Perciaccante (Confindustria CS): Solo il 29% dei cantieri al Sud è stato avviato

«Nel Mezzogiorno è solo il 29% dei cantieri ad essere stato avviato, un dato sensibilmente inferiore rispetto al 40% del Nord e al 36% del Centro. Per quanto riguarda la Calabria, pur se in linea con il dato territoriale relativo al numero dei cantieri avviati (29%), è molto al di sotto in termini di valore (18% contro il 46% del Mezzogiorno) a causa dell’assenza di grandi interventi infrastrutturali». È quanto ha denunciato Giovan Battista Perciaccante, presidente di Confindustria Cosenza, ribadendo la necessità di «concentrare le attenzioni della Pubblica Amministrazione sulla velocizzazione delle procedure e sulla necessità di rimuovere gli eventuali blocchi che ancora frenano l’esecuzione dei lavori di interesse per il settore delle costruzioni a valere sui fondi Pnrr».

Un allarme lanciato dopo che il presidente degli industriali cosentini ha analizzato i dati resi disponibili da un’attività di monitoraggio effettuata sulla fase realizzativa dei cantieri Pnrr a livello territoriale, grazie ad una collaborazione che l’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili ha attivato con il sistema delle Casse Edili. Dall’analisi emergono evidenti ritardi soprattutto a carico delle regioni del Mezzogiorno: risultano aperti o conclusi i cantieri relativi a circa il 35% dei progetti e l’apertura degli stessi procede in modo differenziato a livello territoriale.

«Le difficoltà riscontrate nel Mezzogiorno – ha spiegato il leader dei costruttori del Sud e degli industriali cosentini – trovano spiegazione, in parte, nella maggiore presenza al Mezzogiorno di lavori di importo elevato, che richiedono tempi di avvio dei cantieri più lunghi. Basti considerare che il 75% del valore totale delle gare pubblicate riguarda progetti superiori ai 100 milioni di euro, a confronto con il 40% del Nord e il 22% del Centro».

«Inoltre – ha argomentato ancora Perciaccante – sulle tempistiche di inizio dei lavori incide anche la maggiore presenza di progetti del tutto nuovi, che necessitano di tempi più lunghi sia per la programmazione e ripartizione dei fondi, che per il completamento delle fasi di progettazione, affidamento e avvio dei cantieri. Tutte opere strategiche per i territori di cui non è possibile procrastinare oltre la realizzazione».

Per i vertici Ance, se si vuole davvero centrare l’obiettivo posto dal Piano di riuscire a ridurre il divario tra il Nord e il Sud del Paese, occorre prestare la massima attenzione alla fase di velocizzazione realizzativa delle opere.

«Il Mezzogiorno – ha concluso il vicepresidente di Ance con delega al Mezzogiorno e presidente di Confindustria Cosenza Giovan Battista Perciaccante – non può permettersi di perdere l’opportunità unica del Pnrr che consente di intervenire su tanti nodi storici del ritardo infrastrutturale di questa area del Paese, favorendo lo sviluppo sociale e la competitività economica, e accelerando i processi di transizione ecologica e digitale». (rcs)

 

ISTRUZIONE, QUEL SETTORE CHE RISOLLEVA
IL SUD E RIDUCE I DIVARI TERRITORIALI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La riduzione dei divari territoriali e lo sviluppo socio economico del Mezzogiorno passa attraverso l’investimento nell’istruzione. È quanto ha ribadito la Svimez, attraverso l’ultimo numero di Informazioni Asili nido e infrastrutture scolastiche: il Pnrr non colmerà i divari territoriali,  dedicato al tema dei servizi per la prima infanzia e dell’istruzione.

Si tratta, infatti, settori interessati da profondi divari territoriali nella dotazione di infrastrutture adeguate, nella quantità e qualità dei servizi offerti a bambini e alunni, negli esiti dei processi di apprendimento e formazione. Per l’Associazione, infatti, la qualità e l’adeguata dotazione di infrastrutture scolastiche e per la prima infanzia sono elementi centrali per la crescita del Sud, in particolare per la partecipazione femminile al mercato del lavoro e all’accumulazione di capitale umano.

«Al Nord, il tasso di occupazione femminile tra i 25 e i 49 anni scende dall’85% per le donne senza figli al 66 per le madri con figli di età inferiore ai 6 anni (-22%). Nel Sud cala in maniera ancora più accentuata: dal 58% ad appena il 38 per le donne con figli in età prescolare», si legge nel documento, in cui viene evidenziato come «anche per la carenza di servizi per l’infanzia, nelle regioni meridionali la maternità riduce il tasso di occupazione delle giovani donne di oltre un terzo. La disponibilità di asili nido e del tempo pieno scolastico incide positivamente sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro».

«Stime recenti della Banca d’Italia – si legge – confermano che nelle province italiane il tasso di attività delle madri di bambini con meno di tre anni tende a crescere con la disponibilità di servizi di assistenza alla prima infanzia a parità di caratteristiche individuali delle madri (età, titolo di studio, nazionalità). La qualità delle infrastrutture scolastiche favorisce l’accumulazione di capitale umano determinando il successo dei processi di apprendimento sin dalle prime fasi dei percorsi di studio. A tale riguardo, numerosi studi evidenziano come la frequenza dell’asilo nido promuova lo sviluppo delle abilità cognitive e non cognitive dei bambini, soprattutto nei contesti di fragilità familiare».

