SANITÀ: INGIUSTIZIA NEL PIANO DI RIENTRO
TROPPI MALATI CRONICI, POCHISSIMI FONDI

In una recente intervista, il commissario al piano di rientro sanitario calabrese, Roberto Occhiuto, tra i mali della sanità calabrese ha segnalato il fatto che i medici di famiglia hanno emolumenti doppi rispetto a quelli dei medici del pronto soccorso.

Intanto si segnala che i medici di famiglia con i loro emolumenti devono fare fronte a tutte le spese di gestione dei loro studi (personale, affitto, acqua, luce, gas, programmi di gestione delle cartelle cliniche ect. e, infine, non hanno il Tfr) e, comunque, se fare il medico di famiglia è così vantaggioso, come mai la maggiore mancanza di medici è proprio quella dei medici di famiglia, per cui ci sono milioni di italiani senza?

Poi si segnala il fatto che i medici di famiglia sono quelli sempre in prima linea di fronte alle criticità sanitarie, per come dimostrato dal covid quando (come dimostriamo in un documento già inviato alle autorità tutte nel 2020) a fronte di un dimezzamento dei ricoveri, al quasi annullamento delle visite specialistiche e al forte ridimensionamento degli esami di laboratorio gli unici a vedere aumentato il lavoro e il contatto con i propri assistiti sono stati i medici di famiglia e non è un caso che il tributo di morti pagato dai medici in quel periodo è stato principalmente quello dei medici di famiglia.

Tributo pagato anche dalla nostra Associazione Mediass, con il decesso del suo presidente, dott. Battaglia Annibale, che prima del covid era arrivato a fare in una sola giornata ben 185 accessi dei suoi assistiti tra visite ambulatoriali, domiciliari, telefoniche, per email e altro (dato questo verificabile in quanto il dott. Battaglia Annibale era medico ricercatore Health Search, i cui dati sono, quindi, validati e archiviati).

Ancora, c’è da dire che il lavoro del medico di famiglia è fortemente penalizzato da una immensa burocratizzazione e, da qui, un documento inviato già nel 2020 alle autorità sanitarie in cui i medici Mediass si sono autodenunciati per il fatto che per poter curare i propri assistiti sono costretti a “violare” le imposizioni delle Asp per poter applicare la medicina basata sulla evidenza. Un solo esempio di questo fatto è che in piena pandemia Covid, l’allora commissario Cotticelli, ha emanato il Dca n. 63, con il quale intimava ai medici di famiglia di risparmiare sulla spesa farmaceutica indicando molecola per molecola i risparmi fa fare.

L’esempio è quello degli inibitori di pompa protonica (i gastroprotettori) per i quali il decreto imponeva che, con questi farmaci, si potevano curare un massimo di 71 assistiti ogni 1000, perché questa era la media italiana. Ebbene, avviene che in Calabria un medico di famiglia tra i suoi 1000 assistiti ne aveva in media almeno 90, che avevano più di 65 anni e che assumevano la cardioaspirina ai quali per deliberazione nota 1 Aifa, era ed è obbligato a prescrivere i gastroprotettori.

Ma c’è di più: lo stesso medico, tra gli stessi 1000 assistiti, ne aveva almeno altri 90 che era obbligato a curare sempre con i gastroprotettori, per deliberazione nota 48 Aifa. Come è intuibile, se il medico di famiglia avesse applicato il decreto n. 63 (tutt’ora vigente) avrebbe dovuto negare la prescrizione dei gastroprotettori ad un grande numero dei suoi assistiti, perché le 71 dosi imposte dal decreto ne escludevano una grande parte, con buona pace della medicina basata sulla evidenza. Io violerò il decreto e li curerò tutti (così abbiamo risposto allora a Cotticelli).

