L’OPINIONE / Gianfranco Trotta: Il governo non ascolta ed è latitante su morti sul lavoro

di GIANFRANCO TROTTA – Di fronte ad un bollettino rosso emergenziale, di fronte ad una lunga catena di incidenti e morti sul lavoro e ad una statistica che ci dice che i numeri sono in aumento rispetto allo scorso anno  e la Calabria è tra i territori che paga il pegno di sangue maggiore, la solidarietà e la vicinanza ai familiari delle vittime non basta più. Serve solo il ‘voler fare’ e da questo governo non stiamo vedendo nessun atto concreto per migliorare salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Sono tanti gli aspetti su cui si può incidere, ma il governo è completamente sordo e latitante. Già con il nostro referendum avevamo chiesto che nel caso di incidenti e morti sul lavoro la responsabilità fosse in capo al committente. Questo perché con il sistema degli appalti a cascata e non solo, la giustizia fa fatica a fare il suo corso e sono troppi i familiari che non hanno visto nessuno pagare per il lutto subito.

Vanno incentivati i controlli,  iniziando ad incidere sugli ispettori. In Calabria ci sono gravi carenze organiche nelle province di Vibo, Catanzaro e Crotone, così come diversi ispettori vengono dirottati su incarichi amministrativi per riempire scrivanie rimaste vuote. La Corte dei Conti ha bacchettato il nostro Paese evidenziando come l’Ispettorato del Lavoro faccia fatica ad assumere nuovo personale perché gli stipendi e le indennità degli ispettori non sono abbastanza attrattivi. Conseguenza anche di scelte contraddittorie, come quella di non riconoscere il salario accessorio ai dipendenti dell’Inl, a differenza di come avviene in altre agenzie statali. Il risultato sono concorsi con pochi candidati, vincitori che rinunciano per spostarsi in amministrazioni meglio remunerative e un turn over di fatto bloccato.

Per Cgil c’è molto da fare anche in termini di un’adeguata formazione sulle dinamiche legate alla salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro, sull’uso dei dispositivi di sicurezza e sulla crescita di un’adeguata cultura.

Determinante anche l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro  per rendere più severe le pene e responsabilizzare le aziende. Va in questa direzione anche la nostra proposta di una patente a punti finalizzata ad agevolare negli appalti chi è riuscito a garantire la salute e la sicurezza sui posti di lavoro.

Al governo chiediamo responsabilità e ascolto. Fermiamo questa strage silenziosa. Rendiamo il lavoro dignitoso e sicuro. (gt)

[Gianfranco Trotta è segretario generale di Cgil Calabria]

NON È SOLAMENTE PRECARIO: IN CALABRIA
IL LAVORO SFRUTTA, DISCRIMINA E UCCIDE

di SILVIO CACCIATORE – «Il lavoro in Calabria non è solo precario. È spesso pericoloso, diseguale, silenziosamente violento». Con queste parole la relazione 2024 dell’Osservatorio regionale contro le discriminazioni nei luoghi di lavoro apre una pagina che non concede attenuanti. Non si tratta di una formula giornalistica, né di una provocazione. È la constatazione di un dato reale, ripetuto nei numeri, nei racconti, nei silenzi. Parlare di discriminazioni nel lavoro, oggi, in questa regione, significa descrivere un sistema in cui la negazione dei diritti non è l’eccezione, ma la condizione diffusa.

Il documento, presentato nella sede del Consiglio regionale, non si limita a raccogliere statistiche. È un atto politico. È un atto d’accusa preciso contro chi governa, controlla, assume, gestisce. Perché se tutto questo continua ad accadere, non è per caso. È perché lo si consente. È perché fa comodo. È perché nessuno ha ancora deciso davvero di cambiare le regole del gioco. L’Osservatorio, guidato da Ornella Cuzzupi, mostra che l’alternativa è possibile. Ma serve chiamare le cose con il loro nome. E oggi il nome è questo: discriminazione sistemica.

La sicurezza negata

I numeri che emergono dalla relazione sono inequivocabili. E cominciano da quello che pesa di più: la vita umana. Nel 2024, in Calabria, 26 persone hanno perso la vita sul luogo di lavoro. La cifra è stabile rispetto all’anno precedente (erano 29), ma questo non è un dato che si possa accogliere come una semplice statistica. «È inaccettabile che non si faccia il massimo, e anche oltre, per evitare simili sciagure» si legge nel testo. Dietro ogni numero ci sono famiglie spezzate, lacrime, assenze che non si colmano. Eppure, come denuncia lo stesso Osservatorio, si continua a trattare il lavoro solo come un’urgenza economica, mentre dovrebbe essere anzitutto una questione di dignità e di sicurezza.

Il dato complessivo sugli infortuni registra un preoccupante aumento: 8.857 denunce nel 2024, con un incremento del +2,04% rispetto al 2023, superiore al +0,7% registrato a livello nazionale. Le province più colpite sono Cosenza (37,7%) e Reggio Calabria (23,3%), mentre la fascia d’età con maggiore incidenza è quella tra i 50 e i 69 anni, che raccoglie oltre un terzo degli infortuni totali. I settori più colpiti sono la sanità, l’amministrazione pubblica, l’edilizia e il trasporto.

