Dall’Unione delle Pro Loco un premio speciale alla memoria di Otello Profazio

Dall’Unione delle Pro Loco un premio speciale alla memoria del “mastro cantaturi Otello Profazio, scrittore, fra i protagonisti della Collana Folk Fonit Cetra, per aver contribuito alla diffusione delle lingue locali e dialetti di Sicilia e Calabria. Un riconoscimento nell’ambito del Premio “salva la tua lingua locale” che ha visto la cerimonia conclusiva in Campidoglio nei giorni scorsi . Un altro premio speciale è stato assegnato a Giancarlo Governi, dirigente Rai, scrittore e ideatore della Collana Folk Fonit Cetra completa, comprendente tutte le lingue locali e dialetti italiani, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Governi è stato molto vicino a Profazio nel recupero delle tradizioni popolari musicali italiane.

SI tratta di un Premio particolarmente importante perché la salvaguardia delle lingue locali, idiomi e dialetti, significa la difesa di un patrimonio immateriale che custodisce l’identità.

Un altro calabrese, Antonio Turano, in arte Don Gocò, si è distinto nel corcorso, conquistando il secondo premio ex-aequo nella sezione musica. «Nell’ambito di un genere musicale controverso come il rap – si legge nella motivazione del Premio – Antonio Turano, calabrese trapiantato a Gallicano nel Lazio, si distingue per la suggestione dei testi ricchi di metafore, libere Associazioni, doppi significati e crudi tratti ironici: un linguaggio che trae origine  dalla pratica improvvisativa del rap freestyle e che, accomunato alle parallele competenze di Turano in qualità  di psicoterapeuta, diventano un efficace metodo di indagine dell’inconscio collettivo contemporaneo, con i suoi fantasmi, i suoi sogni e le sue contraddizioni. In questa ottica  l’uso del dialetto calabrese rafforza  il legame con l’originale spirito popolare della cultura rap, insieme a un accompagnamento strumentale  caratteristico del genere, frutto della collaborazione con musicisti di livello quali dj Impro, Libberà e Brigante.

Ideato da Unpli, Unione nazionale Pro loco e da Ali – Autonomie locali italiane del Lazio con l’obiettivo di promuovere i tesori culturali e linguistici del nostro Paese, il concorso dal 2013 a oggi ha raccolto oltre 3.000 candidature e ottenuto prestigiosi riconoscimenti istituzionali, tra cui il patrocinio delle Presidenza della Repubblica, del Senato e della Camera dei deputati, della commissione italiana per l’Unesco e del ministero della Cultura.

Oltre 400 le opere pervenute in questa dodicesima edizione, novità di quest’anno, il premio speciale dedicato alla memoria di Luigi Manzi, scrittore, fondatore e organizzatore instancabile del Premio sin dalla sua prima edizione, assegnato al poeta, narratore e drammaturgo romano Marco Palladini per l’opera Pasolini, Roma e la Dopo-Storia.

Tra le menzioni speciali quella assegnata a Vito Tenore, presidente di Sezione della Corte dei Conti, per La Costituzione tradotta nelle lingue e nei dialetti regionali (Editoriale Anicia, Roma, 2024), preziosa raccolta che ricorda l’importanza dell’inclusione e del rispetto per la diversità culturale, trasmettendo il messaggio che l’Italia è una comunità di cittadini tenuta insieme non solo dall’apparato legislativo, ma anche da una varietà linguistica.

“Il Premio diventa sempre più riferimento per tanti autori che vogliono presentare le loro opere ed è un incentivo fortissimo per far scrivere nelle lingue locali. E in questi 12 anni abbiamo fatto un lavoro incredibile proprio per incentivare la scrittura. L’alto numero di concorrenti e la varietà dei lavori presentati hanno reso il lavoro delle giurie estremamente complesso, ma hanno restituito un quadro ricco e articolato delle lingue locali ancora vive nel nostro Paese. In un mondo sempre più globalizzato, ogni lingua rappresenta un patrimonio immateriale che custodisce l’identità, la storia le tradizioni di un popolo, come sottolineato anche dall’Unesco’, ha detto Antonino La Spina, presidente Unpli.

L’antologia che raccoglie le opere dei vincitori e dei finalisti di questa edizione, ha detto ancora La Spina, ‘è un omaggio alla bellezza e alla pluralità delle espressioni linguistiche italiane, per preservarle e condividerle con le generazioni future. In questi anni il Premio è riuscito a rafforzare la sua portata culturale e scientifica grazie anche al contributo di intellettuali come il professore emerito Tullio De Mauro, alla cui memoria è dedicata una categoria del concorso, e lo scrittore e amico fraterno Luigi Manzi a cui quest’anno abbiamo dedicato una sezione speciale in ricordo della sua sensibilità letteraria e della sua grande umanità. Figure illustri grazie alle quali il Premio è cresciuto e si è consolidato come uno degli appuntamenti più importanti nel panorama culturale italiano’.

Senza radici e senza passato è difficile immaginare un futuro. Credo che dialetti e lingue locali non debbano restare un ancoraggio del passato, ma possano rappresentare un punto di partenza per avere ben chiaro il percorso da seguire. Mantenere le tradizioni e intrecciarle con la società dei nostri giorni è un valore aggiunto per le nostre comunità’, ha aggiunto Luca Abbruzzetti, presidente di Ali Lazio, secondo il quale ‘veder crescere questo Premio negli anni sia come partecipazione sia nella qualità delle opere è una grande soddisfazione e questa edizione, in particolare, è stata arricchita ulteriormente dall’istituzione del ‘Premio Speciale Luigi Manzi’, dedicata alla memoria dell’amico poeta e scrittore e tra i principali fondatori di questo concorso letterario’.

«La caratteristica del nostro paese è sempre stato un policentrismo culturale, cioè il fatto che ovunque in Italia ci sono sempre state delle espressioni artistiche nelle lingue locali che sono una grande ricchezza che continua a esistere. Non c’è nessuna contraddizione tra l’unità del Paese e le identità locali», ha detto infine il presidente onorario del Premio, Giovanni Solimine.

Oltre alle opere letterarie un elemento distintivo del Premio è la creazione di un Archivio Sonoro, una raccolta di registrazioni audio dei testi partecipanti nelle sezioni di poesia inedita, prosa inedita e musica, disponibile sul sito ufficiale del Premio www.salvalatualingualocale.it e permette a chiunque di ascoltare i suoni e le voci delle lingue e dei dialetti, facendo un’esperienza diretta della straordinaria ‘biodiversità culturale’ che caratterizza l’Italia.

