di SANTO BIONDO – Cosa si farà del residuo fiscale è il “non detto” di una riforma che la politica per scarsa conoscenza, oppure per convenienza, non vede o fa finta di non vedere. È, infatti, dietro queste due parole che si nasconde la trappola del disegno di legge Calderoli.
È sulla partita economica che, nell’indifferenza di buona parte del ceto politico nazionale e locale, si giocherà il destino di una norma di bandiera che rischia di spaccare il Paese definitivamente in due, di allargare quei divari di cittadinanza già insopportabili allo stato dei fatti.
Tutto il ragionamento sull’autonomia differenziata ruota attorno a due domande a cui questo documento sfugge e lo fa in malafede, sottintendendo l’imbarazzo del ministro che mente sul tema del regionalismo differenziato sapendo di mentire, consapevole di doverlo fare per appartenenza partitica, per dare una risposta partitica ad un tema che, da troppo tempo, la sua parte politica tenta di imporre alla Nazione.
Al ministro Calderoli, però, noi quelle domande le vogliamo rivolgere. Intanto, vorremmo sapere: come si finanziano i Lep delle Regioni che scelgono l’autonomia differenziata ma anche i Lep delle regioni che non fanno richiesta o di quelle che pur facendo richiesta non hanno un entrata fiscale diretta e sufficiente a sostenere economicamente i Livelli essenziali delle prestazioni.
E, poi, nel rispetto dell’articolo 119 della Costituzione, che è l’unico limite all’attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, vorremmo sapere come, con la riforma in esame, si realizzala solidarietà nazionale nel rispetto dell’articolo 119.
Non può bastarci, infatti, il riferimento del tutto generico che si fa allo Stato, al quale sarebbe demandato il compito di trovare le risorse da mettere per il finanziamento dei Lep, senza specificare dove sono queste risorse ma, soprattutto, senza chiarire con completezza come sia possibile finanziarie completamente territori, i cui divari nei diritti civili e sociali sono profondi, attraverso le risorse dello Stato se lo stesso Stato sarò costretto a sostenere e sostentare le regioni che faranno richiesta di autonomia differenziata.
Peraltro, il testo ed il suo estensore non chiarisce come lo Stato darà risposte sul tema della solidarietà nazionale, fra gli articoli del disegno di legge non si riscontra nessuna indicazione su come si realizza questa solidarietà nazionale, caricandola in maniera generica allo Stato, mentre siamo convinti che sia necessario individuare chi ha di più e chi ha di meno, con i primi che saranno chiamati a sostenere la crescita dei territori più in difficoltà.
Ed è proprio qui che il ministro mente sapendo di dover mentire, nascondendo questo tema cruciale al dibattito e sfruttando la distrazione del ceto politico affannato in una campagna elettorale senza fine, perché le risposte a queste due domande si trovano fra gli articoli della legge 42/09, quella sul federalismo fiscale, che dice subito che i Lep si finanziano attraverso la partecipazione a pezzi di fiscalità di chi fa richiesta e dice anche come si finanziano anche i territori che non hanno capacità fiscali adeguate, stabilendo l’utilizzo del fondo perequativo.
Le risposte alle nostre domande sono insite nel primo articolo della legge 42/09. Per questo siamo convinti che, prima di parlare di autonomia differenziata nei termini pretestuosi imposti dal ministro, sia di fondamentale importanza correggere e dare attuazione alla 42/09 che è la legge che contiene i criteri per dare attuazione al regionalismo differenziato per come è disegnato dalla Costituzione.
Invece, non si vuole mettere sul tavolo il tema del residuo fiscale, tanto caro ad alcuni presidenti di regione del nord Italia, e della sua regolazione attraverso il fondo perequativo. Mentre si spinge sul pedale del gas per ottenere una riforma che, mette ai margini i territori, e chiama il Governo e le regioni ad una trattativa diretta sulle decisioni di attuare sul residuo fiscale.
Il tema, invece, in un Paese che già corre a due velocità è fra chi ha di più e chi ha di meno e stabilire come si possa realizzare il disegno di una nazione solidale. Per questo la materia del residuo fiscale deve entrare nella discussione, perché è questo lo strumento che dovrà contribuire a finanziarie, attraverso altre risorse dello Stato, il fondo perequativo.
Insieme al capitolo residuo fiscale, poi, vanno definiti fabbisogno e costi standard, al fine di determinare quanto serve a ogni regione per poter finanziarie i propri Lep. Se non si fa questa operazione, il divario si amplierà perché regioni che hanno le potenzialità di attrarre investimenti privati andranno ad ampliare le proprie entrate fiscali e, quindi, anche i propri fabbisogni e i propri servizi, e avranno la possibilità, per esempio, di aprire nuovi asili nido o di migliorare ancora di più le proprie politiche sociali ed occupazionali.
Questo a discapito di quelle regioni che, come la Calabria, che sono svantaggiate per una questione di contesto e non riusciranno ad attrarre investimenti privati o addirittura perderanno investimenti e dunque perderanno capacità fiscale e, quindi, avranno meno servizi, non potranno far crescere gli interventi per migliorare il sistema scolastico o quello sanitario, e finiranno per vedere sempre più allargarsi il proprio divario rispetto al resto del Paese.
Sarebbe inaccettabile, infatti, che queste risorse non vengano socializzate con lo Stato e indirizzate a colmare i gap esistenti fra le due parti del Paese, nella convinzione che i territori più forti, in grado di attrarre investimenti produttivi, avranno sempre più risorse a disposizione per migliorare i propri servizi, mentre le regioni più deboli – con carenze strutturali e ritardi atavici – rischieranno di rimanere sempre più ai margini. (sb)
(Santo Biondo è il segretario generale di Uil Calabria)