La nuova Giunta regionale e le deleghe del Presidente

di SANTO STRATI – È stato un parto rapido, com’è nello stile dell’”uomo del fare”, qual è Roberto Occhiuto, ma non indolore, visti gli inevitabili malumori provocati soprattutto negli alleati di Noi Moderati che saltano un giro, in attesa della Giunta a nove. Ma è un governo regionale che ha le carte in regola per affrontare con piglio deciso le sfide che attendono la Calabria già nei prossimi mesi e negli anni a venire. Competenza e capacità sono i criteri che hanno guidato le scelte, ma parliamo di politica e, si sa, l’arte del compromesso fa parte delle regole del gioco. La scelta di sei consiglieri come assessori equivale a creare altrettanti consiglieri “supplenti” (e sappiamo che in molti scalpitavano in attesa dei nomi…), ma è da mettere in evidenza la scelta di un tecnico (Minnenna) al Bilancio, dove servono esperienza e capacità operative. Libero da “ingiustificate” indagini che avevano legittimato inevitabilmente ingenerosi sospetti sulla sua persona, Minnenna avrà modo di mostrare quanto sa lavorare con i numeri, soprattutto con la scadenza ormai prossima (a fine 2026) del PNRR.

Il Presidente Occhiuto ha tenuto per sé le delghe più pesanti e cruciali per  alimentare la visione e l’idea di sviluppo che ha in mente: gli asset strategici (cultura, turismo, infrastrutture  – ovvero Ponte, Ue, etc) saranno la leva per svegliare questa terra da un torpore non più tollerabile.

I calabresi le hanno ridato fiducia con grandi numeri: Presidente persegua la sua visione e non li deluda.

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Le deleghe del Presidente

Il Presidente Occhiuto ha tenuto per sé le deleghe più pesanti, quelle strategiche, in attesa di riassegnarne qualcuna quando sarà varato il provvedimento che porta a nove il numero degli assessori, allineando lo Statuto regionale alle nuove norme vigenti in materia di Regioni.

Sono dleghe cruciali, soprattutto quella Alle Infrastrutture e sistemi infrastrutturali complessi: il pensiero corre subito al Ponte sullo Stretto e alla sua valenza strategica per lo sviluppo non solo delle due regioni interessate da di tutto il Mezzogiorno e dell’intero Paese. A questo proposito, c’è da mettere in evidenza che mentre in Sicilia hanno predisposto una valanga di richieste di opere compensative con relativi progetti, in Calabria tutto ancora tace, forse anche per l’indisponente atteggiamento negativo e contrario del sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà (oggi diventato consigloiere regionale del PD, della sindaca di Villa San Giovanni Giusy Caminiti e del sindaco di Campo Calabro Sandro Repaci. Si deve guardare oltre il Ponte e immaginare uno sviluppo del territorio che può “usufruire” delle opportunità offerte dalla grande Opera che il Parlamento italiano ha varato. Lo stop temporaneo della Corte dei Conti non ferma il progetto, ma ne ritarda l’avvio, però sulle proposte per le opere compensative sul territorio calabrese non si può aspettare ancora oltre.

Inoltre, Occhiuto trattiene per sé la Cultura e gli asset strategici: marketing territoriale, promozione, protezione civile e, soprattutto, salute. Fino a quando ci sarà il commissariamento non è possibile nominare un Assessore alla Sanità, ma farebbe bene Occhiuto a cominciare a pensarci su. Con una botta di “coraggio”  politico potrebbe fare una scelta trasversale (Rubens Curia, di sinistra, medico e con ampia competenza di conti nella sanità) e raggiungere due risultati eccellenti: l’uomo giusto al posto giusto e l’opposizione che avrebbe poco da ridire sulle scelte del Governo regionale per la sanità.

Poi c’è la Cultura, che richiede competenza e capacità: Occhiuto ce l’ha entrambe, ma gli manca il tempo, quindi sarebbe un assessore dimezzato. Deve trovare l’uomo o la donna giusti.

Ultima annotazione: non c’è una delega specifica per l’Ambiente che richiederebbe la massima attenzione. Ma questa è una Giunta in fieri: vedremo come finirà la schermaglia con Noi Moderati che pur avendo portato voti (4%) è  stata “rimandata” nonostante le aspettative del partito di Lupi, che pensava di poter partecipare al Governo. È stato uno schiaffo a Lupi e si attendono reazioni. Intanto si cominci a lavorare, a litigare c’è sempre tempo. (s)

L’intervista di Calabria.Live al Presidente Roberto Occhiuto

di SANTO STRATI – Buongiorno Presidente.

– È stata una campagna elettorale brevissima, ma intensa. Aspra e feroce, con frequente mancanza di fair play da entrambi le parti. Se dovesse dare una valutazione, spassionata, sul suo impegno – obiettivamente notevole – in questa campagna elettorale che voto si darebbe? Può spiegare, a elezioni vinte, qual è stata – a suo avviso – la strategia vincente?

«Sono un perfezionista, e non mi accontento mai. Quindi mi do 8. È stata una campagna elettorale dura, purtroppo anche cattiva. Io l’ho condotta con grande serietà, raccontando ai calabresi tutto ciò che ho fatto in questi quattro anni e spiegando loro come avrei voluto continuare a cambiare la Regione. Penso sia stata premiata la mia concretezza, la mia autorevolezza, il fatto che i cittadini hanno potuto vedere quanto realizzato dandomi dunque fiducia per i prossimi cinque anni. Non ho fatto promesse roboanti, ho avanzato proposte sostenibili e nelle quali credo».

– Quali ritiene siano state le cose della campagna elettorale che oggi non rifarebbe? Può, comunque darne una spiegazione? Ha teso la mano al suo avversario Tridico, che molto elegantemente le ha fatto i complimenti non appena si è visto come la sua vittoria era ormai scontata. Probabilmente, il prof. Tridico tornerà a Bruxelles. Pensa davvero di poter davvero costruire una collaborazione trasversale con lui?

«Come le dicevo sono un perfezionista. Dunque, rifarei tutto, migliorandolo. Tutti coloro che vogliono collaborare per il bene della Calabria troveranno sempre porte aperte. Spero, in questa legislatura, di avere un’opposizione più stimolante e collaborativa. Negli scorsi quatto anni, tranne qualche rara eccezione, la sinistra non ha mai partecipato attivamente alla vita politica regionale: tanti attacchi politici, nessuna proposta concreta».

– Come valuta il lavoro della stampa in questa campagna elettorale? Da politico navigato è certamente in grado di esprimere un giudizio non affrettato o di maniera. Com’è cambiata la comunicazione politica su stampa, radio e tv da quando lei è entrato in politica? Che giudizio dà sui social, spesso sguaiati e dispensatori seriali di fake news e falsità, pur immediatamente riconoscibili come tali?

«Soprattutto nella fase precedente alla presentazione delle liste abbiamo avuto, contro il sottoscritto, una campagna mediatica e di odio senza precedenti. Per settimane alcuni media hanno inventato di tutto pur di tentare di indebolirmi. Fake news, attacchi, falsità che purtroppo hanno coinvolto anche i miei figli. Qualcuno si è inventato anche un genere letterario, le ‘voci’. Voci che dicevano questo, voci che dicevano quello. Quelle voci sono rimaste voci, chissà se mai esistite, certamente mai verificate, e chi sentiva le voci avrà dovuto fare una scorta di limoni e bicarbonato».

– Quali sono – secondo lei –  i punti del suo programma che hanno convinto i calabresi a ridarle fiducia? O ritiene sia prevalsa soltanto la fiducia conquistata in quattro anni di governo regionale?

«Come le dicevo prima, i calabresi hanno potuto sperimentare in questi quattro anni la mia concretezza. Se dico una cosa, poi la faccio. Altri promettevano migliaia di assunzioni e reddito di cittadinanza per tutti. Io raccontavo i risultati raggiunti nel corso della prima legislatura e lanciavo proposte mirate e precise. È stata premiata la serietà e la visione».