La giuria del premio ‘Tullio de Mauro’ è coordinata da Salvatore Trovato, e composta dagli accademici Giovanni Ruffino, Luca Lorenzetti, Mari D’Agostino, Cristina Lavinio. La giuria generale dal presidente Salvatore Trovato, Giovanni Tesio, Plinio Perilli, Patrizia Del Puente, Tonino Tosto, Gianna Marcato, Rita Caprini. La sezione Musica da Toni Cosenza (Presidente), Andrea Carpi, Elisa Tonelli, Pasquale Menchise, Luciano Francisci, Marco Rho, Rosario di Bella, Matteo Persica, Paolo Portone(rrm)

IL RICORDO / Santo Gioffrè: A un anno dalla morte di Otello Profazio

di SANTO GIOFFRÈOtello Profazio fu uno Spirito Libero, cantore della sapienza popolare mai inficiata da qualunquismo o da credulonerie ciarlatane. Nelle sue ballate, l’ansia di in Popolo comunque proiettato al riscatto sociale. Egli fu un solitario Socialista libertario, figlio di quella formazione politica che aborriva totalmente il fascismo e il leghismo.

Avevo conosciuto Otello 26 anni fa, nell’aula magna dell’Università di Siena mentre, con i suoi stornelli, incantava l’auditorium composto dalla migliore intellighenzia snob della Sinistra Toscana. Da subito, c’intendemmo. Tutti e due eravamo preda di epidermite reattiva verso quel mondo. Fummo amici, spontanei e sempre critici. L’ho accompagnato in tutta la sua lucida vecchiaia. Mi raccontò della sua vita, i viaggi, la gente incontrata all’estero, il suo amore per la chitarra alla quale dava vita sol perchè della sua vita faceva parte.

Osservava la realtà attraveso i silenzi e le pause stampate nello sguardo degli uomini normali, come pittore di nature vive, e, poi, ne traeva testi, sonorità e ballate che trasformava in forza dirompente in ogni palco. Mi diceva: «come tu fai partorire e dai vita, io, osservando le molteplici realtà in cui viviamo, voglio far partorire, attraverso la riflessione di chi mi ascolta, la voglia di riscatto, anche in chi ha difficoltà alla presa di coscienza…».

Molto riservato, non approfittò mai delle numerose ed importanti amicizie cui godeva. Mi parlava di tutti i grandi artisti incontrati, soprattutto di Gaber e De Andrè. Mi raccontò di quando, per la prima volta, si vide tanti soldi in tasca. Glieli aveva dati il produttore perché aveva composto la colonna sonora del bellissimo film “l’Amante di Gramigna”. E, poiché stava in un katoio, si comprò una casa a Roma. Mi diceva: «Io non sono Comunista come te. Sono stato sempre un socialista libertario, ma pure gli Anarchici, come De Andrè, mi piacciono molto e mi piace, sempre, ascoltarvi».

Da Assessore Provinciale alla Cultura, un giorno venne a trovarmi e mi propose un tour, nella Provincia di Reggio Calabria, dei maggiori Cantautori di musica etnica e popolare dell’Italia meridionale. Gli dissi che aveva carta bianca. Vennero tutti e fu un successo incredibile. Quando presentò la nota spese per il rimborso, mi accorsi che era meno del badget che il mio Assessorato gli aveva deliberato. Gli chiesi… Mi rispose che si erano arrangiati col vitto e l’alloggio per tutto il tour, facendomi perdere la faccia per lo scorno visto il calibro dei partecipanti, come Rosa Balistreri. Ma Otello era così. Memorabile fu un dibattito organizzato dal Teatro dei Semplici, a Gallina, nel 2009. Si dilettava, in relazione alla fiction tratta dal mio romanzo, Artemisia Sanchez, da poco andata in onda, a dirmi del Filo di Seta, la sua bellissima ballata, e quando si ruppe tra Don Angelo e Artemisia… Andavo a trovarlo a Pellaro, perché l’unica cosa che voleva, era il mio olio e lui mi compariva con un gran cappellaccio australiano. Stavano giornate intere assieme. L’ho visto prima che stesse male e mi sorrise, in quella stanza-cucina in disordine.

Mondi belli che vanno via. Ma Tu, carissimo amico mio, se pur riservato, hai dato, alla Calabria e all’Italia, la parola giusta perché, se qui si campa d’aria, negli Spiriti Liberi alberga, sembra, la fame del riscatto e della Rivolta, persino contro gli ignoranti. Ciao Otello.

IL RICORDO / Ermanno Profazio: Un anno fa ci lasciava mio padre, Otello

di ERMANNO PROFAZIO – Un anno é passato dall morte di mio padre. È stato un anno intenso di emozioni e di riflessioni in cui, sia pur lentamente, abbiamo tentato di avviare una serie di progetti per ricordare e salvaguardare l’immenso archivio di canzoni e ricerche che ha lasciato.
Molti progetti sono ancora in divenire e richiederanno del tempo per essere pienamente realizzati. Comunque già oggi possiamo citarne 2 che sono visibili e ci rendono orgogliosi: Il tributo-ricordo Ciao Otello: una pubblicazione realizzata da Santo Strati con la nostra collaborazione che contiene contributi di tante persone che hanno conosciuto e apprezzato l’attività 70ennale di mio padre. Da diversi mesi é disponibile e può essere ordinato su Amazon.
La creazione di un canale Youtube (https://www.youtube.com/@ermannoprofazio7066) dove sto pubblicando, a poco a poco, i video e tutte le canzoni, corredate da spiegazioni documentate, testi, traduzioni in italiano e, ove richiesto, anche in inglese. (ep)

Ricordare Otello Profazio per arricchire la Calabria

di FRANCO CIMINO – Cari presidenti, car sindaci, scrivo a voi di Otello Profazio, che sono certo conoscerete meglio di quanto non l’abbiamo conosciuto tanti noi. Pertanto, di lui non dico molto. Non dico che è stato uno dei più grandi cantastorie, uno dei più grandi cantanti della tradizione popolare, uno dei più grandi cantautori, uno dei più grandi poeti, uno dei più grandi intellettuali, uno dei più grandi “sociologi e filosofi”, a modo suo, dell’intero panorama nazionale ed europeo.

