto rappresentanza, o numero. Ma è elemosina. È chiedere a Dio: “Signore riempi il mio cuore, perché senza di te è vuoto”. E si riempirà di mille spiriti inutili, che non danno ragione. Donami la Grazia Signore della tua presenza. Donami la Grazie di essere fedele a questo domani».

Il carisma di un Vescovo è anche questo. È questa capacità della sintesi, questa consapevolezza di doversi spiegare, di dover essere capito da tutti, ma anche questa certezza di dover dare al suo gregge un messaggio forte e preciso.

«Quello di oggi – dice quel giorno mons. Nostro – è un giorno che segue altri giorni, nel quale sono venuto qui pellegrino, mendicante, pieno di dubbi o di presunzione. In altri due incontri con Natuzza, avevo discusso di quanto potesse essere difficile essere sacerdote, non avrei mai immaginato che sarei diventato il suo vescovo. E quindi, per me è una ragione di enorme grazia poter dire a questa serva di Dio tutto l’amore, in risposta all’amore con il quale sono stato da lei accolto. Spero che la sua sollecitudine, e questa carità fraterna che mi ha voluto manifestare possa trovare nella mia vita, ma soprattutto nel mio ministero una saggia e adeguata risposta. Noi oggi siamo qui per ricordare la solennità di tutti i Santi, e per ricordare i giorni in cui lei ha compiuto questo pio transito da questa terra al cielo, ma in realtà questa unione con Dio è già cominciata in lei e nella sua vita sin dal momento in cui è stata chiamata attraverso il battesimo».

Come si fa a non credere? Come si fa a non dubitare che tutto quello che di negativo nel silenzio della tua redazione hai magari pensato non sia poi così vero?

Don Attilio quel giorno diventa il mio grillo parlante, quasi un tarlo che incomincia a insinuarsi nella mia mente. 

«Io spero che varcando quella porta – con la mano don Attilio indica la porta della Grande Chiesa di Natuzza – quella porta che indica la misericordia di Dio, la gente possa uscire di là dicendo “Il Signore ha parlato al mio cuore».

Tre anni dopo quel giorno, don Attilio sceglie la Festa che a Natuzza era più cara, la Festa della Mamma, per quello che sarà un vero e proprio annuncio storico. Per i cento anni dalla nascita di Natuzza Evolo, quindi il prossimo 23 agosto, l’attuale Basilica di Paravati diventerà Santuario Mariano.

Cosa vuol dire tutto questo?

Vuol dire prima di tutto che il legame profondo, intimo, è vero mai palese, mai dichiarato prima, che c’è sempre stato tra la Chiesa di Papa Francesco e la realtà di fede che si respira a Paravati, prende oggi corpo sostanziale. 

Vuol dire che la Chiesa di Francesco ritiene che questa Basilica abbia tutti i numeri per diventare Santuario. Vuol dire che la Chiesa ufficiale fa propria la scelta originaria di Natuzza, che per tutta la vita non ha fatto altro che pregare per poter dare «Alla madonna una casa degna di Lei».

Ricordo che quando per la prima volta Natuzza mi disse questa cosa «Io lavoro per dare alla Madonna una casa più bella di questa, e questa casa io già la vedo…», per un attimo pensai che quella donna vaneggiasse.

30 anni dopo la Chiesa era diventata una realtà fisica, e quando Natuzza morì, e la sua bara, venne deposta ai piedi del grande sagrato esterno della Basilica, capimmo tutti che da quel giorno la storia di Natuzza Evolo sarebbe diventata una leggenda.

«Pregate non solo per me- dice ancora don Attilio nella sua prima uscita pubblica davanti alla Chiesa di Natuzza- ma anche per questa meravigliosa opera (il riferimento è alla Chiesa) che è un’altra figlia di Natuzza. Pregate perché presto questa Chiesa possa essere consacrata al culto. Pregate perché il Signore possa imporsi nel mio cuore, e nel cuore di coloro che collaboreranno con me per questa intenzione. Perché questo santuario possa diventare ciò che era ed è nel cuore di Dio. Un posto dove le anime possano trovare rifugio. Un posto dove gli assassini possano riconciliarsi con Dio, pentirsi, ravvedersi, confessare. Un posto dove i delinquenti possano capire che esiste una alternativa al delinquere. Un posto dove marito e moglie si possano riconciliare. Un posto dove i ragazzi possano lottare per un mondo nuovo. Un mondo dove anche i sacerdoti possano ritrovare la propria vocazione, la radice di quell’amore che li ha portati a rinunciare a tutto per Dio».

Oggi, dunque, l’annuncio ufficiale che questa “Chiesa di Natuzza” sta per diventare Santuario. 

Questo significa meta di nuovi pellegrini. Questo significa tempio di nuove adunate. Questo significa una nuova oasi di preghiera e di fede. Ma questo significa, soprattutto, che la Calabria avrà un Santuario Mariano, come tanti altri sparsi per il mondo, nato qui per volere di Natuzza Evolo.

Tutto questo, in attesa che Natuzza stessa possa ora essere riconosciuta Beata. Il processo di Beatificazione a suo carico va avanti, non si è mai fermato, anzi oggi ha ripreso più vigore che mai. È vero, la Chiesa ha i suoi tempi, a volte anche lunghissimi ed estenuanti, ma è giusto che sia così. Chi vivrà vedrà. 

Ma era già tutto scritto? 

Non lo so, non credo, ma di quella prima uscita pubblica del nuovo Vescovo di Mileto a Paravati mi torna ancora in mente, prepotente, il riferimento bellissimo che don Attilio fece ancora su Natuzza.

«In quella storia che non riesci a capire, in quel passato che non riesci a perdonare, ma come fa un cuore a non riconciliare? Come fa un cuore che non è nella pace? Come fa un cuore che non è perdono, che non è misericordia, ad amare? Ecco perché noi, difronte a questa nostra incapacità, ci dobbiamo mettere in ginocchio, unire le nostre mani, e pregare. Ecco perché Natuzza per noi è stato un segno profetico, di quale è la strada che noi siamo chiamati a percorrere. Ecco perché la nostra presenza non è soltanto rappresentanza, o numero. Ma è elemosina. È chiedere a Dio: “Signore riempi il mio cuore, perché senza di te è vuoto”. E si riempirà di mille spiriti inutili, che non danno ragione. Donami la Grazia Signore della tua presenza. Donami la Grazie di essere fedele a questo domani. E allora questa pagina di vangelo, bellissima, che il Signore ci dona, vede anche noi come Beati».

Mi chiedo allora, ma come si fa a non credere che prima o poi, presto o tardi che sia, Natuzza sarà Beata? 