– I primi cento giorni sono, per ogni presidente, un momento importante per indicare il percorso che si intende seguire. Quali sono le sue priorità e quali interventi ha in mente di attuare da subito?

«Una delle prime cose che farò sarà il ‘reddito di merito’. Come ho raccontato in campagna elettorale, la migrazione nella nostra Regione inizia spesso all’Università. Chi va a studiare fuori difficilmente poi torna in Calabria. Eppure abbiamo Atenei straordinari, che il Censis inserisce tra i migliori d’Italia. Dunque voglio dare un incentivo, legato al merito, ai ragazzi calabresi che scelgono le nostre Università: 500 euro al mese a chi sarà in corso con gli esami previsti e avrà almeno la media del 27».

– La sanità è il “lato oscuro” della regione: quale strategia potrebbe trasformare – a suo avviso – quell’ “è” in “era”? Alcune sue scelte molto criticate (tipo il reclutamento dei medici cubani) sono state poi adottate anche da altri governatori…

«Il prossimo obiettivo sarà quello di liberarci dalle camicie di forza del commissariamento prima e del piano di rientro dopo. Subito dopo, tornando dopo 15 anni nel pieno governo della sanità, saremo finalmente nelle condizioni di poter riformare radicalmente il sistema sanitario regionale. Il nostro piano prevede l’accorpamento di tutti gli ospedali provinciali (sia Spoke che Hub) sotto uniche Aziende ospedaliere provinciali, con le Aziende sanitarie provinciali che invece saranno specializzate esclusivamente sull’assistenza territoriale (gestione e organizzazione delle case di comunità e degli ospedali di comunità, delle Aggregazioni funzionali territoriali, dei medici di medicina generale, delle guardie mediche, degli ambulatori, degli erogatori convenzionati di prestazioni sanitarie). Con questa grande riforma avremo un’immediata ottimizzazione organizzativa, nella gestione delle risorse, del personale, dei posti letto».

– Ha in mente un piano di incentivazioni per far tornare i medici calabresi in Calabria? Negli ospedali del Nord o di Roma, solo per fare un esempio, la lingua più parlata è il dialetto calabrese (quello dei medici e quello dei pazienti che vanno lì a farsi curare). E lo stesso vale per gli infermieri e i tecnici di laboratorio: molti hanno le famiglie al Sud e tornerebbero di corsa. È solo un problema di soldi?

«Se in anni complessi siamo già riusciti a realizzare riforme profonde e migliaia di nuove assunzioni, con l’uscita dal commissariamento la Calabria sarà pronta a varare un vero e proprio maxi-piano di reclutamento di medici e infermieri, per dare ancora più forza e futuro alla nostra sanità. Già nel 2026 potremo assumere circa 1.300 unità di personale di cui circa 350 medici, 375 infermieri, 181 operatori sociosanitari e il restante negli altri ruoli.

Avremo, inoltre, un piano strategico per reclutare nuovi medici, attraverso speciali incentivi economici che utilizzeremo per attrarre camici bianchi in servizio o pensionati che vogliono venire a risiedere e a lavorare in Calabria».

– La Calabria le ha ampiamente confermato la fiducia che già le aveva concesso nel 2021. Dopo quell’elezione su “Calabria.Live” abbiamo scritto che aspirava a diventare il Presidente dei calabresi e non della Calabria. A che punto ritiene di essere, oggi, in questo ammirevole proposito? È stato il presidente di tutti i calabresi o di una parte? E in questo caso cosa ha impedito la realizzazione di progetti che avrebbero trasformato il territorio? Fermo restando che ha davanti a sé cinque anni per portare a termine la sua visione…

«Mi sono sempre comportato come il presidente di tutti i calabresi, e continuerò a farlo. Come ho detto subito dopo la vittoria, dopo una campagna elettorale dai toni spesso feroci, adesso la Regione ha bisogno di una fase di pacificazione. Spero di avere un’opposizione incalzante, ma consapevole della reciproca necessità di abbassare i toni, per il bene della Calabria e dei calabresi”.

– Il capitale umano di cui dispone la Calabria è immenso e potrebbe davvero cambiare il volto di questa terra. Lei ha introdotto una narrazione diversa – bisogna dargliene atto – indicando una Calabria positiva che utilizza i suoi giovani e le sue donne per costruire il futuro delle nuove generazioni. Ma intanto ancora troppi cervelli sono costretti a fare la valigia, sapendo che hanno quasi sempre un biglietto di sola andata. Come pensa di fermare quest’esodo che si traduce in un impoverimento del territorio?

«Sta cambiando la percezione della nostra terra, in Italia e nel mondo. Non più come territorio segnato solo da problemi irrisolti, ma come una Regione che vuole e sa raccontare le proprie eccellenze. La Calabria, oggi, non è più la Regione che subisce le narrazioni altrui: è la Regione che scrive la propria storia, che rivendica con orgoglio la propria identità e che guarda al futuro, ai prossimi cinque anni, con la certezza di poter offrire al Paese e al mondo il meglio di sé. Le ho raccontato della mia ricetta per tentare di far restare quanti più giovani possibile. Sul resto continueremo a lavorare per attrarre investimenti e dunque opportunità. Il futuro di un territorio non si costruisce con l’assistenzialismo, ma con lo sviluppo e la crescita. Dobbiamo creare sempre più un habitat regionale ideale per le imprese e per le multinazionali che voglio scommettere sulla Calabria».

– Lo spopolamento non è solo un fenomeno calabrese. Borghi troppo piccoli sempre più abbandonati, dove rimangono solo gli anziani. Cosa ha in mente per rigenerare questi paesi, cui non bisogna sottrarre l’identità ma garantire servizi e innovazione. In quest’ultimo caso la rete è scarsa ed è difficile pensare di promuovere il South Smart Working se non ci sono connessioni a ultra banda che permettano il lavoro da remoto.

«Per contrastare il fenomeno dello spopolamento e favorire il ripopolamento dei piccoli comuni delle aree interne, la Regione attiverà il programma “Casa Calabria 100”, che prevede la concessione di un contributo fino a 100.000 euro destinato all’acquisto e alla ristrutturazione di abitazioni. Il contributo sarà riconosciuto a quanti decideranno di trasferire la propria residenza in un comune delle aree interne, con l’obiettivo di generare nuova domanda abitativa, stimolare l’economia locale attraverso il comparto edilizio e contribuire al rilancio sociale ed economico dei borghi calabresi».

– A Reggio e a Crotone si è tornati a volare. E nessuno può toglierle il merito. Ma non crede che la Calabria abbia bisogno di un grande piano per allargare la ricettività e i servizi turistici? Non basta far arrivare gli stranieri (che irrimediabilmente si innamorano subito di questa terra) ma bisogna offrire loro servizi, logistica, mobilità. E disegnare percorsi alternativi al tradizionale binomio mare/montagna. C’è il turismo culturale, religioso, quello degli escursionisti, etc. E quello delle radici.

«Noi abbiamo portato migliaia di turisti, soprattutto stranieri, con numeri record per tutti gli aeroporti calabresi. Bisogna continuare a migliorare le strutture ricettive, in Calabria abbiamo bisogno di alberghi a 5 stelle, e sulla mobilità: da qualche tempo abbiamo anche Uber. Per sviluppare questi punti occorre stimolare le imprese e attrarre investimenti. Ma mi aspetto tanto dagli imprenditori e dai giovani calabresi che vogliono mettersi in gioco. Noi stiamo mettendo a disposizione la canna da pesca e l’esca, ma adesso serve che qualcuno inizi realmente a pescare».

– I calabresi del mondo sono rappresentati all’interno della Regione da una Consulta voluta da una legge del lontano 2000. La Consulta in 25 anni ha finanziato con grande parsimonia tarantelle e sagre della salsiccia negli Stati Uniti e in Canada, solo per fare qualche esempio, ma in realtà dovrebbe diventare, con le necessarie risorse, il motore propulsore di un modello di attrazione non solo turistica per chi vuole riscoprire le proprie radici, ma un attrattore formidabile per investimenti di calabresi che hanno fatto fortuna all’estero e amerebbero fare impresa nella propria terra. Quale sarà il suo impegno in questo senso? Concorda sul grande patrimonio costituito dai calabresi nel mondo e di quanto possa valere il loro essere testimonial (gratuiti) della propria terra?