Se lo dicessi, pensando che voi non lo sapeste, farei un danno non a voi, eccellentissime persone, ma all’intera Calabria, che con orgoglio lo annovera tra i più grandi personaggi della sua storia. Qui dico ciò che non dovrei dire per l’ulteriore considerazione che si dovrebbe avere di Lui. Otello Profazio è stato, a suo modo, un grande politico. Voi che fate politica e la Politica sono certo che pure farete, sapete meglio di me che essa significa, tutto insieme, analizzare la società, i suoi mutevoli fenomeni, alla luce del passato e nella prospettiva del futuro; denunciarne la gravità e i pericoli ricorrenti, in essi le ingiustizie che, in molteplici forme, agiscono in particolare “contro” i poveri, gli ultimi, i disarmati, i vinti, i rassegnati, gli abbandonati, i lottatori stanchi, i ribelli combattuti e isolati. Politica, altresì significa, immaginazione, fantasia, creatività. Sogno. Fiducia illimitata che Politica possa realizzarli, anche dal niente. Anche dalle rovine. Costruire dal basso, cioè, con la partecipazione della gente, la Felicità. Sì, la Felicità, che, come diceva il Nostro, non è promessa di un aldilà non rassicurante nella sua incertezza (la religione è sentire personale) per i condannati all’infelicità su questa terra. Condannati proprio da quei “padroni” o potenti, che usano quella promessa per tenerli, i poveri e gli sfruttati e gli ingannati, tutti buoni e “silenziosi”.

No, la felicità di cui parla Otello, è conquista dalle battaglie che il popolo deve fare per la Libertà. Che viene prima della Democrazia, essendoci in essa tutto ciò che serve alla Felicità, dalla giustizia all’eguaglianza. Dalla liberazione da tutte le catene “all’incatenzazione “di ogni arroganza, egoismo, prepotenza, cattiveria. E padronanza di persone e cose delle persone. Di pensieri, delle persone, e della loro sistemazione in un sistema organico, chiamato cultura. Profazio era politico, a suo modo. Lo era in modo particolare per la fiducia che aveva nelle singole persone e nel loro mettersi insieme per farsi popolo. Egli lottava, pensava, scriveva, suonava, cantava, e faceva politica, vedendo, nella sua mente e negli occhi di tutti, il futuro di ogni riscattata bellezza. Ma non c’è politica senza cambiamento e non c’è sofferenza di popolo senza lotta del popolo. Non c’è felicità senza la sconfitta dei costruttori dell’infelicità. Il nostro “cantatore”, narratore di storie e incitatore di animi ribelli, era, a suo modo, un rivoluzionario. Si dice fosse socialista, si diceva, negli settanta, quelli dell’avanzata del PCI, che lo invitava a tutte le feste dell’unità fino a quella nazionale, che fosse comunista.

Io che sono sempre stato democristiano, penso, al di là anche dei suoi orientamenti politici definiti, che lui fosse ribelle per amore. Un universale soldato della Pace. Un cristiano, puro o laico o ateo, che potesse pure essere definito (non mi sono mai domandato del suo sentire religioso). Era un combattente senza armatura, né fucile, contro la guerra. La sua arma, la chitarra e la voce. Insieme, unica arma, ché l’una e l’altra non erano separabili in lui. Con quella aggiuntiva ironia, che se ti “pigghiava” ti faceva a polpettine. Era un rivoluzionario e un cristiano, “socialistanarchicomunista”, liberale anticonformista, mettiamoceli tutti e senza separazione e distinzione, perché Otello era lui e basta. Il rivoluzionario! Vero, ché non ce l’aveva soltanto con i “padroni” e i potenti, ma anche con noi tutti che, per stanchezza o pigrizia, ignoranza o paura, li abbiamo lasciati fare.

Anche quando ce siamo andati, a milioni, senza disturbare, neppure con il pianto e il dolore di lasciare la nostra terra e le nostre famiglie, spezzandoci braccia e schiena, per farli più ricchi quelli là. Oppure, restando, perché “qui si campa d’aria”. Il rimprovero a noi, delicato e tenero, pur pieno di compassione e considerazione, non è mancato mai. C’è un suo canto lontano, data forse cinquant’anni, che pochi conoscono e lui stesso da tanto non lo proponeva( non ricordo in quale album si trovi), che dice in una sola strofa tutto. È collocato storicamente nell’ottocento dei Borboni. Dice testualmente: «cunnuti (si riferisce a noi) ca serviti lu guvernu (si riferisce ai governanti), sì voli Diu mi cangi lu guvernu, li robbi vi li tagghiu parmu a parmu».

Può, egregio signori, un uomo così, un poeta così, un intellettuale così, una bellezza come questa, essere trascurata, non celebrata degnamente, addirittura dimenticata? E possiamo prendercela solo con il Comune di Reggio Calabria, la sua Città, della quale è anche cittadino onorario, per non aver dato seguito, per motivi economici addirittura, all’impegno di ricordarlo artisticamente in occasione del primo anniversario della morte?

Ma no, anche perché voi stessi affermerete una verità incontrovertibile. Questa: per quanto amasse la sua Città, vivendola fino all’ultimo suo respiro pur avendo fatto il giro del mondo, Otello era, è, calabrese, uno dei più grandi e belli di tutta la storia di questa nostra-sua terra, di cui egli ha cantato dolori e gioie, asciuttezza e floridezza, sfregi e purezza. Chiedo, pertanto, con questa mia, di essere tutti voi a promuovere iniziative importanti, in tutta la Regione, per rendere non onore al calabrese illustre, che non ne avrebbe bisogno, ma onore e prestigio all’intera Calabria. Per farne anche l’eterno ambasciatore, voi saprete come, della Calabria bellissima. Insieme a lui, ora che vi trovate, tanti altri artisti calabresi, che, vissuti dimenticati, morti cancellati, della loro bellezza straordinaria, hanno lasciato un’eredità ricchissima. Voi direte le solite due cose: ” non ci sono soldi”, la prima; “ma con tutti i gravi problemi della Calabria…” la seconda.

Vi conosco personalmente e vi so onesti e sinceri. Ma consentimi di rispondervi con l’immaginata frase ironica che avrebbe pronunciato il più prezioso raccontatore della nostra terra: «ma cu tutti i picciuli chi iettamu in spettaculi chi venanu e fora, e cu i problemi veri chi ni scordamu, propriu cu mia, chi custu pocu…».

Certo della vostra benevola accoglienza di questa mia, consentimi di ringraziarvi anticipatamente, anche per i tempo utilizzato per leggermi qui. (fc)

Un anno fa ci lasciava Otello Profazio. Il ricordo di Bolano, Montemurro e Cimino

di PAOLO BOLANO – Oggi cade l’anniversario della morte di Otello Profazio. Un personaggio scomodo e ingombrante per la politichetta locale che spesso ha frenato la sua voce. Alla sua morte si è tenuta lontano, assenza totale. Profazio, anarchico-socialista, premio Tenco, meridionalista, il Gaetano Salvemini della Calabria, sconosciuto da una amministrazione di centro sinistra reggina. Ripeto. Alla sua morte nessuno di questi amministratori si è presentato in chiesa per onorarlo. Noi continuiamo a farlo.