Ma il nodo centrale non è solo nella quantità degli incidenti. È nella loro natura strutturale. Perché, come sottolineato più volte nella relazione, «la prima discriminazione da combattere nei luoghi di lavoro è la mancanza di sicurezza». Non si tratta solo di incidenti casuali: si tratta di un sistema in cui il lavoratore viene lasciato solo, spesso ricattabile, senza strumenti per difendersi né garanzie minime per denunciare. Un sistema in cui la precarietà si traduce in esposizione quotidiana al rischio. E dove la rassegnazione ha sostituito la fiducia.

Il lavoro nero come normalità

In Calabria il lavoro nero non è un’eccezione: è un segmento strutturale del sistema produttivo. Lo dicono i numeri, lo confermano le ispezioni, lo testimoniano le storie raccolte sul campo. La regione è la prima in Italia per incidenza del lavoro non dichiarato, con un tasso del 7,9% sul valore aggiunto regionale, il doppio rispetto alla media nazionale. Un dato che non può essere archiviato con leggerezza, soprattutto se messo in relazione con un altro indicatore contenuto nella relazione: il 19,1% dell’intera economia calabrese rientra nell’area dell’economia non osservata, ovvero sommersa.

Nell’area metropolitana di Reggio Calabria, nel 2024, l’Ispettorato ha individuato 179 lavoratori in nero, di cui 52 donne, su un totale di 623 soggetti tutelati. L’INPS, nel solo anno 2023, ha scoperto in Calabria 365 posizioni lavorative completamente in nero e oltre 1.600 rapporti di lavoro fittizi. L’Ispettorato nazionale del lavoro ha certificato irregolarità nel 69% dei controlli effettuati, con picchi superiori al 70% nei settori del commercio e del terziario.

Dietro questi numeri ci sono decine di migliaia di vite che vivono sospese tra ricatto e invisibilità. Il lavoro nero è discriminazione nella sua forma più pura: esclude da ogni diritto, riduce al silenzio, normalizza lo sfruttamento. E spesso riguarda le fasce più vulnerabili della popolazione: donne, giovani, stranieri. Proprio questi ultimi rappresentano circa il 15% della forza lavoro calabrese e sono spesso impiegati in condizioni al limite del caporalato, senza protezione alcuna, nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia e della logistica. La relazione lo afferma chiaramente: la discriminazione è anche il carburante che tiene in piedi l’irregolarità, perché rende più facile isolare, intimidire, dividere.

La violenza sul lavoro ha tanti nomi

Una delle sezioni più inquietanti della relazione riguarda la violenza e le molestie nei luoghi di lavoro. Perché se la discriminazione salariale o contrattuale è un’ingiustizia quantificabile, qui si entra nel terreno più complesso della violenza invisibile, fatta di abusi verbali, prevaricazioni quotidiane, pressioni psicologiche, ricatti e micro-aggressioni. Secondo l’indagine condotta da IPSOS-INAIL, il 60% dei lavoratori calabresi è a conoscenza di episodi di violenza sul posto di lavoro. Ma c’è di più: il 42% ha dichiarato di esserne stato testimone diretto o vittima.

Le forme più diffuse sono la violenza verbale (56%), il mobbing (53%), l’abuso di potere (37%), fino ad arrivare ai casi di violenza fisica (10%). Ma la relazione richiama con forza anche un’altra dinamica, spesso banalizzata o ignorata: la dimensione sessista del lavoro, che si manifesta sotto forma di battute, esclusioni sistematiche, allusioni, mansioni neglette o affidate sulla base di stereotipi di genere. Tutto questo, sottolinea l’Osservatorio, avviene troppo spesso in ambienti privi di qualunque presidio etico e culturale, dove la gerarchia si trasforma in arbitrio e la paura vince sulla consapevolezza.

In questo contesto, denunciare è difficile. Per molti è più sicuro tacere, abbassare lo sguardo, resistere, nella speranza che passi. La relazione punta il dito contro questo silenzio: non come colpa individuale, ma come effetto sistemico di un contesto che non protegge, non ascolta, non accompagna. È anche su questo fronte che l’Osservatorio vuole agire: costruendo ambienti di lavoro sicuri, accessibili, capaci di riconoscere e prevenire la violenza. Perché nessun contratto, nessuna retribuzione, nessuna necessità giustifica l’umiliazione.

Il peso silenzioso del divario di genere

Nel 2025, in Calabria, una donna continua a guadagnare meno di un uomo anche se ha lo stesso titolo di studio, la stessa mansione, le stesse competenze. È un dato tanto evidente quanto ignorato. La relazione lo documenta con precisione, mettendo in fila numeri che raccontano una discriminazione tanto antica quanto viva. Il gender pay gap è una ferita aperta che attraversa l’intero sistema produttivo calabrese, colpendo soprattutto le lavoratrici più qualificate e quelle appartenenti alle fasce più deboli, come le donne extracomunitarie.