I presupposti fondamentali perché Natuzza possa diventare Beata oggi ci sono ormai già tutti. Questo lo dicono teologi di chiara fama internazionale. E se la Chiesa ufficiale ha formalmente deciso di innalzare la Basilica di Paravati a Santuario, allora qualcosa vorrà anche dire. Se non altro, qualcosa di veramente importante, dopo la morte di Natuzza, a Paravati torna a muoversi. E la certezza che tutto andrà per il meglio, credo sia proprio lui, don Attilio Nostro, questo giovane Vescovo illuminato, intellettuale e sacerdote cresciuto e formatosi alla Lateranense a Roma, “battezzato” sacerdote da Papa Giovanni Paolo Secondo, e mandato in Calabria da Papa Francesco a rimettere ordine nei “cassetti dei ricordi” di Paravati.

Ora serve solo aspettare. Anche se per la verità, per la gente comune, “Natuzza è già Santa”. (pn)

 

La Calabria al fianco di Mons. Attilio Nostro: Ferma condanna alle intimidazioni

La Calabria si stringe attorno a Mons. Attilio Nostro, vescovo della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, vittima di un atto intimidatorio. Al presule, infatti, sono stati recapitati dei proiettili. Un grave avvertimento che si aggiunge alle intimidazioni subìte dai parroci di Cessaniti, don Felice Palamara e don Francesco Pontoriero, dei giorni scorsi.

La Calabria, indignata, «condanna con fermezza questo vile attacco alla comunità ecclesiale calabrese, nella convinzione che la magistratura e le forze inquirenti sapranno assicurare alla giustizia gli autori di tali gesti criminali, che tendono a colpire e mortificare anche la società civile calabrese», ha detto il presidente della Regione, Roberto Occhiuto.

Il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, ha espresso «vicinanza e la solidarietà del Consiglio regionale al Vescovo della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea e alla Chiesa calabrese».

«Le recenti intimidazioni ai parroci di Cessaniti e della frazione di Pannaconi, don Felice Palamara e don Francesco Pontoriero – ha spiegato – e le minacce rivolte a mons. Attilio Nostro, segretario della Cec, sono gesti intollerabili, da condannare e da cui prendere le distanze con assoluta fermezza».

«Intimidazioni e minacce – ha concluso – che preoccupano tutta la Calabria che si oppone ad ogni forma di prepotenza, incluse quelle messa in atto da chi, agendo nell’ombra, s’illude di poter condizionare l’azione riformatrice della Chiesa calabrese e il desiderio delle nostre comunità di liberarsi dall’oppressione criminale».

Pietro Molinaro, presidente della Commissione Consiliare antindrangheta, ha condannato «il deplorevole atto intimidatorio che questa volta, dopo le minacce ai parroci di Cessaniti nel vibonese,  ha colpito il pastore della chiesa della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea mons. Attilio Nostro».

«Si è alzato ulteriormente, quindi – ha aggiunto – il livello di minacce e intimidazioni segno che l’azione pastorale e le iniziative che la comunità ecclesiale vibonese sta portando avanti, danno fastidio. Mi riferisco ad esempio all’incessante azione di presidio da parte delle forze dell’ordine dello svolgimento di manifestazioni religiose per evitare intromissioni della criminalità organizzata che ha bisogno, in queste occasioni, di farsi notare per dimostrare di essere  in grado di continuare ad esercitare il controllo  anche della comunità religiosa».

«Così come i diversi percorsi di legalità in tutta la diocesi che vedono impegnate le parrocchie – ha concluso – Mons. Nostro ha dalla sua la comunità che saprà reagire e continuerà a  lavorare con il consueto apprezzato impegno al servizio di tutta la comunità del vibonese».

Il consigliere regionale Antonio Lo Schiavo ha ritenuto «estremamente preoccupante, e da non sottovalutare per nessuna ragione, quanto sta avvenendo nella provincia di Vibo Valentia».

«Non passa giorno – ha ricordato – che non arrivi notizia della recrudescenza di fenomeni intimidatori, aggressioni e minacce ai danni di chi è più esposto sul fronte professionale, sociale e perfino religioso. Medici, infermieri, operatori culturali, uomini di Chiesa, sembrano essere divenuti ormai il facile bersaglio di chi tenta biecamente di sovvertire le regole della democrazia e della partecipazione alla vita pubblica».

«Ultima in ordine di tempo – ha concluso – la vile intimidazione all’indirizzo del vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, monsignor Attilio Nostro, cui è stato recapitato un proiettile. Tale ignobile gesto è da rigettare con sdegno e tutta la società civile vibonese è chiamata ora a fare fronte comune per respingere ogni tentativo di sopraffazione e minaccia. A monsignor Nostro e a tutti i sacerdoti destinatari di atti intimidatori giunga la mia più aperta e solidale vicinanza».

Il consigliere regionale Francesco De Nisi, ha definito l’intimidazione ai danni di mons. Attilio Nostro come «un imbarbarimento del vivere civile da condannare, che testimonia una deriva sociale e civile sulla quale riflettere in  maniera seria e approfondita».

Esprimendo la sua solidarietà al vescovo, De Nisi ha parlato di «ungesto inquietante, che segue alle intimidazioni ai danni dei parroci di Cessaniti, don Felice Palamara e don Francesco Pontoriero, che sicuramente non inciderà sulla missione evangelizzatrice della Chiesa in territori difficili e di frontiera, nei quali operare non è mai facile».

De Nisi, nel ribadire la sua vicinanza ai pastori della Chiesa Vibonese, ha concluso facendo «affidamento sull’operato delle forze dell’ordine per risalire ai colpevoli» e invita «i cittadini onesti e tutte le istituzioni a promuovere azioni di sostegno per arginare fenomeni di devianza che, nonostante tutto, in Calabria non vinceranno».

Il consigliere regionale Raffaele Mammoliti ha evidenziato come «l’atto intimidatorio perpetrato nei confronti del Vescovo monsignor Attilio Nostro, dopo quello subito da alcuni sacerdoti di Cessaniti unitamente ad altri fenomeni di criminalità e violenza registratesi nel territorio Vibonese, dimostrano chiaramente che non bisogna affatto abbassare la guardia».

«Occorre, anzi – ha evidenziato – reagire e sollecitare a tutti i livelli azioni coerenti per garantire incolumità e sicurezza. Dopo anni di politiche di abbandono che hanno portato allo smantellamento dei servizi essenziali spesso, purtroppo, prevale il linguaggio della paura da parte della collettività ormai sfiduciata. In tale direzione trovo emblematiche e preoccupanti le affermazioni del Procuratore, dott Camillo Falvo, il quale riferisce in merito alle numerose commissioni d’accesso, comuni sciolti e interdittive antimafia, come Vibo per troppo tempo sia stata trascurata dall’azione dello Stato, delle Forze dell’ordine e della Magistratura».