«Credo che i calabresi nel mondo rappresentino uno strumento importante per lo sviluppo e la promozione della nostra regione a livello culturale e la Consulta è senz’altro un’opportunità per costruire un ponte necessario per il ritorno dei cittadini calabresi sparsi nel mondo. Io credo molto nel Turismo delle radici. Nel Piano di promozione del turismo 2025 abbiamo inserito, tra le azioni prioritarie, anche il progetto “Turismo delle radici 2025. Il Giubileo dei Calabresi”. La promozione della riscoperta delle origini ha anche ricadute significative da un punto di vista economico e di sviluppo del territorio, soprattutto in termini di contrasto allo spopolamento dei nostri borghi. Mi piacerebbe che la Calabria si vestisse a festa per uno-due mesi all’anno e in questi due mesi potesse accogliere tutti i calabresi di seconda, terza, quarta generazione incentivando l’arrivo in Calabria magari attraverso la contribuzione sui biglietti aerei».

Quali nuovi scenari per la Calabria e il Paese
dopo la vittoria di Roberto Occhiuto

di DOMENICO NUNNARI – Occhiuto ha vinto, anzi ha trionfato (e con lui Forza Italia) e il Pd (con campo largo e sinistra woke) può portare i libri in Tribunale: sezione fallimentare. Vince il centro, in Calabria, perde la sinistra “woke” (Elly Schlein e i suoi smarriti compagni ) che scambia i diritti sociali con quelli civili, che, parlando di priorità, è un po’ come quando a Maria Antonietta dissero “maestà non c’è più pane” e lei rispose “mangino brioche”.

Perdono anche i 5 Stelle, che sperano di rifarsi a Napoli con Fico, l’ex presidente della Camera, che il giorno dell’elezione prese l’autobus per andare al lavoro, si fece un selfie, e poi non lo prese più.

In Calabria, mancano pane e lavoro, infrastrutture e servizi, e i 5 Stelle in campagna elettorale avevano promesso di abolire il bollo dell’auto. Mah. Occhiuto, forte di quattro anni di lavoro apprezzabile (quantomeno se paragonato ai disastri fatti prima di lui) ha promesso di finire il lavoro della legislatura da lui stesso interrotta, ed è stato creduto. L’errore da evitare, tuttavia, nell’after day elettorale calabrese – che ha una sua proiezione nazionale – è esaltare oltre il dovuto la cavalcata del riconfermato presidente; e sparare sulla “coalizione per addizione”: Pd, 5 Stelle, Avs, denominata campo largo. Sarebbe facile ma esagerato celebrare più di tanto Occhiuto, che ha avuto coraggio e fatto una mossa astuta, da politico navigato, e sarebbe ingiusto sparare a pallettoni sull’aggregazione guidata da Pasquale Tridico, l’uomo dei 5 Stelle, economista sociale, uomo perbene, ma vittima sacrificale della disfatta dell’Armata che non aveva  le munizioni per vincere la battaglia, e lo sapeva.  Un’armata senza idee e senza leader, formata da sudditi acquattati alle corti romane. Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, meglio evitare. Rischieremmo di sentirci rimproverare con quella celebre frase “Vile, tu uccidi un uomo morto!», pronunciata dal mercante fiorentino Ferrucci, quando Maramaldo si avvicinò per ucciderlo. Ma queste cose accaddero nel 1527, a Firenze, quando un tumulto repubblicano abbatte la Signoria de’ Medici. Noi, adesso, dobbiamo ragionare sul futuro della Calabria, parlandone in Calabria, sui nostri giornali, nelle nostre università, nei circoli giovanili, nelle associazioni culturali, nelle parrocchie, tra la gente e con la gente; quella che si alza all’alba e fatica e fa girare il motore del mondo. Dobbiamo anche tapparci le orecchie, per non sentire i giudizi bizzarri che arrivano da fuori, dai talk show televisivi che, più che a bar dello sport assomigliano alle vecchie cantine, dove saliva l’odore acre e pungente del vino andato a male. Posti – i talk show – dove qualcuno, l’altra sera, per commentare il voto calabrese, se n’è uscito così: «Beh, la Calabria è bella, ma si sa che è una regione particolare».

Particolare? Che significa? Nessuno, nello studio televisivo, ha chiesto spiegazioni al giornalista pop, che ha pronunciato quell’aggettivo “particolare”; forse hanno condiviso, o loro hanno capito quel giudizio enigmatico. Ci sarebbe voluto il Carlo Verdone del dialogo esilarante con la Sora Lella, di Bianco, Rosso e Verdone, per chiedere: «Che vor dì?».  E poi dare la risposta: «Che te la piji inderculo». Scusate, ma pure il vecchio cronista, non ne può più, di pregiudizi stupidi sulla Calabria, di ignoranza grassa, nei confronti di questa regione, e può perdere l’aplomb che molti – immeritatamente – da sempre gli riconoscono. Non si è capito, invece, che questo voto calabrese è una lezione esemplare, che viene da una Calabria stanca, avvilita, ma democratica, e in fondo anche speranzosa. Una lezione, che dovrebbe far riflettere l’opinione pubblica nazionale e la sinistra woke, che conosce la Calabria molto meno degli scrittori viaggiatori del Gran Tour, sui quali la regione più povera d’Europa esercitava una certa attrattiva. La straordinaria performance del Centro (Forza Italia di Occhiuto) è anche una lezione all’Italia smarrita, confusa, obbligata a tenersi stretta – in mancanza di alternative credibili – la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, politica di lungo corso, le cui radici affondano nella destra postfascista italiana. Lei stessa, ha rivendicato con orgoglio il suo ruolo antico nel Fronte della Gioventù, che era il movimento giovanile dell’Msi. A Meloni, evitando di cadere negli stereotipi preconfezionati, va riconosciuto di essere capace ed abile, e di essere riuscita –  facendo a volte quel che dovrebbe fare la sinistra – ad attrarre un elettorato sfiduciato e senza casa; un elettorato che, senza magari aver mai letto l’Ernest Hemingway de “Il vecchio e il mare”, si ritrova a condividere alcune parole di quel romanzo: «Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare, con quello che hai»; che è lo stesso consiglio che Theodore Roosevelt, presidente degli Stati Uniti negli anni ‘40, diede ai suoi connazionali: «Fai quello che puoi con quello che hai, nel posto in cui sei». Meloni, è quel che passa il convento. In mancanza di alternative si resta a casa, ed è quello che fa ormai in tutte le elezioni la maggioranza degli elettori italiani. Non sempre, ci si può pur  turare il naso, e andare a votare, come consigliava Indro Montanelli. Ma allora si parlava della Democrazia Cristiana, da accettare turandosi il naso, non della sinistra woke, che è destra, ma non lo sa. Forse, tra opinionismo folkloristico, e sparate preconcette, di giornalisti pop, la sintesi più azzeccata del voto in Calabria, l’ha fatta “Dagospia”, sito online cliccatissimo di Roberto D’Agostino: “La vittoria di Occhiuto in Calabria straccia ogni alibi al Campo largo…”. Dagospia, più veloce di tutti, ha dato al voto calabrese la dignità di test nazionale. Seguito da Marcello Sorgi, che su “La Stampa”, pur ragionando sul voto regionale, ha ammesso che gli effetti del voto calabrese sono deleteri [per la sinistra], oltre i confini calabresi: «Sono tali da uscirne tramortiti». L’interpretazione più approfondita, più avanti – se non saranno distratti – toccherà ad analisti e politologi, dato che questa virata al “Centro” in Calabria apre scenari, a destra e sinistra, finora non ipotizzati.

