I giovani non scelgono di diventare artigiani

di VINCENZO CASTELLANOL’artigianato in Italia, specialmente nelle regioni del Mezzogiorno, affronta una sfida significativa nell’attrarre giovani talenti verso questa antica e venerata professione. In un’epoca dominata dall’ascesa dell’istruzione superiore e dall’attrazione delle opportunità all’estero, molti giovani tendono a deviare dalla tradizionale via dell’artigianato, generando una preoccupante carenza di manodopera in questo settore.

Questa tendenza solleva interrogativi fondamentali sul ruolo che la famiglia e il sistema educativo possono giocare nel riconoscere e valorizzare l’artigianato come percorso professionale valido e ricco di potenzialità.

Per contrastare questa dinamica e rivitalizzare il settore, è imperativo adottare un approccio innovativo, che potremmo definire “Artigianato 5.0”. Questo modello si propone di modernizzare l’artigianato attraverso l’integrazione di tecnologie avanzate, pratiche sostenibili e un forte orientamento verso l’innovazione. L’adozione di tale strategia non solo potrebbe rendere l’artigianato più appetibile alle nuove generazioni ma promuoverebbe anche la crescita economica e lo sviluppo sostenibile nelle aree più depresse, stimolando al contempo la conservazione delle tradizioni locali.

È fondamentale che le piccole e medie imprese (Pmi) artigianali si impegnino attivamente nell’investire sui giovani, offrendo loro non solo formazione qualificata ma anche prospettive di carriera a lungo termine all’interno del tessuto economico locale. Iniziative quali agevolazioni fiscali per le aziende che favoriscono l’assunzione di giovani apprendisti, unitamente a finanziamenti agevolati per l’avvio di nuove attività artigianali, possono giocare un ruolo decisivo in questo contesto. È inoltre essenziale rafforzare e ampliare i programmi di supporto all’imprenditorialità già esistenti, come il ben noto “Resto al Sud”, incentivando ulteriormente i giovani a scegliere e valorizzare le professioni artigianali come vie di sviluppo professionale valide e stimolanti.

Promuovere un’immagine rinnovata e dinamica dell’artigianato è altrettanto cruciale. Questo implica sottolineare come l’artigianato riesca a coniugare armoniosamente bellezza, tradizione e innovazione, presentandosi come un campo ricco di opportunità creative e professionali. Le istituzioni educative dovrebbero giocare un ruolo centrale in questo processo di rinnovamento, integrando nei loro programmi di studio moduli specifici che illustrino l’artigianato sotto una nuova luce, evidenziando le sue potenzialità in termini di innovazione, creatività e sostenibilità.

La strategia di rilancio dell’artigianato richiede quindi un impegno congiunto e sinergico tra istituzioni governative, realtà imprenditoriali e comunità educative. L’obiettivo è creare un ecosistema fertile che valorizzi le competenze artigianali e le tradizioni locali in chiave contemporanea e sostenibile. Attraverso questa sinergia, sarà possibile non solo preservare ma anche far prosperare il settore artigianale, rendendolo una scelta professionale desiderabile e gratificante per le nuove generazioni, che cercano un futuro professionale non solo promettente ma anche profondamente radicato nelle competenze manuali e nella creatività. (vc)

[Vincenzo Castellano è segretario Federale di Italia del Meridione]

L’ITALIA PUNTI SULLA CALABRIA E SUL SUD
PER UNO SVILUPPO “EURO-MEDITERRANEO”

di MIMMO NUNNARIDopo la visita al porto di Gioia Tauro della presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni si può tirare qualche somma sul futuro della Calabria.

Non che la premier abbia portato molti doni o disegnato prospettive interessanti per la regione terminale d’Europa, tuttavia sono da incorniciare le sue nette sincere parole sul porto di Gioia Tauro: «È un gioiello, il primo porto italiano e il nono europeo per traffico merci. Noi però siamo una piattaforma in mezzo al Mediterraneo, quel mare che è il punto di contatto tra l’Indopacifico e l’Atlantico. Noi siamo in mezzo, con un porto che sta nella punta di questa piattaforma. E allora il nono posto in Europa non è l’obiettivo massimo a cui possiamo ambire. Molti passano da Rotterdam e Amsterdam banalmente perché non abbiamo le infrastrutture».

Dobbiamo partire da qui nel tirare le somme della visita di Meloni in Calabria, fidandoci del ruolo di sentinella degli interessi della regione che sta svolgendo il presidente della Giunta Roberto Occhiuto, che – ora o mai più – ha la grande occasione di proiettare la Calabria nel Mediterraneo, in quel mare dove si può trovare il filo della della rinascita di una vecchia e dignitosa regione del Sud, perché questo la Calabria è.