Questo esempio ci porta a consigliare al commissario-governatore Occhiuto cosa dovrebbe fare per salvare i malati calabresi. Noi medici Mediass dovevamo prescrivere quei farmaci in più rispetto al resto d’Italia, per il semplice motivo che in Calabria c’erano allora – e ci sono adesso – molti più malati cronici che non nel resto d’Italia. E sia Cotticelli allora, che oggi Occhiuto, dovrebbero saperlo perché oltre a tutti gli istituti di statistica sanitaria, il fatto è stato accertato da un decreto di un altro commissario al piano di rientro sanitario calabrese, l’ing. Scura, che, con il Dca n. 103 del 30/09/2015 ha certificato che in Calabria ci sono ben 287.000 malati cronici in più rispetto ad altri due milioni di altri italiani.

E, visto che il Dca n. 103 è stato vidimato prima da Ministero dell’Economia, qui cogliamo l’occasione per segnalare l’ingiustizia del piano di rientro sanitario calabrese che prevede che ogni Dca del suo commissario deve essere vidimato prima dal Ministero dell’Economia, che deve valutare il risparmio di spesa sanitaria, ed è questo che poi lo passa al Ministero della Salute, che valuta la sua inidoneità dal punto di vista sanitario.

Della serie tutti sapevano e tutti sanno che in Calabria ci sono molti più malati cronici rispetto alle altre regioni italiane, e ciò dimostra la “cattiveria e l’ingiustizia” del piano di rientro. Come tutti sanno, compreso il commissario-governatore Occhiuto, la Calabria è la regione che, a fronte dei molti malati cronici in più da circa 20 anni a questa parte, è la regione che riceve meno fondi sanitari. Meno fondi sanitari dove ci sono più malati cronici, ed è di questo di cui il commissario Occhiuto si dovrebbe interessare, se vuole veramente salvare i malati calabresi.

Prima di tutto, dovrebbe costringere il suo partito (di cui è vicesegretario) che sta approvando una finanziaria, che dedica alla sanità la più bassa percentuale rispetto al Pil mai avvenuta e grandemente distante dalla percentuale dedicata alla sanità dagli altri stati europei. Poi, il governatore Occhiuto dovrebbe andare alla Conferenza Stato-Regioni e battere i pugni sul tavolo per cambiare il criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni, che da due decenni ha mortificato la Calabria e il Sud in genere, per basarlo su veri bisogni delle popolazioni e cioè sul numero delle malattie presenti in ogni regione.

E dovrebbe andarci e battere i pugni sul tavolo perché sono proprio le regioni attualmente avvantaggiate, perché a fronte di meno malati ricevono più fondi, e governate dal suo partito che si oppongono a questa modifica. E se non riesce a convincere i suoi compagni di partito può fare come il governatore della Campania (regione nelle stesse condizioni della Calabria) che ha fatto ricorso al Tar proprio contro l’ingiusto criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni.

Questo sì che potrebbe dargli i fondi per aumentare gli stipendi dei medici e degli operatori sanitari tutti, di riaprire i 18 ospedali chiusi in Calabria, di aumentare i posti letto e fare una migliore medicina del territorio. ( Dott.ssa Rosa Bianco, dott.ssa Antonietta Greco, dott.ssa Ester Fabiano, dott.ssa Lerose Serafina, dott. Giacinto Nanci, dott. Andrea Muscolo e dott. Rossi Carmelo)

IL PAZIENZE “CALABRIA” SI PUÒ CURARE:
RIPARTIRE EQUAMENTE FONDI SANITARI

di GIACINTO NANCI – I danni ai malati calabresi vengono, oltre che dalle infiltrazioni mafiose, prima di tutto dal cronico ultraventennale sottofinanziamento della sanità calabrese. Infatti la Calabria è la regione che da sempre è nelle ultime posizioni per i finanziamenti pro capite (oltre 100 milioni annui di euro in meno rispetto alla regione più finanziata) per la sua sanità in base alla legge 386 del 18 luglio 1996. Da qui l’accumulo di un deficit sanitario di un miliardo e mezzo per cui nel 2009 la decisione da parte del Governo di imporre alla Calabria il piano di rientro sanitario e nel 2011 il commissariamento.