Pur premettendo, che le elezioni regionali, come le elezioni europee, sono altra cosa, rispetto alle elezioni politiche, Angelo Panebianco, sul “Corriere della Sera”, ha preso spunto dalle elezioni calabresi per spiegare perché la sinistra ha perso: «L’attenzione era tutta concentrata sui leader (Schlein, Conte, Landini, eccetera) e su ciò che fanno o non fanno. Come se gli elettori non esistessero. Come se gli elettori fossero pacchi, spostabili di qua o di là a seconda di ciò che decidono i leader. Ma gli elettori non sono pacchi, hanno le loro idee, i loro interessi, i loro tic, le loro abitudini. E i leader devono tenerne conto».

Anche in Calabria, la coalizione di sinistra, ha considerato gli elettori come i pacchi di Panebianco, con un atteggiamento anche di stampo coloniale. Come giudicare la candidatura della filosofa Donatella Di Cesare (che non ce l’ha fatta), candidata per Alleanza Verdi, Sinistra? Si è detto che ha origini calabresi, e va bene, ma null’altro giustificava questa candidatura, se non sfiducia evidente verso gli esponenti calabresi di Avs, ritenuti non meritevoli di essere candidati. Si è fatto come quando in nazionale si convocano gli oriundi, per inadeguatezza dei calciatori italiani. Ma adesso lasciamo queste riflessioni, apparentemente superficiali, che  hanno però il loro valore, e proviamo a spoilerare il dopo vittoria di Occhiuto, leader di Forza Italia – un “democristiano 2.0.” – cresciuto nella Cosenza dei giganti politici Mancini e Misasi: l’uno socialista, l’altro democristiano, due leader che hanno lasciato, nel tessuto socio-culturale della città bruzia, la scia del loro profilo umano e politico alto; un piccolo tesoro, a cui ognuno, che entrando in politica abbia buone intenzioni e passione, può attingere sempre. Il maggiore successo di Occhiuto, è aver spostato la Calabria politica al “Centro”, con notevole ridimensionamento delle ambizioni di FdI, lasciando inchiodato ai suoi numeri piccoli la Lega, nonostante gli aiutini dell’ex presidente della Regione Giuseppe Scopelliti (storico leader della destra), a Reggio Calabria. L’ha intuito Antonio Tajani – successore di Berlusconi in Forza Italia – il significato della vittoria di Occhiuto, e si è affrettato a lanciare un’opa, offerta pubblica di spazi, per gli ex partiti di centro: «Il compito di Forza Italia è quello di coprire lo spazio che era della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista».  Un avvertimento, anzi una notifica, non solo ai suoi alleati, ma anche al Pd di Schlein – partito in origine plurale – che il centro va cercando, dopo averlo allontanato, diventando sinistra woke, che – come dice Susan Neiman, filosofa di origine ebraica nel libro “La sinistra non è woke” – significa che la sinistra è diventata come la destra, «ma, poverina, nemmeno lo sa».

C’è, infine, un altro aspetto [positivo] da cogliere, nell’elezione calabrese, e riguarda il fair play finale del confronto tra gli sfidanti, culminato nella telefonata dello sconfitto Tridico al vincitore Occhiuto: «Ho chiamato Occhiuto e gli ho fatto i complimenti. È stata una battaglia intensa, vera, difficile». Ottenendo, come risposta, a stretto giro: «A Tridico, ho rivolto due inviti: collaborare con me in qualsiasi ruolo decida di farlo e lavorare per pacificare questa regione». È un finale incoraggiante, questo che viene dai titoli di coda, del film delle elezioni. La parola pacificazione, è una bella parola, come riconciliazione. Ne abbiamo bisogno, tutti. Per uscire dal tunnel buio, in cui da decenni la Calabria si è cacciata, non si può, senza unire le forze vive e le lucide intelligenze della società democratica e della politica. Occhiuto, ha il dovere di provarci, a unire la Calabria, a pacificarla, riconciliarla e Tridico – da posizioni diverse, anche nel caso torni a Bruxelles, cosa legittima e forse anche utile alla Calabria – deve saper tendere la mano. (mn)

Dalla Calabria la vittoria di Occhiuto è un segnale per il Paese

di SANTO STRATI –La vittoria formidabile, anche se pressoché scontatissima, di Roberto Occhiuto dà un segnale chiaro al Paese, che solo chi non vuole non riesce a captare.

Gli italiani hanno voglia di “centro”, non si fidano più dei Cinque Stelle e di questa sinistra “sparsa” che dovrebbe ripensare a quello che ha presentato, come campo “larghissimo”, nel candidare il prof. Tridico.

E allo stesso tempo i Fratelli di Giorgia dovrebbero capire che la destra “esagerata” non ha futuro e occorre, necessariamente, studiare e avviare un percorso dove il centro abbia un ruolo ben definito.

Un ruolo di tutto rispetto che, volere o volare, solo Forza Italia con i suoi alleati “moderati” è riuscita a comprendere. Non ci voleva una laurea in psicologia per interpretare le aspirazioni del Paese: stanco di una conflittualità perenne destra-sinistra (che in realtà non esistono più come entità politiche) e, a volte, persino trovato a rimpiangere i tempi della “balena bianca”, quando i partiti erano “partiti” e per la politica si usava la maiuscola. Altri tempi e nessun ricambio della classe dirigente che ha costruito il Paese, lo ha fatto crescere, nel confronto (ma anche scontro) dialettico che indicava priorità e percorsi ben delineati per lo sviluppo.

Il campo largo non funziona e solo il PD di Elly Schlein continua a fingere di non capire che le “nozze” con Giuseppe Conte contengono qualcosa che gli italiani fanno fatica a digerire. Quegli italiani che sono stati illusi dal guitto incantatore Beppe Grillo e dal gran regista Casaleggio, ma che ben presto hanno scoperto che le formule, alla fine, sono uguali per tutti i partiti e le chiacchiere pentastellate non facevano certamente rimpiangere i programmi (solo a parole) della prima Repubblica.

Certo, la scadenza elettorale di oggi nella rossissima Toscana ridarà fiato a questa coalizione più raccogliticcia che coesa, ma, tra qualche mese, quando si andrà a votare in Campania, non sono da escludere clamorosi colpi di scena.

Per le elezioni calabresi, la sensazione è che questa coalizione ha giocato con l’idea di perdere, rassegnata a trovare un agnello sacrificale (Pasquale Tridico) che sì è trovato fuori ruolo e disperatamente “abbandonato” in pasto alle volpi del voto (ogni riferimento a Francesco Cannizzaro è espressamente voluto).

Da fine apprezzatissimo docente, qualificato e ascoltato economista, Tridico si è smarrito, probabilmente anche per la mancanza di buoni consiglieri, nel marasma della politica regionale e le sue genuine e sincere intenzioni sono diventate oggetto di meme e di sberleffi (che si dovevano sicuramente evitare) da parte di diversi rappresentanti del centrodestra.

Anche a Napoli il Pd ha abdicato: non ha saputo esprimere un proprio candidato in grado di rappresentare quella sinistra erede di grandi idee (e finte rivoluzioni) che si riconosce nei padri nobili dell’Ulivo (e forse con qualche rimpianto del vecchio Pci).

Fico è un altro pentastellato che non ha mai amministrato e porta in dote una opaca presidenza della Camera, di cui si ricordano più le gaffes che i discorsi, e che non ha lasciato tracce sensibili persino tra i suoi sodali.

Un perfetto “inadatto” per la poltrona di Governatore della Regione Campania la quale sta guidando, con orgoglio un rinascimento partenopeo di respiro mediterraneo e internazionale di cui il Paese dovrebbe essere orgoglioso.

La sinistra, con un nuovo improbabile campo largo, è convinta di raccogliere messe di voti, a prescindere, ma nessuno è in grado di sapere cosa farà De Luca, il Presidente spodestato da una legge “infame”, che avrebbe voluto governare a vita. Appoggerà incodizionatamente Fico, facendo prevalere il senso di appartenenza a un partito che non gli è congeniale, o metterà in atto qualche diabolico scherzetto di cui solo i politici d’alto lignaggio sono capaci?

