di PINO NANO – Ancora un figlio di Calabria ai vertici delle massime istituzioni del Paese. Sarà Rocco Bellantone, professore ordinario di Chirurgia Generale e per lunghi anni Preside della Facoltà di Medicina all’Università Cattolica, già membro del Consiglio Superiore di Sanità, a subentrare a Silvio Brusaferro alla guida dell’Istituto superiore di sanità. Un incarico di grande prestigio nazionale ma anche di grande responsabilità professionale.
Ma chi è in realtà Rocco Bellantone?
Lo slogan che lui più ama quando gli chiedi di raccontarti la sua vita è questo: “Per essere bravi medici, bisogna prima essere brave persone”. Poi viene il resto.
E quest’uomo ha fatto della semplicità il karma della sua vita.
La sua è una storia molto speciale, di un ragazzo come tanti, nato 70 anni fa in Calabria a Villa San Giovanni, e diventato poi un grande ricercatore, un grande clinico, un grande chirurgo, un maestro vero e proprio della medicina moderna. Un uomo, insomma, di cui la storia della sanità pubblica in Italia rimarrà profondamente segnata per gli anni che verranno. Uno scienziato, che il mondo internazionale della ricerca considera oggi punto di riferimento assoluto della storia della medicina.
Ieri il professore ha lasciato per sempre quella che è stata la sua vera casa nel corso di questi ultimi 40 anni, il Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, per una nuova avventura professionale che lo vedrà già dai prossimi mesi alla guida dell’Istituto Nazionale di Sanità.
Nessuno meglio di lui. Nessuno più di lui. Nessuno al di sopra di lui. Questa è la verità.
Professore, come racconterebbe la sua storia?
«Mi chiamo Rocco Bellantone, sono un medico, un chirurgo endocrino. Ho sempre indirizzato la mia carriera professionale, e la mia vita personale, alla cura delle patologie endocrino metaboliche, con particolare rilievo alla: tiroide; paratiroidi; surrene. Negli ultimi dieci anni la mia attività chirurgica, didattica e di ricerca si è focalizzata, in particolare, nel campo della Chirurgia Endocrina».
Il vecchio professore ha un record che non è per niente comune e che i trattati di medicina racconteranno anche dopo la sua morte. Riguarda il numero dei suoi interventi chirurgici. 20.000 interventi di media e alta chirurgia, alcuni dei quali eseguiti per la prima volta al mondo.
«Ho avuto la responsabilità diretta di 40.000 degenti di reparto presso il Policlinico Gemelli, e sono stato tra i primi in Italia a dare ampio spazio alle moderne tecniche di Endocrinochirurgia mini-invasiva. Sono l’ideatore della Mivat, una nuova tecnica di chirurgia endocrina minivasiva – con approccio video-assistito – che mi ha consentito, oltre che di onorarmi del vasto riconoscimento internazionale, di essere invitato nelle più prestigiose università del mondo a tenere lezioni e dimostrazioni pratiche di tecnica operatoria».
Parliamo di Campus universitari come quelli della Brown University School of Medicine (Rhode Island Hospital); il Mount Sinai Hospital (New York);The Argentine Academy of Surgery, Buenos Aires;l’Harvard Medical School (Boston, MA);l’International School of Endocrine & ENT Surgery di San Pietroburgo (Russia);l’Instituto del Càncer Solca Cuenca (Ecuador).Il massimo possibile.
«Tutto questo con il fine ultimo di ogni medico: migliorare la qualità di vita dei propri pazienti».
Professore ordinario di Chirurgia Generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma dal 2003, è stato editor e autore di oltre 300 capitoli di trattati di Chirurgia Generale, autore di circa 600 lavori scientifici su argomenti di interesse sperimentale e clinico, e ha un H-Index di 50 (Scopus 2023). Gli esperti di queste cose sanno di cosa si parla. Di più, ha un Impact Factor complessivo di 405.901, calcolato esclusivamente sui lavori in extenso, su riviste recensite dal Journal Citation Report (edizione 2015), segno di una qualità professionale elevatissima e degna da Premio Nobel.
Di lui ho un ricordo personale molto forte.
Il 24 gennaio del 2022 si celebrava al Gemelli l’Inaugurazione dell’Anno Accademico della Università Cattolica di Roma e in quella occasione il prof. Rocco Bellantone teneva la sua ultima lectio magistralis come Preside della Facoltà di Medicina.
Quella mattina io ero in aula con tutti loro, e ho di quel giorno un ricordo indelebile, soprattutto conservo di quella mattina l’immagine fiera anche se affaticata e a tratti stressata di un uomo in camicie bianco che salutava per sempre i suoi allievi e i suoi professori, i suoi assistenti e i suoi infermieri, ma con un senso d’orgoglio e di appartenenza così forti e così palesi da far tremare l’aula.