«A parità di condizioni di contesto, punteggi medi più deludenti nei test Invalsi – viene rilevato – sono tipicamente associati a maggiori carenze infrastrutturali delle scuole, in particolare a causa della mancanza di impianti sportivi e della vetustà degli edifici. Le differenze nella dotazione e qualità delle infrastrutture scolastiche contribuiscono a spiegare parte del divario di competenze degli studenti tra Mezzogiorno e Centro-Nord. Ad esempio, l’offerta del tempo pieno, che ha effetti positivi sull’acquisizione di nuove conoscenze, può essere attivata prevalentemente in scuole con spazi per il servizio mensa. La disponibilità del tempo pieno e la presenza di scuole dotate di mensa sono legate da una correlazione positiva e statisticamente significativa».

Inoltre, viene evidenziato come la disponibilità «sin dalla prima infanzia, di infrastrutture scolastiche adeguate favorisce i processi di integrazione sociale e accumulazione delle conoscenze degli studenti, contribuendo alla prevenzione e al contenimento delle situazioni di marginalizzazione e disagio che inducono all’abbandono prematuro del percorso scolastico. Nelle regioni italiane, la minore diffusione del tempo pieno tende ad essere associata a tassi più elevati di dispersione scolastica».

Il Mezzogiorno, infatti, soffre «di un grave ritardo nell’offerta di servizi per la prima infanzia». Basti vedere come in Calabria ci sono 9 posti nido autorizzati (tra pubblici e privati) per 100 bambini tra gli 0-2 anni nel 2020. Situazione ancora più drammatica in Campania, dove ce ne sono solo 6,5, in Sicilia 8,2 e in Molise 9,3, inserendole tra le regioni meridionali più distanti dall’obiettivo dei Lep per i posti autorizzati da raggiungere entro il 2027, che3 sono il 33% della popolazione di età compresa tra i 3 e i 36 mesi.

I divari regionali più marcati si osservano per la disponibilità di mense scolastiche, la cui assenza limita la possibilità di offrire il tempo pieno. Meno del 25% degli alunni meridionali della scuola primaria frequenta scuole dotate di mensa (contro circa il 60% nel Centro-Nord); meno del 32% dei bambini nel caso delle scuole dell’infanzia (contro circa il 59% nel Centro-Nord). Le situazioni più deficitarie interessano Sicilia e Campania, con percentuali inferiori al 15%. In Calabria, nella scuola dell’infanzia solo il 28% frequenta una scuola dotata di mensa, il 23,7% nella Scuola Primaria, il 19,4% nella Scuola Secondaria di I grado, e il 3,1% nella Scuola Secondaria di II grado. Per quanto riguarda istituti dotati di palestre, il dato più basso si registra nella scuola dell’infanzia, con l’8,1%.

Per quanto riguarda la sicurezza, la percentuale di alunni che frequentano scuole dotate di entrambe le certificazioni di agibilità e prevenzione incendi, nella nostra regione i dati sono preoccupanti: nella Scuola dell’infanzia è solo ‘8,4%, nella Scuola Primaria il 12,6%, nella Scuola Secondaria di primo grado il 10,7% e nella Scuola Secondaria di secondo grado il 20,3%.

Dai dati di spesa pubblica di fonte Conti Pubblici Territoriali risulta che il progressivo disinvestimento dalla scuola ha interessato soprattutto le regioni meridionali: tra il 2008 e il 2020, la spesa per investimenti nella scuola si è ridotta di oltre il 20% al Sud contro il 18% del Centro-Nord. Nel 2020, a Sud risultano investimenti pubblici per studente pari a 185 euro, contro i 300 del Centro- Nord. Un differenziale di spesa che tende ad amplificare ancora di più i divari.

Le risorse del Pnrr, per la Svimez, rappresentano, dunque, un’occasione unica per colmare i gap territoriali nella filiera dell’istruzione. Le risorse disponibili sono pari a 11,28 miliardi di euro, di cui 10,73 risultano assegnati agli enti territoriali. Il “Piano per asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia” e il “Piano di messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole” concentrano circa l’80% delle risorse stanziate; agli interventi per mense e palestre sono destinati circa 600 milioni e alla costruzione di nuove scuole 1,2 miliardi circa.

Per la realizzazione di nuove scuole e la messa in sicurezza degli edifici scolastici, si è confermata sostanzialmente la “quota Sud” rispetto a quella prevista dai criteri ex ante fissati dai decreti ministeriali di riparto. Con riferimento agli asili nido, si è determinata una riduzione di 3 punti (52%). Le “quote Sud” delle linee di investimento per mense e palestre sono risultate ridimensionate rispetto alle previsioni dei decreti di riparto delle risorse del Mim (41 contro 57,9% per le mense e 43 contro 54,3% per le palestre) per motivazioni diverse per le due linee di intervento.

