Al Procuratore Nicola Gratteri il Premio “Una vita per la musica”

di CATERINA RESTUCCIA “Guida lui! Guida lui!” Era all’uscita, alla conclusione di un evento culturale che ha voluto proprio il dottor Nicola Gratteri, Procuratore Capo della Repubblica del capoluogo Catanzaro, un grande uomo a cui oggi la Calabria è profondamente debitrice.

Commentavano esattamente così uomini e donne, una volta usciti ed uscite dalla piccola e suggestiva chiesa di Sant’Antonio in Laureana di Borrello (RC).  

Promotrice dell’iniziativa, con il riconoscimento del Premio dell’Edizione Speciale “Una vita per la musica”, è stata l’Associazione Culturale Musicale “Paolo Ragone” A.P.S. con la caparbia unione per la siffatta riuscita del Presidente geometra Francesco Fruci e della vicepresidente Anna Maria Chindamo. Ed è la gentile vicepresidente che rilascia qualche immediata dichiarazione «Sono oltre cinque anni che tentiamo di portarlo al Premio, lo attendevamo con ansia». 

Macchina organizzativa impeccabile. Ordine, rispetto, silenzio sono state le componenti essenziali, oltre al protagonista Nicola Gratteri, che hanno perfettamente disegnato la serata. 

Lui si è fatto attendere, è vero, anche oltre il classico ritardo accademico, ma l’ora sforata ne è valsa la pena, le emozioni dei presenti, dagli uditori ai musicisti della fantastica Orchestra, hanno reso testimonianza loquace di un’attesa valevole.

Autorità militari, religiose e politiche sono state in prima fila ad applaudire il Procuratore Capo con riverente ossequio. All’evento presenti anche Lamberti Castronuovo, Michele Albanese e Gregorio  Corigliano, voci e firme storiche della Calabria di cronaca narrata, stampata e pubblicata. E lui, Nicola Gratteri, non poteva non lasciare il suo segno, l’uomo che guida da sé la macchina con scorta, ha coinvolto come sempre la navata affollatissima. Non prepara discorsi lui, non scrive relazioni per arrivare direttamente al pensiero e al cuore dei Calabresi, parla in modo semplice, spicciolo, chiaro e diretto e soprattutto quando semplifica con fatti pratici sa bene come e a chi rivolgere il discorso.

Ovviamente è sempre il malessere del territorio che gli interessa sanare e va diretto al dunque: «Quando arrestiamo 40 – 50 persone che hanno tenuto sotto una cappa un paese di 5000 abitanti io dico adesso andate a sedervi sulle panchine, occupate quei posti che abbiamo liberato, create associazioni, aprite attività… Tutto ciò so non basta, io vorrei una politica presente e coraggiosa, una politica che realizzi progetti seri, validi».

La Calabria prende consapevolezza, manifesta la sua presenza, dimostra il suo orgoglio e senza fronzoli e altri artifici lo stesso sindaco della cittadina di Laureana di Borrello, avvocato Alberto Morano sente la necessità di esplodere in una dichiarazione di genuina solidarietà «Il Procuratore non può essere lasciato solo, ma deve essere accompagnato dalle comunità e dallo Stato!». Un tono importante e solido che ha ancor più rafforzato i già evidenti sodalizi tra le parti presenti al Premio.

L’Orchestra Giovanile di Laureana, diretta dal suo Maestro Maurizio Managò, non si è smentita neanche stavolta, disciplinata, armoniosa e di magistrale professionalità ha suonato per l’evento, calamitando non solo l’ascolto quasi in preghiera dei numerosissimi convenuti, ma soprattutto facendo convergere costantemente finalità ed obiettivi di allontanamento dagli ambienti criminali del territorio di una popolazione giovane sempre a rischio.

Il progetto lodevole e ambizioso, serio e appassionato, intende, come si è anche udito dalle stesse parole del Presidente Fruci, dimostrare che il nostro territorio e la Calabria tutta non producono nefandezze e atrocità, ma frutti di genialità che spesso portano lustro e onore alla nostra terra. (cr)

Dal libro “Non chiamateli eroi” di Gratteri e Nicaso una serie tv

di PINO NANOPer il mondo del cinema si parla già di una “serie TV” di forte impatto mediatico e di grande successo di pubblico, un nuovo format televisivo che ricostruisce e racconta i protagonisti dell’ultimo libro del procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri e dello scrittore calabro canadese Antonio Nicaso Non chiamateli Eroi.

«Saranno tutte storie forti – anticipa Giulia Zanfino, che di questo progetto è la regista e la sceneggiatrice principale – ma alcune lo saranno di più. Tra queste quella del piccolo Cocò Campilongo di soli tre anni, che nel 2014 ha avuto larga risonanza mondiale, tanto coinvolgere Papa Francesco che, sceso in Calabria proprio nella spianata di Sibari, alla presenza di circa 250 mila persone scomunicò i mafiosi. E proprio per la produzione di questo episodio, il Comune di Cassano, ha sottoscritto una lettera di partenariato con la Mediano Film per la realizzazione del progetto in linea con la cultura della legalità ad ogni livello e che mira a conservare la memoria di tutte le vittime innocenti di mafia. 

«La nuova serie televisiva – spiega Giulia Zanfino – racconterà le storie di Giuseppe Letizia pastore dodicenne che nella Corleone del ’48 la mafia, per mano di un giovane Luciano Liggio, decise di uccidere perché aveva assistito all’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto. Ma racconterà anche la storia di Gelsomina Vono che tornando a casa, dopo una giornata tra Scampia e Secondigliano a fare volontariato con i bambini delle famiglie difficili, venne rapita da tre giovani balordi, appartenenti a famiglie di malavita napoletane, che la seviziarono per tre giorni per poi ucciderla. E sempre a Napoli qualche mese prima Annalisa Durante aveva perso la vita. Era nei vicoli di Forcella, era uscita di casa per raggiungere un’amica e tutto accade in fretta. Un motorino le passa accanto veloce. Gli spari squarciano il silenzio di un quartiere semi deserto. La ragazza non fa in tempo a girarsi. Un proiettile destinato all’inseguitore la colpisce in pieno. La mafia uccide anche così. Per sbaglio». 

Ma la nuova serie TV scritta a quattro mani da Giulia Zanfino e Antonio Nicaso ricostruisce anche i tentacoli delle mafie che arrivano fino al salotto buono della sfavillante Milano anni Settanta, «dove Giorgio Ambrosoli chiuso nel suo studio, lavora fino a notte fonda per cercare di trovare i duecento miliardi che mancano nelle casse della banca di Michele Sindona. È una calda sera di luglio e l’avvocato sta raggiungendo una trattoria. Cinque amici lo aspettano per cena. Parcheggia e scende dalla macchina. “Il signor Ambrosoli?”. Una voce dall’accento straniero attira la sua attenzione. L’avvocato si gira. “Mi scusi signor Ambrosoli”. I tre colpi di arma da fuoco vibrano nell’aria» 

Così come vibrano i colpi sparati a don Pino Puglisi il 13 settembre 1993 nelle vie di Palermo, il giorno del suo compleanno. “Questa è una rapina!”, urla Gaspare Spatuzza, lì insieme a tre complici, mentre strappa il portafoglio al parroco degli ultimi.  Don Pino Puglisi capisce subito e sorride, guardando dritto negli occhi il suo assassino. “Me l’aspettavo”, dice. “Invece Lea Garofalo non se lo aspettava. Non dal padre di sua figlia, che aveva denunciato anni prima. Quando quella sera del novembre 2009 sta attraversando la strada che corre lungo il cimitero monumentale – non immagina quale sarà la sua sorte. E quando la mattina dopo una lunga colonna di fumo nero taglia in due il cielo grigio di quel gennaio 2014, nessuno immagina che tra i resti carbonizzati ci sia anche quello di Cocò Campolongo, tre anni, tutta la vita davanti. Morto perché usato come scudo umano contro una barbarie più grande di lui. 