Le infiltrazioni mafiose nella sanità hanno solo peggiorato la qualità della sanità calabrese, sottraendo ulteriori fondi dedicati ai malati calabresi. Ma, ad aggravare pesantemente la situazione della sanità calabrese e a bocciare definitivamente l’attuale criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni, è il fatto che in Calabria ci sono molti più malati cronici che non nelle altre regioni e da ciò ne consegue che la Calabria avrebbe dovuto in passato e dovrebbe ricevere in futuro molti più fondi delle altre regioni e non meno fondi.

A certificare la presenza di molte malattie croniche che necessitano quindi di maggiore spesa sanitaria in Calabria è stato perfino il commissario Scura, firmando il decreto 103 nel lontano 15 settembre 2015. Decreto che, con le sue specifiche tabelle, quantificava in 287.000 malati cronici in più tra i circa due milioni di abitanti calabresi, rispetto ad altri due milioni di altri italiani. Come se ciò non bastasse, vi è che per le spese sanitarie dei calabresi fuori regione ormai spendiamo fino a 300 milioni di euro, che sono fondi sottratti agli investimenti della sanità in Calabria.

Ancora vi è il fatto che il piano di rientro, oltre a far danno ai malati calabresi, peggiora anche l’economia della Calabria perché, proprio perché siamo in piano di rientro, da 15 anni a questa parte noi calabresi paghiamo più tasse (Irap, Irpef, accise sui carburanti e per un periodo anche maggiori ticket sanitari) degli altri italiani. A conferma di quanto fin qui scritto, vi è il fatto che nel 2016 la Conferenza Stato Regioni ha fatto una parzialissima (per come affermato dal suo presidente on. Bonaccini) modifica ai criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni, considerando la presenza delle malattie nelle varie regioni. Ebbene, in seguito a questa “parzialissima modifica” nel 2017, la Calabria ha ricevuto ben 29 milioni di euro in più del 2016 e tutto il Sud ben 408 milioni in più. Ovviamente la modifica non è stata ne ampliata ne riproposta.

Un’altra conferma è il fatto che nel 2022 la regione Campania (l’unica che riceve meno fondi pro capite anche rispetto alla Calabria, ha fatto ricorso al Tar proprio contro i criteri distorti del riparto dei fondi sanitari alle regioni. Significativo è il fatto che, dopo questo ricorso al Tar, il Governo ha modificato i criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni, introducendo il criterio della “deprivazione” per dare più fondi (pochissimi) alle regioni del Sud. Allora cosa fare per salvare la sanità calabrese? Oltre ad aumentare la lotta alla mafia, che non è comunque la causa principale del disastro della sanità calabrese, bisogna chiudere con il piano di rientro perché esso stesso è dannoso per la sanità calabrese, e modificare i criteri del riparto ai fondi sanitari alle regioni basandolo sulla presenza delle malattie.

Oggi sappiamo quanto costa curare una malattia cronica, sappiamo quante malattie croniche ci sono nelle varie regioni e, quindi, non sarebbe difficile finanziare le sanità regionali in base ai reali bisogni delle popolazioni. La chiusura del piano di rientro, tra l’altro giudicato parzialmente anticostituzionale da una sentenza della Corte Costituzionale nel 2021, dovrebbe essere una cosa ovvia considerando il fatto che, dopo 15 anni di piano di rientro, la regione Calabria è maglia nera nell’applicazione dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenziali) e lo è anche nonostante dal 2019 siano anche commissariate anche tutte le Asp calabresi, e i tre maggiori ospedali regionali. I commissari non sono stati utili neanche per la lotta alla infiltrazione mafiosa, visto la che la Asp di Vibo Valentia ha avuto forse più di 4 commissari negli ultimi anni.