Otello Profazio, il cantore degli ultimi. Dopo anni e anni di ricerche è riuscito a portare la cultura dei cafoni meridionali nella cultura euro-americana. A questo punto la domanda viene spontanea: chi era Profazio temuto dalla politichetta locale? Era una voce di protesta che indicava con forza a “lor signori” la strada per accorciare le distanze col nord. Cantava la cultura dei subalterni con frecciate velenose verso la politica incapace di costruire una nuova Calabria, un nuovo Mezzogiorno.

Profazio inizia le sue ricerche dopo la guerra in una regione ingombra di macerie, flagellata dalle alluvioni e dall’emigrazione biblica dove il tardo feudalesimo impediva ancora la realizzazione della tanto attesa riforma agraria. Ecco perché il “mastru cantaturi” si sforza a fare capire le tante rivoluzioni tradite al sud. Sulla scia di Giambattista Vico precursore della ricerca della poesia popolare, di Rousseau, Herder, intreccia il concetto di poesia popolare con quello nazionale.

È favorito anche da Italo Calvino che scrive Le Fiabe Italiane; da Letterio di Francia con Fiabe e Novelle calabresi. E’ una rivoluzione. La cultura dei cafoni salta sui libri oltre che musicata da Profazio.

Il nostro Otello attento alle cose italiane che interessano in particolare il Mezzogiorno, si accorge che a Sanremo, vetrina della canzone italiana, manca l’Italia vera, la Calabria, il Mezzogiorno. Manca Melissa dove durante l’occupazione delle terre la polizia di Scelba uccide tre braccianti. Manca Portella della Ginestra dove il brigante Giuliano durante la festa del Primo Maggio spara e uccide 11 contadini e ne ferisce 27. In questo contesto il grande intellettuale Profazio lavora e ricerca portando la cultura orale dei cafoni nella cultura ufficiale. Il calabrese studioso del mondo contadino traduce e trascrive la storia dei contadini e dei braccianti e va in giro per il mondo a trovare i nostri emigrati per alleviare le sofferenze cantando la loro storia. I suoi compagni di viaggio sono Matteo Salvatori, Rosa Balestrieri, Ignazio Buttitta col quale ha realizzato un importante programma radiofonico: Profazio canta Buttitta e l’Italia cantata dal sud.

Poi, Profazio, si misura con Roberto Murolo, Fausto Cigliano, Domenico Modugno ecc. Il grande artista calabrese fa satira con le sue ballate: Governo italiano e ironia con  Ca si campa d’aria. Poi il comunismo messianico di Buttitta viene corretto con l’umanesimo profaziano: “…compagno so che tu aspetti la vendetta con le braccia levate al cielo, ma io ti evo ricordare che l’odio è analfabeta e scrive pagine lorde di sangue…”. Quando poi la cultura degli esclusi del mondo popolare riesce a convivere con la società opulenta Profazio ci invita a considerare quest’altra ballata significativa: “…non pirchì su pecuraru ma su riccu di munita, ballati donna Tita”. Comunque vi dico che il dialetto lirico del grande amico mio Profazio, il suo canto, è oggi diventato lingua universale.

Per chiudere voglio ancora ricordare che Otello Profazio ha iniziato il suo cammino della ricerca al Teatro Comunale di Reggio Calabria intorno al 1955. Inizia meravigliando il grande conduttore Nunzio Filocamo (che lo aveva scoperot nel 1952 nella sua trasmissione Il microfono è vostro), cantando “U Ciucciu”,  durante una diretta radiofonica del programma Vicini e Lontani.

Il nostro Profazio poi lentamente diventa cantore dei poveri, degli ultimi. Poeta di strada , amato, ma anche invidiato per il suo talento. Sul brigante Musolino scrive tre ballate importantissime per il suo viaggio professionale. Dopo settanta anni di lavoro e di ricerche oggi è considerato l’intellettuale più illuminato e importante della Calabria. Ci conduce ad avere una visione globale della cultura dopo che quella dei cafoni ha superato i confini nazionali.

Adesso chiudo veramente. Ma non posso non parlarvi dei progetti che avevamo assieme a quelli del cardiologo Enzo Montemurro.

Primo. Con Otello eravamo d’accordo di iniziare una ricerca sul Kordax. Lui voleva approfondire meglio quella danza dionisiaca della Magna Grecia arrivata a noi col nome di tarantella. In illo tempore Aristofane chiudeva le sue commedia col Kordax. C’è rilevante unità tra passato classico e attività folclorica. Nella ceramiche greche vediamo le immagini dei danzatori di kordax. Una danza che vive la cultura classica e arriva quasi intatta dalla Magna Grecia. Speriamo che presto qualcuno investa nella cultura reggina della Magna Grecia per recuperare i ritardi.

Secondo. Profazio, Montemurro e il sottoscritto erano pronti a costituire la fondazione Profazio. Ogni volta che ci incontravamo Otello mi sgridava che rallentavo il progetto. Invece non era così. Volevo coinvolgere l’Amministrazione comunale di Reggio. Avevo difficoltà. Non riuscivo a trovare interlocutori. Poi è arrivata la morte che ha cancellato tutto. Durante il funerale, una delle figlie da me “intervistata” ha risposto che il papà non voleva la Fondazione. Silenzio assoluto da parte mia. Ai posteri l’ardua sentenza. Otello, grande amico nostro. Riposa in pace. Che la terra ti sia lieve. (pab)


IL RICORDO DI FRANCO CIMINO

Ote’ e chi caspita, moristi e mancu nu dicusti! Addirittura, l’annu scorzu. E sti tempi. D’estata . Propriu comu ohia, vintitrí lugliu. Ci furu i funerali a la chiesa e Riggiu, ma on c’era nudru e penzamma c’on c’eri mancu tu! Mo’ chi passau n’annu e non ci fu mancu u lutto e l’anniversariu, tu on moristi ancora! Ca nui calabrisi simu bona genti (comu a chiami tu) , de perzuni toghi on ni scordamu. Si ci volumu bena, puru a ciangimu

E si ni ficia bena, a pregamu com’u santu all’artaru.

No, on moristi,

sinnó u sai quanti missi sti chiesi chiesi!

E quanti comizzi sti chiazzi chiazzi.

Previti e patruni,

sindaci e padrini,

masculi e fimmini

a mugghiara, tutti a parrara e tia.

Quantu fusti bellu e bonu, intelligenta e allitteratu, eleganta cu a parrata fina!

Calabrisa d’o Strittu allargatu finu a la Sila piccola e randa.

De sta Calabria,

comu dici tu,

terra ducia e amara.

Duva l’arberi, chi si moticanu a lu ventu, sonanu

E l’ondi d’o mara cantanu. Cantanu supra i lacrimi de mammi, i risati de picciulidri, u lamentu

de cu fatica a la iornata,

E supra u gridu disperatu e sta terra chi non lotta e non s’arrenda.