Il segnale che viene dalla vittoria di Occhiuto dovrebbe aprire gli occhi a Giorgia Meloni. Conquistare la Campania non è una missione impossibile, anche se bisogna tener presente la legge dei numeri e a Napoli, soprattutto, la sinistra ha sempre fatto risultato, ma questo potrebbe avvenire  se la destra di governo capta questa voglia centrista e ne fa un progetto vincente.

Il candidato prescelto, il viceministro Edmondo Cirielli, già generale dei Carabinieri, non è proprio quello che ha una concreta idea di centro, però potrebbe raccogliere il consenso dei moderati che guardano con sospetto all’attuale governo, ma sono completamente delusi da una sinistra che ha smarrito il cammino.

L’eventuale perdita della Campania (ammettiamolo, non è difficile per il campo largo) significherebbe per gli elettori di sinistra l’ammissione che il re è nudo e nessuno fino a oggi ha avuto il coraggio di dirlo. Servirebbe il bambinetto della favola di Andersen a far capire all’attuale dirigenza pd e compagnia varia che non si può continuare a raccontare fandonie.

I calabresi lo hanno capito e, di conseguenza, castigato il campo largo in cui non credevano. Gli italiani, tranne quelli che guardano a Landini come futuro “imperatore” della sinistra (in disarmo), forse non ci metteranno molto a farlo capire – a volte con le lacrime agli occhi da ex compagni fortemente delusi – all’intera sinistra. Che continua a ignorare il bisogno di riformismo che il Paese esprime e la necessità di recuperare un’intesa bipartisan con il vecchio depauperato centrismo d’antan. (s)

 

La super vittoria di Roberto Occhiuto: 57%
Tridico: Non mi aspettavo un risultato così

di SANTO STRATIÈ un risultato che va al di là di ogni ragionevole aspettativa: Roberto Occhiuto e la sua squadra non volevamo vincere, ma stravincere. In pochi ci credevano, eppure il sorprendente dato che emerge dalle urne (57% contro 41%, punto più, punto meno, non importa) non solo premia un centrodestra coeso e unito, ma segna il fallimento totale del campo largo. Un’invenzione che non è servita a raccogliere consensi, ma soprattutto a spingere al voto i cosiddetti astenuti, i delusi della politica, gli avviliti, i protagonisti di un dissenso palpabile che si manifestacon la diserzione dalle urne.

Intendiamoci, il 43,14% di affluenza è fasullo, giacché si basa sul numero degli aventi diritto al voto (dove figurano diverse centinaia di migliaia di calabresi iscritti all’Aire, cioè residenti all’estero, ma titolari del diritto di voto. Che possono esercitare – alle elezioni politiche – mediante la preferenza espressa a distanza, per corrispondenza, ma che sono esclusi dal voto se non vanno a votare nella sezione dove figurano iscritti. E a questi vanno aggiunti almeno altri 250mila calabresi che, pur mantenendo la residenza in Calabria, vivono fuori: studenti, lavoratori, insegnanti, etc. Per loro la mancanza del voto a distanza (una pratica di facilissima applicazione se solo la politica lo volesse) si traduce in un astensionismo non voluto, forzato da ragioni soprattutto economiche: un viaggio per votare, pur se scontato significa qualche centinaio di euro, che sono soldi per la stragrande maggioranza di chi vive, studia o lavora fuori. Quindi sarebbe opportuno che si ripescassero i disegni di legge per il voto a distanza (partiti dalla lodevole iniziativa del Collettivo Peppe Valarioti, “Voto sano da lontano”, del 2020), bocciati dal Parlamento.

Ma anche applicando i valori percentuali dell’affluenza su un realistico numero di effettivi votanti (1.200.00 rispetto al milione e 888mila dell’Istat) avremmo comunque un’affluenza più o meno del 50%. Il che equivale, comunque al segnale più evidente di una irreversibile disaffezione per la politica.

Ma non è l’affluenza (un punto in percentuale in meno rispetto al 2021) l’elemento che domina questa tornata elettorale. È il distacco tra i due candidati che certifica, senza bisogno di notai indipendenti, la clamorosa sconfitta del centrosinistra e del campo “larghissimo” che doveva sbaragliare Occhiuto e centrodestra.

Sbagliata la strategia politica, sbagliata la strategia elettorale, sbagliata la comunicazione: Tridico, che può vantare un curriculum di stimatissimo accademico di lungo corso, si è fidato di Giuseppe Conte e dei compagni del PD, mostrando un dilettantismo spaventoso nella gestione della campagna elettorale. Ha combattuto contro l’avversario come fosse un nemico da battere, in un duello da Ok Corral, dimenticandosi che come insegna Sergio Leone «quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, è un uomo morto».

Sarebbe bastato un po’ di buon senso e qualche consigliere esperto a suggerire pacatezza e controllo nelle promesse e nelle dichiarazioni d’intenti. Il suo bel programma ai più è apparso il solito libro dei sogni, ma i calabresi ne hanno piene le tasche di promesse e suggestioni da campagna elettorale. Non ci sono cascati. Ed è prevalsa la logica dell’usato sicuro (con tutto il rispetto per il bis-Presidente), ovvero hanno preferito ridare fiducia al governatore uscente piuttosto che affrontare la via dell’incognito.

Tutto questo richiederà un serio esame a livello nazionale: la sinistra deve decidere se completare il lento suicidio o darsi una svolta. Le lezioni (e le “bastonate”) servono anche a questo. (s)

Urne aperte da stamattina alle 7 fino alle 23.
E domani dalle 7 alle 15.
E allora tutti a votare!

di SANTO STRATI – A parte le schiere di supporter, addetti ai lavori e pochi intrepidi nel cui cuore batte ancora un briciolo di passione politica, si ha la netta impressione che sia scarsa la palpitazione dei calabresi per questa competizione elettorale.

Frutto anche di una campagna elettorale sguaiata e irrimediabilmente infettata da un ingiustificato livore, dall’una e dall’altra parte. Una campagna elettorale che non è riuscita a scuotere gli animi, che non ha acceso la miccia di una qualsiasi “rivoluzione” gentile finendo allo scontro armato (di buone intenzioni e improbabili promesse) tra due “nemici” piuttosto che avversari politici.

Non è piaciuta per niente questa campagna elettorale ai calabresi, costretti a subire il carosello continuo di slogan logori e deprivati di qualsiasi appeal che l’uno e l’altro, Occhiuto e Tridico, si sono recitati a vicenda (il terzo “incomodo” – Francesco Toscano – col suo candido zerovirgola è un gran simpatico ma non fa testo), ripetendo all’infinito improbabili disvalori (l’uno dell’altro) come se fosse questo l’elemento in grado di spostare voti da una parte o dall’altra.

I calabresi, diciamo la verità, hanno rimpianto le vecchie tribune politiche alla Jader Jacobelli, dove prevaleva il rispetto tra gli avversari, con un immancabile filo di ironia che induceva più al sorriso che al ghigno. Complici anche il tempo troppo ridotto e la fin troppo evidente impreparazione di un centrosinistra, incredibilmente “unito” in un campo largo destinato a produrre un “perdente di successo”, questa volta sono prevalsi tra gli elettori l’indifferenza e un malcelato distacco dall’agone politico. Una battaglia senza eserciti che non assomiglia nemmeno vagamente a un risiko a tavolino, dove, comunque, serve un pizzico di strategia per sconfiggere gli avversari.

Qui la strategia è diventata merce rara, con Occhiuto che sembrava il protagonista de I pirati dei Caraibi e Tridico, il prof, impacciato come un novellino al primo colloquio per un posto di lavoro. Intendiamoci, Occhiuto in questa partita era cartaro e Tridico un giocatore poco esperto, ma queste sensazioni le hanno colte gli addetti ai lavori, gli specialisti della comunicazione, non certo la platea degli elettori, rimasta insensibile allo scambio reciproco di “insulti” basati sul “non fatto” dell’uno – governatore uscente – e sulle debolezze “stilistiche” dell’aspirante.