Ma c’è dell’altro ancora in questa nuova avventura di Emanuele Bertucci produttore di Mediano Film, come per esempio la storia terribile di Giuseppe Di Matteo, 15 anni, colpevole di essere figlio di un pentito. Quella mattina del novembre 1994 voleva andare a cavallo, ma è stato prelevato da 5 uomini travestiti da forze dell’ordine. E ancora, gli sberleffi alla mafia di Peppino Impastato, le battaglie del mugnaio calabrese Rocco Gatto che diceva alla sua gente: “Loro sono pochi, noi siamo tanti. Possiamo batterli!”. E infine Libero Grassi, che non si è mai piegato alle richieste di estorsione. Le loro storie di umanità e coraggio mostrano come condurre una vita onesta, in alcuni territori, sia un gesto forte quanto un atto eroico. (pn)

In copertina, la regista Giulia Zanfino

 

Proporre la cittadinanza onoraria di Milano a Nicola Gratteri

Firmiamo la petizione di WikiMafia in favore di Nicola Gratteri  come “Cittadino Onorario” di Milano, il magistrato calabrese che vive sotto scorta dal 1989, più di 33 anni, un “pezzo” della Repubblica che ha profondamente segnato la storia della giustizia in Italia di questi anni.

Perché non ricordarlo? Nel maggio scorso gli Stati Uniti d’America hanno avvertito il Governo italiano di un progetto di attentato ai suoi danni, captato dall’FBI in conversazioni tra alcuni boss della ‘ndrangheta in Sudamerica.

C’è di più. La procura di Salerno riceve in media tre segnalazioni di minacce di morte al mese che riguardano il Procuratore Capo di Catanzaro. La sua famiglia è stata messa sotto scorta e lui stesso è costretto a muoversi con cinque jeep blindate, una delle quali munita di “bomb jammer”, allo scopo di inibire al suo passaggio le frequenze che servirebbero ad azionare l’esplosivo attraverso un radiocomando. 

Oggi WikiMafia lancia una petizione in suo favore, petizione popolare che ha già raccolto un fiume di firme, ma non poteva che essere questo il risultato di una iniziativa che vede protagonista uno dei magistrati più esposti ma anche più amati del Paese.

Nicola Gratteri – ricorda il sito ufficiale di WikiMafia – ha confidato di recente a Fedez e Luis Sal, durante l’ultima puntata del loro programma radiofonico, Muschio Selvaggio, che “Il 1° livello di protezione lo auguro ai miei nemici“. Un uomo che conduce una vita blindata, che subisce quotidianamente attacchi concentrici per le sue inchieste, e che ciononostante gira ancora l’Italia per diffondere la cultura della legalità. 

La sua bocciatura come Procuratore nazionale antimafia – scrivono i vertici di WikiMafia – “l’abbiamo ritenuta un’occasione mancata. Una bocciatura che per altro ha contribuito a isolarlo ulteriormente agli occhi delle ‘ndrine calabresi”. 

Ecco, allora, la decisione di aprire una petizione in suo favore per il conferimento della cittadinanza onoraria di Milano

Milano – sottolinea il team di WikiMafia – “è oramai la capitale dell’antimafia, come abbiamo sottolineato già un anno fa. Nonostante qui si concentrino le principali famiglie delle varie organizzazioni mafiose, la sinergia tra istituzioni e società civile ha permesso in oltre dieci anni di trasformare radicalmente la cultura cittadina e la sua sensibilità contro il fenomeno mafioso”.

Nel 2015 WikiMafia aveva già avviato con successo una petizione per concedere la cittadinanza onoraria della città al dott. Nino Di Matteo, altro grande magistrato italiano a rischio. Obiettivo raggiunto il 4 aprile 2016, “grazie anche ad Agende Rosse e al Presidente della Commissione antimafia dell’epoca, David Gentili”. 

Crediamo sia importante che il Consiglio Comunale di Milano proceda senza indugi alla concessione della cittadinanza onoraria anche al dott. Nicola Gratteri, perché questo – spiegano i vertici di WikiMafia –  “Non solo uniformerebbe la città di Milano ai tanti comuni dell’hinterland milanese che vi hanno già provveduto, ma sarebbe un chiaro segnale alle organizzazioni mafiose presenti in città. Per raggiungere questo obiettivo, chiediamo a tutte le cittadine e i cittadini milanesi e agli studenti che vivono e studiano a Milano di firmare e diffondere questa petizione”.

Il sistema in queste ore è quasi andato in tilt per gli accessi richiesti: “A causa dell’alto numero di firme, il sistema ha difficoltà a inviare correttamente a tutti l’email di conferma. In quel caso non vi preoccupate: la vostra firma verrà ugualmente conteggiata! Nel caso vi ricontatteremo via e-mail “manualmente” per avere una conferma da parte vostra!  Grazie a tutti quelli che firmeranno e ci daranno una mano a diffondere!”.

Avanti tutta Procuratore Gratteri.  (pn)

Nicola Gratteri ospite del podcast “Muschio Selvaggio” di Fedez e Luis Sal

di MARIACHIARA MONACOFedez e Luis Sal, nel loro podcast Muschio selvaggio, seguito da una vasta platea di giovani e giovanissimi, hanno ospitato il Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, figura di grande rilievo nella lotta al crimine organizzato, e non solo, visto che insieme al dott. Antonio Nicaso, hanno dato vita a numerosi libri improntati sul fenomeno mafioso, anche per i più piccoli (come il volume intitolato Non chiamateli eroi), perché la legalità non ha età. 

«Parlare ai giovani è molto importante, quando posso, vado sempre nelle scuole, non solo per far conoscere e per parlare del fenomeno mafioso che attanaglia ormai ogni angolo del mondo, ma anche perché la comunicazione è fondamentale, e aiuta a prevenire numerose situazioni spiacevoli».

Per il magistrato è fondamentale quindi dare un’alternativa alle nuove generazioni, che devono avere sempre la possibilità di scegliere da che parte stare, nel bene o nel male.

Diversi i temi affrontati dai due conduttori, a partire da quella che è considerata la mafia più potente al mondo, che fattura più di 50 milioni di euro l’anno, ovvero la ‘ndrangheta, che si differenzia ed è più potente delle altre, perché mentre Riina preparava la guerra allo Stato, la mafia calabrese intavolava accordi con gli uomini delle istituzioni, con la politica, e con il mondo delle professioni.

«Questo è stato possibile quando nel ’70, hanno avuto la grande intuizione di creare la Santa, la prima dote della società maggiore, che consente ad un soggetto la doppia affiliazione (nella ‘ndrangheta e nella massoneria deviata). Attraverso la massoneria deviata si gestisce il potere clientelare, vero cancro della società contemporanea», afferma Gratteri.

Non solo, la mafia calabrese inizia a finanziarsi con i sequestri di persona, in un periodo storico complesso per l’intero paese, “distratto” dal terrore rosso, che non perdeva occasione per gambizzare uomini politici, giornalisti, magistrati, industriali. Agendo sotto traccia, la ‘ndrangheta operò quasi indisturbata, scegliendo accuratamente le personalità da rapire, e chiedendo un lauto riscatto. Tutto questo avveniva in un triangolo di circa venti chilometri, nella parte più interna della regione, ai piedi dell’Aspromonte.