È chiaro cosa fare per un giusto finanziamento delle sanità regionali, ossia il riparto in base alla presenza delle malattie. Si punti su questo. (gn)

[Giacinto Nanci è medico di famiglia in pensione dell’Associazione Mediass]

Bruni (PD): I vincoli per le regioni in piano di rientro vanno rivisti

La consigliera regionale del Partito Democratico, Amalia Bruni, ha evidenziato come «i vincoli a cui sono sottoposte le regioni in piano di rientro dal debito sanitario, risalenti a legislazioni di oltre 15 anni fa, andrebbero rivisti e resi più flessibili».

«Quanto richiamato in questi giorni dal Ministero della Salute – ha spiegato – circa il fatto che le regioni in piano di rientro, tra cui la Calabria, non possono garantire la somministrazione dell’anticorpo monoclonale Nirsevimab (classificato in fascia C da Aifa) perché si tratta di prestazione extra Lea, è emblematico delle discriminazioni che tale sistema genera».

«Non dobbiamo perdere di vista – ha sottolineato – una drammatica realtà: la mortalità perinatale in Calabria è il doppio rispetto a quella della Toscana: le normative attuali ci penalizzano gravemente. Ad esempio, non riusciamo a garantire gli screening neonatali per alcune malattie rare che oggi, grazie a terapie efficaci, potrebbero assicurare una vita normale ai bambini. È il caso dell’atrofia muscolare spinale (Sma), una patologia che rientra in questa situazione. Per troppo tempo abbiamo continuato a fare calcoli matematici approcciando alla sanità con metodi da ragionieri: non possiamo dimenticare le storie e le vite umane che ne sono colpite».

«Se tale vincolo può avere un senso per prestazioni estetiche – ha proseguito – è insopportabile quando riguarda categorie fragili, come nel caso dei bambini. Ritengo sia il caso di assumere un’iniziativa in sede di commissione salute della Conferenza delle Regioni, al fine di superare queste norme discriminatorie”, prosegue la consigliera regionale».

Bruni, poi, si è interrogata anche sulla rappresentanza calabrese nella sede decisionale nazionale: «A proposito, vorrei chiedere al presidente Occhiuto chi rappresenta la regione in sede di commissione salute?». Secondo la consigliera dem, il mancato aggiornamento del piano di rientro è alla base di molte delle criticità attuali: «Questa vicenda dimostra ciò che stiamo proponendo sin dalle scorse elezioni: la prima cosa da fare era ricontrattare e aggiornare il piano di rientro. Invece, si è scelta la strada più facile: essere nominato commissario».

La questione sollevata da Amalia Bruni apre un dibattito su un tema che coinvolge direttamente la salute dei cittadini più fragili e che chiama in causa la necessità di una riforma del piano di rientro, ritenuta ormai obsoleta e inadeguata.

«Quando gli errori della politica ricadono sul destino dei bambini, discriminati per ceto sociale e collocazione geografica, allora ha fallito la società intera – ha concluso –. E, questo, è solo un assaggio di quello che accadrà con l’Autonomia Differenziata». (rrc)

La consigliera Bruni: È necessario ricontrattare il Piano di rientro della sanità calabrese

«È necessario ricontrattare il Piano di Rientro, allentare i vincoli assunzionali ancorati alla programmazione e non alla produzione, e superare il vincolo di spesa sul personale». È l’appello lanciato dalla consigliera regionale del Partito Democratico, Amalia Bruni, sottolineando come «solo così potremo finalmente affrontare un piano che porti in tempi certi al superamento del commissariamento e al ritorno a una gestione democratica e condivisa della sanità calabrese».

Per la dem, infatti,  «le prossime settimane saranno decisive per una inversione di tendenza del Servizio Sanitario Nazionale. Infatti, con l’aggiornamento della Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza e, soprattutto, con la legge di bilancio 2025, avremo chiaro il quadro se si intende o meno invertire la tendenza in merito al finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale e avviare una poderosa stagione di riforme».

