di FRANCESCO ARILLOTTA – In questi giorni va ricordato che fu nel gennaio 2001 che la Soprintendenza Archeologica della Calabria diede inizio ai lavori di scavo nella centrale piazza Vittorio Emanuele II, vulgo “Piazza Italia”, di Reggio Calabria. È proprio così: da quando, nella parte lato Corso Garibaldi di questa piazza, la Sovrintendente, dottoressa Elena Lattanzi, dispose la conduzione di una serie di saggi per accertare la realtà archeologica di quell’area, sono trascorsi ben venti anni!
I lavori continuarono per più anni e portarono alla scoperta di una situazione che andava oltre ogni immaginazione di quanti in precedenza si erano interessati a cosa potesse nascondere nelle sue viscere quella parte urbana regina, da sempre considerata il cuore storico della città.
Su una superficie di circa 250 mq., infatti, lo scavo, condotto fino alla profondità di oltre sei metri, rivelò l’esistenza di uno stato dei fatti assolutamente eccezionale. Innanzitutto, un primo strato riferibile alla condizione della piazza prima del terremoto del 28 dicembre 1908, che mostrava la sistemazione a verde dell’area, con aiuole, fontanile e vasche per i pesci, con il basamento antico del monumento a Ferdinando di Borbone prima e all’Italia dopo, compreso l’impianto del palco destinato ai concerti delle bande musicali, completo di articolazione del sistema di illuminazione a gas. Apparvero, quindi, le testimonianze dei secoli precedenti, con una cesura storica fra il XVIII e il XIV secolo, provocata dalla “aratura” del suolo cittadino realizzata, purtroppo, in occasione della realizzazione della nuova città voluta con il Piano Regolatore Mori redatto nel 1784 per la ricostruzione dopo il terremoto del 1783. Poi, lo scavo consentì di attraversare la successiva storia urbanistica regina fino all’età magnogreca. Nella profondità di quei sei metri c’era il racconto di diciotto secoli di vita cittadina: trenta centimetri per ogni secolo!
Un risultato eccezionale, che pone la realtà archeologica di Reggio Calabria ad altissimi livelli di interesse sotto numerosi punti di vista: dalle tecniche costruttive praticate nei vari secoli all’oggettistica rinvenuta nei diversi strati del terreno.
A suo tempo, a proposito della quantità del materiale ritrovato, si parlò di oltre 1500 cassette di reperti archeologici, e di un numero veramente rilevante di monete dei vari periodi storici attraversati.
Sull’argomento, non si è mai pubblicato niente. Il mondo scientifico non ha, quindi, potuto avere contezza di quanto le ricerche hanno rivelato. Ma soprattutto la Città di Reggio Calabria non ancora conosce, dopo venti anni, cosa quei reperti e quelle monete possono rivelare sulla sua Storia.
Ed anche la fruizione pubblica del sito, che potrebbe costituire un forte richiamo culturale e turistico, non va nella direzione auspicabile.
Eppure, cosa non si è trovato in quei “quattro palmi” di terra! È ancora ben preciso il ricordo, in me che ho avuto il privilegio di seguire da presso per lungo tempo quei lavori di scavo, delle emozioni provate ogni volta che sotto una zolla di terra appariva un segno della nostra millenaria vicenda umana!
Il muro esterno di un edificio lungo oltre dodici metri; piccoli crogiuoli per la funzione di oggetti in bronzo; grandi giare normanne fornite di robusti manici; un alto muro romano fuori squadro, forse per effetto di movimenti sismici; pozzi rotondi e quadrati al servizio di case bizantine; un mucchietto di monete in chissà quale drammatica circostanza perse; una serie di vasetti di vetro colorato di misteriosa destinazione; tarì d’oro arabi e normanni; case costruite, per più secoli, una sulle fondamenta della precedente, sempre orientate est-ovest; mascherette fittili magnogreche; testimonianze inaspettate della prima cristianità regina; vasellame di produzione siculo-magrebina; una bulla vitrea dorata, simile e forse coeva a quella attribuita al Califfo d’Egitto Abu-Alì al Mansur (996-1021) trovata, nel 1925, nelle fondamenta del palazzo La Face, a Piazza Duomo. E cosa dire della serie stratigrafica riguardante il tratto di strada che, dal ‘700 andando indietro nei secoli, ha sempre caratterizzato quell’area, rivelando le diverse tecniche di costruzione stradale applicate nel tempo, e costituendo così, quasi certamente, un unicum nel panorama archeologico dell’Italia Meridionale.
L’Associazione “Amici del Museo Nazionale di Reggio Calabria”, che ho l’onore di presiedere, ritiene che questa situazione vada affrontata e, nel migliore dei modi ed in tempi brevi, risolta. E intende fare tutto quanto sarà nelle sue capacità, perché almeno una informazione di base, che consenta di conoscere le stratigrafie delle diverse epoche testimoniate, e i ritrovamenti più significativi – comprese le monete – vadano presentati; disposta ad ospitare il tutto in un apposito numero monografico della sua qualificata rivista “Klearcos”.
Reggio Calabria ha il diritto di sapere; l’Archeologia Internazionale non può essere privata di dati tanto importanti. Venti anni di silenzio sembrano, obiettivamente, troppi! (fa)