Con la montagna di soldi che riuscivano ad ottenere, i criminali, acquistavano beni materiali per affermare la loro grandezza, e perché no, per appagare il loro ego, allo stesso tempo avviarono numerose attività imprenditoriali soprattutto nel settore edilizio.

«Vent’anni dopo però – spiega Gratteri – mentre Cosa Nostra era ancora impegnata a combattere lo Stato pensando di dettare l’agenda, la ‘ndrangheta aveva capito che la società stava cambiando, e con essa cambiavano i costumi, i gusti, le multinazionali iniziarono il processo di omologazione che conosciamo ancora oggi. Stava cambiando anche il modo di drogarsi, e iniziò ad esserci una grande richiesta di cocaina, così senza perdere tempo, le famiglie più influenti, mandarono ragazzi in Sud America, a comprare cocaina al prezzo più basso, sono stati i primi in Europa ed hanno saturato il mercato».

C’era qualcosa di più importante del sangue versato e della lotta fra clan: il potere decisionale (la ‘ndrangheta è l’unica mafia che compra cocaina nella foresta Amazzonica a mille euro al chilo, con un principio attivo del 98%).

Si è poi ricordata la strage di Duisburg, una vera e propria lotta fra famiglie, nata a causa di uno scherzo di carnevale finito male, che però per un periodo piuttosto lungo puntò i riflettori sul fenomeno criminale organizzato, che prima di allora, all’estero facevano finta di non vedere.

Eppure la Germania è il secondo paese con il più alto numero d’intensità ‘ndranghetista d’Europa, risultato frutto di una legislazione favorevole, che anziché allontanare, avvicina il crimine. Insomma, un paradiso fiscale, più che terrestre per aguzzini senza scrupoli, che non hanno faticato nemmeno un po’ nel diventare broker di primo livello.

«Questo non avviene solo nella vicina Europa, ma anche in Australia, negli Usa, in Canada. Pure nel Nord Italia, molte attività commerciali, il mondo della grande distribuzione, della ristorazione, vengono gestiti da prestanome, dei cani al guinzaglio che eseguono gli ordini del padrone».

Si tratta di un sistema, che possiede un codice, un tribunale, e che soprattutto si nutre di simboli e di regole, una delle più importanti è: uccidere durante i giorni di festa, in modo tale che il trauma resti per sempre, e non lasci scampo a coloro che devastati dal dolore, piangono un altro morto ammazzato.

Un racconto interessante, che tramuta in un’attenta riflessione sull’uomo. Perché Nicola Gratteri, è sì un grande magistrato, ma è soprattutto un uomo che per combattere il cancro della criminalità, ha rinunciato alle cose più semplici che ognuno di noi compie nella propria quotidianità, come andare al supermercato, in chiesa, oppure una semplice passeggiata con il cane.

Si definisce scherzosamente un “Esperto agricoltore infiltrato in magistratura”: «Di domenica faccio agricoltura biologica, ho il mio orto, i miei animali. La natura per me è sinonimo di libertà, è la mia terapia. Provengo da una famiglia di contadini, avevamo ulivi, grano, dovevamo essere autosufficienti per tutto l’anno».

Ha la scorta dal 1980, ed ogni suo spostamento è controllato dagli uomini delle forze dell’ordine 24 ore su 24. Egli confessa che nell’ ’89 mentre stava svolgendo delle indagini molto importanti, una sera spararono alla finestra dell’abitazione della fidanzata (sua attuale moglie), dicendole che avrebbe sposato un uomo morto.

«Nonostante i numerosi attentati annunciati contro di me e la mia famiglia, continuo a fare il mio lavoro, e credo ci sia maggiore fiducia nella gente. Una volta a settimana, di pomeriggio, faccio ricevimento e molte persone vengono a denunciare estorsioni, sottomissioni, usure. Credo che le persone non siano omertose, semplicemente non sanno con chi parlare».

Nel 2014, Renzi le aveva proposto il ministero della giustizia? 

«Conoscevo l’allora ministro per gli affari regionali Delrio, molto vicino a Matteo Renzi, che sì, mi aveva proposto di fare il ministro, io all’inizio tentennai, perché per fare le rivoluzioni ci vuole gente nuova. Comunque sia, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non accettò la proposta di Renzi».

Insomma, la stanza dei bottoni non si aprì per il Procuratore, che però, non si astiene nel rispondere all’ultima domanda, prima di lasciare la trasmissione.

Qual è la ricetta per curare le ferite ancora aperte del paese? 

«La prima ricetta è la velocizzazione e l’informatizzazione del processo penale e non solo, poi la seconda è l’istruzione. Affinché la scuola diventi più performante, soprattutto in contesti ad alto rischio criminale». (mm)

L’OPINIONE / Franco Cimino: Usare i palazzi storici di Catanzaro per i cittadini

di FRANCO CIMINO – L’ho vista in diretta Facebook. Non ero, evidentemente e per diversi motivi, invitato e non ci sarei potuto andare se anche lo avessi voluto. L’ho vista, però, tutta l’inaugurazione della nuova sede della Procura della Repubblica di Catanzaro.

È stata una festa del fatto e dell’autorevole persona che obiettivamente l’ha determinato. Il fatto, straordinario veramente per una terra che non trasforma in realtà neppure ciò che le viene portato su un piatto d’argento o, come usa dire, chiavi in mano, è la ristrutturazione a tempo record, del Convento del quattrocento, a noi noto purtroppo solo per essere stato l’ospedale militare su cui tanti fragili benefici ha costruito la nostra Città, sempre debole di progettualità e di sogni in essa realizzabili. È stata una festa sobria nell’ora del tempo breve di sé assai più sobria. Sobri e contenuti nell’imposta brevità gli interventi programmati, ai quali è mancato stranamente quello del sindaco, che forse a qualcuno è sfuggito essere nella propria Città sempre il primo cittadino, secondo solo al Presidente della Repubblica, se ivi presente.

Semplice la cornice che l’ha ospitata, anche se a renderla solenne e spettacolare è bastato quel magnifico quadrato in cui si è svolta. È il chiostro su cui vigila attento e forte la cinta di mura dietro le quali scorrono spazi stupendi, dai quali, dall’ingresso o dai nascondimenti, del tempo riappaiono portali e affreschi di sconosciuta bellezza. Neppure il più grande regista teatrale e cinematografico avrebbe potuto costruire uno scenario così bello. E neppure uno scrittore e un pittore di valore avrebbero saputo rappresentarlo così bene. Solo l’arte dell’architettura del quattrocento, la visione religiosa dell’opera dell’uomo, l’ottimismo del tempo, il fine cui quell’edificio era affidato, il Convento degli Osservanti, avrebbe potuto pensarlo, progettarlo, costruirlo.

È stata una bella festa, come lo è sempre quando un bene si offre ad altro bene e insieme alla Comunità che dovrebbe goderlo. Una bella festa, anche, e giustamente, per il dottore Gratteri, l’uomo testardo e volenteroso, che quando si mette in testa una cosa la realizza facendo ricorso soprattutto alle sue risorse, anche fisiche, straordinarie. Nella sobrietà del suo discorso ha nuovamente detto parole forti, riproponendole nei brevi video del suo iniziale lavoro in Procura, apparentemente indirizzate a coloro i quali (pochissimi tanto che io non ne ricordo uno, tranne il mio soltanto e quello di un noto avvocato e politico catanzarese che per pochissimo mi ha sostenuto in quella “gentile” battaglia) avrebbero pensato a un’altra destinazione di quell’edificio monumentale. Pensato e lungamente motivato è stato il mio pensiero in merito.