I dati INPS lo confermano: tra i lavoratori comunitari, gli uomini percepiscono in media 496,5 euro a settimana, contro i 436,3 euro delle colleghe. Ma è tra gli extracomunitari che il divario si fa abisso: 326,8 euro per gli uomini, 243,5 euro per le donne. Un vuoto che non può più essere giustificato con spiegazioni di comodo. Perché il problema, chiarisce l’Osservatorio, non è la produttività, non è l’impegno, non è la formazione. È la cultura del lavoro che continua a penalizzare in base al genere.

A essere penalizzate non sono solo le buste paga, ma anche le possibilità di crescita, la stabilità contrattuale, la conciliazione tra vita e lavoro, l’accesso ai ruoli di responsabilità. In molte aziende calabresi, soprattutto di piccole dimensioni, le donne vengono ancora considerate un “rischio”, una variabile da gestire con prudenza, un costo. Un retaggio che affonda nelle radici più profonde del tessuto sociale, e che richiede una rivoluzione culturale prima ancora che normativa.

Non bastano più leggi scritte e programmi annunciati. Occorre, come afferma Ornella Cuzzupi, «trasformare la cultura d’impresa e quella istituzionale, perché una terra che penalizza le sue donne è una terra che sceglie di restare povera».

«Abbiamo la responsabilità di trasmettere fiducia ai giovani e alle donne di questa terra – prosegue la Presidente dell’Osservatorio -. La Calabria può diventare la California d’Europa, ma serve passione, serve coscienza, serve voglia di rimboccarsi le maniche». Una chiamata alla mobilitazione civile, prima ancora che politica. «Troppa gente ha paura di denunciare, di esporsi, di farsi valere. Perché manca la certezza di essere ascoltati, protetti, creduti. E invece è proprio lì che dobbiamo intervenire».

Con uno sguardo che integra i dati regionali in una cornice nazionale, Mattia Peradotto, direttore dell’UNAR, evidenzia come il tessuto delle microimprese calabresi, pur tra mille difficoltà, possa diventare un laboratorio virtuoso. «Se ben stimolato, questo sistema può trasformarsi in presidio di legalità e rispetto. Ma servono strumenti, serve visione, serve continuità».

A fare il punto sul quadro istituzionale è infine Filippo Mancuso, presidente del Consiglio regionale. «Non è solo una questione di ritardo. È qui che le disuguaglianze sono più profonde, più strutturali, più difficili da scardinare. L’occupazione femminile è ferma al 40%, la disoccupazione è al 16%, e il primo morto sul lavoro del 2024 è stato in Calabria. Basta girare lo sguardo». Poi rilancia il ruolo dell’Osservatorio come strumento “non decorativo”, ma operativo. Come antenna, come radar, come mappa viva per agire con consapevolezza. «Se non lo facciamo ora, continueremo a raccontare sempre le stesse tragedie».

In troppi casi, lavorare in questa regione significa accettare condizioni che altrove non sarebbero nemmeno tollerate. Il lavoro nero, le molestie, il ricatto occupazionale, la differenza salariale tra uomo e donna, l’impunità nei confronti di chi viola le regole: tutto questo compone un sistema che conviene a pochi e danneggia tutti. Un sistema che si regge sul silenzio e sulla mancanza di alternative. (sc)

[Courtesy LaCNews24]

FERMARE LE STRAGI SUI LUOGHI DI LAVORO
CALABRIA TRA LE REGIONI “MAGLIA NERA”

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Oggi è il Primo Maggio, la Festa dei Lavoratori, ma la strada per una vera sicurezza sul lavoro è ancora lunga e tortuosa.

«Quella delle morti del lavoro è una piaga che non accenna ad arrestarsi e che, nel nostro Paese ha già mietuto, in questi primi mesi, centinaia di vite, con altrettante famiglie consegnate alla disperazione», ha detto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della sua visita a Latina all’Azienda Bsp Pharmaceutica Spa, per la Festa del Lavoro.

Quella che sta avvenendo in Calabria e in Italia, infatti, è una strage silenziosa che non può più essere ignorata: Il 2024 è passato con tre morti sul lavoro al giorno, mentre il primo bimestre del 2025 ha registrato un aumento del 16% delle vittime. Si contano già 138 decessi, 19 in più rispetto allo scorso anno. Di queste, 101 in occasione di lavoro (10 in più rispetto a febbraio 2024) e 37 in itinere (9 in più rispetto a febbraio 2024). Questi i dati dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega di Mestre, elaborati in occasione della Giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro, in cui emerge come la Calabria fa parte delle sette regioni con una incidenza superiore a +25% rispetto alla media nazionale (Im=Indice incidenza medio, pari a 4,2 morti sul lavoro ogni milione di lavoratori).

Nell’ultimo quadriennio, dal 2021 al 2024, sono 4.442 le persone hanno perso la vita sul lavoro in Italia. Il settore delle Costruzioni è quello in cui si conta il maggior numero di decessi con 564 vittime. Le zone con il rischio più alto sono al Centro e al Sud: Basilicata e Umbria sono in zona rossa da quattro anni consecutivi, seguite da Campania e Valle d’Aosta per tre.