Sebbene la “quota Sud” sia stata rispettata, «gli enti territoriali delle tre regioni meridionali più popolose – Sicilia, Campania e Puglia – hanno avuto accesso a risorse pro capite per infrastrutture scolastiche inferiori alla media italiana, nonostante le marcate carenze nelle dotazioni infrastrutturali che le contraddistinguono», ha ricordato l’Associazione.

«La distribuzione provinciale delle risorse assegnate ai Comuni – si legge – segnala significative differenze intra-regionali, soprattutto nelle regioni più grandi: in quasi tutte quelle meridionali, la provincia con il maggior fabbisogno di investimenti non coincide con quella che ha ricevuto le maggiori risorse pro capite. Questa situazione caratterizza, in particolare, Napoli e Palermo che si trovano tra le ultime quindici province nella graduatoria per risorse pro capite assegnate pur avendo, ad esempio nel caso delle mense, una percentuale bassissima di alunni che possono usufruirne (rispettivamente 5,7 e 4,7)».

«Lo studio propone, inoltre – viene spiegato – un’analisi di correlazione a livello provinciale tra indicatori di fabbisogno e risorse allocate per verificare se, e in che misura, l’allocazione degli stanziamenti ha rispettato la finalità di riequilibrio territoriale del Pnrr. I risultati mostrano che l’ammontare di risorse assegnate non sono legate ai fabbisogni effettivi dei territori. Solo nel caso del Piano asili nido le risorse assegnate aumentano con il fabbisogno, in linea con le finalità perequative».

La Svimez  ha evidenziato che « 1)la mancata mappatura iniziale dei fabbisogni si è riflessa in un’allocazione delle risorse che ha penalizzato alcune realtà meridionali; 2) Per le risorse assegnate attraverso procedure a bando risultano differenze tra province, non correlate al fabbisogno infrastrutturale».

La Svimez, dunque propone «di superare l’approccio dell’allocazione delle risorse mediante bandi competitivi che penalizzano le realtà con minore capacità amministrativa, attraverso una identificazione ex ante degli interventi sulla base dei fabbisogni reali; 2) un’azione di riprogrammazione delle risorse per la coesione che consenta di completare, dopo il 2026, il percorso di riduzione e superamento dei divari territoriali nelle infrastrutture scolastiche: con le risorse europee del Fesr (regionale e nazionale) e con il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) 2021-2027». (ams)

L’OPINIONE / Tania Bruzzese: La mortificazione dei diritti è la missione del Governo

di TANIA BRUZZESELa mortificazione dei diritti è la missione del governo: una destra che a colpi di emendamenti, decreti legislativi, manganellate e ispezioni punitive ha accerchiato la democrazia e attaccato la  Costituzione per impedire ogni libertà di scelta. 

Mentre qualche settimana fa la Francia inseriva l’aborto nella Costituzione e pochi giorni fa il Parlamento Europeo votava una risoluzione chiedendo di inserire all’art. 3 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Ue l’aborto sicuro e legale, il governo Meloni organizzava un silenzioso assalto  all’autodeterminazione delle donne, attraverso l’emendamento al Pnrr, con tanto di questione la  fiducia, che garantirebbe la presenza constante delle associazioni pro-life “qualificate” nei  consultori ai fini persuasivi e morali a sostegno della maternità, finanziandole attivamente con i  fondi del Pnrr, sottraendo peraltro ulteriori risorse alla sanità pubblica.  

La questione va vista in maniera dualistica perché di fatto i consultori forniscono già assistenza alle  donne che valutano l’aborto e che poi scelgono di portare avanti la gravidanza attraverso psicologi e assistenti sociali, mettendo questi ultimi in contatto le donne con associazioni che forniscono beni  di prima necessità e che l’obiezione di coscienza è già garantita dalla legge, tanto è che in alcune  regioni vi è la difficoltà a reperire medici non obiettori di coscienza: allora per caso la necessità di questo emendamento è forse finanziare realtà vicine al governo che abbiano nella loro mission  l’obiettivo di limitare i diritti delle donne, causando ulteriore dolore ed umiliazione alle donne che  praticano una scelta difficile come l’aborto? 

Obbligare una donna ad ascoltare il battito cardiaco del feto o inviare un moralizzatore che  stigmatizzi i sensi di colpa è la strada di un governo debole, incapace di garantire i diritti nella piena  autonomia e nel rispetto dei propri cittadini: questa si traduce come l’ennesima offesa ai diritti delle  donne ed è necessario ribadire forte e chiaro un concetto fondamentale inerente la persona come  quello della differenziazione di declinazione fra maschile e femminile. La gravidanza riguarda la  donna, nella sua totale interezza ed ha un impatto psico-fisico che non può essere inquadrato nella  definizione di integrità della persona. Nessun emendamento può regolare e regolamentare il  controllo delle donne circa il proprio corpo, l‘aborto è sempre una decisione sofferta che mette di per sé la donna in una condizione di fragilità psicologica e che lascia inevitabilmente strascichi.  