A nui n’abbasta

l’aria pe’canpare, ca rivoluzziona po’ aspettara, si puru idra s’incriscia ma vena.

On moristi Ote’.

E si ni scordamma e tia, fannillu sapira tu. Mandani na poesia, cantani na canzuna. 

(Franco Cimino nell’anniversario dimenticato della morte di un grande calabrese)

 


QUANTO CI MANCA OTELLO

di VINCENZO MONTEMURRO – Quando Otello Profazio iniziava la sua carriera artistica, il Festival di Sanremo contava appena tre anni di vita, i dischi erano in vinile e a 78 giri e la televisione non era ancora nata!

La Regina indiscussa della canzone Italiana era Adionilla Pizzi in arte “Nilla” che, imperversava tra le masse popolari con le sue più note canzoni: Grazie dei fior, Campanaro, Papaveri e Papere.

Nei salotti buoni e nei seminterrati si ascoltavano le radiocronache di Nicolò Carosio e i programmi musicali dell’orchestra di Cinico Angelini.

L’Italia vera però, appariva devastata, flagellata e piena di macerie della seconda guerra mondiale e impoverita da una biblica emigrazione soprattutto meridionale: sono gli anni in cui i braccianti e i contadini lottano contro la realtà feudale per l’occupazione delle terre, sfociate successivamente nei fatti di Portella delle Ginestre, Torre Melissa e dei profughi Giuliani con la annosa, e allora irrisolta, questione della Città di Trieste.

In quegli anni, Otello Profazio si avvicinava alla musica popolare arricchendola, attraverso un continuo contatto con il mondo della tradizione contadina, degli artigiani del paese e con la partecipazione a riti e festività popolari. Otello Profazio, dotato di una bellissima voce, limpida e versatile e da una non comune capacità artistica, inizia ad “aggiustare”, cioè, a strutturare organicamente frammenti sparsi di canzoni, versi e storie popolari.  Crea brani e canzoni ex-novo, nel rispetto della metrica, mescolando melodie e arrangiamenti, ma soprattutto salvando i contenuti senza alterarne l’originalità.

Sono gli anni in cui nel mondo discografico non esisteva la coscienza della musica popolare, come genere autonomo,  nemmeno la consapevolezza che, tale genere, potesse avere un proprio potenziale settore di mercato. Pochi erano coloro che, come Otello Profazio, attingevano sistematicamente al mondo della tradizione popolare, sostenuti in ciò, solo da una profonda sensibilità personale verso storie e vicende raccontate dal popolo e tramandate nel tempo.

Profazio, a tale scopo, mantiene rapporti stretti e costanti con il mondo della tradizione contadina, segue i cosiddetti “cafoni” in Italia e all’estero; ricerca, lavora, studia, aggiusta strofe, stornelli e frammenti di canzoni, entra, in altri termini, nel mondo dei cantastorie e ricercatori etnomusicali nazionali.

Tra la sua numerosa produzione artistica la canzone U ciucciu rappresenta uno dei suoi primi esempi di “aggiustamento” e ristrutturazione della canzone popolare. Tale brano, nato in controtendenza allo stile canoro dell’epoca, tendente ad  esaltare amori struggenti e melodie coinvolgenti, canta la storia di un uomo che rimpiange più della moglie, l’asino.

Con la canzone del Ciuccio, Profazio affonda, con mordente ironia, il bisturi in una realtà di miseria in cui, lo sfruttamento dell’animale rappresenta la speranza di riscatto economico e sociale delle famiglie povere.

Il tema della canzone del ciuccio lo troviamo anche in “Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro il quale, nel suo racconto, parla di un finale apocalittico a seguito dell’uccisione di una mula in cui erano riposte tutte le speranze di riscatto sociale ed economico di una famiglia povera.

La fisionomia artistica e umana di Profazio appare, sin dall’inizio, caratterizzata da un individualismo ostinato e appassionato che, gli ha consentito di attraversare mode e tendenze, mantenendo sempre una distanza critica nel tempo.

Profazio compie sforzi artistici notevoli per approdare nei circuiti televisivi nazionali, compete, con pari dignità, con i più importanti “Chonsonnier” dell’epoca: Roberto Murola, Fausto Cigliano, Domenico Modugno.

Amplia il suo repertorio attraverso l’estensione della sua area culturale verso la Sicilia, Regione ricca di storie appassionate e struggenti che  racconta con grande maestria. A tal proposito si ricordano i brani: La Baronessa di Carini, La leggenda di Colapesce, Vitti na crozza, Ciuri Ciuri  e tantissime altre ballate che sono nella mente di ognuno di noi.

Con il brano  Governo Italiano Profazio avvia con un testo satirico-popolare il progetto che vedrò coinvolto il poeta siciliano Ignazio Buttitta: L’Italia cantata dal Sud.

Governo Italiano e più tardi Qua si campa d’aria rappresentano l’esempio più evidente di una ironia amara e paradossale con cui Otello Profazio affronta i temi della politica e della questione meridionale. Profazio, oltre ad incarnare lo spirito del cantastorie, che consiste nella capacità di strutturare in racconto la cronaca e la storia, secondo modalità spettacolari che sollecitano la riflessione del pubblico. Egli, con autentica originalità, sceglie di interpretare, musicare, “aggiustare” racconti, brani e storie popolari, trasformandole in grandi composizioni civili, attraverso le quali racconta la storia dell’Italia del Sud.

I temi raccontati sono: l’emigrazione, la mafia, l’amore e la morte, l’ingiustizia e la vendetta, il lavoro e lo sfruttamento, la grande questione meridionale nello stato post-unitario.

Nelle canzoni dedicate al Brigante Musolino, Profazio affronta il tema della vendetta e della giustizia individuale sottolineando, come quest’ultima ha avuto sempre una forte presa nel mondo popolare, ma a ciò, Profazio aggiunge l’inesorabilità del destino.

Nell’Italia cantata dal Sud, per dirla come Carlo Levi, l’autore di Cristo si è fermato a Eboli”, Profazio rappresenta la disperazione, il disfacimento, il senso di abbandono del Sud. Ed ancora l’estranietà alla storia unitaria delle masse meridionali; ovvero racconta con pungente ironia 150 anni di storia post-unitaria dalla parte degli esclusi, i Meridionali!

Profazio, con il suo stile, caratterizzato da individualismo libertario, ha condotto un percorso politico-culturale autonomo, mai subalterno alle ideologie e schieramenti politici di turno, ma attraverso la sua produzione artistica, ha espresso una personale lettura della condizione meridionale senza piegarsi, per tatticismo o opportunità, al contesto politico culturale dominante, bensì scagliandosi, musicalmente contro le inadempienze, verso il SUD, del governo centrale e della peggiore classe politica del Paese.