Gli aspetti più preoccupanti: gli over 65 sono i più vulnerabili, gli stranieri registrano un tasso di mortalità doppio rispetto agli italiani, sia sul posto di lavoro sia in itinere. 418 le donne che hanno perso la vita sul lavoro.

Per Mauro Rossato, presidente dell’Osservatorio, si tratta di un bilancio «più che drammatico, perché le nostre indagini sono elaborate su dati ufficiali che escludono, quindi, il mercato del lavoro sommerso in cui ovviamente risulta assai difficile indagare. Ma i dati ufficiali da soli parlano di una situazione allarmante. L’incidenza di mortalità rispetto alla popolazione lavorativa non accenna a diminuire. Ciò significa che il rischio di morte per i lavoratori rimane sempre elevato e pressoché invariato negli ultimi anni».

Cosa fare, allora? Il Presidente Mattarella è categorico: «non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione», ma, come evidenziato dal segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, «ogni anno ci sono più di mille morti e 500.000 incidenti: sono numeri da guerra civile».

Anche il Presidente della Repubblica ha riconosciuto – nel corso del suo intervento – come sia «evidente che l’impegno per la sicurezza nel lavoro richiede di essere rafforzato». A tal proposito, la presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, ha annunciato che, in occasione della Festa dei Lavoratori, il Governo sta preparando un decreto proprio sulla sicurezza sul lavoro, «un lavoro – ha detto Mattarella – che non può essere quello di consegnare alla morte, ma che sia indice di sviluppo, motore di progresso, sia strumento per realizzarsi come persona, come poc’anzi ricordava il Presidente di Unindustria».

«Il lavoro non può separarsi mai dall’idea di persona, dalla unicità e dignità irriducibile di ogni donna e di ogni uomo. Nessuno deve sentirsi scartato o escluso», ha continuato il Presidente della Repubblica, ricordando che «la Repubblica è fondata sul lavoro» e che «il lavoro è radice di libertà, ha animato la nostra democrazia, ha prodotto eguaglianza e, dunque, coesione sociale».

«Il Primo Maggio non è solo festa. È memoria, responsabilità, impegno», ha detto categorica Mariaelena Senese, segretaria generale di Uil Calabria.

«Non si può più accettare che una giornata lavorativa si trasformi in una tragedia familiare – ha sottolineato – ogni morte sul lavoro è una sconfitta per lo Stato e per chiunque continui a ignorare il problema. Ogni giorno si muore cadendo dai tetti, schiacciati da macchine da cantiere, senza protezioni adeguate, senza controlli e senza formazione vera. È intollerabile che queste morti, evitabili, continuino a essere considerate un prezzo accettabile per il profitto».

«Non possiamo più accettare – ha proseguito Mariaelena Senese – un sistema ispettivo ridotto all’osso, in cui gli stessi ispettori devono controllare un’ azienda tessile, un cantiere edile o un’azienda agricola. Non si può vigilare sulla sicurezza senza specialisti nei settori più a rischio. Gli organi ispettivi vanno necessariamente specializzati. Punto!»

«Troppi lavoratori muoiono – ha spiegato – perché non hanno ricevuto una formazione adeguata o perché le certificazioni sono falsificate. Proprio per questo chiediamo un portale regionale digitale che renda tracciabile ogni attestato di formazione. Basta con i fogli di carta che non valgono nulla!».

La Uil Calabria invita tutte le cittadine e i cittadini, i delegati sindacali, le famiglie, le istituzioni a partecipare alla marcia silenziosa organizzata per questa mattina, alle 11, nella zona industriale di Lamezia, per ricordare le due vittime sul lavoro o avvenute nei primi mesi dell’anno proprio in quell’area industriale: Francesco Stella di soli 38 anni e Roberto Falbo di 53 anni.

«Ogni morte sul lavoro è una ferita che non si rimargina. Non vogliamo più piangere operai, madri, padri, giovani che escono di casa per guadagnarsi il pane e non tornano mai più», ha concluso Senese.

Ma non solo in Calabria: a livello nazionale, Cgil, Cisl e Uil hanno organizzato in tre luoghi simbolici (Roma, Casteldaccia (PA) e Montemurlo (PO) una manifestazione dal titolo “Uniti per un lavoro sicuro”, perché è inaccettabile «che ogni giorno si muore sul lavoro», hanno tuonato Cgil nazionale e Inca. (ams)

Senese (Uil Calabria): Convocare tavolo tecnico permanente sulla sicurezza sul lavoro

«Chiediamo al Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, di convocare con urgenza un tavolo tecnico permanente sulla sicurezza sul lavoro». È la richiesta fatta dalla segretaria generale di Uil Calabria, Mariaelena Senese, «al fine di addivenire ad un Piano straordinario per la sicurezza sul lavoro, coinvolgendo tutti gli attori interessati, al fine di elaborare strategie concrete e tempestive per prevenire ulteriori tragedie».

Una richiesta arriva a seguito della morte di Pietro Falbo, 59 anni, ha perso la vita cadendo da un’impalcatura di 9 metri in un capannone della zona industriale di Lamezia Terme.