«Il Partito Democratico, in questi mesi, ha messo il rilancio del servizio sanitario pubblico al centro del dibattito politico, proponendo una specifica proposta di legge, di cui prima firmataria è la segretaria Elly Schlein, con l’obiettivo di potenziare il Servizio Sanitario Nazionale attraverso un finanziamento non inferiore al 7,5% del Pil. A questa richiesta del PD – ha detto Bruni – si sono associati ben cinque consigli regionali, tra cui, tuttavia, non compare quello calabrese, per colpevole responsabilità della maggioranza di centrodestra che ha persino impedito il dibattito. Successivamente, la stessa destra ha affossato la proposta di legge Schlein».

La consigliera Bruni ha sottolineato che, nonostante numerose fonti indipendenti, tra cui la Fondazione Gimbe, la Corte dei Conti e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, abbiano certificato lo stato di sottofinanziamento del Ssn, la situazione non è stata affrontata con la dovuta urgenza.

«Siamo al 16° posto tra i Paesi europei – ha ricordato – e abbondantemente sotto la media Ocse per quanto riguarda le risorse impiegate nella tutela della salute. Finalmente, anche il ministro della Salute ha riconosciuto la necessità di potenziare il finanziamento del SSN. Tuttavia, se il quadro generale è preoccupante, in Calabria diventa ogni giorno più drammatico. Tutti gli indicatori – dalla rete ospedaliera ai servizi territoriali, dall’emergenza urgenza alla prevenzione – ci relegano in fondo a tutte le classifiche».

Riguardo alla gestione commissariale della sanità calabrese, Bruni ha evidenziato il fallimento dell’attuale amministrazione.

«Siamo ormai al terzo anno di gestione commissariale in capo al presidente Occhiuto – ha detto ancora – una scelta che abbiamo sostenuto e condiviso. Tuttavia, i fatti, e solo i fatti, purtroppo certificano il fallimento della sua gestione, nonostante abbia potuto godere di disponibilità da parte di governo e parlamento come mai prima d’ora. Bisogna, allora, che si cambi strategia».

La consigliera Bruni conclude con un appello urgente: «È necessario ricontrattare il Piano di Rientro, allentare i vincoli assunzionali ancorati alla programmazione e non alla produzione, e superare il vincolo di spesa sul personale. Solo così potremo finalmente affrontare un piano che porti in tempi certi al superamento del commissariamento e al ritorno a una gestione democratica e condivisa della sanità calabrese». (rcz)

Pd Reggio: Chiusura piano di rientro risultato epocale per Reggio

Il Partito Democratico di Reggio Calabria, con la Segretaria cittadina Valeria Bonforte ed il Segretario metropolitano Antonio Morabito, ha evidenziato come «la chiusura definitiva del piano di rientro, sancita dal dispositivo della Corte dei Conti sezione di Catanzaro, è un risultato epocale per il Comune di Reggio Calabria».

«Un traguardo – continua la nota – che premia la scelta al tempo operata dal sindaco Giuseppe Falcomatà di non gettare alle ortiche le finanze dell’Ente, evitando quindi la dichiarazione di dissesto, che avrebbe messo in ginocchio l’intero tessuto produttivo della Città, ed avviare un percorso virtuoso che puntava al risanamento delle casse comunali, dopo gli anni dei bagordi della destra reggina, per riconquistare quella normalità perduta che al Comune di Reggio Calabria manca ormai da troppi anni».

«Qualche anno fa – hanno scritto i dem reggini – in pochi avrebbero scommesso sul raggiungimento di questo obiettivo storico per la città. Un traguardo per il quale il Partito Democratico ha fatto un lavoro straordinario, costituendo una perfetta cerniera tra le istituzioni territoriali e quelle romane, favorendo la collaborazione con i Governi, i Presidenti del Consiglio ed i Ministeri, a cominciare dal quelli del Pd, che hanno dimostrato grande vicinanza nei confronti della nostra Città, rappresentata in maniera egregia, in tutte le sedi, dal sindaco Falcomatà che, speriamo al più presto, possa tornare alle legittime funzioni assegnate dal mandato elettorale».