Con i suoi 800 chilometri di costa, che nel tratto del basso Tirreno ospita il porto di Gioia Tauro e più a sud lo Stretto, da sempre crocevia del mondo, la Calabria, isole di Sicilia e Sardegna a parte, è la regione più di tutte immersa nel vecchio “mare nostrum”: il mare dove tutta la storia dell’umanità è scritta. Circa 5000 anni fa un uomo fenicio, di nome forse Onoo, fu il primo ad avventurarsi con coraggio tra le onde, con una specie di canoa, forse per fuggire dai suoi nemici, oppure perché curioso di scoprire nuove isole e nuove terre che stavano oltre la linea dell’orizzonte.

Da allora, è cominciato il viaggio nel mare che si chiama Mediterraneo. A raccontarlo questo “viaggio”, significa narrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia e poi realtà antiche, ancora vive, a fianco dell’ultramoderno; oppure, immergersi negli arcaismi dei mondi insulari e, allo stesso tempo, stupire di fronte all’estrema giovinezza di metropoli antiche che da secoli sorvegliano e consumano il mare. Qualcuno, dice che nel sud del Mediterraneo accade ciò che nel Sud Italia accade da due secoli almeno: stessa eredità di antiche civiltà, stesso crepuscolo e destino, nel collocarsi nella storia dalla parte del torto.

E la Calabria, di questo Sud Mediterraneo, è indiscutibilmente e storicamente il centro. Quando la presidente Meloni da Gioia Tauro guarda all’Africa e al Mediterraneo, può essere certa che l’Italia il suo Mediterraneo lo ha in casa: con la Calabria, che rappresenta – messa giù in fondo allo Stivale – l’avanguardia dell’Occidente verso l’Oriente e l’Africa del Nord. La Calabria è geograficamente, storicamente e culturalmente, il territorio più vicino a quel grande teatro di dimensioni mondiali, a quel piccolo universo davanti al quale, come ha scritto domenica Lucio Caracciolo su la Repubblica: «L’Italia è quasi isola, esposta per ottomila chilometri al mare da cui importiamo le materie prime che non abbiamo e con cui esportiamo le merci che sostengono la nostra economia. La Penisola prospera finché il Mediterraneo è libero e aperto, soffoca se scolora in campo di competizione o peggio di battaglia fra potenze avverse».

L’Italia dunque ha bisogno del Mediterraneo e tutte le ragioni suggeriscono, perciò, rapporti non solo economici, ma anzitutto dialettici, culturali e di sfida sociale con la realtà mediterranea, e la Calabria, con le sue Università, le sue imprese eccellenti, il suo immenso patrimonio culturale, può legittimamente candidarsi a svolgere questo ruolo di punta di diamante del Sud nel Mediterraneo.

Tutte insieme, le regioni meridionali, in prospettiva mediterranea, possono rivestire, nell’Unione Europea, quel ruolo che Francesco Compagna, un illuminato meridionalista, in tempi lontani, indicava nella definizione di geopolitica come “Mezzogiorno d’Europa”. Gli scenari (incerti) del futuro, saranno difficili da gestire, senza un’accorta politica mediterranea e sarà l’Italia – se le sue visioni glielo consentiranno – a dover svolgere un ruolo importante in un processo di sviluppo euro-mediterraneo che comporterà certamente dei costi, ma che avrà innegabili convenienze.

Ma, senza puntare sulla Calabria, e sul resto del Sud, ogni visione, ogni progetto, rischiano il fallimento. (mnu)

L’alta velocità, un’opportunità irrinunciabile di sviluppo

L’alta velocità è un fattore determinante per lo sviluppo della Calabria, ma serve che sia reale, competitiva e attrattiva. È su questo che si è incentrato il convegno L’alta velocità che serve alla Calabria e al Sud, svoltosi a Palazzo Alvaro di Reggio Calabria e organizzato dal movimento La Calabria che vogliamo guidato da Giuseppe Nucera.

E proprio Nucera, in apertura, ha ricordato come «l’alta velocità per noi meridionali è una priorità» e di quanto «siamo in forte ritardo rispetto al resto del Paese se consideriamo che da oltre 20 anni le aree del Centro-Nord sono collegate con i treni veloci. Cristo si è fermato a Eboli, ma con l’Alta Velocità possiamo dire che si è fermato invece a Salerno».

Un evento, moderato dal giornalista Paolo Bolano, che ha visto «tanti protagonisti di livello e un coro plurale di voci  – ha detto Nucera – perché ritengo importante allargare il dibattito e ascoltare da vicino le parti in causa, provenienti da diverse zone della Calabria».

Francesco Russo, ordinario trasporti dell’Università di Reggio Calabria, ha evidenziato come una vera alta velocità garantirebbe un aumento del Pil e non solo. 

«Con l’alta velocità per la Calabria ci sarebbe subito un incremento di occupazione e un incremento dello sviluppo sociale complessivo – ha evidenziato Russo – perché aumentando la possibilità di risorse si raddoppierebbe il Pil, l’incremento di Pil differenziale annuale sarebbe un risultato che non si può ottenere con nessun’altra opera infrastrutturale, la Calabria cambierebbe la sua storia».