«Questo drammatico evento segue di pochi mesi un’altra tragica perdita: il 3 gennaio scorso, Francesco Stella, un operaio di 38 anni, è deceduto in circostanze simili nella stessa area industriale», ha detto Senese, esprimendo cordoglio e vicinanza alla famiglia di Falbo.

«Queste ripetute tragedie – ha sottolineato – rappresentano un fallimento collettivo della nostra società e sottolineano l’urgenza di intervenire con determinazione per garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. La sicurezza sul lavoro è una responsabilità comune. Serve l’impegno di tutti gli attori interessati, va migliorato e rafforzato il coordinamento tra i vari soggetti della filiera sicurezza: Regione, Asl, Inail, Itl, Inps, Rlst».

«Questi devono saper parlare fra di loro – ha detto – incrociare i dati a disposizione, monitorare le specificità del territorio. Occorre potenziare con urgenza l’organico delle Asp, come da noi più volte chiesto e, coordinare i vari organi ispettivi: Itl, Asp, Inail e Inps, perché ciascuno deve fare il suo compito nel contesto di un unico intervento ispettivo: l’Asl controlla la sicurezza sanitaria, l’ispettore del lavoro i contratti, l’Inps la previdenza e l’Inail le coperture assicurative».

«Bisogna rafforzare, infine – ha aggiunto – l’idea che dietro un mercato del lavoro competitivo e concorrenziale, in grado di garantire crescita e sostenibilità, è necessario un lavoro regolare, delle giuste tutele in termini di formazione, salute e sicurezza per le lavoratrici e i lavoratori».

«Questi devono saper parlare fra di loro, – ha concluso –incrociare i dati a disposizione, monitorare le specificità del territorio. Occorre potenziare con urgenza l’organico delle Asp, come da noi più volte chiesto e, coordinare i vari organi ispettivi: Itl, Asp, Inail e Inps, perché ciascuno deve fare il suo compito nel contesto di un unico intervento ispettivo: l’Asl controlla la sicurezza sanitaria, l’ispettore del lavoro i contratti, l’Inps la previdenza e l’Inail le coperture assicurative».

«Bisogna rafforzare, infine – ha concluso – l’idea che dietro un mercato del lavoro competitivo e concorrenziale, in grado di garantire crescita e sostenibilità, è necessario un lavoro regolare, delle giuste tutele in termini di formazione, salute e sicurezza per le lavoratrici e i lavoratori». (rcz)

L’OPINIONE / Mariaelena Senese: Ogni morte sul lavoro è un fallimento

di MARIAELENA SENESE – Ogni morte sul lavoro è un fallimento collettivo della nostra società. Il nostro impegno quotidiano, attraverso campagne come Zero morti sul lavoro, è quello di ribadire con forza che ogni vita persa è una ferita inaccettabile per la dignità del lavoro e per il futuro della nostra regione.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno ha sottolineato la necessità di mettere la sicurezza sul lavoro al centro dell’agenda nazionale. Le sue parole devono tradursi in azioni immediate: non possiamo più tollerare ritardi o superficialità. I dati sulle morti bianche, particolarmente in Calabria, parlano di un’emergenza che richiede risposte straordinarie.

La Uil Calabria lancia, quindi, un appello alle istituzioni e al mondo delle imprese per: rafforzare i controlli ispettivi per garantire che le norme di sicurezza vengano rispettate e applicate rigorosamente; investire nella formazione continua sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, affinché siano pienamente consapevoli dei rischi e dell’importanza dell’utilizzo corretto di dispositivi di protezione individuale e promuovere una cultura della sicurezza, nella convinzione che la prevenzione deve diventare una priorità condivisa da tutti, attraverso campagne di sensibilizzazione e un dialogo costante tra parti sociali, imprese e istituzioni.

La Uil Calabria ribadisce l’urgenza di aprire un tavolo straordinario con la Regione Calabria per implementare un Piano straordinario per la sicurezza sul lavoro.

Non possiamo più rimandare: ogni lavoratore ha diritto a tornare a casa sano e salvo. Ogni morte evitabile è una responsabilità che dobbiamo assumerci come collettività.

La Uil Calabria continuerà a essere in prima linea in questa battaglia, portando avanti con determinazione la campagna Zero morti sul lavoro, affinché tragedie come quella di Lamezia appartengano al passato e mai più si ripetano. (ms)

[Mariaelena Senese è segretaria generale Uil Calabria]

Celebre (Fillea): Le imprese rispettino il CCNL edile

«È, quindi, fondamentale che le imprese e i datori di lavoro rispettino scrupolosamente il CCNL Edile e che vengano svolti controlli adeguati per garantire l’applicazione delle norme, evitando così tragedie come quella di stamattina». È quanto ha detto Simone Celebre, segretario generale della Fillea Cgil Calabria, esprimendo, assieme a Gianfranco Trotta, segretario generale Cgil Calabria, cordoglio ai familiari di Francesco Stella, il lavoratore trentottenne morto questa mattina a causa di una caduta da un’ impalcatura di circa sei metri in un’azienda di profilati nell’area industriale di Lamezia Terme.