Che così sintetizzo: Catanzaro ha bisogno di giovani, che studino dentro spazi non solo confortevoli ma anche pieni di storia e di bellezza. Ché la storia si impara anche con gli occhi e la bellezza si respira soprattutto col cuore.

Quel Convento della seconda metà del Quattrocento, a due passi dal Centro Storico, che i giovani e nuova vita attende da troppi anni per liberarsi del traffico d’auto, dei rumori dei motori e poter finalmente riascoltare il vociare e i passi delle persone, mi sembrava, e da tempi molto lontano da quello dell’avvento di Nicola Gratteri, fosse perfetto per allocarvi una o più facoltà universitarie, oppure un polo poliartistico che andasse dal Conservatorio all’Accademia della Bellezza Arti.

Con gli occhi aperti, sognando, ogniqualvolta, per più volte al giorno, di tutti i giorni, compresi i molti estivi, vi passasi davanti, che in quelle stanze si potessero tenere lezioni. E in quella corte o chiostro i ragazzi, nelle pause dello studio, si dessero agli incontri, amicali e amorosi, ovvero soltanto per discutere delle proprie semplici cose e di quelle complesse del mondo. E poi, tutti, al riapparir della prima sera sul Corso, a bere una birra, a fare l’aperitivo, prima di un bel film o del teatro, o di una pizza o di un piatto.

Ovvero, di un buon morzeddru nelle trattorie tipiche, nel frattempo da noi catanzaresi, istituzioni comprese, difese e valorizzate. Un’idea, questa mia, che vive sulle stesse altre idee, a questa vicine, riguardanti l’utilizzo di palazzi storici. E sono ancora tanti, nonostante alcuni, tra i più importati, le amministrazioni pubbliche se li siano lasciati sfuggire, quando addirittura esse stesse non le abbiano “(s)vendute” ai privati.

Tutto questo mio sentire, che viene dal sogno, fa parte della mia idea di Città, che può rinascere se innalza la soglia delle sue ambizioni. E se, al di là della difficile emergenza in cui essa è stata costretta da una classe dirigente negli anni sempre più debole sotto ogni profilo, saprà puntare decisamente sulla promozione della Cultura, che è, lo ripeterò fino alla noia, recupero della storia di Catanzaro e della sua lingua, valorizzazione delle sue tradizioni, religiose, in particolare, ché si trovano in ogni quartiere o parte più piccola del suo territorio. Cultura che è cura, promozione, dei luoghi antichi, dalle piazze alle chiese ai palazzi.

Cura questa che avrà più valore se in quegli luoghi vi si farà vivere la Città nella sua anima più profonda e nei suoi elementi fondamentali, a partire dai cittadini. Un luogo della memoria storica sarà pienamente della Città se lo potranno godere liberamente e quotidianamente tutti i cittadini, anche come famiglie e singolarmente intesi. Tutto questo mio idealizzare “concretamente” si agita all’interno della mia visione di Città, del suo essere capoluogo di Regione, del suo chiamarsi Catanzaro, la Città, per cultura e posizione territoriale, aperta al mondo intero. Città ricca di bellezza con il suo mare che la bagna, l’altro che la guarda e i suoi monti, quelli della Sila, che le fanno da mantello sulle spalle, per per darle la frescura d’estate e quel vento buono che dal caldo afoso la ristora. Io sono questo. Sono il mio sentire, il mio sognare, il mio testardo voler sempre coniugare sentimento sensibilità e sogno all’interno di un agire sociale, che io chiamo Politica.

La Politica che ho sempre professato e praticato, senza soluzione di continuità e senza la deviazione dell’ambizione personale. Quella che porta molti praticanti la politica ad assoggettarsi a un potente, a cambiare continuamente veste, casacca, opinione e posizione, pur di potersi annoverare negli elenchi dei graditi al potere che conta. Ovvero, poter restare nel proprio piccolo potere disinvoltamente conquistato e a qualunque costo mantenuto.

Io sono questo, perché sono sempre stato un maestro di scuola anche nei licei in cui ho insegnato. E tale resterò per costituzione caratteriale e per il dovere di non venir meno agli ideali che ho presentato ai miei ragazzi. Anche quando ho parlato della Città. E di loro nella Città in cui vivono. E in quella che devono costruire con le proprie mani. Io sono questo, in quanto figlio di un padre che gli ha insegnato, senza libri nella testa, attraverso detti antichi, la filosofia più profonda. Ne ricordo adesso solo quelli utili al mio dire. Il primo:” cu pocu ha caru ha.” Il secondo:” iungiti cu i megghiu toi e facci i spisi. “Il terzo:” cosa fattu, capu ha.”

Il tutto mi porta a dire che adesso che all’ex Convento e ex Ospedale Militare vi è la nuova sede della Procura, realizzata con un finanziamento complessivo di circa dieci milioni di euro ben impiegati a tempo record, che la Città ha ottenuto un bene importante del quale potrà farne un utile più vasto di quello già alto della Giurisdizione.

L’ha realizzato il procuratore Gratteri con la forza del suo coraggio e di una visione delle cose fortissima, pur se diversa dalla mia. Una visione che gli è stata consentita dalla sua intelligenza e dal suo spirito di concretezza, dal suo amore per la professione e per i luoghi in cui essa si esercita, ma anche, se mi è ci sentito, dal fatto di non essere di Catanzaro. Di questa opera la nostra non potrà che essergliene grata per sempre, augurandogli ogni successo nella vita come nel lavoro. Specialmente, in quello prossimo che lo attende in una sede assai importante, non solo in Italia ma nel resto dell’Europa. Nel ringraziarlo anch’io pur se non ci siamo mai incontrati di persona (ho alcuni suoi libri non autografati), desidero, della sua schiettezza ripetuta ieri, sottolineare il suo atto d’accusa alla politica nostrana, che con i suoi rappresentanti presenti nel chiostro pure lo applaudiva.

Riguarda quel passaggio, da me condiviso, in cui dice, quasi testualmente, che lui ha portato in salvo un Palazzo storico abbandonato da anni e sul quale non vi era traccia di un progetto o di uno straccio di finanziamento. Un duro atto d’accusa a questa politica, che io condivido. E quindi, “cu pocu ricevetta tantu bonu si pigghiau” parafrasando il detto “ megghiu chistu ca nenta”. (fc)

L’OPINIONE / Franco Cimino: La procura di CZ nello storico Palazzo di Piazza Stocco

di FRANCO CIMINO – Cosa fatta, capu ha, questo mi diceva mio padre, me piccolo e molto giovane. Anzi, me lo ripoté fino alla fine dei suoi giorni, me ormai adulto e sposo e padre e prof e tante altre cose di “elevata importanza”. Con questo detto antico egli mi voleva significare che quando un cosa viene fatta, tuo malgrado, devi andare a cercarvi dentro, ché una qualche ragione deve averla. Oppure, una qualsiasi cosa anche se non bella, o dannosa, o brutta, deve trovare nella intelligenza delle persone un motivo che la trasformi nel suo essere stata realizzata già, e in quel modo. Ci sono altri significati, la filosofia popolare ne sforna per lo stesso detto a decine se non a centinaia. Ne riferisco un altro soltanto.