Un governo che di fatto ha paura del popolo e che quindi lo colpisce minandone le possibilità di  scelta, restringendo giorno dopo giorno la possibilità di autodeterminazione in quadro di legalità  attraverso provvedimenti – figli di una cultura del rifiuto del riconoscimento dell’identità femminile,  della giustizia sociale e dell’equità – che limitino sempre più le condizioni di soggettività libere e  autonome. Allora risulta quanto mai attuale quanto detto nel 1981 dal palco di Firenze alla  manifestazione in favore della 194 da Enrico Berlinguer: «Minacce di involuzione derivano  dall’andamento complessivo della società […] indebolendo lo spirito di solidarietà e lotta per la  giustizia sociale. Questi fenomeni spingono la società ad un imbarbarimento, da cui non ci si salva  chiudendo gli occhi […]». 

La libertà delle donne fa paura ad un mondo reazionario e suprematista, un mondo soggiogato dalle biopolitiche fino alle complesse dinamiche della globalizzazione, inclusa le guerre: dobbiamo  lottare, serve una grande mobilitazione per l’inviolabilità della libertà degli individui. Le scelte del  governo ci chiamano ad una lotta continua, senza che si arretri mai di un passo, per difendere giorno  per giorno i diritti delle donne, dei più deboli, perché è quanto mai evidente che in questa società  dare per acquisiti definitivamente dei diritti civili sia sbagliato. 

La battaglia sul diritto all’aborto sia la battaglia di tutti, e assuma il valore di difesa di un patrimonio  culturale.  

Lavoriamo allora , ad una mobilitazione costante, unitaria e generale. (tb)

[Tania Bruzzese è presidente Associazione Metropolitana PD RC]

Le Democratiche di RC: Su aborto la destra si dimostra antiprogressista

La Conferenza delle Democratiche dell’area metropolitana di Reggio Calabria, guidate dalla portavoce Barbara Panetta, hanno evidenziato come con l’approvazione dell’emendamento di Fdi con cui si prevede la presenza di associazioni anti abortiste all’interno dei consultori, luogo a cui le donne si rivolgono per sostegno e assistenza, è «una vera e propria violenza psicologica nei confronti delle donne e dei loro corpi, su cui la destra, ad ogni latitudine, immagina di imporre con la forza la propria ideologia autoritaria e cinica».

L’emendamento è stato approvato nel corso del voto di fiducia al Decreto Pnrr, inserita in Commissione Bilancio alla Camera dei Deputati, presieduta dal forzista calabrese Giuseppe Mangialavori.

Per le Democratiche, infatti, «il diritto all’aborto è una libertà di scelta delle donne su cui non si torna indietro, immaginare di imprigionarla utilizzando i fondi del Piano di Ripresa e Resilienza è vergognoso!».

«Nei fatti, il tentativo di svuotare le libertà raggiunte dalla legge 194 – hanno proseguito – già messa a dura prova dall’alto numero di medici obiettori che spesso provoca il totale impedimento all’applicazione. Piuttosto che intervenire su tale deficit, garantendo la presenza di medici non obiettori in ogni struttura sanitaria, si punta a depotenziare ulteriormente gli strumenti di libertà a cui le donne si affidano per l’interruzione di gravidanza. Tra l’altro, considerando che l’art. 2 della legge 194 prevede già la possibilità di convenzioni con associazioni di volontariato in grado di aiutare la maternità difficile dopo la nascita, l’obiettivo della destra è, in tutta evidenza, totalmente ideologico».
«Le Democratiche di Reggio Calabria – hanno ribadito – si batteranno strenuamente contro questa visione, anche a livello regionale, affinché si annullino gli effetti di scelte politiche retrive e reazionarie. Non è pensando di elargire qualche piccola sovvenzione temporanea che si aiutano le donne nella loro scelta più dolorosa, ma aumentando semmai la presenza di psicologi in grado di assisterle nella loro decisione, qualsiasi essa sia, senza influenza alcuna, e garantendo la presenza dei consultori anche nelle aree più periferiche. Inoltre, riteniamo fondamentale rafforzare gli strumenti di assistenza sociale e abitativa».
«I fondi del Pnrr – hanno detto le Democratiche – ci aspettiamo siano impegnati per la solidarietà e la crescita sociale, il sostegno alle famiglie e alle donne lavoratrici e non certo per decisioni illiberali, diventerebbe un terribile controsenso.
 L’autodeterminazione delle donne non può divenire strumento ideologico di una destra sempre più votata alle negazioni delle libertà di pensiero e di scelta».
O«gni cittadina libera si mobiliti insieme a noi – hanno concluso – la lotta unitaria non può che partire dalla difesa dei diritti costituzionali e delle libertà democratiche e antifasciste». (rrc)

Tavernise (M5S): Inaccettabile taglio fondi Pnrr su sicurezza sismica ospedaliera

Il consigliere regionale e capogruppo del M5S, Davide Tavernise, ha presentato una interrogazione al presidente della Regione, Roberto Occhiuto, per sapere «cosa intende fare la Giunta e il commissario ad acta per opporsi al taglio indiscriminato da 1,2 miliardi di euro del Pnrr destinati alla realizzazione del programma denominato «Verso un ospedale sicuro e sostenibile».

Il pentastellato, sempre nell’interrogazione, chiede l’ammontare della quota «parte del definanziamento a carico della Regione Calabria e quali sono i progetti che la Regione Calabria ha presentato, attivato e quali di essi sono interessati dal definanziamento delle risorse Pnrr in parola».