Da ricordare tra le tante attività svolte il programma radiofonico Quando la gente canta andato in onda per oltre un decennio ideato, condotto e diretto da lui.

Otello Profazio è stato insignito del disco d’oro per aver venduto oltre un milione di co pie dell’album Qua si campa d’aria: unico cantante del genere folclorico.

Attraverso i suoi unnimerovoli concerti ha incontrato le comunità di emigranti sparsi in titti gli angoli della terra e ci ha dato fino all’ultimo l’opportunità di rilanciare la cultura e la “questione merdionale”. Ovvero l’aspirazione del Sud a uscire dalla subalternità impostagli dal Nord, 150 anni fa, e che ancora oggi, quest’ultimo, mantiene il vantaggio del potere economico conquistato con le armi e con una legislazione squilibrata. Quell’Italia del Nord che arrivata al Sud svuotò le ricche banche meridionali, le regge, i musei e le abitazioni private per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati (al Nord).

Mentre il Sud è stato privato delle sue Istituzioni, delle sue industrie, della sua ricchezza e della capacità di reagire, posto che la gente meridionale è stata indotta ad emigrare (20 milioni in 100 anni!).

Chi emigra, abbandona una comunità e una terra non appartiene più alla sua gente, ma nemmeno a quella in cui si trasferisce. È un uomo senza identità!

il ritardo del Sud rispetto al Nord resiste ancora oggi, malgrado “l’Unità d’Italia”, e ciò perché il Nord, motore dell’economia non intende pareggiare il dislivello economico con il Sud depredato!  La Germania Ovest nei primi 20 anni della riunificazione con la più povera Germania dell’EST, spese nei territori dell’EST una cifra cinque volte superiore a quella che è costata in 50 anni la Cassa del Mezzogiorno. Ogni anno la Germania Ovest investe nei territori dell’ex Germania Est quanto gli USA, con il piano Marshall, inviarono dopo la guerra per la ricostruzione dell’intera Europa.

Ma torniamo a Profazio: sono trascorsi più di 60 anni dal suo esordio sulla scena artistica del canto popolare; oggi non si canta più la canzone cosiddetta “folk”, ma ci si limita ad ascoltare passivamente musichette senza anima e senza radici. Otello, fino all’ultimo, invece, ha continuato ad “aggiustare” in versi, senza alterare l’autenticità. Ha trasformato ciò, con la sua paradossale ironia, in battaglia di civiltà. (vmu)

                                   

Successo a Verzino (KR) per Francesca Prestìa canta Otello Profazio

Uno spettacolo che si propone di onorare la memoria di Otello Profazio, È questo l’obiettivo dello spettacolo Donne del Sud. Francesca Prestìa canta Otello Profazio, andato in scena nei giorni scorsi nella Chiesa Madre di Verzino (KR).

Ad accompagnare la cantastorie, Saverio Viglianisi, storico chitarrista di Otello. I due hanno interpretato le sue migliori canzoni, tra cui Melissa, Lingua e dialettu, Qua si campa d’aria, ripercorrendo i tratti salienti della vita del compositore e il grande lavoro portato avanti nella sua lunga carriera. Un lavoro che ha dato lustro all’intera Calabria. Otello Profazio ha saputo raccontare la nostra terra, le nostre tradizioni, la nostra cultura. Con la musica folk ha donato emozioni e riflessioni, anche fuori dal territorio regionale. Ha cantato la vita, con la giusta attenzione rivolta al sociale e senza mai dimenticare i più deboli.

«L’emozione è stata davvero tanta – ha dichiarato Francesca Prestìa, ideatrice dello spettacolo –. Il pubblico ha partecipato con grande interesse, lasciandosi appassionare dalle canzoni di Otello Profazio. Le ha cantate insieme a me e Otello ne sarebbe stato felicissimo. “I paesi cantano”, avrebbe chiosato lui. Quella di Verzino è la prima tappa di un tour che porterà in tutta Italia la meraviglia della sua arte».

Anche il parroco di Verzino, don Pietro Paletta, ha dichiarato grande soddisfazione.

«Questo concerto ci ha permesso di entrare con sorriso amaro nelle storie di noi calabresi, anche con un po’ profonda ironia. Storie di noi gente del Sud che rimangono sempre nell’anticamera della storia come un’appendice che non sa lanciarsi nel proscenio; soggetti attivi che non sanno prendere in mano il proprio cammino di rinascita. Il canto dolce e incisivo di Francesca ha lenito quelle ferite aperte che ancora non riusciamo a guarire. Un canto vero. A noi, sempre, il compito storico di sapere risorgere». (rkr)

Reggio – Successo per il primo Memorial Otello Profazio

Si è svolto, al Museo del Bergamotto di Reggio Calabria, il Primo Memorial Otello Profazio, manifestazione organizzata e voluta dal Polo del Bergamotto e dall’Associazione Auser Soccorso Reggio Calabria, per ricordare il compianto cantastorie e già priore della Confraternita del Bergamotto di Reggio Calabria e Tabacchiera d’oro 17°  BergaFest 2017 e Ambasciatore per l’Accademia Internazionale del Bergamotto di Reggio Calabria.

All’interno dell’evento, inoltre, è stato consegnato il Premio Mastru Canturi, ai giovanissimi Candido MarcoImmacolata Iervasi, due giovani talenti, cantanti e musicisti  della tradizione calabrese.

Una serata, dunque, in cui si è ricordato, far conoscere e ripercorso le canzoni di Otello Profazio. L’evento si è concluso con la degustazione preparata dalla Confraternita del Bergamotto e del Cibo di Reggio Calabria. (rrc)

Il 6 ottobre il primo Memorial Otello Profazio

Venerdì 6 ottobre, al Museo Nazionale del Bergamotto di Reggio Calabria, si terrà il primo Memorial Otello Profazio.

L’iniziativa è stata organizzata dal Museo del Bergamotto in collaborazione con l’Auser Soccorso di Reggio Calabria. Nel corso dell’evento, inoltre, sarà conferito il primo premio Mastru CanturiCandido Marco Immacolata Iervasi, giovanissimi musicisti folk.

Una serata, dunque, per ricordare, far conoscere e ripercorrere le storie e le canzoni di Otello Profazio, già Priore della Confraternita del Bergamotto di Reggio Calabria,  Tabacchiera d’oro al 17esimo BergaFest 2017 e Ambasciatore per l’Accademia Internazionale del Bergamotto di Reggio Calabria.

Un atto dovuto, «un dovere della nostra comunità reggina – si legge in una nota – e calabrese tutta».