Questo: ma fregatene, lascia correre, non farti u sangu acidu o u ficatu spattu. Lo vedi come va la vita, cumandanu sempre idhri. Arrigetta stu cervedru, spegna stu cavulu e cora, ca sinnò mori poveru e pacciu. Non gli ho mai dato retta su questo. E sono andato avanti con la mia testa adagiata sul cuore, uno battente, l’altra producente. Pensieri tesi e forti. Ma anche inquietudine profonda mista a rabbia e a senso di insopportabile sconfitta. Tuttavia, se in determinate situazioni, specialmente quelle delle battaglie nobili perse( sono quelle dell’onestà dei comportamenti e della purezza delle idee) mi sono fatto il sangue amaro e il fegato rovinato, la soddisfazione per le idee alte sostenute e il coraggio della coerenza delle battaglie per esse, mi ripaga sempre. Mi gratifica alquanto.

Perché quelle idee restano. La tua parola è ferma. Incancellabile. Per questo, e lo ripeto ai trinariciuti, io scrivo tanto. Specialmente, da quando non ho una cattedra e una tribuna o una piazza da cui parlare. Scrivo, per documentare ciò per cui mi batto. Per ricordarlo agli altri, come da mio dovere di uomo politico e di persona impegnata nel sociale. Per memorizzarlo a favore delle mie figlie, per il dovere che un padre ha nei confronti di chi ha contribuito a generare. Per farsi conoscere meglio. Infine, per ricordarlo a me stesso, quando la mia memoria seguirà l’incertezza delle mie gambe pesanti. 

Una delle battaglie che ho sostenuto con ferma convinzione, tra le tante fatte con forza ideale, per tutelare la bellezza della mia Città, è stata quella della difesa e valorizzazione del Convento del 1400, dominante piazza Stocco, meglio noto come ex Ospedale Militare, luogo storico per la Città e romantico per decine di migliaia di giovani calabresi, ora non più tali. Questa battaglia l’ho condotta in due fasi.

La prima, supportando la fatica enorme che Quirino Ledda (il comunista sardo inviato dal PCI a Catanzaro molti anni prima e divenuto con la sua passione e fatica consigliere e vice presidente dell’Assemblea Regionale) ha consumato, e con grande intelligenza, per restituire al Capoulogo, attraverso iniziative legali richieste al Comune, il bellissimo edificio quattrocentesco dopo una lunga contesa con il Demanio che ne rivendicava, erroneamente, la proprietà. Quella battaglia fu vinta. Ed è stata una vittoria bellissima! Poco compresa, purtroppo, dai cittadini e, per ignoranza, scarsamente utilizzata dalla politica locale. La seconda, l’ho iniziata in occasione della mia campagna elettorale per la carica di Sindaco, “evitatami” per soli pochi voti, nel famoso intenso ballottaggio del duemilasei. Nel mio programma vi erano idee e progetti che non ho mai abbandonato avendoli collocati nell’idea di Città che non ho mai dismesso. Al centro di essa vi è il recupero e la valorizzazione della Bellezza, su cui potremmo fare, ma qui non possiamo, un lungo discorso. Uno piccolo di principio, però, sì. Ed è che cultura e bellezza si incontrano nella cura dei luoghi.

Quelli naturali e quelli storici, architettonici, urbanistici. Questo incontro è felice quando la Politica, inserendoli in una visione alta della Città, li riempie di contenuti che a quella visione concorrono. La mia visione è che gli edifici storici debbano essere luoghi della cultura e in essa della tradizione locale, che è storia locale. Sono in sé luoghi della formazione culturale dei giovani, attraverso l’istruzione e gli studi più alti. Sono anche quelli della formazione e dell’aggiornamento e dell’approfondimento della sensibilità culturale dei meno giovani, degli adulti avanzati e degli anziani diversamente collocabili nelle varie età senili. Per l’ex Ospedale Militare, la mia idea (e quella di Ledda, che però vi ipotizzava anche l’Archivio storico comunale) era quella di allocarvi una Facoltà Universitaria importante. In particolare, Giurisprudenza e le scuole specialistiche per le professioni legali, così che la Cittadella della Giustizia avesse un “ornamento” elegante e la Città bella tanti giovani che l’avrebbero vissuta dall’interno del Centro storico, allora più desertificato di adesso.

Tanti studenti in Legge nel Centro Storico, a cui nel tempo si sarebbero aggiunti altri studenti di altre facoltà allocate in altri bellissimi edifici storici ancora disponibili nonostante la svendita di quelli più grandi. L’idea era di realizzare, nella visione di Catanzaro Capoluogo e Città aperta, della Democrazia e della Pace, una Università tra le più qualificate e anche originali d’Europa, attraverso l’articolazione della stessa in due spazi distinti ma vicini e collegati. Una sorta di doppio campus, quello scientifico, da potenziare, a Germaneto, e quello umanistico, con tutte le branche delle Scienze Umane, nel Centro Storico. 

Se nel tempo più urgente fosse risultato difficile, anche per le assurde resistenze dei vertici universitari, collocare all’ex Convento Giurisprudenza, la nostra idea era quella di un Istituto Poliartistico di valenza internazionale. Un Istituto moderno che raccogliesse quel ben di Dio di creatività che va dall’Accademia delle Belle Arti al Liceo Artistico, dal Conservatorio al Liceo Musicale e Coreutico. Che bello sarebbe stato vedere tante ragazze e ragazzi vivere il loro tempo liberato tra una lezione e un’altra e rafforzare sentimenti d’amore o d’amicizia con i libri sottobraccio o gli auricolari in testa, all’interno di quel Chiostro bellissimo. E, perché no? nella chiesetta antica attigua, magari a pregare, o pensare intimo e profondo. Che bello vederli passeggiare, con le borse strapiene sul Corso alla sera, o nelle pizzerie nei bar nei pub nei ristoranti. E nelle trattorie per u Morzeddhu piccante e afrodisiaco. Sentimentale e poetico. Tutto questo non è avvenuto per la storia a tutti nota, che ha visto protagonista assoluto, con la politica incolta distante e acquiescente, il Procuratore Gratteri, che, con la sua intelligenza e la sua personale visione dell’organizzazione della Giurisdizione, ha saputo realizzare in quel palazzo storico, che egli stesso definisce uno dei più belli d’Italia, la sede autonoma della Procura. 

Il dott Gratteri, che è magistrato di grande valore, conosce bene il mio pensiero, quando sin da subito, e ripetutamente in seguito, mi opposi alla sua idea e poi alla ferma volontà manifestata nell’indifferenza generale. La conosce bene. E non perché io possa attirare qualche attenzione e di questo spessore, ma perché fui l’unico, o tra i pochissimi che io ricordi (uno è un politico e avvocato molto importante, che poi si fermò), a opporsi all’idea del Procuratore. Ne spiegai le ragioni pure, gli archivi dei giornali potrebbero riportarla in luce. Lo feci con molta educazione attraverso una lettera pubblica che inizia confidenzialmente con “caro Nicola…”. Gli feci presente che lui, non ancora vissuto pienamente il suo ufficio, e pertanto non conoscitore della Città, nella quale poi non ha abitato, avrebbe dovuto gentilmente considerare che quella sua idea avrebbe inciso sul volto della Città, alterandone la prospettiva futura; che quel progetto per il peso e l’importanza che ha uno degli uffici giudiziari più importanti d’Europa, per il peso notevole e le necessità protettive conseguenti, avrebbe rischiato di ulteriormente dividere, e questa volta al Centro, un territorio già diviso almeno in tre parti, gravemente distanti tra loro. Aggiunsi che quella scelta si sarebbe potuta configurare come scelta politica, che solo a una politica pensosa e non subalterna alla propria ignoranza e insensibilità democratica, spettava fare e nella pienezza della capacità democratica delle istituzioni. Non fui ascoltato e la cosa andò a finire come sappiamo. Per correttezza ed educazione politica non intervenni più sul fatto. Cercai, invece, soprattutto in queste settimane di solenne celebrazione del passaggio del bene tra Comune e Procura, di seguire il detto di mio padre. Vi trovai ragioni sull’opera compiuta e in me l’intelligenza di “ piegarla” alla mia visione di Città, considerata anche la presenza di un Sindaco nuovo e a quella mia idea molto vicino. 