«Un monito che deve far riflettere l’intera comunità vibonese – ha concluso – e che dimostra come l’encomiabile lavoro delle sole Forze dell’ordine e della Magistratura non sia sufficiente per invertire la rotta. Bisogna garantire sempre di più da parte dello Stato il presidio del territorio come elemento imprescindibile e fondamentale per rafforzare la fiducia dei cittadini verso le istituzioni». 

Il deputato Giuseppe Mangialavori, esprimendo solidarietà a mons. Nostro e ai sacerdoti, ha sottolineato quanto sia «intollerabile quanto sta accadendo in provincia di Vibo Valentia, dove sono numerosi ormai gli episodi criminali in danno di uomini di fede».

«Bisogna accogliere l’invito del procuratore di Vibo Valentia, Camillo Falvo, a stare vicini ai nostri sacerdoti – ha concluso – e denunciare episodi simili. Sono certo che le forze dell’ordine e la magistratura riusciranno presto ad individuare i responsabili ed assicurarli alla giustizia».

Per Enzo Scalese, segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia, quei proiettili recapitati a mons. Attilio Nostro «puntano dritti al cuore di una comunità che, con la guida degli uomini di fede, voglio reagire alla prepotenza criminale che costringe il territorio alla sottomissione sociale ed economica».

«Manifestiamo la nostra solidarietà a Mons. Nostro, e ci uniamo al coro delle voci che condannano questo gesto spregevole – ha detto Scalese – specialmente perché rivolta ad una figura pubblica impegnata nel promuovere valori di pace, solidarietà e giustizia sociale. La solidarietà è il fondamento su cui costruire un mondo migliore, e in questo momento di difficoltà, ci stringiamo intorno a Mons. Attilio Nostro e alla sua comunità, offrendo il nostro sostegno: affermiamo con forza i valori di pace, rispetto e fratellanza, rifiutando ogni forma di violenza».

Cna Calabria ha espresso la propria vicinanza al mons. Nostro, sottolineando come si sia trattato di «un gesto vigliacco che si affianca a quelli nei confronti di altri parroci del vibonese delineando una chiara strategia di intimidazione nei confronti di uomini di Chiesa che si pongono come umili guide della comunità, punti di riferimento e di conforto in territori spesso poveri o isolati».

«Anche alla comunità vibonese – si legge in una nota – la Cna Calabria esprime solidarietà in questo momento di smarrimento che sta attraversando. La criminalità agisce con tracotanza e senza rispetto per uomini, donne, bambini e tanto meno abiti talari. Non è questo il momento di abbattersi, di cedere alla paura o, peggio, alla rassegnazione, ma quello di affidarsi alla giustizia, che certamente farà il suo corso, esprimendo nettamente il rifiuto di questo tipo di logiche e facendo emergere il volto sano delle comunità».

Il sindaco di Tropea, Giovanni Macrì, ha espresso «sdegno» per la «sequela di fatti che stanno vedendo il territorio amaramente protagonista di una brutta pagina di degrado e prepotenza. Non riusciamo a capire né a giustificare perché sia stata presa di mira con modalità così crude, la comunità ecclesiastica».

«Riponiamo la massima fiducia – ha concluso – nelle forze dell’ordine e nella Procura che stanno portando avanti le dovute indagini per restituire serenità ai fedeli e alla Chiesa e senso di sicurezza e giustizia a tutta la società civile territoriale». (rvv)

 

Fp Cgil Area Vasta: Sconcertati da dichiarazioni del vescovo di Mileto su aborto

La segreteria Fp di Cgil Area Vasta si è detta «sconcertata» dalle esternazioni del vescovo della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Attilio Nostro. «Il vescovo, infatti – ha riportato Fp Cgil – nel corso della messa della Madonna del Rosario , ha invitato i fedeli a firmare al banchetto allestito davanti alla chiesa da un’associazione autorizzata dallo stesso vescovo, a sostegno della proposta parlamentare di rendere obbligatoria, per i medici dei consultori, la pratica di fare ascoltare il battito cardiaco del feto alle donne in procinto di abortire (grave il luogo scelto per propagandare questo invito, un luogo di tutti anche delle donne e uomini che ritengono che il diritto all’aborto sia una conquista sociale irrinunciabile,  per non ricadere in una grave ingiustizia di classe che nel corso del tempo, prima dell’emanazione della legge, costringeva le donne delle classi povere a rivolgersi alle “mammane” e quelle ricche alle cliniche svizzere con aborti sicuri e garantiti)».

«Probabilmente – continua la nota – il vescovo è rafforzato dalle scelte politiche del governo che non perde occasione non solo per indebolire  la legge 194, ma renderla fuorilegge con un ritorno al codice Rocco quando abortire era considerato reato, e non riusciamo a leggerla diversamente  la proposta di modifica avanzata dall’onorevole Gasparri della ’art 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del concepito” che si acquista  fin dal momento del concepimento e non come recita l’attuale  art 1  del codice civile in cui la   capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.” I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita».

«Sarebbe, se passasse, un fatto gravissimo – si legge – dal momento che tale riconoscimento giuridico porterebbe di fatto all’impossibilità di un aborto volontario e al rischio penale per il medico che lo eseguisse e la donna che vi ricorresse «significa  accusare di omicidio chi decide di ricorrere ad una interruzione volontaria di gravidanza» come ha riportato Marco Grimaldi dell’Alleanza verdi-sinistra. La legge 194 subordina questo diritto a determinate condizioni».

«La donna può abortire solo se “accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito – continua Area Vasta –. Una legge dunque  di civiltà e di uguaglianza e non  “un liberi tutti” o abortite come volete, è una legge che attraverso un sistema di servizi, tutela la donna in un momento delicato, sofferto e difficile e noi della Fp Cgil Area Vasta la difenderemo e combatteremo per modificare l’’anomalia in questi anni che vede un aumento non tollerabile  dell’obiezione di coscienza che rende difficile il ricorso alle pratiche abortive, come non tollerabile è lo svuotamento dei consultori familiari (istituiti  dalla legge 405 del 1975), in mezzi, personale, e strumenti che  hanno un ruolo fondamentale nell’assistenza alle donne che decidono di ricorrere all’interruzione di gravidanza».

«Paradossalmente in una società come la nostra apparentemente moderna e liberalizzata – conclude la nota – persiste uno zoccolo duro di matrice  patriarcale violento che non perde occasione per colpevolizzare le donne ucciderle violentarle e renderle colpevoli con una violenza sociale e istituzionalizzata». (rvv)

Mons. Attilio Nostro nomina don Michele Cordiano Rettore della Basilica di Natuzza

di PINO NANOPer La Diocesi di Mileto Nicotera Tropea, ancora una nomina ufficiale da parte del Vescovo Mons. Attilio Nostro che per i prossimi 5 anni riconferma don Michele Cordiano Rettore della Basilica di Paravati.