«Il CCNL Edile – ha detto Celebre – prevede norme specifiche per la sicurezza sui cantieri, stabilendo obblighi per il datore di lavoro tra i quali la Formazione obbligatoria dei lavoratori; la Fornitura di dispositivi di protezione individuale (DPI); la Supervisione e il controllo da parte dei rappresentanti per la sicurezza».

«In più il CCNL prevede – ha continuato Simone Celebre – norme specifiche per l’uso di impalcature, macchinari e nell’esecuzione di lavori in quota e, inoltre stabilisce  obblighi specifici per la prevenzione degli infortuni, considerando l’alta pericolosità dei lavori in cantiere».

«Non applicarlo –  ha concluso Simone Celebre – non è solo una questione di responsabilità legale, ma una vera e propria questione di vita o morte per i lavoratori». (rcz)

 

L’OPINIONE / Mariaelena Senese: È evidente che le morti sul lavoro sono un’emergenza strutturale

di MARIAELENA SENESE – È ormai evidente che la questione degli infortuni mortali sul lavoro è diventata un’emergenza strutturale, con numeri che confermano una situazione drammatica e consolidata.

Nei primi otto mesi del 2024, si sono registrati 680 decessi sui luoghi di lavoro, 23 in più rispetto allo stesso periodo del 2023, un trend in costante crescita che richiede risposte urgenti e adeguate.

Il decreto sulla patente a crediti, purtroppo, è non solo una misura insufficiente e fuorviante, ma la solita “norma bandiera” che non affronta il vero problema: la prevenzione degli infortuni prima che accadano.

L’obiettivo primario dovrebbe essere quello di impedire le morti sul lavoro, agendo in modo concreto sulla prevenzione e non solo nel post-incidente. Anche la premier ha oggi riconosciuto quanto noi denunciamo da sempre: “La sicurezza deve essere una priorità nazionale”. Meglio tardi che mai!

La sicurezza non è solo un insieme di norme, bensì anche il modo in cui queste vengono applicate e sanzionate. Spesso, infatti, la loro efficacia dipende dall’etica delle imprese, un tema troppo poco discusso.

In molti casi, i lavoratori pagano con la vita il veleno dei subappalti, dove il lavoro nero prolifera e il risparmio sui costi della sicurezza diventa la chiave per ottenere profitto a discapito della vita umana.

Nella dinamica dei subappalti a cascata è necessario valorizzare la figura del Coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, come previsto dal Decreto legislativo 81/2008. Questo ruolo è fondamentale per coordinare le attività delle diverse imprese coinvolte in un cantiere, riducendo i rischi e aumentando i controlli sull’intera filiera.

La sicurezza sul lavoro è una responsabilità comune e serve l’impegno coordinato di tutti gli attori della filiera: Regioni, Asp, Inail, Itl, Inps e Rlst.  È indispensabile migliorare il dialogo e il coordinamento tra questi enti, incrociando i dati a disposizione e monitorando le specificità territoriali. In questo contesto, è prioritario potenziare gli organi ispettivi con figure dedicate ai settori maggiormente colpiti da infortuni mortali.

Proponiamo inoltre la tracciabilità della formazione attraverso un portale digitale, dove gli attestati possano essere caricati online per contrastare il fenomeno dei certificati falsi. Riteniamo inoltre fondamentale l’uso obbligatorio di tecnologie di sicurezza avanzate sui macchinari da cantiere, con sistemi di arresto automatico in caso di rischio. Non è accettabile che si continui a morire schiacciati da macchine di movimento terra come accadeva negli anni ’50.

Il miglioramento delle condizioni di sicurezza sul lavoro deve diventare una priorità concreta e tangibile. La sicurezza non può più essere considerata una variabile sacrificabile per il profitto. (ms)

[Mariaelena Senese è segretaria generale Uil Calabria]

L’OPINIONE / Carmelo Gullì: «Il vero mandante delle morti sul lavoro è lo Stato»

di CARMELO GULLÌ – Le morti sul lavoro hanno un mandante: lo Stato. La vita dei lavoratori vale poco per i facili guadagni di imprenditori senza scrupoli che, grazie alle leggi libertine di questo Paese, lucrano sulla formazione e soprattutto sulla sicurezza.

Rendere sicuri i cantieri e luoghi di lavoro ha un costo. Lucrare sulla sicurezza è un delitto. Lo Spi Calabria è stato ed è sempre accanto ai lavoratori che lottano per i loro diritti.

Il rammarico e il dolore che accompagnano ogni episodio di cronaca che vede lavoratori e lavoratrici vittime di incidenti o che perdono la vita mentre compiono il loro dovere per potere mantenere le proprie famiglie non basta. Il lavoro è un diritto, ma anche dignità e la dignità passa obbligatoriamente dal diritto alla salute e alla sicurezza, altrimenti non può definirsi tale.