Pensai in questi giorni e intensamente, atteso che io da piazza Stocco, sgombra da auto e da persone, quotidianamente ci passo più volte (Catanzaro me la godo camminandovi sulla sua pelle e danzandovi sul suo cuore), di scrivere al dott Gratteri una lettera di complimenti, congratulazioni, di buon lavoro, sentimenti sinceri che da qui gli confermo. 

La sua videointervista a Catanzaroinforma, nella parte in cui tratta del recupero del Convento, mi ha, però, intristito, portandomi a pensare tanto ancora. Quel suo “bacchettare” la politica, tutta, rimproverare gli intellettuali, tutti (magari ve ne fossero stati e molti sulla posizione del No), l’ho trovata poco gradevole. E poco elegante. Per questo oggi sono intervenuto. Solo per questo, altrimenti mi sarei limitato a tifare perché tutto ciò che venga fatto a Catanzaro frutti al meglio. E nell’interesse esclusivo dei catanzaresi tutti. Anche per la nuova destinazione di Palazzo Alemanni (apprendiamo della Procura Europea), che con pochi altri si era pensato potesse diventare la sede principale del Rettorato dell’Università Magna Graecia della Calabria, felicemente in Catanzaro. (fci)

L’OPINIONE / Giacomo Saccomanno: Tutti a Milano domani per sostenere l’azione antindranghetista

di GIACOMO SACCOMANNO – Un pensiero che viene comunemente semplificato nel Gattopardo: «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima». Sono decenni che l’Italia sta cercando di combattere seriamente le mafie, ma il “sistema” ha impedito un’azione decisiva e penetrante.

Bisogna essere realistici e guardare alla storia per rendersi conto di come stiano le cose. Il “sistema” lobbistico, affaristico e mafioso ha sempre rifiutato i veri cambiamenti, lasciando tutto nel nebuloso per poter meglio operare e potersi meglio nascondere. Falcone e Borsellino, al di fuori di questo “sistema”, hanno cercato di combatterlo ed avevano indicato anche la strada. Ma sono stati traditi, molto probabilmente, da coloro che avrebbero dovuto difenderli e sostenerli. Certamente, hanno contribuito isolandoli.

Gratteri oggi sta combattendo una pesante battaglia di bonifica. Scoperchiare e spezzare i legami tra la ‘ndrangheta e il sistema economico e politico. Tutti ad applaudirlo, ad elogiarlo, ma quando è il momento dell’agire molti scompaiono! Il “sistema” è forte in Italia, ma è ancor più forte in Calabria. Le indagini ne sono lo specchio di cosa succede e di come si tenta in tutti i modi di coprire.

Il caso Bortoletti è la riprova di come non si voglia, assolutamente, fare vera pulizia. Per decenni la sanità è stata derubata e degradata, ma, a parte i proclami, nessuno vuole la verità e scoprire le responsabilità. Sia a Roma che in Calabria! Ci si tenta, ma poi, magicamente, tutto cade nell’oblio. Ma la memoria non può essere cancellata. L’azione dei commissari alla sanità, nominati dal Governo, è stata pesantemente deleteria ed ha distrutto quel poco di sanità esistente aumentando il deficit ed impedendo, anche, la sua ricostruzione. Certamente, per ostacolare di accertare le responsabilità.

Oggi i calabresi dovranno pagare tutto il deficit creato da altri e che hanno dissanguato le casse pubbliche e creato un disastro nella sanità. Il “sistema” è riuscito a bloccare ogni cosa! Si è partiti con una campagna elettorale all’insegna delle “liste pulite”, ma poi nulla è cambiato. Sempre gli stessi personaggi e le medesime facce, con incarichi diversi. Poche le novità! E chi cerca di lavorare per una politica diversa viene “isolato”. Il “sistema” non gradisce! E nulla cambia.

Il «gattopardismo» insegna! Un ceto dominante in un regime precedente, che simula di essere promotore di una nuova situazione politica, per poter conservare il potere, nascondendosi dietro un cambiamento inesistente. Questa è l’Italia, questa è, maggiormente, la Calabria. Le persone per bene devono, quindi, sostenere le azioni forti di chi vorrebbe voltare veramente pagina e maggiormente quei magistrati, come Nicola Gratteri, che stanno combattendo, con tutti i propri difetti, una battaglia di bonifica che potrebbe sanare la società e bloccare il “sistema”.

E l’informazione non può nascondersi. Deve fare la sua parte, almeno quella non collusae condizionata, e sostenere il vero cambiamento. (gs)

Martedì a Milano tutti in piazza per sostenere Nicola Gratteri

di PINO NANO – In piazza Duca d’Aosta, di fronte alla Stazione centrale, martedì 5 luglio, dalle 19 in poi, Milano vivrà una delle pagine certamente più belle dell’antimafia in Italia. Per l’occasione arriveranno a Milano da ogni parte del Paese migliaia di persone, in segno di amore, di ammirazione, di rispetto, e di immensa stima istituzionale nei confronti di uno dei magistrati oggi più famosi d’Italia, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, che da trent’anni ormai vive sotto scorta e che con le sue inchieste ha di fatto dichiarato guerra aperta e senza confine allo strapotere delle cosche della Ndrangheta in ogni angolo del mondo.

“La scoperta di un progetto di attentato nei confronti del Procuratore della Dda di Catanzaro, a inizio maggio, ci ha spinto ad agire – sottolineano i rappresentanti degli enti promotori – Trent’anni dopo le stragi di Palermo – continuano – abbiamo sentito l’esigenza di scendere in piazza il giorno prima, come scorta civica, per dire alla ‘ndrangheta e alle massonerie deviate che quella stagione è finita, fa parte di altri tempi, e che l’Italia non tollererà che qualcuno la evochi di nuovo. Diversamente, la risposta della società civile sarà durissima”. Meraviglioso, non si poteva fare di meglio, e per giunta a Milano, la città più europea del momento, la vera grande capitale del Made in Italy nel mondo.

Quello che Milano si prepara a vivere è un happening unico nel suo genere, mai realizzato prima d’ora in Italia in favore di un magistrato che è ancora sulla breccia come lui, e che non si ferma mai davanti a nulla.

In Piazza Duca d’Aosta si alterneranno in sua difesa interventi e testimonianze di personalità del mondo della cooperazione, del sindacato, dell’economia, della filantropia, del volontariato, del giornalismo e dello spettacolo.

Sembra quasi incredibile, ma in un Paese come il nostro distratto oggi dalla guerra in Ucraina, dalla pandemia nel mondo, e dalla crisi della politica che gioca ogni giorno a rimpiattino sui temi più gravi del paese, sono più di ottanta fino ad oggi le organizzazioni della società civile e i sindacati che in poche settimane si sono aggregate per questa imponente manifestazione nazionale contro la ‘ndrangheta, “a sostegno del procuratore Nicola Gratteri e di tutti coloro che rischiano la vita a causa delle mafie”.