«L’alta velocità in Sicilia – ha proseguito – è stata trasformata, non ci sarà un’alta velocità in Sicilia e di fatto questo tracciato per l’alta velocità in Calabria è un tracciato a zig zag che tutto è tranne che un’alta velocità».

La prospettiva siciliana è stata approfondita dal prof. Massimo Di Gangi, ordinario trasporti Università di Messina, che ha affrontato il tema dell’alta velocità anche in relazione alla rivoluzionaria opera del Ponte sullo Stretto, infrastruttura che legherebbe la regione siciliana non solo al resto d’Italia ma all’intera Europa.

Aldo Ferrara, presidente Unindustria Calabria, ha puntato l’indice riguardo il reperimento delle risorse necessarie per realizzare l’alta velocità.

«Attualmente non ci sono, si parla di più di 10 miliardi  ha evidenziato – ma io intanto mi preoccuperei che il primo tracciato venga realizzato perché è stato messo in pista. Quello che è certo è che tutti i territori attraversati dall’Alta Velocità hanno una crescita del Pil», ha rimarcato Ferrara evidenziando l’importanza dell’Av per il futuro della Calabria.

Prezioso il contributo offerto da numerosi amministratori dell’alto cosentino, prime sentinelle di territori che chiedono di essere ascoltati sul tema dell’alta velocità: nel corso del convegno hanno preso parola, il video collegamento, Ernesto Magorno, sindaco di Diamante), Biagio Praino, vice sindaco di Tortora) e Giacomo Perrotta, sindaco di Scalea.

Giuseppe Maiolo, presidente del Collegio Ingegneri ferroviari di Calabria, ha evidenziato l’importanza di diminuire il numero di fermate.

«Dopo aver chiesto e ottenuto l’eliminazione del ramo cosentino che avrebbe soltanto allungato i tempi e creato diverse problematiche, adesso chiediamo la riduzione delle fermate per riuscire nell’obiettivo di avere una durata altamente competitiva, attorno alle 3 ore, per il tracciato Reggio Calabria-Roma. Serve la stessa filosofia – ha ribadito – utilizzata per la direttissima Roma-Firenze, senza fermate si possono effettuate interconnessioni per servire le altre città. I Frecciarossa e Frecciargento di oggi fanno troppe fermate, questo significa mancanza sinergia tra il trasporto Frecciarossa e le reti locali».

In chiusura di convegno, l’economista Matteo Olivieri ha messo in guardia rispetto ai paletti alzati dalla Corte dei Conti.

«Calabria e Sud hanno bisogno di collegamenti stabili ed efficienti – ha evidenziato – investimenti che però devono essere fatti bene. Il perimetro delineato dalla Corte dei Conti europea  ha messo in guardia rispetto al tipo di investimenti da effettuare. In Italia il costo per chilometro di Av è il doppio di Germania e Spagna, l’orografia della nostra nazione non aiuta. Solo una parte delle risorse destinate all’Av viene dal Pnrr, il resto sono fondi pubblici, per questo motivo serve prudenza e da economista non posso che sottoscrivere». (rrc)

 

L’EMIGRAZIONE, IL TRISTE FENOMENO CHE
ARRICCHISCE IL NORD AI DANNI DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Attualmente  la stragrande maggioranza degli interventi viene effettuata con tecniche chirurgiche d’avanguardia e mininvasive, grazie alla laparoscopia con visione tridimensionale ed alla chirurgia robotica. Queste  competenze hanno permesso di trattare moltissime patologie in maniera ottimale e secondo i più alti standard terapeutici nazionali ed internazionali». Lo afferma Alfredo Ercoli, professore ordinario di Ginecologia ed Ostetricia e direttore della Scuola di Specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia e direttore dell’Uoc di Ginecologia ed Ostetricia del Policlinico ‘G. Martino’. Di Padova? Eh no. Non ci crederete ma parliamo di Messina. 

Contraddicendo tutti coloro, molti di questi meridionali, che se hanno un problema di salute pensano che il miglior modo di risolverlo sia quello di comprare un volo low cost per il Nord. 

In realtà tutti sanno che le eccellenze sanitarie  in termini individuali sono certamente presenti in tutto il Paese. Ma mentre al Nord il sistema sanitario ha una organizzazione complessiva, che garantisce il malato in tutti i momenti della sua degenza spesso, invece,  nelle strutture meridionali a fianco alle eccellenze professionali vi è una realtà complessiva che non è all’altezza delle individualità, anche eccellenti, che vi operano. Tale situazione  di mobilità comporta un costo per la regione che subisce il trasferimento ed un vantaggio per chi invece accoglie i pazienti. 