Ma chi ha curato la campagna elettorale di Tridico? Da quanto si è visto, probabilmente un dilettante, ovvero una squadra di dilettanti allo sbaraglio che non ne ha azzeccata una. Lasciamo perdere gli svarioni verbali, ma Tridico, a chiusura della campagna possiamo dirlo, ha fatto di tutto per offrire il fianco a poco divertenti prese in giro, non ultimo l’accostamento ad Antonio Albanese, alias Cetto LaQualunque, con la differenza che il comico attore faceva ridere (è il suo mestiere), ma Tridico ha fatto mettere le mani nei capelli su quanti lo avevano immaginato nell’angelo vendicatore della sinistra in declino. No, nulla di tutto questo. Da candidato Tridico poteva mettere il naso nella formazione di tutte le liste (ma non l’ha fatto), poteva sganciarsi (con eleganza) dal macigno del “vaffa” grillino (ma non l’ha fatto) mostrando di avere gli attributi giusti, poteva raccontare una storia diversa, vincente della sua idea di Calabria. E invece si è perso a inseguire i “guasti” nella sanità provocati dall’avversario (dimenticando, purtroppo per lui, che i commissari “disastrosi” della Sanità li ha nominati il Governo Conte), si è fatto prendere la mano a rintuzzare l’avversario, al posto di ignorarlo: doveva – a nostro modesto avviso – dire solamente “signori, si cambia” e snocciolare idee e proposte, che avessero basi di concretezza (e disponibilità dei fondi necessari). Poteva tralasciare di ripetere che il Ponte è “una sciagura”, guardando allo sviluppo del territorio e alle infrastrutture che – senza il Ponte – difficilmente saranno realizzate. Invece ha giocato “a perdere”, ma probabilmente nessuno glielo ha fatto notare.

L’ex presidente dell’Inps ha perduto un’opportunità grande quanto una casa e quando gli ricapita? Certo, le urne si aprono stamattina e tutto può ancora succedere (in politica è quasi normale, ricordatevi cosa è successo per il Comune di Catanzaro con l’inaspettato successo di Fiorita…) ma è evidente che Tridico ha giocato male, malissimo, la sua partita: un bel programma di buone intenzioni (e poca concretezza) non è sufficiente a smuovere l’elettorato silente, quello che volontariamente diserta le urne perché stanco, avvilito, a volte disgustato da una politica fatta di nulla ricoperto di niente.

Quella fascia di elettorato che il centrosinistra unito (?) avrebbe potuto-dovuto intercettare non con la promessa di un improbabile reddito di dignità da 500 euro al mese, ma con un serio e articolato progetto di crescita e sviluppo del territorio. Così Tridico s’è trovato a recitare la parte del pifferaio magico, senza sapere che i “topi” se n’erano già andati via da soli, sconfortati e delusi dall’impolitica, e scoprendo tardi che non c’erano nemmeno “bambini” da irretire per punire il borgomastro cattivo. Scusate la metafora, ma ci sta tutta: Tridico doveva attuare una campagna di comunicazione fatta non di deboli promesse (tipiche di chiunque si candidi per qualsiasi ruolo, in politica) ma di programmi – davvero realizzabili – non da libro dei sogni.

La Calabria è una terra difficile da governare, lo sanno i 18 presidenti e i due vice facenti funzione che hanno segnato 55 anni di regionalismo. Qualcuno dirà “ma erano altri tempi” e, in parte è vero, ma oggi esistono condizioni forse più favorevoli per capovolgere la narrazione di una Calabria che va a pietire aiuti e sussidi al Governo centrale.

Certo bisogna battere i pugni, ma soprattutto avere la capacità di saperli battere: i calabresi non sono mai stato un popolo rassegnato, sfiduciato e avvilito sì. Eppure dal Nord, che insiste per bocca di Calderoli sull’autonomia differenziata (senza possibilità di successo), vengono chiare e non equivoche indicazioni che la vera locomotiva del Paese è il Mezzogiorno. Ma per farla camminare serve un vero Piano per il Sud che preveda delocalizzazioni di aziende della parte ricca del Paese, che offra e garantisca incentivazioni per il South smart working, che preveda la defiscalizzazione dei contributi dei nuovi assunti al Sud. E ci sia una grande impegno di investimento per la formazione, con la massima attenzione alla scuola, sempre più fanalino di coda degli impegni di tutti i governi.

Occhiuto s’è lanciato anche lui in promesse in parte difficilmente realizzabili, ma può vantare il vantaggio di avere già governato (bene o male ce lo diranno i voti che prenderà).

Le polemiche a risultato definitivo non finiranno, ma sarebbe bello immaginare un impegno trasversale di tutti (maggioranza e opposizione) per il futuro dei nostri ragazzi.

E, naturalmente, andiamo tutti a votare. (s)

Regionali: Sanità, Inclusione e Sviluppo
I nodi di un’elezione molto complessa

di SANTO STRATI –  Inclusione e sviluppo sono il vero nodo delle prossime elezioni regionali. Se si dà per scontata la priorità assoluta rappresentata dalla disastratissima Sanità calabrese, su questi due temi si vanno a confrontare i due candidati Occhiuto e Tridico (forse ce ne sarà un terzo, Francesco Toscano per Democrazia Sovrana e Popolare, se raccolgono le firme necessarie per la presentazione delle liste). Il confronto non appare scontato viste le ben chiare posizioni, ma riguarda essenzialmente la scelta di strategia che sarà adottata.

Un manifesto di intellettuali indica in Pasquale Tridico la svolta necessaria di cui la Calabria ha estremamente bisogno, e non c’è da eccepire sulle qualità accademiche e le capacità di serio economista (oltre al fatto di essere una persona perbene), però la sua candidatura, spinosa per molti versi per Occhiuto e tutto il centrodestra, mostra alcune debolezze, su cui il tempo ristretto gioca sicuramente a sfavore.

Tridico è il padre del reddito di cittadinanza e punta sull’inclusione sociale per raccogliere consensi: l’idea di un “reddito di dignità” è ammirevole sotto tutti i punti di vista e alle critiche del centrodestra che mancano le risorse finanziarie necessarie, il professore originario di Scala Coeli (CS) replica che si possono reperire facendo una “raccolta indifferenziata” tra i vari fondi europei che prevedono misure per l’inclusione sociale. Anche il Pnrr, di cui la Calabria ha, allo stato, impegnato poco più del 10% delle risorse a essa destinate, prevede misure finalizzate a contrastare la povertà.

Non abbiamo dubbi sulle affermazioni di Tridico sul reperimento dei fondi (300/500 milioni l’anno) che non possono essere individuati nel bilancio regionale (nel 2023 il consigliere PD Raffaele Mammoliti propose qualcosa un assegno regionale contro la povertà, ma il progetto venne bocciato dall’aula), ma il problema non sono solo i soldi. È l’idea di un ritorno all’assistenzialismo che non genera nuova occupazione e non spinge a cercare il lavoro: i guasti dell’anche benemerito reddito di cittadinanza (che ha risolto problemi a tantissime famiglie fragili e incapienti) sono sotto gli occhi di tutti. Una buona idea che, al di là del penoso e fallace slogan pentastellato lanciato dalla finestra di Palazzo Chigi “abbiamo abolito la povertà”, si è rivelata una pacchia per i soliti furbetti del Paese (pare che qualche mussulmano abbia ricevuto l’assegno moltiplicato per il numero delle tre-quattro mogli – legittimamente – a carico). Con il risultato che tantissimi giovani e moltissimi disoccupati hanno – soprattutto al Sud – rifiutato il lavoro (magari facendolo poi in nero) perché era più comodo il RdC che consentiva di continuare a restare in ozio (pagato). Dall’altra parte, non si può non riconoscere che, accanto alle storture e agli abusi perpetrati, in realtà il RdC ha dato respiro a molte famiglie realmente in povertà.

