Il rinvio del provvedimento del Consiglio dei ministri che doveva “legittimare” la richiesta di autonomia avanzata da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna è una buona opportunità per una seria riflessione sulle cose da fare e quelle non fatte. Diciamo la verità, il costante e crescente divario tra le regioni settentrionali e quelle del Mezzogiorno non è dovuto “soltanto” alle migliori chances offerte negli ultimi decenni dai governi al Nord, ma anche e soprattutto all’inezia e all’incapacità della classe politica meridionale di far valere le ragioni di un Sud che ha un potenziale di crescita enorme, mai messo a profitto.
Da questo punto di vista, appare molto interessante la proposta lanciata dalla deputata cosentina Jole Santelli sulla necessità di avviare subito «un grande piano infrastrutturale per il Meridione, a partire dall’esercizio in corso, in grado di recuperare sia pure in parte i ritardi nei settori chiave». La Calabria – sostiene correttamente la Santelli – è la regione più esposta e fragile se dovessero passare le richieste “federaliste” di autonomia basate sui costi storici. Sarebbe, in effetti, una partita persa a tavolino: è evidente che i numeri delle regioni “sottosviluppate” non possono competere con quelli delle regioni “ricche”. «È necessario – dice la Santelli – che si definiscano i fabbisogni standard di ogni regione allo scopo di assicurare a tutti i cittadini italiani gli stessi livelli essenziali».
Quella che la deputata cosentina definisce senza mezzi termini la “deriva secessionista” è, per il momento, bloccata e resterà, quasi certamente, ferma almeno fino alle prossime elezioni europee. In questo spazio temporale sarà utile confrontare le varie voci che si sono levate e si leveranno, con un’avvertenza: mano parole, per favore, e più fatti. Il presidente “dimezzato” Oliverio (è ancora costretto dalla magistratura a stare lontano dalla Cittadella regionale di Germaneto) sostiene che andrebbe considerato «come sono state spese le risorse sin ad ora e soprattuto dove sono state spese. La negoziazione – dice Mario Oliverio – deve essere complessiva, non soltanto sul credito che le Regioni possono avanzare, ma anche sul debito maturato dal Paese a causa degli investimenti fatti in quelle regioni che oggi vogliono l’autonomia differenziata». Bene, quante e quali risorse sono state utilizzate soprattutto per favorire l’occupazione giovanile e la nascita di nuove imprese che portano, evidentemente, nuove opportunità di occupazione? Poche e tutte oppresse e schiacciate da una burocrazia intollerabile che allontana investitori e scoraggia l’imprenditoria giovanile.
Il dibattito non è solo incentrato sul “nuovo” regionalismo che in Mezzogiorno deve sostenere. C’è anche chi continua a vedere il pericolo secessionista. A Cosenza, nel corso di un dibattito – il prof. Gianfranco Viesti, ordinario dell’Università di Bari – ha sottolineato che «Ancora non è chiaro se il Parlamento avrà la possibilità o meno di emendare i testi dopo la firma di Conte, ma nel momento in cui le Camere avranno approvato con legge di ratifica – dunque una legge atipica e rinforzata – non si potrà invocare un referendum. Non resterà che il ricorso alla Corte costituzionale, mentre il controllo democratico dei cittadini su tutto il processo sarà pari a zero. Tutto sarà affidato a una commissione paritetica e state certi che all’interno non ci saranno calabresi o campani» – ha avvertito il prof. Viesti.
A Vietri sul Mare, invece, nel corso del convegno Più Sud più Italia, promosso da Fratelli d’Italia, il consigliere regionale Alessandro Nicolò (FDI) a proposito del tentativo di “secessione velata” ha detto che «occorre sviluppare un confronto serrato, raccogliere la sfida rappresenta anche occasione per ridisegnare un regionalismo che consideri il Sud non più un fardello ma una risorsa».
Il concetto di Mezzogiorno “parassita”, purtroppo, non è nuovo ed è spesso speso da molti politici non riescono a capire che se non decolla il Sud non riparte l’Italia: le risorse umane, il capitale umano del Mezzogiorno è straordinario (chiedetevi perché nei posti chiave delle istituzioni, nei ruoli apicali, in ogni campo, nel Centro e nel Nord “ricco e prosperoso” ci siano sempre calabresi che mostrano competenza, cultura del fare, generosità e impegno. I calabresi non sono più bravi, ma si impegnano di più a farlo vedere e chi crede nel merito non può ignorare queste capacità. Così continua l’emigrazione intellettuale dei nostri giovani che andranno a offrire competenza e capacità a chi sa valorizzarli.
Perciò, come non condividere l’editoriale odierno di Gianni Festa, condirettore dell’edizione irpina del Quotidiano del Sud, che che si chiede a proposito dei fondi europei: «Come mai le risorse concesse alle regioni settentrionali si esauriscono, salvo qualche rara eccezione, nei termini stabiliti e, invece, quelle destinate al mezzogiorno non sono utilizzate e trornano all’Europa che le destina ad altri paesi?». Non è una domanda retorica, cui Festa risponde drasticamente che serve: «uno straordinario cambiamento di mentalità, l’abbandono del fatalismo inconcludente, di quell’assistenzialismo con cui si delega agli altri l’impegno per la rinascita».
I Calabresi, ma tutto il Mezzogiorno, in realtà, hanno capacità e risorse umane: è mancato il coordinamento negli investimenti (che tutt’ora latita) e serve una forte determinazione a contrastare il vero nemico dello sviluppo, che è la burocrazia. Che schiaccia, soffoca, mortifica, umilia e deprime qualunque voglia di cambiamento, di imprenditoria, di industrializzazione. Dovrebbe essere questo il primo impegno del futuro governo regionale. Quello attuale ha finito, inutilmente, il tempo a sua disposizione. (s)