«Il ringraziamento più grande – continua il PD – non può che andare ad un’intera città, ai reggini che sono stati chiamati a dieci anni di rinunce e sacrifici e che hanno accompagnato e sostenuto, con maturità e forte senso di responsabilità, il percorso di risanamento intrapreso dall’amministrazione comunale. Adesso che il peggio è alle spalle, grazie al lavoro certosino portato avanti dalle Giunte comunali, dagli Assessori e dai Consiglieri, da sottolineare in particolare quello promosso dai rappresentanti del Partito Democratico, si possono finalmente aprire prospettive importanti proseguendo sul solco tracciato da un mandato che sta risollevando Reggio dal baratro in cui era stata fatta precipitare. Guardiamo al futuro con maggiore ottimismo e con la consapevolezza di poter contare su una classe dirigente forte, autorevole, credibile e che, in silenzio e con ostinazione, è riuscita a tirare la città fuori dalle secche».

«Oggi più che mai -– hanno concluso – ci sentiamo orgogliosi di guidare una comunità che ha visto ripagata la propria fiducia. È davvero un bel giorno per Reggio Calabria, ma nuove ed avvincenti sfide ci attendono. Noi siamo pronti ad affrontarle tutte e, insieme ai cittadini, le supereremo». (rrc)

L’OPINIONE / Santo Gioffrè: Occhiuto spieghi perché la Calabria non è uscita dal Piano di Rientro

di SANTO GIOFFRÈ – Sono, oramai, tre anni che la destra governa la Regione Calabria, avuta in regalo! Da un anno, Occhiuto, è padrone assoluto della sanità. Ha accentrato, nelle sue mani, il potere economico e il potere politico che negli ultimi 9 anni aveva gestione separata.

Il Commissario di Governo al Piano di Rientro governava il pianeta sanità, il Presidente della Regione, non toccava palla e si scialava facendo aeroplanini con la mani. Occhiuto, cogliendo la palla al balzo, predicando che era stata la diarchia a causare lo stato di collasso e di totale smantellamento della sanità pubblica calabrese, aiutato dall’enorme disinformazione che domina quel mercato delle notizie, si è fatto nominare padrone assoluto, da Speranza… già, dall’ex ministro Speranza, accentrando, tutto, nelle sue mani.

Dopo un anno, dove ha dominato in assenza di alcuna opposizione e di altri problemi, endemici in tanti altri poveri sciancati, capitati per caso, Occhiuto, non avendo ricavato nulla se non i benefici dell’esercizio del dominio, scarica le sue incapacità sul cosiddetto tavolo romano”Adduce”; Roma delenda est! Io capisco che, in ambiente dove il più convinto sapientone di giornata, pensa che, per es., l’Azienda Zero sia il prodigio che mancava per far apparire la Fata Morgana a cavallo del Ponte di Messina finito, e non un’altra Dbe, con più poteri, l’indicare il “Tavolo Adduce” come Belfagor, il Fantasma del Busento, lasciatemelo dire, è disarmante. Se fossimo nella bassa Calabria, diremmo: mi catturu i c… per terra e se li sono mangiati i cani.

Occhiuto sa che il cosiddetto “Tavolo Adduce” esiste da sempre. Fin dal momento che la Calabria, come le altre 9 Regioni, è entrata dentro i rigori del Piano di Rientro ed è formato da funzionari del Mef e del Ministero della Salute. E non è composto di uomini, ma di macchine calcolatrici. Ogni sei mesi, in quel tavolo, si ragiona non dei bisogni sanitari delle persone, ma di numeri: come procede la regolarizzazione dei pagamenti, quanti ospedali e servizi sono stati chiusi per far quadrare i conti’, qual è lo stato debitorio delle Asp, come si sta procedendo alla regolarizzazione dei bilanci, come sono i Lea… E altre cose, legate, tutte ai conti economici. Il resto, cioè i cosidetti piani sanitari e similari, non contano se, prima, non quadrano quei conti.