E a proposito di povertà in Calabria i numeri sono contraddittori: secondo l’Istat ci sono 70mila poveri assoluti, secondo altre stime il numero va decuplicato. In ogni caso la lotta alla povertà con l’obiettivo di ridare dignità (e lavoro) alle persone senza sussidi, è certamente un traguardo degno di un Paese civile.

Ma l’inclusione sociale su cui punta Tridico può prevalere su un’idea di sviluppo senza la quale non ci potrà essere riscatto sociale? Tridico non è certamente contro lo sviluppo, ma se, nel programma, dovesse essere costretto a far proprie le posizioni oltranziste e abitualmente schierato sul No a tutto (il famoso “vaffa” che si è rivelato una beffa per gli elettori che ci hanno creduto) il suo consenso popolare sarebbe destinato a una decisa sforbiciata. Uno su tutte il Ponte sullo Stretto su cui – per sola ideologia e nulla di più – Pd, Cinquestelle e tutta la sinistra continuano, ostinatamente, a mostrare opposizione, e che invece è un ineccepibile e indiscutibile volano di sviluppo non solo per i territori della Calabria e della Sicilia, ma di tutto il Mezzogiorno e dell’intero Paese. Può permettersi la Calabria, a fronte di un progetto divenuto legge dello Stato – a giorni la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – un Presidente che, contrario al Ponte, dovrà vigilare ed essere attivo su tutte le opere compensative e di complemento che servono a preparare la realizzazione dell’Opera? Come si potrà conciliare una posizione intransigente su una mega infrastruttura che lo Stato ha deciso di realizzare, con voto democratico del Parlamento, con l’idea di sviluppo che il Ponte stesso porta in dote?

È un bel problema e, probabilmente, il prof. Tridico si è già chiesto quale potrebbe essere la soluzione migliore. E qui ci permettiamo un suggerimento: non sia l’inclusione sociale il cavallo di battaglia della sua campagna elettorale, perché, sì, raccoglie facilmente il consenso popolare, ma non soddisfa le reali esigenze della regione, che ha bisogno di crescita e sviluppo, mediante anche un corposo piano infrastrutturale. Ma punti sullo sviluppo (da cui ovviamente deriva implicitamente l’impegno per l’inclusione) indicando priorità e le idee che possano offrire un salto di qualità all’immobilismo cronico che caratterizza la Calabria.

D’altro canto, il Presidente uscente Roberto Occhiuto punta tutto sullo sviluppo della regione, per convincere gli elettori a riconfermargli la fiducia, ma non dovrà trascurare il problema povertà e inclusione sociale che affligge troppe famiglie con conseguenze nefaste per le nuove generazioni. Il rischio è di vedere crescere in povertà un quarto della popolazione calabrese, soprattutto quella che vive nelle aree più depresse (quasi tutte…) e quindi abituarsi all’idea di un 25% di giovani dannatamente poveri e deprivati di qualunque prospettiva di benessere. Non ce lo possiamo permettere e non intervenire a favore di chi ha bisogno (bambini denutriti, anziani privi di cure, famiglie con disabili che vivono di aiuti occasionali) è una vergogna per un Paese civile e, soprattutto, per una regione che ha nel proprio dna i valori dell’accoglienza e della solidarietà.

In buona sostanza, non ci può essere sviluppo senza inclusione sociale, ma quest’ultima non può guidare (o, peggio, condizionare) il percorso di crescita dei territori. Dare l’assegno sociale a chi ne ha diritto (e davvero bisogno) è un impegno che entrambi gli schieramenti –possibilmente in modo trasversale, al di là di chi vince e chi perde in questa competizione elettorale – devono obbligarsi a rispettare. Poi, le modalità di utilizzo (c’è chi giocava alle slot machine con il RdC…) vanno studiate perché il sussidio sia davvero tale. Ma allo stesso tempo si rifugga dall’idea di un nuovo provvedimento di assistenzialismo: la Calabria e tutto il Mezzogiorno non vogliono aiuti sostitutivi, ma opportunità di impiego con stipendi dignitosi e, perché no?, formazione. In Sicilia hanno già formato e preparato giovani tecnici, manovali, carpentieri, etc per i lavori del Ponte: in Calabria non risulta alcuna iniziativa del genere.

Per chiudere, torniamo al punto cruciale, la sanità. Se non si azzera il debito (azzerare, non cancellare: sarebbe ingiusto nei confronti di chi legittimamente deve essere ancora pagato) non si va da nessuna parte. Occhiuto, avventatamente, alcuni mesi fa annunciava “a giorni” la fine del Commissariamento: siamo a fine agosto e sappiamo com’è andata a finire. Il problema è che sono tanti gli interventi necessari (si legga l’accurato Manifesto di Comunità Competente), ma se i fondi sono utilizzati a pagare le rate del rientro del debito, restano poche risorse da investire. Su questo, principalmente, si gioca la roulette del 5-6 ottobre. (s)

Regionali: la sinistra ha il candidato ideale:
Pasquale Tridico, oggi europarlamentare
Ma fatica a trovare l’accordo tra le sue varie anime divisive

di SANTO STRATI – Il candidato ideale per le prossime elezioni regionali la sinistra, con le sue tante anime divisive, ce l’ha: Pasquale Tridico, già presidente dell’INPS, nonché inventore del reddito di cittadinanza, economista di indiscutibili valore e capacità, ma non trova l’intesa che sancisce la necessaria e intelligente unità che dia corpo alla coalizione. Ieri a Lamezia c’è stato un incontro fiume del PD per individuare il candidato da contrapporre al governatore uscente, ma il comunicato emesso a fine lavori è un capolavoro d’inconcludenza che nemmeno i dorotei d’antan sarebbero riusciti a concepire. La conferma che vuol continuare nel ruolo del perdente di successo.

Roberto Occhiuto, se non lo stoppa alla vigilia delle elezioni l’inchiesta multipla della Magistratura, stravince, perché la coalizione di centro destra ha deciso, unanimemente (ma non senza qualche mugugno), di far convergere le proprie forze su di lui. La mossa delle dimissioni e della contestuale ricandidatura è stata politicamente azzeccata, ma ha rivelato diverse criticità,  perché è sembrata prima di tutto una sfida ai giudici che indagano, con tutti i rischi che la cosa comporta. Anziché tenere un profilo basso, Roberto Occhiuto ha, a modo suo, aperto un fronte di guerra contro la magistratura, e le sue continue rassicurazioni a piena voce sulla “certissima” archiviazione della sua posizione di indagato appaiono quasi “suggerimenti” inappropriati. Sarebbe stato più giudizioso un profilo basso con conseguente assenza di dichiarazioni, ma così non è stato. E la competizione pressoché vincente lanciata a una sinistra impreparata e continuamente lacerata in Calabria, si è trasformata in una pericolosa sfida alla magistratura con conseguenze imprevedibili,

Cosa succederà se l’inchiesta dovesse incarognirsi in queste poche settimane che ci separano dal voto? Nelle segrete stanze i Fratelli di Giorgia – si sussurra – hanno pronto un piano B perché non hanno mai nascosto di voler conquistare la Cittadella, nel caso Occhiuto fosse costretto a ritirarsi. Ma la sinistra potrebbe cogliere un’occasione d’oro per tentare una vittoria, a oggi, decisamente molto improbabile. Saranno settimane di campagna elettorale spietata, senza esclusione di colpi, ma mentre Occhiuto ha alle spalle molti buoni risultati di quattro anni di governo (pur con altrettanti flop che i calabresi non hanno gradito) la sinistra litiga sui nomi e glissa su un programma che i suoi elettori amerebbero valutare. Ma questa è storia della Calabria. (s)

Occhiuto conferma le dimissioni
e lancia le elezioni: si voterà a ottobre?
«Non potevo tollerare mesi di immobilità»

Agli Stati generali del Sud di Forza Italia in corso a Catona (Reggio Calabria) con la regia del deputato azzurro Francesco Cannizzaro, tiene la scena da protagonista il presidente Roberto Occhiuto. Dimissionario e candidato, «attuale e futuro presidente» lo presenta Cannizzaro, e lo sostiene il ministro degli Esteri Antonio Tajani, giunto a Reggio con grandi esponenti forzisti (praticamente tutto lo stato maggiore). Occhiuto ha confermato che ufficializzerà le dimissioni la prossima settimana: entro 10 giorni il presidente del Consiglio regionale dovrà convocare l’assemblea per decretarne lo scioglimento. Si voterà a ottobre e Tajani annuncia che la rielezione di Occhiuto sarà il trampolino di lancio per le elezioni politiche del 2027.