Infatti le amministrazioni, che fanno parte del sistema sanitario nazionale, rifondono a quelle che accolgono i costi sostenuti per prestare le cure richieste. Anzi le strutture di accoglienza si sono organizzate in maniera tale che non vi siano liste di attesa per chi arriva da fuori, che invece permangono per i residenti, in modo da incoraggiare i pazienti alla emigrazione sanitaria. 

Un sistema messo a punto non solo per quanto attiene alla sanità ma anche per la formazione, che le Università del Nord offrono agli studenti del Sud. Recentemente il politecnico di Torino si preoccupava della bassa natalità del Sud, perché tale fenomeno avrebbe comportato una minore richiesta di iscrizione da parte degli studenti meridionali. 

Anche in questo caso il prezzo che viene pagato dal sistema economico meridionale è estremamente alto. Perché non riguarda solamente il costo dell’iscrizione presso le università, ma anche il costo del soggiorno che aiuta i sistemi economici di Pisa, di Bergamo o di Brescia, con una richiesta di affitto da parte dei pendolari, per tutti gli anni della frequenza.

Non solo ma a chiusura del periodo formativo, quando gli emigranti troveranno quel lavoro per il quale hanno deciso la frequenza nelle università settentrionali, i genitori compreranno magari una casa, vendendo quella posseduta, diminuendo enormemente il valore del patrimonio immobiliare del Sud, come sta avvenendo, e aumentando quello del Nord. 

Insomma il conto complessivo è di quelli che sembra incredibile. Il primo importo è quello relativo al costo della formazione dei 100.000 che ogni anno si trasferiscono per lavorare al Nord.

La maggior parte di essi ha una formazione universitaria. In media possiamo dire, considerato che vi sono anche delle professionalità senza titolo di studio,  che la formazione è quella media  superiore. 

Il costo complessivo per far nascere, crescere e formare  un giovane in modo che possa cominciare a lavorare è di circa 200.000 €, che moltiplicati per i 100.000 che ogni anno se ne vanno fa una somma vicina ai 20 miliardi di euro, che le regioni meridionali regalano a quelle del Nord, in prevalenza. In realtà vi sono anche le migrazioni internazionali che andrebbero sottratte a questa cifra. 

In questi anni è cresciuta anche la migrazione sanitaria dalle regioni del Sud a quelle del Nord con 4,25 miliardi di euro che si spostano verso il Nord. 

A Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto il 93,3% del saldo attivo. Il 76,9% del saldo passivo grava sul Centro-Sud. Delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali erogate in mobilità oltre 1 euro su 2 va nelle casse del privato.

Il Miur ha annunciato che nell’anno accademico 2022-23 ci sono state 331 mila immatricolazioni (147 mila maschi, 184 mila femmine). È una cifra costante negli ultimi anni. Il 25 per cento di studenti meridionali fuori sede si traduce in oltre 82 mila partenze. Applicando il criterio di spesa prudenziale dei 30 mila euro l’anno per ogni studente, il prodotto della moltiplicazione è di 2,47 miliardi di euro in fondi privati trasferiti dal Sud al Centro-Nord. 

Facendo la somma di tutte queste risorse andiamo verso i 30 miliardi annui che vengono trasferiti che, sommati ai 60 di spesa pro capite differente, calcolata dal dipartimento per le politiche di coesione, fanno  una somma complessiva di circa 90 miliardi annui. 

Pensate che qualcuno voglia rinunciare alla mucca grassa che si trova a mungere senza opporre resistenza? Sarà difficile.       Ovviamente l’autonomia differenziata porterà ad una aggravamento di questa situazione. Poiché avendo a disposizione meno risorse la sanità meridionale non potrà che peggiorare, mentre quella settentrionale avrà un standard sempre più di livello. 

Stessa condizione subirà la formazione universitaria, mentre l’impossibilità di trovare livelli adeguati di occupazione nel Sud alimenterà il processo migratorio dei giovani formati meridionali.

É uno schema tipico delle colonie che sarà difficile ribaltare senza interventi decisi e continuati, che non si vedono all’orizzonte. Bisogna comunque sottolineare che in parte tali  spostamenti sono dovuti a una reale differenza di assistenza o di formazione.

Ma nella maggior parte dei casi dipendono da una cattiva reputazione che le  strutture sia mediche che formative, al di là della loro reale valenza, in alcuni casi per loro colpa effettiva,  in altri per una vulgata cavalcata dagli interessi di chi vuole alimentare i trasferimenti, si sono “guadagnate”. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’OPINIONE / Flavio Stasi: Il Sud in questo momento chiede attenzione, non schermaglie

di FLAVIO STASI – Il deputato Alfredo Antoniozzi deve conoscermi molto poco per aver provato a distogliere l’attenzione da ciò che ho affermato, nel merito, con banali schermaglie politiche.