Don Michele Cordiano dunque torna definitivamente nella sua casa-madre, e cioè nella Chiesa che lui ha visto nascere, che ha seguito nelle sue varie evoluzioni e trasformazioni, e soprattutto che conosce come le sue tasche per aver vissuto per quasi 10 anni accanto a operai e maestranze che l’hanno di fatto realizzata.Ogni centimetro quadrato di questa grande Basilica lo ha visto testimone onnipresente ed esclusivo.

Parliamo di un sacerdote che ha vissuto accanto a Natuzza Evolo gli ultimi 40 anni della sua esistenza terrena e che di Natuzza è stato figlio e padre insieme, anima e fantasma della mistica di Paravati, che a lui affidava ogni incarico e ogni sorta di decisione finale da prendere. Non c’è angolo o dettaglio della vita personale di Natuzza che don Michele non abbia attraversato in prima persona e da solo. Natuzza era don Michele, e don Michele era Natuzza Evolo.

La nomina ufficiale che gli viene oggi da Mons. Attilio Nostro, vescovo della Diocesi di Mileto Nicotera Tropea non fa che suggellare questo legame spirituale tra lui e la mistica di Paravati, e soprattutto non fa che coronare il suo impegno quotidiano al servizio di “Mamma Natuzza”.

La storia personale di questo sacerdote coincide con la storia di questa nuova grande Chiesa che Natuzza aveva chiesto che venisse realizzata per la prima volta 50 anni fa, dopo una delle tante visioni straordinarie che lei stessa dichiarava di avere avuto con la Madonna. Oggi questa Grande costruzione sui pianori di Paravati è la vera grande eredità materiale che Natuzza lascia al suo popolo di preghiera, un edificio immenso, composto da quattro cappelle a forma circolare, capace di ospitare al suo interno circa tremila persone con una piazza antistante a forma di cuore, che può contenere oltre diecimila pellegrini.

La costruzione della Chiesa, vi dicevo, così come l’intera Villa della Gioia, è frutto di un’apparizione che la mistica ebbe nel 1944 nell’umile casa dove lei si era appena sposata con Pasquale Nicolace. Fu nel corso di quella visione che Natuzza raccontava di aver detto alla Vergine: “Come faccio a ricevervi in questa casa brutta?”. E la Madonna le avrebbe risposto: “Non ti preoccupare, anche nella casa brutta possiamo venire, ma vedrai, presto ci sarà una nuova casa, una chiesa, dedicata al Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime”.

Sarà quindi don Michele Cordiano ad organizzare nei fatto le manifestazioni per il centenario della nascita di Natuzza Evolo, che cade proprio nel 2024, e sarà sempre lui ad organizzare la grande messa-ricordo in onore di Natuzza a 14 anni dalla sua scomparsa il prossimo 2 novembre.

La nomina ufficiale di don Michele Cordiano da parte di Mons. Attilio Nostro non fa che chiudere un capitolo importante della vita di questa comunità che era rimasta in attesa di capire chi realmente sarebbe stato alla fine il sacerdote di riferimento di Casa-Evolo.Oggi leggiamo che per i prossimi 5 anni la Chiesa ha scelto lui come “erede” spirituale dell’eredità di Natuzza Evolo. (pn)

I 30 anni di sacerdozio di Mons. Attilio Nostro

di PINO NANOUn compleanno importante per la Chiesa di Calabria. Parliamo dei 30 anni di sacerdozio di Mons. Attilio Nostro, attuale Vescovo della Diocesi di Mileto Tropea.

Mons. Nostro, nato il 6 agosto 1966 a Palmi, entrato giovanissimo nel Pontificio Seminario Romano Maggiore, ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia e Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e la Licenza in Studi su Matrimonio e Famiglia presso la Pontificia Università Lateranense. È stato poi ordinato sacerdote il 2 maggio 1993 per la Diocesi di Roma.

30 anni di sacerdozio, dunque, al servizio della Chiesa. Iconica la pagina del Vangelo che mons. Nostro sceglie per la cerimonia di questo suo trentesimo compleanno con la Chiesa.

«Nella pagina di Vangelo che abbiamo appena ascoltato Gesù, nel Tempio per la festa della Dedicazione, aveva nel cuore i sentimenti che anche io ho in questo momento, anche se per ragioni diverse. Gesù perché voleva che tutti si orientassero al Padre, io perché, oltre a questo, devo vincere la tentazione della vanità e della superbia».

Il concetto di base a cui il Vescovo fa riferimento per raccontare i suoi 30 anni di vita ecclesiastica è quello della “serietà”.

Dice testualmente: «Ringrazio i nostri amati sindaci, il procuratore, il questore, i comandanti della Guardia di Finanza e della Polizia.  E soprattutto ringrazio Dio per le tante persone serie che sono intervenute, perché c’è bisogno di serietà in un momento come questo. E questa esigenza di serietà ci viene confermato dal rimprovero chiarissimo che Gesù rivolge alle persone che gli dicono “Fino a quando ci terrai nell’ incertezza? Se tu sei il Cristo dillo a noi apertamente”. “Ve l’ho detto, e non mi credete. Le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me».

Poi racconta un dettaglio privato della sua vita.

«Pochi giorni fa sono andato a Roma per unire in matrimonio una coppia i ragazzi che ho conosciuto quando avevano forse dodici anni, e mi hanno proposto una delle letture che noi sacerdoti leggiamo più frequentemente in questa occasione: l’inno alla carità della prima lettera ai Corinzi… Quando sono arrivato davanti a questi due sposi ho pensato: “Adesso cosa dico, questa lettura l’ho letta e spiegata centinaia di volte”. E invece sono stati loro a spiegarla a me. Ho capito lì, davanti a loro due, ai loro sguardi innamorati, cosa ci vuole dire san Paolo nell’inno alla carità. “Se non avessi la carità non sono nulla”».

La “carità”, dunque, come dote di riferimento continuo: «Nessuno – dice Mons. Nostro – deve essere idolatrato; questo è il rischio che correva anche Gesù con i suoi discepoli, che lo idolatrassero, che si facessero un’immagine falsa di Lui». 

La “carità”, come ideale di vita: «Scusate, ma chi di noi di fronte ad una offesa resta lì? Chi di noi non scappa, non fugge, o non accusa a sua volta? Gesù non scappa, perché desidera farci capire fino a che punto lui ci ami. Ed è anche quello che sta dicendo tra le righe San Paolo: voi siete convinti di avere a che fare con un apostolo? Forse addirittura con un super-apostolo? Ebbene, io non sono niente. Perché se Dio mi sottraesse l’amore con cui mi ha amato, io scomparirei dalla vostra vista, sarei totalmente inconsistente. Se c’è una qualche sostanza in me che voi potete apprezzare, dice san Paolo, è la carità che io ospito nel mio cuore e che appartiene a Dio».

La “carità”, dunque, come arma ideale per liberarsi “dai nostri scafandri, dalle nostre apparenze, dalle tante formalità”, ma accanto alla carità serve anche tanta verità.