Importante, poi, la presenza di Angelo Laganà, noto artista molto apprezzato e amico di Profazio. La serata si concluderà con una degustazione preparata dalla confraternita del Bergamottoe del Cibo di Reggio Calabria. (rrc)

ADDIO A PROFAZIO, “MASTRO” CANTATURI
OTELLO ERA LA CALABRIA, LA SUA ANIMA

di PINO NANODa oggi in cielo brilla una nuova stella, è quella di Otello Profazio, che ha scelto uno dei giorni più caldi e più afosi dell’anno per andarsene via per sempre.
Anche lui, in silenzio, senza avvertire nessuno, forse anche per non creare ulteriore disturbo.

Il grande artista è morto ieri in ospedale a Reggio Calabria, dove era stato ricoverato per problemi vari e complessi.

Etnomusicologo, cantautore, cantastorie, dottore in lettere classiche all’Università di Roma, memoria storica ormai della vita di interi paesi del Sud, romanzo vivente di intere generazioni di uomini, menestrello erudito e moderno, poeta filosofo storico e antropologo insieme, dentro di lui ci siamo tutti noi, e c’è la vita di ognuno di noi.

Otello Profazio era la Calabria, era la sua anima, era il suo respiro. Lo amavo disperatamente perché era un uomo libero, senza pregiudizi ma anche senza freni inibitori, padrone della sua libertà da sempre, senza se e senza ma, altezzoso, presuntuoso, irascibile, padrone del mondo in tutti i sensi, mai schiavo e mai sotto ricatto.
Ogni suo concerto era una magia, era un pezzo di storia locale, era un affresco di battaglie sociali e civili che nessuno aveva mai saputo raccontare meglio di lui, perché quello che sapeva dire la sua musica non sapevo dirlo nessun altro.

Otello era il Sud, Otello era la musica popolare italiana, Otello era il mago della chitarra, Otello era il re dei cantastorie di tutti i tempi, Otello era Otello Profazio, una leggenda vivente, una sorta di icona della nostra musica country, e di lui parleranno per sempre i libri di storia della musica. Perché la storia dell’antropologia e della sociologia meridionale passano anche attraverso la sua vita, attraversano le sue canzoni, grazie alle sue ricerche, ai suoi studi, ai suoi saggi, e ritornano al cuore del mondo per via del soul che segnava, e segna oggi più di ieri, la sua musica.

Affascinante, scontroso, estroverso, eclettico, sofisticato, strafottente e irritante, iroso e avvolgente, ammaliante e superstizioso, Otello era tutto questo insieme, era la Calabria in tutte le sue fattezze, antica e moderna, pregi e virtù, vizi e privilegi, storia di soprusi sopraffazioni violenze diritti negati, poche certezze, immensa solitudine, sconfinate praterie di delusioni e di attese di speranze inutili e di sogni impossibili, sull’altare di una libertà mai reale e mai esistita.

Otello era la voce della protesta, Otello era l’angelo dei disperati, Otello era il cantore dei poveri.

Di più, Otello era l’amico dei derelitti, poeta di chi partiva per sempre, Otello era esaltazione sogno depressione vita e morte insieme.

Otello era così anche nei momenti più difficili della sua vita e della sua carriera, quando anche il ricatto poteva far parte della sua vita e della storia della sua crescita professionale e artistica di cantante e di cantautore.

Arrivava nei paesi più lontani e più sperduti e diventata come d’incanto il vero re della piazza, poeta di strada, amato coccolato invidiato e ammirato per il modo come raccontava la storia di uomini e donne che per secoli non avevano avuto voce.

So bene che un cronista non dovrebbe mai lasciarsi a confessioni private, ma il mio primo incontro con Otello Profazio data forse sessant’anni fa, io appena ragazzo, per la mano con mio padre, nella piccola grande piazza di Sant’Onofrio, il mio meraviglioso paese di origine, e lui Otello su una panca sistemata accanto alla fontana del paese con alle spalle un grande cartellone animato, quasi una scacchiera di disegni, ogni quadrato una storia, ogni storia un personaggio, e lui al centro di tutto con la sua chitarra e soprattutto la sua voce.

Una voce possente, melodiosa, protagonista quanto la sua musica, un fiume in piena, una ballata dietro l’altra, musica e parole che parlavano di briganti e di storie di violenza, di fuitine e di tradimenti, di paure e di partenze, e fu allora che per la prima volta capii cosa fosse la disperazione di chi partiva in cerca di fortuna e di lavoro, le Americhe, l’Argentina, “U Canadà”, Toronto Montreal e via dicendo.

Una notte magica per me quella sera, e quando mio padre provò a tirarmi via dal concerto prima che finisse lui capì immediatamente, dalla mia stretta di mano, resistente a lasciare la piazza, che qualcosa quella notte aveva colpito la mia immaginazione più di quanto lui stesso, straordinario intellettuale di quei tempi, non avesse percepito.

E rimase con me, e con mio fratello Ottavio, anche lui fino alla fine, in piedi come tutti gli altri, a seguire le smorfie i tic e i movimenti di questo strano uomo da circo, pesante nel fisico già allora, e sgraziato nei movimenti, ma leggiadro e straordinariamente gioioso nel suo modo di cantare.

L’avevo sentito qualche mese fa, volevo chiedergli della sua salute e con il suo solito ghigno sarcastico mi aveva risposto: “Cosa vuoi che ti dica? I vecchi nei nostri paesi dicono ancora oggi che l’ età è una infermità, e ti ho detto tutto”.

Spero che un giorno una delle grandi Università Italiane – magari lo facesse l’Unical! – accetti la sfida di analizzare le sue meravigliose “cantate”, queste sue immense serenate d’amore, questi suoi canti di rabbia e di lutto, e forse solo allora capiremo tutti, davvero fino in fondo, cosa è stato Otello Profazio per la storia del Sud. (pn)

IL RICORDO / Franco Cimino: Otello Profazio, il rivoluzionario che canta l’amore

di FRANCO CIMINO – “E mo’ Calabria sua bella, comu fai? Cu parrà chiù e tia? Cui lotta chiù pe’tia? Cui ti canta e cui ti cunta i doluri toi. Cui ti caccia i curtedri da schiena e t’imbita a la lotta e alla ribelliona? Cui ti dicia chiù “Azati e camina, c’a vittoria è vicina”. E cui ti parrà chiù d’amuri e poesia?».

Sono le prime parole che mi vengono alla notizia della morte di Otello Profazio, il cantore di ogni bellezza della sua Calabria. Una bellezza in cui c’è tutto, anche il dolore e l’umiliazione, perché da essi più forti e belli si diventa se si prende coscienza, come singoli calabresi prima e come popolo dopo, di essere belli e forti già. Da sempre, perché il calabrese è bello di suo. Come la terra in cui nasce. Pochi “indigeni” al mondo possiedono la qualità innata, la più straordinaria, di essere pienamente simili alla propria terra. Davvero in questo caso madre e figli si è.