È il segno che il Paese è stanco, non ne può più dei giochi di potere di quello che Palamara e Sallusti nel loro ultimo libro chiamano il “Sistema Giustizia”, e che vuole invece un sistema diverso, fatto di magistrati onesti e liberi, ma fatto soprattutto di maggiori garanzie istituzionali nei riguardi di magistrati che ogni giorno rischiano la vita per le strade, ma che come nel caso di Nicola Gratteri vengono poi lasciati sempre più soli con se stessi. In balia dell’ultimo cecchino so strada. Che tristezza. Che delusione.

Martedì sera ci ritroveremo tutti insieme, quindi, dalle ore 19 in poi, in piazza Duca d’Aosta, per condividere questo slogan che è il motto ufficiale della serata: “A Milano, per ricordare che la ‘ndrangheta è un problema nazionale. A Milano, per ribadire che le infiltrazioni criminali nell’economia legale sono un’emergenza per la tenuta della democrazia”.

Questa di Milano sarà una manifestazione di piazza che non è più solo un evento politico istituzionale come tanti, ma che è già diventato a 24 ore dalla data stabilita un fenomeno ormai sociale grazie alla mobilitazione già partita sui social e a cui hanno aderito con videomessaggi di supporto alla manifestazione personaggi come PIF, Marco Paolini, Albano, Michele Placido, Luca Zingaretti, Giovanni Minoli, Maurizio De Giovanni, Angela Iantosca, Padre Maurizio Patriciello, Antonio Stornaiolo, Rita Pelusio, Gianluigi Nuzzi.

Ecco chi ha aderito fino a oggi.

ACLI – ActionAid – Comitato Addiopizzo – Addiopizzo Travel – Agapanto APS Roma – Agesci- AITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile) – Altromercato – APS Parità per le Diversità – Arci Servizio Civile Calabria – Associazione Amici Della Casa Della Carità – Associazione Andiamo Avanti – ANPI – Assifero – Auser Regionale Lombardia – Auser Milano – Avvocati senza Frontiere – Azione Cattolica – CCO – Crisi Come Opportunità – Caritas Italiana – Caritas Ambrosiana – Caritas Emilia Romagna – Casa Internazionale delle Donne – Centro per l’Autonomia Cooperativa Sociale – Centro Studi Rossanese “Vittorio Bachelet”- CGIL Calabria – CGIL Lombardia – Chico Mendes Altromercato cooperativa sociale – CIES-Onlus – CISL Calabria – CISL Lombardia – CNCA Lombardia – CNCA Nazionale – Collectif Avanti – Comunità Competente Calabria – Comunità Progetto Sud – Confcooperative Federsolidarietà – Confcooperative Reggio Emilia – Comitato don Peppe Diana – Consorzio Sir – Consorzio Cooperativo Nausicaa – Consulta Nazionale Antiusura Giovanni Paolo II – Centro Sportivo Italiano Milano – SV.net – E.V.A. Cooperativa Sociale – FICT (Federazione Italiana Comunità Terapeutiche) – FOCSIV – Fondazione Finanza Etica- Fondazione Con Il Sud – Fondazione Corte delle madri – Fondazione San Bernardino – Forum del Terzo Settore nazionale – Forum Terzo Settore Calabria – Forum Terzo Settore Città Di Milano – GOEL Gruppo Cooperativo – Human Foundation – Ideeinformazione – Il Mulino – Associazione Il Quinto Ampliamento – Italia che Cambia – JSN JESUIT SOCIAL NETWORK ITALIA Onlus – Cooperativa sociale “La Speranza” Cassina e S. Agata – Laboratorio Ricerche & Studi Vesuviano – Legambiente – Libera Milano Contro Le Mafie – Associazione culturale L’Orablù – Made in Carcere – M.A.S.C.I – Associazione Microfinanza e Sviluppo Onlus – Movimento Agende Rosse – Movimento M24A Equità Territoriale – Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood – Next Nuova Economia per Tutti – Nuova Cooperazione Organizzata NCO – Pastorale per i Problemi Sociali e il Lavoro Calabria – Associazione Peppino Impastato e Adriana Castelli – PLEF – Progetto Policoro Calabria – Rete Antimafie Martesana APS – Rete Recovery Sud -Cooperativa Sociale Ripari – RITMI – Rete Italiana di Microfinanza – Rock No War – Scuola di Formazione Antonino Caponnetto – Slow Food Italia – Sud 20/40 – Terra Dea di San Giorgio a Cremano – T-ERRE Turismo Responsabile – Associazione Un’altra storia Varese – Unicobas – Comitato #versoil23maggio – WikiMafia Libera Enciclopedia sulle mafie. (rrm)

Trame 11, i Trent’anni di guerra alla ‘ndrangheta di Gratteri

Nel volume scritto a quattro mani con Antonio NicasoLa costituzione attraverso le donne e gli uomini che l’hanno fatta, si affronta un excursus storico che parte dalla Rivoluzione francese per giungere fino alla nomina di Pertini: “solo conoscendo la storia si può comprendere il presente”.

Si è trattata di una lunga chiacchierata intercorsa tra il giornalista Arcangelo Badolati e il procuratore Nicola Gratteri che ha restituito l’immagine di un uomo stanco nel corpo, ma non nello spirito. La conversazione ha fin da subito toccato alcuni punti cruciali delle più recenti vicende legate alla figura del magistrato: la scoperta di un possibile attentato la cui autorizzazione ha ricevuto gli echi di assensi americani.

Si tratta di situazioni ormai note, ma non per questo meno terribili, ma ci si abitua a pensare che talune circostanze potrebbero presentarsi. Una affermazione si auto-impone, usando un tono leggermente più alto nell’esposizione: “che vita sarebbe se decidessi di cambiare mestiere?”Alle domande riferite alle recenti riforme e al referendum della scorsa settimana, la dichiarazione è netta e precisa: in un momento storico in cui il governo è di larghe intese e non presenta praticamente opposizione è possibile concepire modifiche normative relative al CSM, ma in riferimento al referendum si è trattata di una enorme perdita di tempo.

La priorità del governo non può essere l’improcedibilità o la patente a punti per i magistrati. Gli interrogativi che si pongono sono se sia questa la dote che si porta alle commemorazioni dai trent’anni delle stragi di mafia e se fossero questi i cambianti a cui personalità del calibro di Falcone e Borsellino ambissero. Interrogativi retorici che lasciano chiaramente intendere quale sia l’orientamento dell’attuale Governo: un esecutivo che si è espresso sui temi della mafia solo dopo più di un anno dall’insediamento e in risposta alla presenza televisiva del procuratore ad una nota trasmissione televisiva.Ed è sulle scomode verità che ricade la conversazione: un ricordo all’attentato di via d’Amelio, alle immagini brutali segnate dall’odore acre di morte che si respirava in quel momento; corpi martoriati, il ronzio insistente nelle orecchie di chi si trovava nei paraggi e la freddezza di un uomo ancora sconosciuto che ha la lucidità di sottrarre dal cruscotto la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino.

Solo in seguito si capirà perché quell’agenda sia stata tanto temuta e sottratta, sarà la vedova Borsellino a dichiararlo: si trattava del diario del magistrato ucciso, gli appunti personali delle memorie di ogni singolo suo incontro. Finché questa agenda scomoda non sarà restituita, l’Italia non deve avere pace. Eppure le priorità dell’Italia pare siano altre, come trovare circa 28.6 milioni euro per la costruzione di alloggi posizionati in corrispondenza delle case circondariali che permettano gli incontri privati della durata di 24, ore con cadenza mensile, tra i detenuti e i propri coniugi.