«La preoccupazione maggiore – ha proseguito – riguarda soprattutto quegli interventi che erano già stati finanziati, per i quali ci sono già cantieri in corso o hanno già gare assegnate, quindi hanno prodotto obbligazioni giuridicamente vincolanti che non sono sostituibili con i fondi dell’articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67. La rimodulazione del finanziamento già accordato, in cantieri di strutture ospedaliere per l’antisismica già avviati, potrebbe provocarne il fermo, con rilevanti ricadute tecnico-giuridiche-economiche a carico di Regioni e Ssr che hanno sottoscritto gli affidamenti».

«Questo definanziamento – ha sottolineato – lede ulteriormente il diritto alla Salute dei cittadini che invece dovrebbe essere la priorità. Il taglio delle risorse “fondamentali” ai territori e alle strutture ospedaliere pubbliche è semplicemente inaccettabile. Siamo convinti che per garantire un sistema sanitario equo ed efficiente è fondamentale che i governi pianifichino i finanziamenti in modo oculato, assicurando risorse adeguate per tutti i livelli di assistenza, compresa la sanità di prossimità. Il motivo principale per il quale, tra gli altri motivi, ci schieriamo contro l’autonomia differenziata». (rrc)

TURISMO PASQUALE, È BOOM DAPPERTUTTO
NECESSARIO RILANCIARE QUELLO DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – L’arrivo della Pasqua vede le nostre città piene di visitatori. Non solo le classiche mete turistiche come Firenze, Venezia, Roma, ma anche le città meridionali, finalmente,  registrano flussi interessanti.

Napoli in testa, ma anche Palermo, Catania, Bari ormai mostrano un aumento di turisti  e il sold out per alberghi pensioni e b&b é diffuso.

E ritorna la litania del “potremmo vivere di solo turismo”. Con il mare, il sole, l’ambiente, i beni culturali che il Sud si ritrova ad avere, in molti, anche rappresentanti politici, pensano che invece di fabbriche e fumi possiamo vivere di prati verdi e campi da golf.

Ma gli stessi dimenticano che il nostro Mezzogiorno ha oltre 20 milioni di abitanti e solo un po’ più di sei milioni di occupati, compresi i sommersi. E che il rapporto tra popolazione ed occupati, in una realtà a sviluppo compiuto, deve avvicinarsi al 50%, come avviene in Emilia Romagna per esempio. O andare oltre come in Olanda.

E quindi le esigenze di posti di lavoro si collocano su numeri che vanno dai 9  ai 10 milioni complessivi di posti di lavoro, compresi i sommersi.

Quindi fare a meno dell’occupazione nel manifatturiero diventa impensabile, perché da esso dovrebbero arrivare perlomeno 2 milioni di posti di lavoro, così come non si può fare a meno della logistica. Ovviamente anche del turismo, che sarebbero i tre drivers sui quali dovrebbe puntare lo sviluppo del Sud.  Pensare ad uno solo delle tre colonne individuate significa non capire che vi sono coerenze numeriche che vanno rispettate.

Ma vi è un’altra considerazione importante da fare: il turismo offre opzioni interessanti nella sua filiera ma a certe professionalità. Dal management amministrativo a tutto il lavoro  relativo alla comunicazione e alla vendita dei posti letto  oltre all’indotto relativo alle guide turistiche, trasporto, servizi di ristorazione, di divertimento e collegati.

Ma nulla rispetto alle esigenze di inserimenti per i nostri giovani ingegneri o per le professionalità scientifiche che dovrebbero in ogni caso emigrare.  Le esigenze di tali professionalità sono soddisfatte dal manifatturiero di alta tecnologia che non può essere tralasciato e che porta innovazione  importante per i territori. E che esiste già nel Mezzogiorno: si pensi al nucleo tecnologico di Catania o a quello della Apple, primo centro europeo di sviluppo e applicazioni.  che sarà nella Facoltà di Ingegneria di San Giovanni a Teduccio a Napoli.

O incrementando quell’industria aeronautica e aerospaziale italiana che pesa in modo significativo sul Pil, generando un fatturato annuo di 13 miliardi di euro. Nella quale un produttore su tre degli oltre 300 del settore si trova nell’Italia nord-occidentale (32,6%), solo il 24,7% nel Sud, il 20,9% al Centro, il 19,9% nel Nord-Est e il restante 1,9% nelle isole.

E dove in vetta sta la Lombardia, con il 20,5% delle imprese produttrici di aerei e veicoli spaziali, Campania (14,3%), Lazio (13,4%), Piemonte (9,4%), Emilia-Romagna (7,2%) e Puglia (6,2%).

Quello che si destinino le aree meridionali all’agricoltura e al turismo non è una opportunità ma un rischio. Perché l’agricoltura, purtroppo é diventata una attività prevalente per i paesi non sviluppati, tranne che per la parte relativa alla verticalizzazione delle produzioni di nicchia e di grande qualità, mentre il turismo essendo una branca che ha bisogno di minore ricerca ha competitori che possono fornire i servizi a prezzo molto contenuti.

Si pensi all’Egitto, alla Siria, a Israele, al Marocco ma anche ai competitori internazionali dell’Estremo Oriente o del Sud e del Centro  America, che con il calare del prezzo dei voli diventano concorrenti importanti.