Ci auguriamo che ci sia un chiaro segnale di adesione allo sciopero di oggi e che Governo e imprenditori rispondano con maggiore senso di responsabilità e modifiche di norme che, spesso, anziché garantire la sicurezza la rendono ancora più fragile e vulnerabile. (cg)

[Carmelo Gullì è segretario generale Spi Cgil calabria]

Morti sul lavoro, un tavolo di concertazione permanente tra parti datoriali e istituzioni

Attivare, con un tavolo permanente con parti datoriali, la Regione, l’Inail, l’Asp, Ispettorato del lavoro e l’Inps, misure di prevenzione e verifica finalizzare a contenere. È una delle soluzioni individuate  al termine dell’incontro con il prefetto di Catanzaro, Enrico Ricci, sollecitato da Area Vasta Cgil Catanzaro-Crotone-Vibo, Cisl Magna Graecia e Uil Catanzaro-Vibo.

L’incontro con il prefetto, sollecitato nei giorni scorsi dai segretari di, Enzo ScaleseSalvatore Mancuso e Santo Biondo, rispettivamente segretario generale di Cgil Area Vasta, Cisl Magna Graecia e della Uil Catanzaro Vibo  è stato preceduto da un partecipato sit in che si è tenuto davanti alla Prefettura di Catanzaro. Presenti, tra gli altri, il segretario regionale della Cgil, Angelo Sposato, il consigliere regionale Raffaele Mammoliti, il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, la vice sindaca Giusy Iemma e il presidente del consiglio comunale del Capoluogo, Gianmichele Bosco.

I sindacati hanno consegnato al prefetto di Catanzaro, un documento nel quale hanno avanzato una serie di richieste al governo e alla Regione Calabria, alla luce delle recenti tragedie che hanno funestato anche il territorio calabrese. Il prefetto Ricci ha dimostrato grande sensibilità e attenzione alle richieste di Cgil, Cisl e Uil, che hanno sollecitato una maggiore prevenzione, un potenziamento dei controlli, un inasprimento delle sanzioni nei confronti delle imprese che non rispettato i protocolli di sicurezza, più assunzioni all’Ispettorato del lavoro e nella medicina territoriale, l’istituzione di una Procura nazionale.

A livello regionale i sindacati hanno chiesto l’attivazione di un tavolo aperto alle forze economiche e sociali, all’Inail e a tutte le istituzioni competenti, e l’istituzione di una commissione alla Regione Calabria «perché – è stato detto nel corso del sit-in – ormai gli osservatori non servono più».

«Il prefetto si è dimostrato disponibile a convocare questo tavolo con le parti datoriali, la Regione, l’Inail, l’Asp e l’Inps per fare una verifica della situazione. Abbiamo chiesto anche una verifica sui soggetti beneficiari dei fondi pubblichi perché è chiaro che chi non applica i protocolli sulla sicurezza, i dispositivi di protezione, non attua misure di prevenzione e si rende responsabile di questi infortuni non può accedere a nessun fondo pubblico o agevolazione pubblica o d’interesse pubblico», ha dichiarato al termine dell’incontro il segretario generale Cgil Calabria, Angelo Sposato.

Nei giorni scorsi il consigliere regionale Raffaele Mammoliti ha depositato una interrogazione in merito all’emergenza morti sul lavoro al presidente della giunta Occhiuto.

«In materia la Regione ha competenze ben precise. Le Asp hanno compiti di vigilanza in tema di salute e sicurezza sul lavoro – spiega Mammoliti –. Ho chiesto al presidente di verificare quante sono le risorse dedicate e in caso provvedere al loro incremento, quanto personale nelle Asp è utilizzato allo scopo, e quali iniziative vuole assumere se insufficiente. I morti purtroppo sono una sconfitta per tutta la società civile. In Calabria abbiamo poi un’incidenza molto maggiore rispetto alle altre regioni. Si aggira intorno al 125 in più. Sono cifre esponenziali sulle quali non ci può voltare dall’altra parte».

«La strage silenziosa continua. In Italia negli ultimi vent’anni hanno perso la vita 26mila lavoratori. Vanno applicate norme e regole che esistono – ha dichiarato il segretario generale dell’Area vasta, Enzo Scalese –. Oggi siamo qui a Catanzaro ma manifestazioni analoghe si svolgono e si terranno in tutt’Italia per affermare con forza che il triste fenomeno va contrastato con i tre mezzi cardine della formazione, della prevenzione e dei controlli. Non basta più la solidarietà post incidente».

«È una questione di ordine pubblico – ha aggiunto – finanche. Tra l’opinione pubblica deve passare il messaggio che il lavoratore deve essere sicuro di rientrare a casa al termine del suo turno. Le imprese devono fare di tutto e devono essere i qualche modo premiate le più ligie ai doveri normativi attraverso una sorta di patente a punti che abbiamo, tra l’altro, sollecitato».

«Quando arrivano le morti sul lavoro, in ciascuna famiglia colpita si verificano tragedie – afferma Salvatore Mancuso, segretario generale di Cisl Magna Graecia -. Il dato nazionale è più che allarmante, più di tre morti al giorno. La Calabria che è sempre alle ultime posizioni nelle classifiche che riguardano le cose positive, primeggia viceversa in quelle negative, e questa delle morti bianche è una di loro. Nell’ultima settimana due incidenti mortali a Lamezia Terme».