Un monito viene rivolto anche contro la propria regione, immensamente amata e proprio per questo altamente criticabile: un luogo che vanta ben tre facoltà di giurisprudenza e che sforna un numero sproporzionato di avvocati e che nel contempo non ha nessun indirizzo di studi che punti al turismo.Per concludere, riprendendo il libro oggetto della presentazione La costituzione attraverso le donne e gli uomini che l’hanno fatta edito da Mondadori, Nicola Gratteri sottolinea come sia importante conoscere la storia, perché solo attraverso la sua comprensione si può dare una giusta interpretazione della contemporaneità.

Per questo il libro parte dalle vicende della Rivoluzione francese e giunge fino alla carica del presidente Sandro Pertini: un uomo di elevata taratura morale che nella sua totale integrità ha rimproverato la madre che aveva cercato una raccomandazione per salvarlo da morte certa durante il conflitto. La storia ci insegna che lui si salverà ugualmente, forse proprio per riprendere la madre e lasciarci un insegnamento che è quello di non scendere a compromessi, neanche a costo della propria vita, una storia che ha il sapore del déjà-vu. (Daniela Caprino)

LE LACRIME SONO CORAGGIO, NON PAURA:
È L’AFFOLLATA SOLITUDINE DI GRATTERI

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Ci sono lacrime che, negli ultimi tempi, più delle parole costruite con accenti e con suoni, ci hanno costretti a una profonda riflessione, carica di trattative morali. Al centro la specie umana, sempre più insolente e irrequieta. Quasi reminiscente verso la sua stessa genesi. Sono quelle di Nicola Gratteri che, sono certa, molte altre sono state le volte che dai suoi occhi sono traboccate miste a sangue, seppure in scortato segreto. Quelle secrezioni liquide che abbiamo visto rivestire le superfici congiuntivali del procuratore della Repubblica di Catanzaro, appena qualche giorno addietro, nel famoso salotto romano di Maurizio Costanzo, le cito e non perché, e qui scredito di fatto la versione bastarda e irregolare dei falsi stakanovisti, hanno certo portato allo scoperto la debolezza dell’uomo né la sua fragilità, ma perché hanno messo in risalto senza alcuna fanatica ostensione, la purezza della paura. Che non è mancanza di coraggio, o stato di assoluto avvilimento, ma naturale stato emotivo.

Il pianto, che nell’uomo è l’espressione della commozione o del dolore, in botanica, è l’emissione della linfa ascendente dalla ferita praticata su una radice o alla base del fusto. Ma non sono forse la stessa cosa il pianto dell’uomo e quello della botanica? L’uomo e la botanica, non sono, forse, due elementi che coincidono perfettamente?

Nicola Gratteri è uomo, è albero ed è radice. Tutti lo siamo. E tutti piangiamo alla maniera dell’uomo e della botanica.

Ma ci sono lacrime, e qui sta la vera questione, che fanno male più di molte altre. Hanno un peso specifico più eccedente rispetto alle altre. E nel momento dell’attrito con il viso lasciano sulla pelle segni più profondi delle altre. E solcano senza potervi in quei solchi piantare nulla. Fendono l’anima incavandola fino all’estremo, e raggelano il sangue nelle vene, metastatizzino la sconvolgente umana inquietudine.

Io non ho visto piangere Nicola Gratteri, il procuratore, dietro lo schermo del mio televisore, qualche sera fa, ho assistito, invece, alla commozione di Nicola e basta. Nicola, nato a Gerace, in Calabria, il 22 luglio 1958, terzo di cinque figli, e un amore e un rispetto innati nei confronti della propria terra. Nicola che è figlio, appunto, è marito, è padre, è amico, è missionario totus tuus in una Calabria pellegrina, sempre poco fiduciosa in se stessa, e invece più fiduciaria negli altri. In una terra a tratti asciutta a tratti umettata, nella quale o ci rimetti la vita, o ci rimetti il cuore. E se non sai scegliere, ce li rimetti entrambi.

Nicola è uno di quelli che ha deciso di rimanere in Calabria. Uno di quelli che nella terra della nascita ha deciso di investire tutto ciò che ha. Persino le lacrime. Tanto che il pianto neppure lo discute. Succede. Capita piangere. E va bene così.

Sulle lacrime di Gratteri che, sì, è vero, si sono fermate sul suo viso, ma hanno altrettanto veramente bagnato il viso di molti, abbiamo riflettuto in tanti, e non perché esse vadano spiegate, o forse censite, messe agli atti come elementi probatori, ma capite sì. Concepite, come dai i grembi i figli, sì.

Caro, Nicola Gratteri, e parlo all’uomo, che se lo facessi al procuratore sarebbe pura retorica, questa terra chiede il doppio di quello che dà. E lei lo sa bene.

Ti dona un sorriso e ti chiede in cambio due lacrime; ti dona una mano e da te ne pretende due; ti offre la sua casa ma ti costringe al tuo viaggio; ti regala la sua vita, ma non ti concede di vivere la tua. Ti prepara l’orto ma non ti consente di lavorarlo libero.

È amara, la Calabria. È subdola, selvaggia, è una grandissima figlia di puttana. Ma la terra siamo noi, noi che di questa Calabria siamo il bello e il brutto, il buono e il cattivo, la pecora o il lupo.

E il pianto suo è anche nostro. Degli uomini, i mezzi uomini, gli ominicchi, i ruffiani, i piglianculo, i quaquaraqua. Di tutta questa categoria di scimmie, è il pianto dell’uomo.

Il pianto suo è colpa della nostra incapacità di volerci bene, dando al pane più valore che alla preghiera, al vino più importanza che all’acqua.

Il pianto suo, caro Nicola, non è paura, è affollata solitudine. E quella che si vede intorno a lei è una solitudine che mette paura. Porta i brividi. Delude e disillude, e forse certe volte anche corrompe. Nicola Gratteri è uno e non ha nessuno, se non i famosi cento anni di solitudine già a 63 anni di età.

La questione sociale di cui è protagonista Antonello dell’Argirò, in Gente in Aspromonte, il capolavoro di Corrado Alvaro, si ripete. E proprio per colpa della solitudine ingarbugliata a cui alcune volte anche lo Stato costringe, continuerà a proliferare. Una moltiplicazione che più che paura, fa terrore, sconvolge ogni genere di morale.

Non oso immaginare quante volte, Nicola Gratteri, abbia ripetuto a memoria le parole di Antonello, che chiosano il racconto: «Finalmente potrò parlare con la Giustizia. Ché ci è voluto per poterla incontrare e dirle il fatto mio». Una pagina di letteratura e di vita che racconta l’amara solitudine dei luoghi e di chi li abita. Di chi li difende. Di una Calabria che quando è culla è già sepolcro.

Non la chiamo eroe, caro Nicola Gratteri, ai tempi della Magna Grecia lo sarebbe stato davvero. Figlio degli dei lo avrebbero considerato. Ne sono certa. Ed essi le avrebbero concesso la forza per sconfiggere la paura. Ma noi siamo uomini, e le verità degli dei non sono nostre. La storia, però, sì.

E lei è il mito di Davide, il giovane studente del Liceo Scientifico G. Berto di Vibo Valentia, e forse anche di Golia. Il riferimento certo di Abele e, sotto sotto, anche di Caino.

Per questo il suo pianto non lo chiamo paura, ma coraggio.

“L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”. (Giovanni Falcone)  (gsc)