«Allora ecco che questa celebrazione ci fornisce l’occasione per provare a dirci quale è la verità. La verità della nostra vita non è conquistare traguardi, diventare qualcuno o qualcosa, avere una funzione o un ruolo. Questo è sì importante, ma la cosa essenziale è se lo fai per amore. Qualsiasi cosa tu faccia, anche sgridare un bambino: se lo fai con amore, se lo fai per amore, questa cosa ha diritto ad esserci perché è quello che fa Dio».

30 anni di sacerdozio sono tanti, e anche sufficienti, per un bilancio della propria esistenza.

«Da ieri, nella preghiera, ho provato a ripercorrere questi trent’anni: non solo le pagine belle, facili, pubbliche, ma anche quelle un po’ più difficili, un po’ meno pubbliche, un po’ più private. E in tutte queste realtà mi sono accorto di una cosa bellissima: Il fatto che Dio non si è mai, mai, mai, mai allontanato da me. Anche quando i dubbi, quando le convinzioni, le presunzioni personali mi dicevano tutt’altro, alla fine mi sono sempre dovuto accorgere di quanto Dio voglia bene alle sue pecorelle, di quanto non le giudichi in base a quello che riescono a fare o a diventare. Ama tutti, dal più piccolo al più grande, allo stesso identico modo; anzi, ama di più i peccatori, ma non perché se lo meritino. Li ama perché non è una questione di merito ma di gratuità, e ci vuole più amore per amare un peccatore».

Il messaggio di don Attilio è chiaro, e va dritto al cuore: «Invito i nostri sacerdoti a fare questa stessa esperienza: quanto sarebbe bello ripercorrere la propria vita senza partire dai risultati conseguiti. Anche i fallimenti sono fondamentali; non solo per imparare a vivere ma soprattutto perché la croce stessa da un punto di vista umano, da un punto di vista strategico, da un punto di vista logico, è un fallimento. Ed è bellissimo il fatto che Gesù sulla croce si affidi e si arrenda al Padre dicendo: fai tu, io mi lascio amare, io mi lascio andare, io mi consegno a te».

Carità, verità, ma anche amore verso gli altri: «Perché è così che fa Dio.  Dio è il padre di tutti, e un papà non allontana i suoi figli, anzi li avvicina soprattutto quando sono sporchi, li avvicina soprattutto quando si sentono indegni, li avvicina soprattutto quando pensano di aver smarrito la strada di casa. È lì che il papà tira fuori il suo cuore. È lì che il papà tira fuori il suo amore. Che il Signore faccia fare a tutti noi questa esperienza meravigliosa di un cuore paterno, del   cuore di un pastore che non ci molla mai. Che sta sempre con noi. Che non sta lì a guardare successi e insuccessi, celebrazioni o non celebrazioni, ma che nel segreto del nostro cuore ci fa dire quello che Benedetto XVI ha avuto la lucidità e il coraggio di dire prima di morire: “ti amo Signore”».

Sullo sfondo, ma solo sullo sfondo, la foto sbiadita di un giovane sacerdote che viene benedetto da Papa Giovanni Paolo Secondo. Quasi irriconoscibile, ma il giovane sacerdote è proprio lui, don Attilio Nostro. (pn)

Attilio Nostro, il vescovo responsabile della Pastorale Giovanile Calabrese

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Dio non scandalizza e neppure sorprende, rende invece tutti partecipi dei suoi passi. Servono solo un po’ d’occhio e tanto cuore. Guardare invece di vedere, ascoltare anziché sentire.

Monsignor Attilio Nostro, vescovo della diocesi Mileto-Nicotera-Tropea da settembre 2021, e dallo scorso maggio segretario della Cec, la Conferenza Episcopale Calabra, assume l’incarico di responsabile della pastorale giovanile delle diocesi calabresi. Una benedizione inattesa che il cielo fa alla Calabria, concedendole una guida sicura dallo sguardo nuovo e il passo giovane. Un’opportunità che la Chiesa dona ai giovani calabresi, spesso colti dalla disperazione (giovanile) dovuta al dubbio che vivere rettamente (quaggiù) sia inutile.

Quando Dio, seguendo il suo disegno, fece arrivare Nostro fino in Calabria, i vecchi e i giovani di tante comunità calabresi hanno esultato come – e perdonate l’azzardato paragone – il Bambino fece nel ventre di Elisabetta alla visita di Maria. Nostro, non arrivava in Calabria per la prima volta e da “forestiero”, in Calabria ci ritornava e per restare, come figlio “nostrano”.

Nella terra che fu di Cilea e di Repaci, e di tutte le animelle devote alla Madonna della Lettera poste in punta alla Varia, sono interrate le sue radici. A Palmi ha avuto i natali. E la Calabria è come la tunica di Cristo, una terra cucita tutta d’un pezzo. Ovunque è casa. Nostro, dunque, tornava a casa e per mettere in pratica ciò che aveva imparato, quel che Cristo gli aveva insegnato altrove. Don Attilio si era formato in mezzo alla gente, dove ancora resiste la pietà popolare, insistono i disagi sociali, la povertà e la miseria, e soprattutto lì dove persistono le divergenze tra l’uomo e Dio. E si soffre e si gioisce, si benedice e si sfida la vita.

Don Attilio, nominato vescovo per volontà del Signore, per la medesima volontà del Padre torna a tendere la sua mano di pastore a un gregge in fermento e inquieto proprio nel suo Mezzogiorno di fuoco. A Sud del Sud, tra i diavoli e i resistenti dove l’uomo, più che altrove, è costretto alla sofferenza della carne e dello spirito. E i figli, nonostante imperano le meraviglie del creato, nascono gravati da picchi di solitudine lungo i lidi del mare, e masse di logorante rassegnazione sulle sommità della montagna. E la “Chiesa”, spesso smarrita anch’essa, funziona più di teologia che di popolo.

Ma che bellezza è questa? Che miracolo ci fa il Signore incaricando questo ‘Nostro’ vescovo della Pastorale giovanile delle diocesi calabresi?
I giovani sono un seme che se piantato controvoglia non produce frutto, muore. Essi sono un sacrosanto presente su cui quelli della società civile e politica, accecati dal progresso, invasi da spietate forme di potere, corrotti dai perfidi personalismi, contano poco o nulla. Eppure, senza questo tempo “giovane” che attualizza le nostre vite, le rende vive, concretizza l’esistenza umana, e fidelizza il rapporto dell’uomo con il Creatore, le comunità sarebbero come le cose perdute, e la Chiesa stessa resterebbe niente altro che una vecchia missione incompiuta.
Don Attilio, e mi perdonerà sua eccellenza se, nonostante la sua grandezza, mi permetto di tributargli ancora il semplice ‘don’ dei pastori, è il ‘Padre’ perfetto per una comunità di giovani in cammino. Che siano essi responsabili, sognatori, o anche disillusi e lontani da Dio. In fondo pare sia proprio lui il vescovo sognato da Natuzza Evolo, madre dei tanti giovani di tutti il mondo. Il tassello mancante al progetto “giovane” di Dio per la Calabria.