Di certo, oltre all’ironia, ne apprezzo l’onestà. È stato lo stesso vice-capogruppo, infatti, a parlare di gestione politica disastrosa della Calabria, e tutti sappiamo che il centrodestra governa da 4 anni, dopo un governo di centrosinistra (Oliverio) che ha seguito un governo di centrodestra (Scopelliti), dopo Loiero (centrosinistra) preceduto da Chiaravalloti (centrodestra). Insomma, se fallimento c’è stato, è stato bipartisan.

Non entro nel merito di cosa stia facendo il Governo per il Sud, ma dando per scontato la buona volontà, temo che qualche svista ci sia: basti pensare alla vicenda del fondo perequativo “dimagrito” di qualche miliardo di euro.

Tornando alla vera questione, sono così al di sopra delle parti che solo pochi giorni fa, di fronte a quattro parlamentari, ho avuto modo di affermare che la riforma del Titolo V del 2001, per la quale il centrosinistra di allora ha avuto un ruolo dirimente, è stata a mio avviso un fallimento. Ciò non autorizza l’attuale Governo a farne una peggiore.

Il divario tra sud e nord esiste, ma finora abbiamo avuto almeno la speranza costituzionale di colmarlo. Gli amministratori del sud sono preoccupati perché l’Autonomia Differenziata rischia di istituzionalizzare ed acuire tale divario, e si tratta di una preoccupazione scevra da ragionamenti di schieramento. Invito tutte le forze parlamentari a tenere tale preoccupazione in considerazione. (fs)

[Flavio Stasi è sindaco di Corigliano Rossano]

L’alta velocità che serve alla Calabria e al Sud

di FRANCESCO RUSSO – La questione centrale per lo sviluppo sostenibile, e cioè economico, sociale ed ambientale della Calabria e del Sud è oggi l’Alta Velocità Ferroviaria.

Impatti sulla sostenibilità

Per chiarire i benefici economici e sociali che una linea ad Alta Velocità (AV) a 300 km/h produce in un territorio è sufficiente richiamare i risultati relativi ai 10 anni di esercizio dell’AV in Italia. Risulta che nei territori che hanno l’AV, il Pil è cresciuto negli ultimi 10 anni di 7 punti percentuali in più rispetto ai territori che non hanno l’AV, e ciò sia nelle regioni del Sud che in quelle del Nord: più precisamente una crescita del Pil tra il 6 ed il 12% in più nei 10 anni. È necessario ricordare che il Pil della Calabria cresce di poco meno dell’1% anno, la realizzazione di una vera AV farebbe raddoppiare la crescita annua del Pil.

Inoltre da recentissimi studi, svolti in Europa ed in Asia, emerge che l’AV genera una redistribuzione della occupazione verso le zone con più alta disoccupazione, con un effetto di forte recupero per le aree in ritardo di sviluppo. Per gli impatti ambientali è importante richiamare che tutti gli studi fatti a livello internazionale dimostrano che l’impatto dell’AV, in termini di impronta di carbonio, è un decimo del trasporto aereo per passeggero trasportato sulla stessa distanza. Cioè muovendosi dalla Calabria verso Roma in aereo si produce 10 volte più gas serra rispetto a muoversi con l’Alta Velocità.

Questi risultati estremamente positivi che riguardano tutte le componenti dello sviluppo sostenibile, hanno portato alla crescita a scala internazionale delle linee di AV: oggi ci sono 70.000 chilometri di linee in esercizio e 70.000 pianificate o in corso di costruzione.

I tracciati e i tempi di percorrenza

L’approccio italiano nei primi anni dei XXI secolo, in accordo con il corridoio Berlino-Palermo progettato dall’Europa, era quello di realizzare una linea di AV che attraversasse tutto il paese da Nord sino a Palermo. Nel 2009 sono entrate in esercizio le linee AV Roma-Napoli e Napoli-Salerno, ed è stata completata la AV Milano-Roma. Questi fatti conducevano quindi alla conclusione che si sarebbe realizzata immediatamente l’AV Salerno-Reggio Calabria e l’AV Messina-Catania-Palermo. Così non è stato. La situazione è profondamente cambiata a causa delle decisioni che hanno preso il Ministero dei Trasporti e dalle Ferrovie riguardo l’AV in Sicilia e in Calabria ed il loro raccordo con l’Attraversamento Stabile.

Il primo grave cambiamento riguarda il tratto da Reggio a Salerno e quindi il collegamento con Roma. Collegandosi al sito ufficiale del dibattito pubblico per l’Alta Velocità Salerno Reggio Calabria, si vede che il tempo migliore ottenibile con la proposta attuale del Governo per il percorso Roma-Reggio è di 3 ore e 40 minuti. considerando Villa un poco prima di Reggio, si può stimare un Roma Villa in 3 ore e 30 minuti, pari a 210 minuti, e non 2 ore e 45 come potrebbe ottenersi con un tracciato non a zig-zag come quello che sta portando avanti il Ministero con Ferrovie. Peraltro, come dimostrato nella letteratura scientifica per raggiungere tutti i capoluoghi della Calabria si impiegherà più tempo con il progetto ministeriale, rispetto al tracciato diretto tirrenico.