In tale quadro bisogna approfittare della opportunità della Zes unica;  bisogna “lottare”, visto che il Nord bulimico è sempre pronto ad accaparrarsi gli investimenti più sofisticati ed a maggiore occupazione di manodopera altamente professionalizzata, per portare al Sud tali investimenti.

Sapendo che è estremamente complesso portarli già in Italia, ma molto più difficile farli arrivare al Sud per molte

considerazioni riguardanti la carenza di infrastrutture,  la presenza di criminalità organizzata, e perché al momento opportuno i vantaggi, con un comportamento schizofrenico interessato, che vengono dati agli insediamenti al Nord sono uguali se non maggiori di quelli concessi alle localizzazioni nel Meridione, sia in termini di cuneo fiscale che di vantaggi sulla tassazione degli utili eventuali.

Per questo accontentarsi di agricoltura e turismo e destinare i nostri giovani di eccellenza a percorrere le strade del mondo, soluzione che non deve essere esclusa se dipende dalla volontà dei singoli alla ricerca di una mobilità arricchente, ma che diventa deportazione forzata se le opportunità che siamo in dovere di dare anche nella realtà meridionale non vengono create.

Per questo lo stesso ponte sullo stretto del Mediterraneo diventa l’elemento  fondamentale di di una nuova vulgata  di un Governo che crede anche in questa parte del Paese.

Per questo la posizione della sinistra sulla grande infrastruttura e sul collegamento con l’alta velocità anche del Sud denuncia una carenza di visione e una mancanza di prospettiva estremamente colpevole.

Opposizione che in questo modo sarà pericoloso che arrivi alla gestione e al governo del Paese perché lo condannerebbe  all’inazione e all’arretramento.

In un mondo globalizzato, nel quale la corsa all’innovazione e al futuro è fatta senza sosta, con città come Dubai o Schengen che crescono di milioni di abitanti in pochissimi anni.

Che affronta problemi infrastrutturali importanti lavorando continuativamente per 24 ore, che approfitta anche della possibilità di non avere i vincoli/ garanzie  dei paesi sviluppati sul lavoro minorile, sui diritti dei lavoratori, non scattare come gli altri e perdersi in discussioni pretestuose diventa un molo per essere marginalizzati e perdere la possibilità, colpevolmente, di dare ai propri cittadini un futuro di prosperità. È tutto ciò non può essere consentito a minoranze tanto minoritarie quanto agguerrite e  pericolose. ν

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

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LA SCOMMESSA DELL’ACCOGLIENZA

La nota del prof. Busetta, rudemente, fa capire che il Sud (La Calabria) non può vivere solo di Turismo e Agricoltura, come sarebbe giusto pensare, ma deve alimentare la filiera industriale perché l’industria genera occupazione stabile e richiede manodopera. Ciò non toglie che, a fronte, del boom del turismo pasquale di cui beneficerà anche la nostra terra, è necessario rivedere le politiche del turismo in Calabria, a partire dalla promozione e finire alla ricettività. Dove mettiamo i turisti che volessero arrivare in massa? Quali servizi (a terra) siamo in grado di offrire (per spostamenti, guide, etc)? Da un lato è lodevole aver convinto RyanAir a puntare sulla Calabria, dall’altro mettiamo in condizione chi arriva di trovare facilities e opportunità che rendano la vacanza eccellente (e possibilmente memorabile). (s)

Irto (PD) annuncia interrogazione sui tagli alla sanità

Il senatore del Pd, Nicola Irto, ha annunciato una interrogazione al ministro Raffaele Fitto, «per sapere se ci sono già stati o stanno per arrivare i tagli miliardari, di cui parla la stampa, alle risorse del Pnrr stanziate per il potenziamento della sanità territoriale, per la sicurezza degli ospedali e il miglioramento della diagnostica pubblica, quale ne è l’importo esatto e quali ne sono le ragioni alla base».

«Rispondo con un’interrogazione circostanziata alla pantomima tra il presidente Roberto Occhiuto e il ministro Raffaele Fitto sul taglio dei fondi del Pnrr per la sanità. In particolare, al ministro Fitto chiedo la pura verità dei fatti, che sembrano inchiodarlo alle proprie responsabilità e rispetto ai quali, a quanto pare, il presidente Occhiuto ha avuto un costante atteggiamento remissivo», ha detto Irto, preoccupato perché, «ancora una volta, il Sud potrebbe essere gravemente penalizzato e, se i tagli in questione fossero effettivi, le minacce di dimissioni del presidente Occhiuto dal ruolo di commissario alla Sanità calabrese sarebbero un mero teatro politico a danno dei cittadini calabresi».

«Sulla questione – ha concluso il senatore Irto – andrò fino in fondo, convinto che il Mezzogiorno, e la Calabria in particolare, non possa subire ancora le bugie e i tradimenti del governo delle destre, che sta smantellando la sanità pubblica a vantaggio dei privati». (rp)

PNRR, LA VERA SFIDA PER IL MEZZOGIORNO
È LA MESSA IN SICUREZZA DELLA QUOTA SUD

di LIA ROMAGNO – La sfida dell’attuazione del Pnrr per l’Italia vale tra il 2 e il 2,5% di Pil in più, percentuali superiori alla media europea. A “pesare” l’impatto del piano per il sistema Paese è stato ieri il commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni.