Un nuovo Filippo Neri, o forse un nuovo don Bosco…, ma no, semplicemente Don Attilio Nostro, il prete (vescovo) dell’oratorio. Questo si disse di lui appena fu ufficializzata dalla Santa Sede la sua nomina a vescovo della diocesi calabrese.
La formazione fa la differenza tra la vita e la morte. L’oratorio fa la differenza. In oratorio si cresce in sicurezza. Tanti giovani nelle nostre comunità più disgraziate finiscono o in carcere o all’obitorio. E l’oratorio, nelle zone difficili soprattutto, è l’unica risorsa possibile.
“Il posto più importante da visitare”, dice Nostro, durante il primo incontro con i giovani degli oratori di tutta la Diocesi, lo scorso 1° agosto, “è il cuore dei ragazzi convinti di poter fare di meno rispetto a quanto l’oratorio gli può mettere davanti. L’oratorio è un pellegrinaggio verso Dio.”

Dio si offre alla Calabria, e manda don Attilio Nostro per raccontarci che Cristo non si è fermato a Eboli. È sceso, e ancora si inoltra, fin dentro i tuguri della nostra terra a fare la sua Via Crucis. E per questo è pronto a giocare con noi, costruire storie, vite nuove, rendere la Calabria una terra migliore di com’è. Tocca a noi però, riconoscere in lui la via, la verità e la vita.

Da Dio si pretende sempre, affidiamoci per una volta. Diventiamo tutti animatori di questo bellissimo oratorio che è la vita. Stare accanto a don Attilio, pardon, sua eccellenza Monsignor Nostro, è il primo passo da fare per incominciare questo nuovissimo cammino.
Buon lavoro, eccellenza! (gsc)

IL GIORNO DI NATUZZA: APRE LA SUA CHIESA
UN MIRACOLO IL SANTUARIO CHE LA ONORA

di PINO NANO – Paravati 6 Agosto 2022. Giornata memorabile quella di oggi a Paravati. Ma come si fa a dire una cosa del genere se tu non c’èri?

E’ vero io non c’èro a Paravati, perché lontano fisicamente dalla Calabria migliaia di chilometri, ma la televisione, che è stata poi la mia vera vita, mi ha permesso di esserci, di vedere, di toccare con mano la tensione del popolo di Natuzza Evolo, di commuovermi e di partecipare agli applausi che più volte hanno risuonato all’interno e all’esterno di questa chiesa cosi bella, avvolgente, luminosa, con questo mosaico bellissimo alle spalle dell’altare, e di ritrovare e riconoscere anche tra la folla tantissimi vecchi amici del mio passato e del mio percorso professionale.

È la televisione insomma, che ancora una volta trasmette a chi fisicamente non era  in quella chiesa persino il profumo dell’incenso e dell’olio santo, che riportano le preghiere dell’uomo a Dio, e che il nuovo vescovo di Mileto sparge personalmente con le sue mani nella parte alta di una cripta salendo su una scala come mai ci era capitato di vedere prima per un uomo di Chiesa così illuminato come lui.

La parte più solenne è stato poi il momento della sua omelia. E qui, don Attilio supera se stesso. 

Ci si aspettava un intervento scritto, immaginavamo che per non sbagliare nessun termine e nessun concetto della sua preghiera, data la solennità della cerimonia, lui avrebbe sacralizzato tutto su carta, e invece la diretta televisiva me lo rimanda quassù in montagna sotto una bufera di pioggia come un profeta moderno. 

Parla a braccio il giovane vescovo, stringe tra le mani la base del microfono e racconta al popolo di Natuzza il perché lui stesso abbia scelto questo giorno, il sei agosto, per aprire al culto la grande Chiesa. 

Quasi contemporaneamente a Roma, Papa Francesco conclude la preghiera del giorno ribadendo lo stesso concetto caro a don Attilio: «Essere discepoli di Gesù e camminare sulla via della santità -dice il Papa- è anzitutto lasciarsi trasfiguare dalla potenza dell’amore di Dio».

Tutto questo don Attilio lo spiega con estrema dolcezza, lo fa con un garbo assoluto, con una forma di rispetto verso i fedeli a cui forse non eravamo più abituati, parla loro di Natuzza come se parlasse di una donna già santa, parla del rapporto tra Gesù e Natuzza come se fosse la cosa più naturale del mondo, parla della nuova chiesa come se la chiesa dovesse diventare, e con lui cosi sarà ne siamo certi, la casa dei poveri, la casa degli ultimi, la chiesa dei disperati, la chiesa di chi soffre, la chiesa di chi ha perso la speranza, la chiesa che sa finalmente accogliere i suoi figli dispersi, e che non manda via mai nessuno.

La Chiesa di Natuzza, vista da così lontano e in televisione è ancora più bella e più maestosa di quanto non lo sia in realtà.

Eccolo il vero “grande sogno” di Natuzza, finalmente realizzato. 

Mi ricordo che quando lei mi parlava della sua Chiesa, lo ha fatto decine di volte, lo faceva con una  meticolità, una passione, e direi anche una ossessione che a volte alimentava dentro di me il dubbio di dover ascolare “vere e proprie allucinazioni”, di avere a che fare con una donna di fede sì, ma visionaria e sognatrice. Ma lei capiva che aveva di fronte un miscredente, e insisteva con lo sbattermi addosso le sue certezze. Quello che a volte le mancava era la dolcezza, soprattutto quando doveva dirti quello che pensava.

“Aspetta e vedrai”, o meglio mi dava del voi, e mi diceva “Aspettate, la chiesa che la Madonna mi ha chiesto di realizzare la vedrete anche voi”. 

E io mi sentivo più piccolo che mai, come se lei leggesse dentro di me, e cogliesse per intero i miei dubbi il mio distacco la mia diffidenza di fondo, a volte anche la mia lontananza.

Intenso, commovente, quasi intimo, bellissimo, emblematico questo gesto della donazione che Pasquale Anastasi, il Presidente della Fondazione, riserva a don Attilio, consegnandogli le chiavi della basilica, sotto forma della riproduzione in scala del grande portone di bronzo. 

Ma il vero momento magico di tutta la manifestazione di questo 6 agosto 2022 rimane il momeno in cui don Attilio fa il suo primo ingresso in basilica, afferrando le mani di bronzo scolpite sulla parte centrale del grande portone.

Da una parte la mano di Natuzza, e dall’altra la mano di Cristo, al centro don Attilio che spinge questa montagna di bronzo, finchè la luce non illumina il grande altare all’interno della chiesa. 