Nello specifico risulta poco credibile andare da Battipaglia in direzione Potenza e poi a metà strada (Romagnano) tornare verso il Tirreno. Il corretto tracciato dovrebbe evitare questa zeta collegando direttamente Battipaglia con Praia, poi Lamezia con una stazione AV sotto l’aeroporto.

Una corretta pianificazione dovrebbe prevedere una linea AV Jonica che da Battipaglia vada a Potenza e poi a Metaponto sullo Jonio, arrivando poi a Sibari. Realizzando quindi la stazione dell’AV in connessione con la linea Jonica da Crotone. In questo modo tutte le aree Joniche della Puglia, della Basilicata e della Calabria sarebbero integrate nel sistema di AV senza alcun zig-zag. Tutti i territori jonici avrebbero una forte prospettiva di sviluppo sostenibile.

Il secondo cambiamento riguarda la Sicilia. Tutte le fonti ufficiali riportano che a lavori finiti (con oltre 10 miliardi di spesa) il tempo tra Catania e Palermo sarà di 2 ore. La domanda è: perché per una distanza uguale, cioè circa 200 chilometri, tra Roma e Napoli Afragola si impiega un’ora e tra Palermo e Catania il doppio?

Per la Catania Messina a lavori finiti le fonti ufficiali dicono che il tempo sarà di 45 minuti. Anche qui perché, dato che la distanza è di 90 chilometri, si impiega quasi lo stesso tempo necessario a percorrere i 200 chilometri tra Napoli e Roma?

Alla fine il tempo totale sulla Palermo-Catania-Messina sarà di 165 minuti (120+45).

In sintesi in Sicilia si sta realizzando una ferrovia convenzionale e non una AV, ed in Calabria si sta realizzando, unico caso nel pianeta su 140.000 chilometri di linee, una linea AV che invece di ridurre la lunghezza rispetto al tracciato esistente la aumenta, passando da 393 chilometri a 445. In tutta Italia e in tutto il Mondo quando si realizza una linea AV che colleghi due città che stanno agli estremi, la lunghezza dell’AV è inferiore rispetto alla convenzionale esistente. Di solito la riduzione è del 10%. Cioè dai 393 chilometri attuali si dovrebbe passare a 350 chilometri. Invece Ministero e Ferrovie hanno deciso che la lunghezza aumenterà e sarà di 445, con il placet dei Ministri che si sono succeduti negli ultimi Governi.

I costi e i passeggeri potenziali

I costi ad oggi stimati tra AV e Ponte sono più di 50 miliardi. Con questi soldi alla fine si otterrà un tempo complessivo da Roma a Palermo di 393 minuti (165+ 210+ 18 minuti di Attraversamento), cioè 6 ore e 33 minuti. Da tutti gli studi e le ricerche svolte a livello mondiale emerge che la domanda (cioè il numero di passeggeri potenziali) per l’AV cresce in modo deciso, per percorrenze inferiori a 3 ore, sottraendo all’aereo ed all’auto. La domanda continua a crescere sino a percorrenze di 5 ore. Al di sopra delle 5 ore la domanda AV diventa residuale o zero.

Stessi limiti temporali si hanno per le crescite significative di PIL, al di sotto di 3 ore la crescita è massima, tra 3 e 5 è significativa, al di sopra di 5 è del tutto residuale.

Quindi con una spesa di oltre 50 miliardi (Progetto di Ministero e Ferrovie), nessuna città metropolitana sarà sotto le 3 ore, Reggio e Messina saranno nella fascia intermedia mentre Catania e Palermo avranno benefici scarsissimi o nulli. Situazione ben diversa si avrebbe se i progetti venissero modificati riprendendo quelli proposti tra il 2000 ed il 2010. Si avrebbe Reggio e Messina a 3 ore, Catania e Palermo sotto 5 ore, quindi con un impatto formidabile sul Pil della Calabria e della Sicilia, e su quello della Campania, della Basilicata e della Puglia.

Per la Salerno Reggio basta tornare ai progetti fatti tra il 2003 ed il 2008, con un tracciato che accorcia le percorrenze rispetto alla linea convenzionale esistente. In questi mesi si è svolto il dibattito pubblico per la Battipaglia-Romagnano, definita dal Ministero il primo tratto della Salerno-Reggio Calabria. Peccato che Romagnano si trovi più a Nord di Battipaglia, mentre tutti sanno che Reggio Calabria si trova più a Sud. Cioè per andare da Battipaglia a Reggio Calabria, invece di andare verso Sud, con il progetto del Ministero e delle Ferrovie si andrà verso Nord. Rimane qualche perplessità nel vedere che nessuna delle due Regioni interessate, Calabria e Sicilia, abbiano evidenziato questa incongruenza.