Commovente, austero, passionale e a tratti intimo il racconto che il vecchio medico calabrese ci fece della sua vita e del suo lungo percorso al Policlinico Gemelli di Roma.
Esordì in questo modo quella mattina.
«Godiamoci questo Gemelli che Newsweek indica come il migliore ospedale italiano e tra i 40 migliori del mondo, che ha brillantemente conseguito la certificazione della Joint Commission. Godiamoci un’eccellenza che ci viene testimoniata ogni giorno da richieste di prestazioni che ci stanno letteralmente travolgendo. È un Gemelli dove non esiste malattia, sia pure la più rara, che non trovi i migliori specialisti a curarla. È un Gemelli perfettamente integrato nel sistema Lazio in un rapporto di reciproca stima con apparati regionali tecnici e politici di grande spessore e trasparenza. È un Gemelli che, anche nel dramma del Covid, ha saputo dimostrare la forza e la passione dei suoi operatori sanitari creando, nel giro di poche settimane, un ospedale nell’ospedale, dove operatori sanitari e tecnici stremati hanno compiuto veri e propri atti di eroismo dando eccellenza e carità. Ciò senza dimenticare l’abnegazione e lo spirito di sacrificio di quanti nei laboratori hanno retto un carico inimmaginabile fornendo numeri incredibili e qualità eccelsa. A tutti loro, a quanti hanno sofferto o ci hanno lasciati il grande abbraccio della nostra comunità ed il grazie per aver segnato un’altra luminosa tappa della vita del Gemelli».
In sala il silenzio più assoluto. In cattedra c’è ancora lui, il grande medico calabrese, che trova la forza di riconoscere quanto bella ed entusiasmante sia stata la sua vita e la sua carriera alla guida dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
«L’abbraccio che dò a tutti voi – ripete con le lacrime agli occhi – è grato ancora una volta per questa meravigliosa esperienza che mi avete concesso. Sono sicuro che continuerete a coltivare quel grande, immenso amore per l’istituzione che ha alimentato la nostra passione, sono sicuro che manterrete quell’unione ferrea e solidale che è stata la nostra inattaccabile corazza».
Ma non soddisfatto di questa sua dichiarazione d’amore al grande popolo del Gemelli il Rocco Bellantone riscopre la sua passione per le letture sacre e cita San Paolo.
«San Paolo diceva: “E l’occhio non può dire alla mano: «Io non ho bisogno di te»; né parimenti il capo può dire ai piedi: «Io non ho bisogno di voi». E se un membro soffre, tutte le membra soffrono; mentre se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono insieme”. È questo il messaggio e la raccomandazione più forte che lascio al prossimo Preside, di cercare sempre ed a tutti i costi un noi quanto più ampio e convinto possibile. Sono sicuro che con queste premesse sarete accanto a chi vi rappresenterà continuando nella via del merito, dell’eccellenza, della passione che assieme abbiamo tracciato unico modo per mantenere grande questa istituzione e per difenderla dai mille pericoli che continuano ad incombere».
Poi si avvia verso il saluto finale, citando questa volta Papa Francesco con cui in questi anni ha legato un rapporto quasi familiare, e dedicando il suo saluto finale al suo “popolo”.
«Sono grato al Signore e dobbiamo esserlo tutti per averci fatto vivere questa splendida esperienza, questo lavoro sublime. Grazie a voi per questa bandiera che mi avete fatto portare e che avete riempito di amore, passione, competenza. Grazie per la forza ed il coraggio che mi avete dato nei momenti terribili e per il meraviglioso entusiasmo con cui abbiamo condiviso i traguardi raggiunti. Grazie al Signore per avermi insegnato come nulla si può realizzare senza il Suo amore e per tutte le volte che mi fatto capire la differenza tra un io sterile ed autoreferenziale e quel noi che ho sempre cercato con tenacia ed umiltà.Sono e sarò sempre uno del Gemelli come tutti voi.E ci saremo sempre: guardando con commozione un allievo che cresce in sapienza e carità, esultando con gioia di fronte ai risultati di una brillante ricerca, trasformando una smorfia di dolore in un sereno sorriso, abbracciando una donna o un uomo in una meravigliosa condivisione di speranza, ci saremo sempre noi del Gemelli».
Dio mio professore…, quanta commozione quel giorno, e soprattutto quanta spiritualità calabrese nelle sue parole.
È stato un onore essere quel giorno uno dei suoi. (pn)