E, mentre per ben 9 Regioni, quei conti hanno travato curmu e quadratura, per la Calabria, dopo 13 anni, questo non è avvenuto. Ora, dopo 3 anni che la destra governa la Calabria e da un anno, il super governatore è padrone assoluto della sanità, invece di andare a cercare “capri” espiatori da arrostire su na carcara i focu, visto che ha avuto tutti i mezzi e i poteri per sapere, compreso il decreto Calabria della commaruccia nostra, che dica perché tutte le altre Regioni sono uscite dal Piano di Rientro e la Calabria non uscirà mai. Già, perché?  E non vada a raccontare a dx e pure a manca, stancando le già usurate Sirene, che entro la fine dell’anno si saprà l’entità del debito…perché, poi, mi troverò costretto a chiedere un’altra cosa… (sg)

IL GOVERNO ABBATTE IL CARICO FISCALE
MA I CALABRESI PAGANO LE TASSE PIÙ ALTE

di GIACINTO NANCI Da ben 12 anni noi calabresi, in applicazione dell’art.2 comma 86 legge n. 191 del 2009 che quantifica la sopratassa a causa del piano di rientro sanitario calabrese, paghiamo più tasse di tutti gli altri italiani.

Un lavoratore calabrese con un imponibile di 20.000 euro ha pagato ogni anno ben 406 euro in più di Irpef di un lavoratore lombardo o veneto, e un imprenditore calabrese con un imponibile di 1 milione di euro ha pagato ogni anno 10.700 euro in più di un imprenditore piemontese o emiliano.

A questo aumento di Irpef e Irap si aggiunge sia l’aumento delle accise che l’aumento del numero dei ticket per le prestazioni sanitarie. E, come se ciò non bastasse, noi calabresi stiamo pagando un mutuo di 428 milioni di euro che il Governo ci ha fatto nel 2011 per risanare il nostro presunto deficit sanitario e per il quale, ogni anno, fino al 2040 stiamo restituendo 30,7 milioni all’anno per un totale di ben 922 milioni di euro con un interesse del 5,89% che è molto vicino al tasso usuraio che è del 6,3%. Infatti dei trenta milioni che ogni anno restituiamo al Ministero dell’Economia ben 21,5 sono di interessi e solo 10 di capitale, se il tasso fosse quello dell’1%, che normalmente si usa per questi tipi di prestito pagheremmo solo 16 milioni all’anno.

Per cui tra aumento di tasse, di accise e prestito noi calabresi, da almeno 10 anni, ogni anno versiamo al Governo circa 150 milioni. Ma perché tutto questo? Perché la Calabria con un decreto del dicembre 2009 è stata posta in piano di rientro sanitario perché ha speso in sanità più di quanto ha ricevuto e questo salasso economico nei nostri confronti è fatto per risanare quel presunto deficit. Lo definisco “Presunto deficit” perché quello della Calabria non è un vero deficit sanitario, ma è la conseguenza di una errata ripartizione di fondi sanitari alle regioni. Infatti fin dal 1998 da quando è entrata in vigore la nuova modalità di riparto dei fondi sanitari alle regioni basato sul calcolo della popolazione pesata che è un criterio solo demografico cioè più soldi dove ci so no più anziani (Nord) e meno soldi dove ci sono più giovani (Sud), la Calabria, insieme a molte regioni del sud, ha ricevuto pro capite meno fondi per la sua sanità e spesso è stata proprio la regione che ne ha ricevuto di meno in assoluto.