Il tema dell’AV a 300 km/h, su un tracciato da AV, viene posto con forza da associazioni culturali, datoriali, sindacali, alcuni parlamentari nazionali e regionali hanno cominciato a porre la questione di una reale AV al Governo centrale.

La vera Alta Velocità ferroviaria è la grande infrastruttura necessaria per cambiare la storia della Calabria e del Sud. (fr)

[Francesco Russo è  prof. all’Università di Reggio Calabria]

L’OPINIONE / Gianmichele Bosco: Inaccettabile il taglio dei fondi al Sud

di GIANMICHELE BOSCO – Il taglio di 3,5 miliardi di euro al Fondo perequativo infrastrutturale da parte del Governo è un duro colpo per il Sud Italia, che già soffre di un divario infrastrutturale rispetto al resto del Paese.

Le argomentazioni del ministro Matteo Salvini, che definisce la riduzione “solo contabile” e non sostanziale, non convincono per nulla. La realtà è che questa scelta avrà un impatto negativo concreto sulla realizzazione di opere infrastrutturali essenziali per il Mezzogiorno, come strade, ferrovie, scuole e ospedali.
È emblematico che il taglio di 3,5 miliardi al Fondo perequativo infrastrutturale avvenga proprio mentre il governo si appresta a spendere decine di miliardi di euro per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Un’opera faraonica che non rappresenta una priorità per la Calabria, la Sicilia e il Paese. Sono altre le vere priorità su cui il governo dovrebbe investire, non su un ponte che, a detta di molti esperti, presenta notevoli criticità ambientali e economiche.
Come presidente del consiglio comunale, stigmatizzo con forza questa decisione del governo, che rappresenta un atto di grave ingiustizia verso il Sud Italia. È inaccettabile che le risorse destinate a colmare il divario infrastrutturale vengano dirottate altrove. Il Sud Italia ha bisogno di investimenti, non di tagli. (gb)
[Gianmichele Bosco è presidente del Consiglio comunale di Catanzaro]

L’OPINIONE / Pino Masciari: Criminalità organizzata causa dello spopolamento del Sud

di PINO MASCIARI – I nostri giovani continuano a lasciare il Sud Italia. Perché? Il Sud, la Calabria in modo particolare, è terra arida per chi ha bisogno di far crescere e fiorire il proprio futuro. Nel settore privato, imprenditoriale, commerciale, se cresci rischi di perdere tutto, perché attiri immediatamente gli avvoltoi della ‘ndrangheta.

La politica nel suo significato più autentico è nobile, dovrebbe incarnare gli ideali più alti, ma purtroppo è l’uomo che fa politica e l’uomo ha le sue debolezze. Qualcuno di loro o per paura o per avidità o per sete di potere, finisce direttamente o indirettamente a favorire l’illegalità, cadendo nelle logiche mafiose. Le coscienze della gente comune sono messe a posto dalle notizie di indagini e blitz, che di fatto danno l’impressione che “qualcuno se ne stia occupando”, restituendo l’illusione che questo basti a ritenersi non direttamente coinvolte e responsabili.

E la ‘ndrangheta, in questo status quo, continua a conquistare terreno, a sostituirsi allo Stato, a garantire un’efficienza, che seppur sanguinaria ed efferata, rimane tempestiva. Da quello che emerge dalle indagini, hanno talmente tanta liquidità di denaro, che potrebbero risanare il debito pubblico italiano e non solo. Di questo passo, se i giovani non mostreranno consapevolezza, se non se ne parlerà apertamente, se non si denuncerà ogni qualvolta si avrà sentore di una forzatura, di una stortura, di una vessazione, il potere della criminalità organizzata crescerà ancora e occuperà tutti i centri di potere, nazionali e internazionali.

L’allarme è grave e urgente! Questa inconsapevolezza, vera o apparente, è forse la più pesante responsabilità che grava sulle nuove generazioni. (pm)

I sindaci del Sud contro l’autonomia differenziata

Centosessanta sindaci del Sud fanno sentire la loro voce contro l’autonomia differenziata. E lo fanno attraverso un documento, dal titolo Recovery Sud, rivolto ai senatori, in cui chiedono ai senatori dei territori di «riflettere sulle loro responsabilità», ha spiegato il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, tra i primi firmatari del documento.

«Le difficoltà socio-economiche e le carenze amministrative del Mezzogiorno sono reali e tangibili – ha spiegato –. Ogni sindaco che amministra queste terre conosce la lotta quotidiana per garantire servizi adeguati ai cittadini e un futuro sostenibile per le generazioni future».