Occhiuto ha spiegato che i tempi della giustizia non sono quelli della politica: la Regione è ingessata, ogni attività è praticamente immobile: «Non potevo aspettare dicembre per la conclusione delle indagini e l’auspicata archiviazione delle accuse contro di me».

INDAGINI, IL LOGORAMENTO DI OCCHIUTO
IL PRESIDENTE ASPETTA L’ARCHIVIAZIONE

di SANTO STRATI – L’immagine del Presidente Occhiuto, rilanciata su Instagram, sorridente e rilassato, dopo l’interrogatorio richiesto e ottenuto dalla Procura sulle accuse di corruzione, non basta a nascondere i tanti affanni del Governatore. Travolto da una burrasca giudiziaria che – ci auguriamo e gli auguriamo – si risolverà in una bolla di sapone, Occhiuto in poche settimane ha perso tanti punti in reputazione (e sicuramente in serenità) a cui si affianca un lento e inarrestabile logoramento, che – decisamente – non merita.

Provate a chiedere in Calabria (ma anche negli ambienti che contano a Roma) un’opinione su Occhiuto Presidente e la risposta sarà pressoché unanime: uno dei migliori presidenti in 55 anni di regioni, “però…”. Ecco l’insidia del sospetto che si manifesta nella sua diabolica interezza in quel maledetto “però…”. Ovvero anche tra i suoi più sfegatati fans qualche turbamento emerge, pur nella netta convinzione dell’assoluta estraneità del Governatore in questo ulteriore pasticciaccio giudiziario che non solo turberebbe la tranquillità anche a un rinoceronte, ma ha provocato una spaventosa crisi di immagine per tutta la Calabria.

Premesso che ribadiamo la nostra personale stima a Occhiuto, più volte espressa su queste pagine, non possiamo non sottolineare alcuni “mostruosi” errori di comunicazione che, al contrario delle aspettative, si sono rivelati un boomerang negativo per il Governatore. Ma c’è qualcuno che consiglia mediaticamente il Presidente Occhiuto o fa – sbagliando – tutto da solo?

L’avviso di garanzia – sia ben chiaro – non è nessuna conferma di colpevolezza o, addirittura, una presumibile scontata condanna, bensì una comunicazione che la Giustizia sta indagando su di te. C’è una grande differenza tra indagato e accusato (in quest’ultimo caso lo si diventa in caso di rinvio a giudizio), ma ormai è invalsa l’abitudine, dai tempi di Tangentopoli (1992) di trasformare mediaticamente in “condanna” qualsiasi apertura di indagine. La mossa di Occhiuto di annunciare sui social l’apertura di un’indagine (per corruzione) sul suo conto non è servita ad attenuare la bomba mediatica che sarebbe comunque esplosa. Anzi, le due successive mosse, l’apparizione televisiva da Porro e una francamente deleteria conferenza stampa in Regione, hanno accentuato la pratica del sospetto. Si è rivelata una excusatio non petita che, come dicevano i latini, spesso diventa una accusatio manifesta. In buona sostanza, pare evidente che la difesa via social e attraverso i media non ha fatto che ampliare la portata dell’indagine accusatoria.

Certo, data la delicatezza del tema e la gravità delle accuse, sarebbe stato utile una maggiore previdenza mediatica da parte della Procura catanzarese: un’indagine sottotraccia, in attesa di riscontri obiettivi e prove inconfutabili, ma siamo abituati in Italia alla fuga di notizie e ai processi mediatici anticipati che portano a confondere e allarmare l’opinione pubblica. Quindi, Occhiuto ha pensato di anticipare i giornali a cui qualche gola profonda avrebbe rivelato l’apertura delle indagini, ma doveva fermarsi lì. Il processo mediatico (via tv e social, sostenuto poi da una certa stampa sempre meno credibile e autorevole) crea due opposte fazioni di innocentisti e colpevolisti, prim’ancora che siano formalizzate (e documentate) le accuse, con un risultato certo: l’indagato – in quanto tale – “qualcosa di certo ha fatto…”, immagina il popolino e nessuna sentenza (che purtroppo arriverà dopo anni di gogna mediatica e di vite e carriere politiche spesso distrutte) rimetterà le cose a posto. La “macchia”, ovvero il sospetto, resterà indelebile. In questo modo si rovina non solo la vita ma anche la reputazione del politico di turno.

E non mancano i sospetti della solita macchinazione politica volta a distruggere l’avversario (o l’”amico”) politico. La lentezza della giustizia nel nostro Paese non fa che accelerare il processo di un logoramento, spesso inarrestabile, che porta all’inevitabile disfatta del malcapitato di turno. Basta guardare indietro negli anni (l’ultimo clamore viene dalla sentenza su Rimborsopoli, con le assoluzioni “perché il fatto non sussiste” arrivate dopo anni di infamanti e infondate accuse) per osservare quante volte la Giustizia ha troncato promettenti o già avviate carriere politiche, per poi scoprire – molti anni dopo – l’insussistenza del benché minimo indizio, di una prova inoppugnabile del reato.

Con il sistema giudiziario italiano si è arrivati all’assurdità che è l’imputato che deve dimostrare la propria innocenza, quando invece dovrebbe essere la pubblica accusa a dimostrare la presunta colpevolezza (poi tocca ai giudici in giudizio stabilire la concretezza delle prove): in questo modo, soprattutto, nel mondo politico, tutti gli amministratori pubblici sono in costante “libertà vigilata” e sanno che dovranno dimostrare, in caso di accuse, la propria innocenza, anche e soprattutto in assenza di riscontri precisi di aver commesso illeciti.

Basta scorrere i precedenti delle assoluzioni  in Calabria, dopo anni di ludibrio politico: il presidente Mario Oliverio (a cui è stato addirittura impedito di andare alla Cittadella a esercitare le sue funzioni, in quanto costretto alla dimora obbligata nella sua casa a San Giovanni in Fiore) poi assolto senza alcuna scusa, o l’ex senatore Marco Siclari (“il fatto non sussiste”), assolto da infamanti e strampalate accuse, “bruciato” politicamente (era il più giovane senatore d’Italia) dopo l’ovvia gogna mediatica che non ammette errori giudiziari, e tanti altri ancora, vilipesi, feriti nell’orgoglio, distrutti fisicamente e politicamente da una giustizia “non giusta” perché troppo lenta a condannare o assolvere. Chiamiamole cantonate giudiziarie (anche i magistrati sbagliano, ci mancherebbe), ma non sono più tollerabili, ormai, i i tempi di ripristino della verità cui costringe un’inchiesta giudiziaria.

Occhiuto all’uscita dell’interrogatorio (da lui richiesto e concesso dalla procura) ha detto di confidare in una celere archiviazione: «mi sento sollevato perché penso di aver chiarito ogni cosa». Ma non ignora, il Presidente, che il logoramento a cui ogni giorno è sottoposto – con continui – pur se surreali – collegamenti alla sua persona in indagini che continuamente si allargano e distillano, goccia dopo goccia, ipotesi di reato a 360 gradi in Cittadella e dintorni, finirà per distruggerlo politicamente. La sua rielezione, data per scontata fino a pochi mesi fa, ha subìto non un semplice scricchiolio, ma un vero e proprio terremoto. Il timore è che un eventuale rinvio a giudizio (pur in assenza di elementi concreti) darà il colpo finale a un faticosissimo impegno (sapete quante ore lavora il Governatore?) che avrebbe diritto di vedere risultati e non accuse prive di fondamento.