Dio mio, che emozione. Sembrava di rivedere Papa Woytila ormai stanco e scolpito dal dolore che spinge le porte del battistero per l’apertura del Giubileo.

La televisione, è vero, ti da quello che stando lì in sala o sulla grande spianata di Paravati non avresti mai raccolto.

 Ti dà i dettagli delle mani di don Attilio che si aggrappano alle mani di bronzo scolpite sul portale di ingresso, immagine sublime, forte, un primo piano che rimarrà la vera “pagina storica” di questo sei agosto a Paravati. 

Non so chi abbia scelto le letture che i conduttori hanno riproposto nel corso della diretta televisiva, ma non si poteva scegliere di meglio, con queste citazioni continue appropriate ed efficiacissime di Sant’Agostino, dello stesso libro dell’Apocalisse, che ci spiegano fino in fondo il valore della simbologia, il mistero della fede e la forza degli insegnamenti che Natuzza nella sua miseria più infinita riusciva a dare anche ai grandi della terra.

E infine, l’immagine che più mi ha colpito e forse che più mi ha commosso. 

È l’arrivo sulla grande spianata di Villa Gioia del nuovo vescovo, don Attilio, circondato da centinaia di sacerdoti, almeno quattro vescovi intorno a lui, e tutto attorno una folla osannante. Il trionfo della fede, forse.

Bellissima anche l’immagine che mi capita di rivedere in rete, questa volta era la diretta televisiva precedente, quando in Chiesa venne portata per la prima volta la statua della madonna che Natuzza aveva fatto realizzare esattamente per come lei diceva di averla avuta in visione. 

In quella occasione si vede Attilio che abbraccia Pasquale, don Attilio Nostro il vescovo che abbraccia il Presidente della Fondazione Pasquale Anastasi, piangono insieme, perché per loro era quello il primo vero ingresso ufficiale nella nuova basilica. 

Anche in quella occasione la televisione ci riporta in maniera reale e palpabile l’emozione di quei momenti. E’ l’immagine altera rigorosa umana e finalmente anche intima di una Chiesa moderna e più presente che mai. 

La Basilica di Paravati aperta al culto? 

È questo il primo vero grande miracolo di Natuzza Evolo.Grazie don Attilio per aver favorito il coronamento di un sogno, che non era soltanto di Natuzza e del suo popolo ma credo di tutto il mondo cattolico che si è sempre storicamente stretto attorno a Natuzza Evolo.

Ecco perché Natuzza è già Santa. (pn)

Natuzza, il vescovo Attilio Nostro: il 6 agosto la consacrazione della Grande Basilica

di PINO NANO. Ad annunciare l’apertura al culto e la Consacrazione ufficiale della Grande Basilica di Paravati, (è la chiesa fortemente voluta da Natuzza Evolo prima della sua morte), è personalmente il vescovo della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea mons. Attilio Nostro. Il 6 agosto 2022 si prevedono a Paravati migliaia di persone da ogni parte del mondo. Ecco la vera grande novità. «Vi do appuntamento sabato 6 agosto 2022, Festa della Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo per la consacrazione di questa meravigliosa chiesa!».

Questo l’annuncio solenne e ufficiale fatto al termine della Celebrazione Eucaristica  presieduta dallo stesso vescovo Nostro, sabato nella Basilica Cattedrale di Mileto. La S. Messa –spiega una nota della Curia – è stata celebrata in Cattedrale anziché sul sagrato della “Villa della Gioia” in Paravati, come inizialmente programmato, a causa delle avverse condizioni metereologiche.

Tutto dunque procede per come ampiamente previsto dagli osservatori e dagli studiosi del fenomeno Natuzza Evolo, la mistica calabrese che a Pasqua viveva il mistero delle stigmate e che, si diceva, parlasse con I morti e con l’angelo custode che lei diceva di vedere alle spalle di ogni persona che incontrava.

«Consentitemi di ringraziare – dice ancora mons. Attilio Nostrotutti coloro che, a vario titolo, mi hanno assistito, sostenuto e incoraggiato con la loro preghiera in questo periodo: in primis i sacerdoti di questa bella Diocesi di Mileto Nicotera Tropea e in particolare don Pasquale Barone e don Michele Cordiano e poi la Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime… ma desidero ringraziare soprattutto voi, fratelli e sorelle in Cristo che non avete mai smesso di pregare perché questo giorno benedetto arrivasse! Ve ne sono grato, perché è la forza della preghiera e della fede che sposta le montagne! È la forza che viene dalla grazia di Dio che ci aiuterà a diventare sempre di più ciò che già siamo: figli prediletti, amati da un Padre meraviglioso che ci ama immensamente, di un amore folle e bellissimo!  Pregate per me!»

«Care Sorelle e Cari Fratelli in Cristo in questi giorni un articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica  mi sta guidando nella preghiera personale – esordisce così il vescovo Attilio Nostro per dare poi l’annuncio che da anni si attendeva in Calabria -. È una sintesi mirabile che traduce tutta la dinamica della storia della salvezza in poche righe, dandoci la possibilità di riflettere sul compito che la Chiesa Sposa è chiamata a realizzare secondo il cuore di Dio Sposo. “Il mondo fu creato in vista della Chiesa”, dicevano i cristiani dei primi tempi. Dio ha creato il mondo in vista della comunione alla sua vita divina, comunione che si realizza mediante la “convocazione” degli uomini in Cristo, e questa «convocazione” è la Chiesa.La Chiesa è il fine di tutte le cose e le stesse vicissitudini dolorose, come la caduta degli angeli e il peccato dell’uomo, furono permesse da Dio solo in quanto occasione e mezzo per dispiegare tutta la potenza del suo braccio, tutta l’immensità d’amore che voleva donare al mondo:«Come la volontà di Dio è un atto, e questo atto si chiama mondo, così la sua intenzione è la salvezza dell’uomo, ed essa si chiama Chiesa».

Il vescovo non tradisce mai la sua profonda preparazione liturgica: «I Padri dei primi secoli – ricorda – chiamavano questo processo con un termine preciso: “deificazione” (Theosis) che consiste proprio nella somiglianza progressiva della nostra vita alla vita divina e beata di Dio, Uno e Trino, eterno Amore! Gregorio Pàlamas, commentando la Trasfigurazione, scrisse: “Che cosa significa fu trasfigurato? Significa che egli sollevò, per un po’, come gli parve bene, il velo della sua divinità, e ai suoi iniziati mostrò il Dio che dimorava in lui. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto, dice Luca; brillò come il sole, scrive Matteo […] Egli ci voleva mostrare che è la preghiera a procurare quella beata visione, e voleva che noi sapessimo che è mediante la vicinanza con Dio nella virtù, tramite l’unione con lui nello spirito, che quello splendore si produce e si manifesta, si offre a tutti ed è visto da tutti coloro che incessantemente tendono a Dio, assidui a compiere opere buone e la preghiera pura”».