«Con il regionalismo spinto non si creerebbe quella maggiore efficienza che il ministro Roberto Calderoli sbandiera per giustificare la sua proposta, il cui unico scopo, in realtà, è ridare peso alla Lega. Si determinerebbe, invece, un peggioramento delle condizioni dei municipi del Sud – hanno spiegato i sindaci – Si calcola che la proposta di revisione del Pnrr ottenuta dal ministro Raffaele Fitto colpirà soprattutto le regioni del Sud, che subiranno un taglio di 7,6 miliardi, la metà dei 15,9 che si prevede di ridurre. Per non parlare dell’eliminazione delle Zes e dei 4,4 miliardi distratti dal fondo perequativo infrastrutturale in una nazione che sul piano delle ferrovie e delle strade è letteralmente tagliata in due, l’alta velocità al Nord, la grande lentezza al Sud». (rrm)

NON BASTA DIRE “PONTE“ PER CAMBIARE
LE SORTI DEL SUD: SERVE UNA VERA SVOLTA

di MIMMO NUNNARI – Dicono che faranno il Ponte, ma intanto, visto che non c’erano tutti i soldi per farlo, hanno dirottato sul progetto 1,6 miliardi di euro che erano destinati al fondo di sviluppo e coesione gestito da Sicilia e Calabria, più altri 718 milioni per opere nel Mezzogiorno. Così, con un clic, visto che sa d’antico parlare d’un tratto di penna, quando si cancella qualcosa. Il clic è più veloce.

Bisognerebbe vedere nel dettaglio per quali opere sono stati “cassati” i finanziamenti dirottati sull’opera di regime che Salvini vuole realizzare a tutti i costi; alcuni dicono perché vuole entrare nella storia, più verosimilmente per raccattare consensi al Sud, che prima vedeva come una zavorra per l’Italia del Nord e adesso pensa che sia un’opportunità, quantomeno dal punto di vista elettorale. Perché tutto per quello [il consenso] si fa oggi, nella politica in Italia, a destra come a sinistra. Alzi la mano chi ha un progetto, una visione di Paese e di futuro, un occhio al bene comune, il bottone giusto per accendere un motore che faccia girare le cose.

Una settimana fa il Censis ha restituito l’immagine di un Paese fermo, confuso, prigioniero di ventate emotive, privo di una visione di sviluppo condivisa e condivisibile. Non poteva essere diversamente: la classe politica italiana è quella che è, incapace di fare le riforme che necessitano per far volare il Paese. Volare, sì proprio volare, perché l’Italia potrebbe volare se avessimo una classe dirigente e un Governo adeguati. Sulla carta e nellopinione comune siamo storicamente un Paese ricco dingegno, ancorché povero di risorse, e quando lingegno viene meno – come nellepoca attuale – sono dolori, e soprattutto è crisi, morale ed etica, prima che economica, delle più nere. Avremmo bisogno di un cambiamento di prospettiva: lItalia tutta ne ha disperatamente bisogno, per scongiurare il collasso sociale, economico e ambientale che incombe, soprattutto al Sud.

Ma non si riesce ad andare oltre il “ponte” che Salvini vuole più di tutti, e poco importa se bisogna sacrificare cose che avrebbero ridotto le disuguaglianze che sono le vere iatture di questo Paese incompiuto, senza identità. Per ridare le ali al Paese, che ha bisogno di rimettere a posto i suoi ingranaggi, serve metodo, e il Sud dovrebbe intanto avere i suoi ingranaggi, perché neanche quelli ha. Metodo che cambi la base decisionale, metodo di sintesi costruttiva, che aiuti a scegliere le priorità, quello che serve, che ci guidi fuori dal pantano in cui tutti oggi siamo invischiati. Non basta dire “ponte”, per cambiare le sorti del Sud. Il ponte da solo – sempre che si realizzi – è come comprarsi una Ferrari senza motore; poi la devi spingere per farla muovere, o ti ci puoi solo sedere alla guida e farti un selfie.

È avvilente, che al clic che ha dirottato i finanziamenti previsti per il Sud abbiano messo il loro onorevole ditino per spingere i bottoni i parlamentari della maggioranza eletti nel Meridione, e che gli altri, dell’opposizione, non si siano ancora incatenati agli scranni per protesta. Si sta giocando col fuoco e si sta abusando della pazienza del Sud che non può essere infinita. Il Sud è come un vulcano addormentato che può risvegliarsi all’improvviso. È come una polveriera che può saltare in aria con lo scoppio di una sola scintilla.

Non bastano gli annunci e le promesse per scongiurare eventualità incresciose, e pericolose. Porre riparo alla debolezza storica di regioni come la Calabria sarebbe il punto da cui partire. Spezzare le catene che condannano il Sud all’arretratezza dovrebbe essere un imperativo e non si spezzano certo solo col ponte queste catene; ponte che sembra essere diventato un capriccio elettorale di un ministro per adesso accontentato con i soldi del Sud dirottati con un dirottamento che sembra di più un furto, ai danni di Sicilia e Calabria. (mnu)