La Calabria ha ricevuto fino a qualche centinaio di euro in meno rispetto alla regione più finanziata e, se si moltiplicano le centinaia di euro ricevute in meno pro capite per i circa due milioni di residenti in Calabria, si comprende bene ci vengono sottratti ogni anno parecchie centinaia di milioni di euro. Ma la cosa grave è che questi fondi insufficienti vengono dati proprio alla regione Calabria, dove ci sono molti più malati cronici e quindi quei pochi soldi non potevano bastare per curare i molti più malati cronici e per forza di cose si è dovuto sforare.

Che c’è la necessità di modificare il criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni lo ha certificato perfino il ministro della salute Fazio che, già nel lontano primo aprile 2011, ha solennemente dichiarato che «entro due anni ripartiremo i fondi sanitari in base al criterio della prevalenza delle malattie e non più rispetto all’età che penalizza regioni con un basso indice di vecchiaia»… (leggi Calabria). Ovviamente la modifica del riparto non è stata mai fatta. Che in Calabria ci sono molti più malati cronici del resto d’Italia lo hanno certificato perfino i Ministeri dell’Economia e della Salute approvando il DCA n. 103 del lontano 30/09/2015 del commissario al piano di rientro Scura nel quale con tanto di tabelle si quantificavano in 287.000 i malati cronici in più nei circa due milioni di calabresi rispetto ad altri due milioni di altri italiani.

Il DCA n. 103 ha anche quantificato un altro fattore di maggiore spessa sanitaria calabrese calcolando in 50.000 i malati cronici calabresi con comorbilità rispetto al resto d’Italia. È stato questo, quindi, il vero motivo per cui si è creato il “presunto deficit”, sono arrivati pochi fondi proprio dove ci sono molti più malati cronici. Ed è anche questo il motivo per cui dopo ben 12 anni delle restrizioni e dei tagli del piano di rientro il deficit sanitario è raddoppiato ed è perfino triplicata la spesa per le cure dei calabresi fuori regione.

Anzi, è stato proprio il piano di rientro a fare ulteriore danno alla sanità calabrese, perché con i suoi tagli e restrizioni ha impedito ai malati calabresi di curarsi e non ci vuole grande scienza per capire che un malato cronico che non si cura, poi per essere curato costa molto di più e si complica a tal punto che poi per curarsi deve recarsi nei costosissimi centri di eccellenza fuori regione aggravando il “presunto deficit”.

Ed è ciò che, anche a causa del piano di rientro, si è puntualmente verificato. Purtroppo in questi dodici anni, anche a causa del piano di rientro, si è verificato anche il fatto che per la prima volta nella storia della Calabria l’aspettativa di vita invece di continuare ad aumentare è diminuita e a parità di patologia, specialmente oncologica, in Calabria si muore prima. È per questo che il neogovernatore Occhiuto sbaglia a farsi nominare commissario, Lui è il quinto, e proprio per quanto appena detto fallirà come gli altri quattro.

Perché le cose cambino per i malati calabresi il neogovernatore deve andare di persona alla Conferenza Stato-Regioni, che è l’organo che ripartisce i fondi sanitari alle regioni, e votare contro ogni riparto dei fondi sanitari alle regioni che non tiene conto della numerosità delle malattie in ogni regione perché essendo i voti della Conferenza Stato-Regioni alla unanimità, anche il suo solo voto contrario bloccherebbe tutto e la costringerebbe a modificare il criterio di riparto che finalmente smetterebbe di penalizzare la Calabria.

Il neogovernatore Occhiuto deve pretendere che dove ci sono molti più malati cronici come la Calabria arrivino i fondi proporzionati perché è il solo modo per dimostrare che il piano di rientro è non solo sbagliato, ma anche dannoso per i malati calabresi.

Riparto dei fondi sanitari proporzionati alla numerosità delle malattie altrimenti il piano di rientro non avrà mai fine e oltre a danneggiare, come sta già facendo, la salute dei calabresi affosserà l’intera economia calabrese con aumento di tasse accise, ticket sanitari e prestiti onerosi. (gn)

(L’autore, Giacinto Nanci, è un medico di Catanzaro)