Somiglianti in tutto. Come la Calabria, il calabrese è aspro e dolce. Duro e gentile. Cafone( nel significato originario, etimologico) e nobile. Ingenuo e furbo. Genio e sregolato. Ostinato e comprensivo. Emozionale e razionale. Istinto e ragione. Cuore e mente. Braccia e libro, anche quelli non letti, ma scritti col sudore della fatica e le lacrime del dolore. Come la terra, il calabrese è disperazione e ottimismo. Pensiero e sentimento. Cercatore d’oro e pigrizia. Come la Calabria, è amore allo stato puro. È, quindi, romantico. Pur senza sguardi languidi.

È sognatore, pur se messianico. Ribelle, pur se vittimistico. Disciplinato, pur se disobbediente. Rivoltoso, pur se calmo. Dominato e liberatore. Come la Calabria, il calabrese è mare e monti. Mare e monti a distanza di un solo abbraccio. Vicinissimi, quindi, però “lontanissimi”. Mare e monti, che si guardano ma non si “incontrano”. Mare, che si ribella, e monti che si sfarinano. Come protesta, ambedue, per i maltrattamenti subiti. Mare, anzi mari, e monti, sotto un cielo bellissimo. Il cielo di Calabria, quasi sempre celeste, per quei venti calabresi che lo puliscono rimuovendo le nuvole, dopo averle fatte piovere quel che una volta bastava. E per donargli l’aria buona. Quella sana, che altre regioni non hanno. Sì, quella aria del “cà si campa d’aria”, che è fresca e riposante. Quei venti belli e buoni, che scompigliano i capelli delle donne, tutte bellissime le calabresi. Quei venti che fanno i riccioli al mare. E i pensieri muovono. Fino a farli volare. Volare veramente. Ma non per perdersi come i palloncini dei bambini.

Al contrario, per innalzarsi verso la purezza e discendere, come forza travolgente, nella lotta per il riscatto dei calabresi. Riscatto che si compone di un elemento imprescindibile, la Libertà. La Libertà come liberazione da ogni forma di oppressione e da ogni dominazione. Dall’ignoranza. Dalla sudditanza, che l’ignoranza favorisce. Dalla pigrizia, che la dominazione consente. Dall’egoismo, che le divisioni, arma migliore del nemico, procurano. I calabresi sono come la loro terra, anche in questo. Terra divisa, rotta in più parti, fisicamente intesa. Ma terra paradossalmente unica, compatta, per quella sua caratteristica di avere ogni elemento complementare all’altro. Ogni qualità naturale dipendente dall’altra. Come i monti e il mare, di cui dicevo. Pochi territori hanno quella bellezza, di scendere, i primi, direttamente e armoniosamente sull’immensa discesa azzurra.

La sua Calabria, perché di Calabria davvero ce ne sono due. Una è quella dominata e che ancora si lascia dominare, quella che vuol restare indietro perché non vuole avanzare. Quella ingenua, che crede ancora, per volerlo credere ora, che arriverà sempre un buon papà, che quest’altra volta manterrà le promesse, che i cento padri di prima hanno disatteso. La Calabria, che non vuol sognare, forse perché anche stanca di aspettare. E pigra perché non vuole muoversi oltre il proprio cortile, quello scomparso cinquant’anni fa. Come le viuzze dei borghi antichi. Come i rioni di mille anni fa, cancellati da una bugiarda modernità.

E, poi, c’è la Calabria di Otello Profazio, quella che il grande narratore ci ha descritto in centinaia di canzoni. Tutte belle. Struggenti. Memorabili, di cui tante sono autentici capolavori della musica mondiale. Questa Calabria è la Calabria bellissima. Quella dei contrasti naturali che stanno insieme armoniosamente. Quel bianco e nero, che non sono l’uno il contrario dell’altro, ma il completamento di quell’unità straordinaria che fa unica la nostra terra. La Calabria di Profazio è la casa dei calabresi, che finalmente diventeranno popolo. Popolo, che si riconosce e che in quanto popolo riconosce e “serve” ciascun calabrese. Popolo che vuole riappropriarsi del bene della propria terra, quale bene non per sé ma per tutti. Di quelli che c’erano nei tempi passati. E di quelli che verranno nei tempi futuri. È la Calabria, quella di Otello, che lotta e sogna. Sogna e lotta. E i sogni realizza. La Calabria del coraggio che sconfigge disperazione e rassegnazione. Che va incontro al futuro vivendo il presente. È la Calabria dell’Amore.

Quello universale. Oserei dire politico, nel significato che ne ha dato e nuovamente ne darebbe lui, il maestro. Amore per la giustizia e per l’eguaglianza. Per la Pace. Amore per la Libertà, che tutti questi valori comprende. Otello Profazio, che molti correnti politiche e artistiche hanno cercato di catalogare, talune appropriandosene, per la robustezza della sua intelligenza, la profondità del suo pensiero, la genialità della sua forma artistica (nessuno come lui in Calabria, pochi come lui in Sicilia, pochissimi come lui nel mondo) sfugge a qualsiasi definizione. Non è di destra. Non è di sinistra. Non è un cantautore, non è un cantastorie, non è un teatrante, non è un musicista, non è un attore. Ovvero, è tutto questo insieme in una figura artistica direi unica. Irripetibile. Se potessi agevolmente dire, ma me ne guaderei bene, mi piacerebbe definirlo Poeta. Un poeta grandissimo, perché ha accostato alla poesia delle parole( straordinari i suoi testi) la poesia delle note( le sue musiche potrebbero anche da sole essere musicate).

L’armonia che ne è venuta fuori, faranno per sempre parte della storia della letteratura e della musica mondiale. Da studiare nelle scuole di tutto il Paese. Poeta della Bellezza, è Otello. Non altro. Per questo non lascia eredi. Ma solo allievi, che potranno onorarlo nel modo migliore se ne seguiranno le tracce artistiche e quelle politiche, nella narrazione di una Calabria diversa. La Calabria di Otello Profazio. Quella che si ribella per Amore. E con l’Amore vince. Quella di una canzone tra le sue meno note. E che fa così, nella sua penna di oppositore del potere e dei potenti di qualsiasi natura e colore: “cunnuti cà serviti lu guvernu c’u i giacchi russi (si riferiva simbolicamente ai soldati del re Borbone) e li robbì di pannu, si voli Diu ma cangi lu guvernu li robbì vi li tagghiu parmu a parmu”. Grazia Otello di farci restare sempre con te. (fc)