«La proiezione sulla misura aggiunta di Pil nel 2026 per i diversi Paesi dal Next Generation Eu è una media dell’1,4% aggiuntivo – ha affermato intervenendo a un evento per i quarant’anni di Affari&Finanza, a Milano –. Si va da Paesi che hanno nel 2026 un Pil tra il 4 e 5% in più, come la Grecia. Altri che stanno al 3%, come la Spagna. L’Italia tra il 2 e 2,5%, quindi è sopra la media europea. Ovviamente sono modelli matematici che possono essere confermati o meno. Questo ci dice che la potenzialità dello strumento è notevole».

La sfida «si gioca nei prossimi due tre anni in modo decisivo», ha sottolineato Gentiloni, considerando che il processo di revisione, approvato dal Consiglio europeo lo scorso 8 dicembre, ha allungato le scadenze per molti obiettivi, «quindi – ha affermato – quest’anno sarà più leggero».

Dopo i ritardi e le criticità che hanno segnato la prima parte del 2023, dovute anche alle ricadute delle tensioni geopolitiche, il Piano è ripartito. L’Italia «si è rimessa in carreggiata», ha affermato il commissario europeo, dicendosi poi «soddisfatto dell’Italia: Mi fa piacere che il governo consideri il piano come figlio suo e non una strana eredità. Penso che la revisione del piano, non priva di controversie – pensiamo alle città che hanno lamentato alcuni definanziamenti – abbia un vantaggio: è diventato il piano dell’attuale governo, non più eredità più o meno subita che un governo precedente o quello prima addirittura aveva negoziato con la Commissione europea senza contributo dell’autorità attuale. E il piano ha mostrato di potersi adattare, sia sulle materie energetiche, sia nel tener conto dell’inflazione».

«Le sfide rimangono perché la quinta rata vale poco più di 10 miliardi e l’ultima del 2026 ne vale 40. Poi le cose bisogna farle e bisogna toglierci dalla testa che se abbiamo rispettato alcuni tempi e alcuni obiettivi negoziati con la Ue ora sia tutto in discesa: l’impegno più sostanziale verrà nei prossimi due-tre anni», ha ribadito.

La portata della sfida la fanno i numeri del Piano: 194,4 miliardi, di cui 71,8 miliardi di euro in sovvenzioni e 122,6 in prestiti, 66 riforme e 150 investimenti. Finora la Commissione ha erogato oltre il 50% dei fondi destinati all’Italia nell’ambito del Recovery and Resilience Facility, oltre 102 miliardi.

Se l’Ue nei prossimi giorni darà il via libera anche alla quinta rata- la richiesta di pagamento è partita alla fine di dicembre – la dote già incassata salirà a 113 miliardi, pari a oltre il 58% dei 194,4 miliardi stanziati in sede europea.

Finora, secondo la relazione sull’attuazione del Pnrr presentata dal ministro degli Affari Europei e regista dell’ “operazione” Pnrr, Raffaele Fitto, sono state spese circa la metà delle risorse già incassate, ovvero 45,6 miliardi su 102, il 23% dell’importo totale. Da qui la necessità di spingere sull’acceleratore su cui ha messo l’accento anche la premier Giorgia Meloni.

Il Pnrr resta un cantiere aperto, sia sul fronte interno, sia su quello europeo: la scorsa settimana il via libera del Consiglio dei ministri al nuovo decreto per l’attuazione del piano che punta a velocizzarne la messa a terra, anche introducendo norme mirate a una maggiore responsabilizzazione dei soggetti attuatori (l’iter di conversione prenderà il via dalla Commissione Bilancio di Montecitorio).
Ieri l’invio alla Commissione europea di una richiesta di revisione del “nuovo” piano, adottato dal Consiglio Ue l’8 dicembre scorso. Riguarda essenzialmente la «correzione di alcuni elementi tecnici nel Pnrr, così come approvato nell’ultima Cabina di regia», ha spiegato il ministro Fitto, sottolineando la «continua e proficua collaborazione tra il governo italiano e la Commissione europea».

«La revisione consentirà la corretta attuazione del Pnrr così come modificato lo scorso dicembre», ha aggiunto il ministro che oggi sarà a Bruxelles dove in mattinata, nella sede del Parlamento europeo, vedrà la presidente Roberta Metsola, mentre nel pomeriggio sarà invece a Palazzo Berlaymont per incontrare il vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, il Commissario per il bilancio e l’amministrazione, Johannes Hahn, e quello per la Giustizia, Didier Reynders.

La portavoce dell’esecutivo Ue, Veerle Nuyts, ha chiarito che le modifiche tecniche riguardano «correzioni di errori materiali», «modifiche per chiarire la formulazione di alcuni traguardi raggiunti rispetto agli obiettivi», e sono necessarie «per assicurare la coerenza di tutto il testo con la decisione del Consiglio Ue che ha approvato la revisione del Piano» a dicembre.

La Commissione dovrebbe impiegare meno di due mesi per completare la sua valutazione della richiesta italiana, hanno assicurato fonti comunitarie.