La preghiera, dunque. «Oggi – dice ancora il vescovo – in questa piazza risuona una preghiera di lode al Signore per ringraziare del dono della comunione tra Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime e Diocesi di Mileto Nicotera Tropea. Dopo aver percorso insieme un cammino di conoscenza e reciproca stima, siamo finalmente giunti alla decisione di aprire questa chiesa per consacrarla e aprirla al culto e alla preghiera».

La trasfigurazione,dunque. «È nostro vivo desiderio – conclude il giovane vescovo – che in questa chiesa risuoni un forte appello a seguire Gesù Cristo per diventare, come Lui, Luce del mondo! La Serva di Dio Fortunata Evolo, “mamma Natuzza”, considerava sé stessa semplicemente come una messaggera che indicava e rimandava ogni fedele a Maria e a Cristo! Perché verremo in pellegrinaggio a Paravati? Quale sarà il dono di questo luogo che Dio consacrerà attraverso la Chiesa? Il dono di questo pellegrinaggio sarà la LUCE della Trasfigurazione di Cristo che illumina le tenebre del mondo e dell’uomo! “Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Coloro che usciranno da questo luogo porteranno al mondo la Luce di Cristo Signore!”».

La gente applaude il messaggero di Papa Francesco, forse mandato qui in Calabria appositamente per questo, per riaprire finalmente un dialogo interrotto tra la Chiesa ufficiale e il mondo di Natuzza Evolo, e lo fa dando al popolo di Natuzza l’annuncio più solenne e più importante che il Vaticano potesse far giungere in Calabria. (pn)

 

L’omelia del vescovo Attilio Nostro nel giorno di Natuzza: «Un segno profetico»

di PINO NANO – «Quello di oggi è un giorno che segue altri giorni, nel quale sono venuto qui pellegrino, mendicante, pieno di dubbi o di presunzione. In altri due incontri con Natuzza, avevo discusso di quanto potesse essere difficile essere sacerdote, non avrei mai immaginato che sarei diventato il suo vescovo. E quindi, per me è una ragione di enorme grazia poter dire a questa serva di Dio tutto l’amore, in risposta all’amore con il quale sono stato da lei accolto. Spero che la sua sollecitudine, spero che questa carità fraterna che mi ha voluto manifestare possa trovare nella mia vita, ma soprattutto nel mio ministero una saggia e adeguata risposta. Noi oggi siamo qui per ricordare la solennità di tutti i Santi, e per ricordare i giorni in cui lei ha compiuto questo pio transito da questa terra al cielo, ma in realtà questa unione con Dio è già cominciata in lei e nella sua vita sin dal momento in cui è stata chiamata attraverso il battesimo».

Migliaia di persone il giorno di Ognissanti in Calabria sul sagrato della Grande Basilica di Paravati, la Chiesa fortemente voluta da Natuzza Evolo. Per il nuovo vescovo della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Mons. Attilio Nostro, è stato un bagno di folla ed una vera e propria standing ovation. Omelia storica.

Siamo sulla grande spianata di Paravati dove da anni sorge la Basilica che Natuzza Evolo volle fortemente vedere realizzata, proprio a due passi dalla sua casa natale, e che secondo Natuzza le sarebbe stata espressamente chiesta dalla Vergine Maria in uno dei tanti colloqui che la mistica calabrese raccontava di avere con la madre di Gesù.

La Basilica non è ancora aperta al culto, per via di una lunga controversia tra la Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime e la stessa Diocesi, e che oggi si è finalmente risolta, ma è una vicenda amara che solo un pastore di grandi vedute e di alto respiro teologico avrebbe potuto affrontare senza colpo ferire. Don Attilio Nostro ieri ha pronunciato qui la sua prima solenne omelia in cui non ha omesso nulla di nulla, e dichiarando il suo amore viscerale per la parola di Cristo.

L’omelia di don Attilio Nostro commuove e coinvolge: «Natuzza è un segno, in questa terra. Natuzza è la prova che Dio non si distrae, che Dio ha un progetto per ciascuno di noi. E tutti noi che l’abbiamo conosciuta, che abbiamo avuto modo di vederla, di ascoltarla, siamo stati colpiti da questa sollecitudine. Potremmo riassumere così il senso del suo messaggio. “Tu non sei solo”. “Dio è accanto a te”. “Dio ti conosce”. “Dio non si è sbagliato con te”».

Dice ancora il presule: «Natuzza per noi è stato un segno profetico, di quale è la strada che noi siamo chiamati a percorrere. Ecco perché la nostra presenza non è soltanto rappresentanza, o numero. Ma è elemosina. È chiedere a Dio: “Signore riempi il mio cuore, perché senza di te è vuoto”. E si riempirà di mille spiriti inutili, che non danno ragione.  Donami la Grazia Signore della tua presenza. Donami la Grazie di essere fedele a questo domani».

E infine l’appello, chiaro e diretto al popolo di Natuzza: «Pregate per me, perché il Signore possa illuminarmi. Perché le mie scelte siano sempre, sempre, sempre alimentate dalla fraternità e dalla misericordia di Dio, e Dio non è un giudice ma è un padre. Alla fine dei tempi giudicherà tutti. Pregate non solo per me, ma anche per questa meravigliosa opera (il riferimento è alla Grande Basilica) che è un’altra figlia di Natuzza. Pregate perché presto questa Chiesa possa essere consacrata al culto. (A questo punto la folla esplode in una vera e propria standing ovation). Pregate perché l’opera intrapresa e iniziata da Mons. Oliva in questo periodo, attraverso questo accordo meraviglioso e bellissimo che anche il Papa ha fortemente voluto possa trovare in me un continuatore di questa opera avviata da Mons. Oliva, che ho sentito ieri sera e che vi saluta tutti. E che possa essere anche un segno di conciliazione».

Accorato anche il saluto al nuovo vescovo da parte del Presidente della Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime, Pasquale Anastasi: «Le sue parole sono un’ulteriore conferma di sostegno e di supporto per il nostro cammino che è ormai rivolto in avanti. Ci siamo lasciati alle spalle il passato, abbiamo accolto quanto la Chiesa ci ha suggerito e ora insieme a lei vorremmo fare questo tratto di strada per portare a compimento l’Opera della Madonna, così come la Vergine ha manifestato a mamma Natuzza già nel lontano 1944.Le voglio assicurare, eccellenza reverendissima, e confermare, se fosse necessario, che la Fondazione intende proseguire il suo cammino nella Chiesa e con la Chiesa con la consapevolezza che essa ha riconosciuto la testimonianza di vita e di fede di mamma Natuzza».

La folla sembra impazzita di gioia, ma qui ancora tutto odora del profumo lasciato da Natuzza. (pn)