«Vogliamo andare otre la solidarietà – ha sottolineato –. Al prefetto chiediamo di aprire un tavolo con tutte le associazioni che sono interessate, per esempio l’Anmil, gli enti come Inail, le imprese, i lavoratori, per fare quanto è necessario. Aumentare i controlli, la formazione e la formazione. Spesso sono le aziende più piccole ad avere atteggiamenti di trascuratezza sulle norme, anche gli stessi lavoratori sottovalutano talvolta i rischi. Dobbiamo aiutare imprese e lavoratori perché il fenomeno si riduca. Urge un lavoro di squadra, c’è tanto da lavorare verso l’obiettivo zero morti sul lavoro».

«La Calabria non è ultima sul piano della rivendicazione dei diritti – aggiunge Santo Biondo segretario generale regionale e di Uil Calabria–. Il sindacato oggi a Catanzaro pone la questione al centro dell’agenda politica. Basta discutere, occorre agire. Al governo nazionale chiediamo più sanzioni, più ispezioni, una procura nazionale dedicata perché spesso le vittime non sono tutelate dalla giustizia, assunzioni negli ispettorati. Ma anche il governo regionale deve fare il suo. Al Consiglio chiediamo di istituire una Commissione regionale sulla sicurezza e sull’emersione del lavoro nero che indichi al governo regionale e al Consiglio come legiferare in materia. È intollerabile che le risorse europee vadano a finire anche alle imprese che non applicano la normativa vigente non applicando i contratti stipulati con le organizzazioni sindacali più rappresentative».

«La politica affronti seriamente la questione – ha ribadito – tanti omicidi, tante morti, tante invalidità permanenti. La Calabria faccia da apripista. Gli osservatori non servono. Le risorse ci sono. Il lavoro è materia concorrente, e le Regioni devono fare la loro parte non favorendo le aziende che ammalorano il mercato del lavoro e premino le aziende virtuose. Il tempo delle chiacchiere è finito. Sul piano regionale il presidente Occhiuto e il Consiglio dimostrino di avere a cuore questi problemi». (rcz)

Morti sul lavoro, Mammoliti (PD) chiede alla Regione interventi immediati

Il consigliere del Pd, Raffaele Mammoliti, ha depositato una interrogazione alla Regione chiedendo interventi immediati per le morti sul lavoro.

«I ripetuti episodi di incidenti mortali sul lavoro – ha spiegato – registrati durante gli scorsi giorni nel nostro Paese  e in Calabria interpellano la coscienza di ciascuno, per come affermato dal Presidente Sergio Mattarella, e impongono a tutti gli attori competenti di intervenire con maggiore incisività e forza».

«Garantire la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro – ha ribadito – non può essere considerato un costo, ma un autentico investimento e un dovere per tutelare la vita dei lavoratori e applicare concretamente la nostra Costituzione. Solo attraverso l’affermazione della cultura della prevenzione, la formazione e il rispetto dei contratti di lavoro si potranno evitare infortuni mortali e  malattie professionali che negli ultimi tempi stanno costantemente aumentando».

«In meno di una settimana – ha ricordato – in Calabria si sono registrate due morti sul lavoro e i dati Inail riportano una media di 80 decessi al mese nel nostro Paese. In questo quadro l’indice di incidenza  della Calabria, elaborato dall’Osservatorio Sicurezza e Ambiente di Vega Engineering, unitamente ad altre regioni ( Umbria, Abruzzo e Basilicata) nei primi sette mesi del 2023, è addirittura del 125% superiore alla media nazionale».

«Il quadro diventa ancora più drammatico – ha proseguito – se  prendiamo in considerazione anche i dati provenienti dai cantieri  risultati irregolari soprattutto in Calabria, in seguito alla Maxoperazione “vigilanza 110 in sicurezza”, effettuata lo scorso 29 Marzo su tutto il territorio nazionale, da Ispettorato del Lavoro  in collaborazione con Arma dei Carabinieri, ASL, Inps, Inail».

«Ugualmente preoccupanti risultano, poi – ha detto ancora – le irregolarità riscontrate dopo i controlli effettuati dall’Ispettorato del Lavoro all’interno delle strutture turistiche in Calabria e relative ai rapporti di lavoro, al lavoro nero e all’orario di lavoro. Questi ultimi dati sono stati denunciati pubblicamente anche in seguito alla presa di posizione pubblica della Filcams Cgil regionale che  protesterà il prossimo mercoledì sotto la Cittadella».

«A fronte di un quadro così complesso e in via di peggiorament – ha evidenziato –, sono convinto che occorra agire con la necessaria determinazione e urgenza per assumere provvedimenti adeguati e coerenti per contrastare gli infortuni sul lavoro  e  evitare morti che non sono più accettabili per un Paese che voglia davvero dirsi moderno».

«Con questa  consapevolezza e impegno  – ha concluso –parteciperò, anche in rappresentanza del gruppo del Pd, al presidio unitario indetto  da Cgil Cisl, Uil lunedì a Catanzaro davanti la Prefettura per dire “Basta Morti sul Lavoro». (rrc)