Per il Mezzogiorno la sfida è vitale e passa dalla messa in sicurezza della “Quota Sud”, un punto su cui ha insistito il direttore generale dello Svimez, Luca Bianchi, intervenendo al convegno Quale sviluppo per il Mezzogiorno e la Calabria organizzato dalla Cgil a Lamezia Terme, cui ha preso parte anche il presidente della Regione, Roberto Occhiuto.

Bianchi ha chiamato in causa la debolezza amministrativa degli enti locali meridionali di fronte a quella che è «un’occasione decisiva» per accorciare la distanza con il resto del Paese e avviare il rilancio del Sud.

«C’è stata una rimodulazione che rischia di ridurre la quota Sud. Dobbiamo pertanto spingere innanzitutto sulla qualità amministrativa per regioni come la Calabria. Bisogna concentrarsi per mettere a terra le risorse perché non è possibile che non si raggiunga la quota del 40% che è la quota prevista per il Mezzogiorno dalla quale non si può derogare – ha affermato –. Al Governo diciamo di supportare e rafforzare le amministrazioni locali nell’attuazione perché questo Pnrr serve anche a ridurre i divari territoriali e non si può assolutamente derogare questo obiettivo». (lr)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia] 

Pnrr, la Provincia di Cosenza è la prima d’Italia per capacità di spesa

Pnrr, la Provincia di Cosenza è la prima d’Italia per capacità di spesa. «Con 75 milioni e mezzo di euro, la Provincia di Cosenza è la prima, in tutto il territorio nazionale, per capacità di spesa dei fondi del Pnrr, secondo i dati diffusi dall’Unione delle Province d’Italia».

Lo afferma, in una nota, la presidente della Provincia di Cosenza, Rosaria Succurro, che commenta: «È un ottimo risultato, che dà visibilità al cosentino e all’intera Calabria. Per me è una grande soddisfazione, perché sono certificati il buon andamento amministrativo della Provincia di Cosenza, le nostre pratiche di livello e la preparazione e capacità della squadra provinciale, fatta di dirigenti, tecnici e funzionari in gamba».

«Questo risultato dà un quadro molto preciso del contributo dell’amministrazione provinciale cosentina all’economia del territorio, all’occupazione, alla dignità dei cittadini e – conclude la presidente Succurro – alla garanzia dei servizi primari». (rcs)

Bruni (PD): Discutere in sede istituzionale su criticità rilevate da Corte dei Conti su sanità e Pnrr

La consigliera regionale del Pd, Amalia Bruni, ha ribadito di discutere, in sede istituzionale, delle criticità rilevate dalla Corte dei Conti sulle «ben note criticità che interessano la nostra Regione soprattutto in materia di sanità, di lavori pubblici, e di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza».

«Nella relazione illustrata venerdì 23 febbraio – ha spiegato – il procuratore generale della Corte dei Conti, Ermenegildo Palma, richiamata l’attenzione sul fatto che impiegare in modo consapevole le ingenti disponibilità finanziarie di cui è destinatario il territorio regionale presuppone sia una visione lungimirante e realista nel programmare, sia la disponibilità di competenze tecniche nella realizzazione».

«Cose in cui l’Amministrazione regionale non brilla – ha aggiunto – tanto che, spiega il procuratore, le citazioni rispetto all’anno scorso sono rimaste invariate. Da professionista del settore, mi viene immediato mettere in luce le problematiche nella gestione sanitaria, evidenziando la presenza di una costante precarietà e di una confusione generata prima di tutto dalla presenza di numerosi commissari all’interno delle aziende sanitarie regionali. Oltre che dalla mancanza di controllo e di direttive chiare, che hanno generato un caos tra Dipartimento e Azienda Zero. Nonostante siano trascorsi tre anni, la situazione non è stata risolta».

«E dopo tanta enfasi, i bilanci consuntivi 2022 adottati a giugno 2023 a tutt’oggi – ha ricordato – non sono stati approvati. Doppi pagamenti, mancate opposizioni a decreti ingiuntivi per liquidazioni già effettuate, cattiva gestione della farmacia, impianti solari e termici che non funzionano nonostante i milioni buttati, mancato rispetto delle politiche di risparmio su fitti e gestioni immobiliari, proroghe continue dei servizi essenziali. Del resto proprio nella relazione si parla di diffusa omissione da parte della dirigenza responsabile del funzionamento delle strutture aziendali di iniziative invece obbligatorie».

«Il quadro delle criticità si completa con il ritardo nell’approvazione dei bilanci e nella progettazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), con particolare attenzione all’asse 6 relativo proprio alla sanità», ha affermato ancora Bruni richiamando anche «le responsabilità del governo per la confusione tra le responsabilità nazionali e regionali riguardo al Pnrr».

«C’è l’urgenza di completare la progettazione e rendicontare le opere entro giugno 2026. E visti i gravi ritardi nell’attuazione dei progetti e le innumerevoli criticità – ha concluso la consigliera Bruni – sarebbe il caso di spostare il confronto nelle sedi istituzionali, a partire da un confronto in Consiglio regionale per richiamare la Giunta e il presidente Occhiuto alle proprie responsabilità». (rcz)