Versace (Metrocity RC): Promuovere narrazione nuova e positiva delle ricchezze del territorio

Per Carmelo Versace, sindaco f.f. della Città Metropolitana di Reggio Calabria, bisogna «narrare positivamente e portare fuori dai confini regionali il nostro straordinario patrimonio storico, culturale ed artistico, promuovendo azioni positive ed occasioni di confronto con i contesti più prestigiosi capaci di valorizzare ed arricchire il nostro territorio e le tante energie positive che lo caratterizzano».

«È questa la strada giusta per un territorio che vuole continuare a crescere, utilizzando e valorizzando al meglio le tante esperienze virtuose che contraddistinguono il nostro tessuto sociale con tante realtà associative di straordinario valore, in particolare in ambito culturale», ha sottolineato Versace, nel corso del convegno Da Venezia alla Calabria – Gerace, Reggio e Messina: rotte commerciali e cultura artistica, promosso da Italia Nostra, sezione di Reggio Calabria.

«Un ringraziamento sentito ad Italia Nostra – ha aggiunto Versace – che, attraverso iniziative come questa, ci consente proporre l’obiettivo di una narrazione nuova e differente delle tante ricchezze presenti sul nostro territorio. Come istituzioni dobbiamo supportare ed incoraggiare eventi del genere con sinergie fattive con associazioni e soggetti con cui condividiamo percorsi comuni sulla valorizzazione dei Beni Artistici, Paesaggistici e Culturali in genere». (rrc)

SILA, TESORO INESTIMABILE: SIA MODELLO
PER LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO

di UGO BIANCO – La Sila deve diventare la bussola della politica calabrese che, con continuità, deve impegnarsi nella valorizzazione e tutela del territorio. La montagna estesa per 150.000 ettari, tra le provincie di Cosenza, Crotone e Catanzaro e con suddivisione da nord a sud in Sila Greca, Sila Grande e Sila Piccola. Sono famosi i boschi, le pinete ed i laghi presenti sull’area. Simboli storici che segnano il tempo di numerosi interventi migliorativi del passato.

Le forme di cultura popolare, i saperi ed i sapori fanno da cornice ad uno stile di vita salubre e sano. Famose sono le sagre tradizionali del fungo, della patata e della salsiccia, realizzate in un microclima incontaminato, dove l’aria è la migliore d’Europa se non del pianeta. A seconda della stagione è possibile seguire percorsi cicloturistici, fare escursioni a cavallo e praticare sci di fondo o a discesa.

La cabinovia di Lorica, riqualificata da poco tempo, consente a migliaia di visitatori di salire ad alta quota. I rifuggi, anche punti di ristoro, permettono di assaporare il gusto di vivere la natura, lontani dalla vita frenetica delle città. Questa narrazione della Sila deve essere la bussola della politica calabrese che con continuità deve  impegnarsi nella valorizzazione e tutela del territorio. Necessariamente, dall’amministrazione del piccolo comune alla governance regionale, bisogna ottimizzare con efficacia ed efficienza gli interventi migliorativi. Le risorse messe a diposizione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), della Pac (Politica agricola comune), Por (Piano operativo regionale) e dal Psr (Piano di sviluppo regionale) costituiscono utili strumenti finanziari, ma non bastano. Occorre condividere idee e progetti sostenibili.

Non necessitano gli interventi a pioggia o realizzare cattedrali nel deserto, basta partire dalle peculiarità del montagna, dalle tradizioni, dalla gastronomia e dalle risorse naturali, poco valorizzate, per creare nuovo opportunità spendibili come attrazione. In questo contesto, le potenzialità offerte dal nuovo paradigma digitale sono necessarie per mitigare la pressione dell’uomo sull’ambiente. La decarbonizzazione, la promozione di modelli di economia circolare e collaborativa (shared economy) e l’efficientamento energetico, rappresentano alcuni dei numerosi benefici ambientali ottenibili.

Credo che i tempi sono maturi per strutturare una cabina di regia, governata dalla Regione Calabria, capace di proporre, stimolare e coordinare le giuste sinergie tra gli imprenditori, gli enti locali, il terzo settore, e le forze sociali e sindacali, con lo scopo di creare una nuova stagione di opportunità di crescita. In questo contesto è fondamentale parlare del paradigma della multifunzionalità delle aziende agricole. Attraverso variegate attività l’imprenditore agricolo, da un lato genera un maggiore reddito, e dall’altro offre servizi servizi sociali, come le fattorie didattiche, gli agriasili e gli agriturismi.

La Fattoria didattica

È una vera e propria azienda agricola dedita alla coltivazione della terra, all’ allevamento di animali e la vendita diretta prodotti, come frutta, verdura, latte, formaggi, burro, biscotti, marmellate e conserve. Si definisce didattica perché si impara “facendo”. 

I bambini possono osservare il lavoro e ripeterlo.

Ad esempio: vengono sensibilizzati sul tema della tutela dell’ambiente e sull’importanza di adottare comportamenti etici e sostenibili; apprendono antichi saperi e lavori che rappresentano l’essenza del mondo rurale; conoscono le basi di una sana alimentazione, fondata su materie prime di qualità e su prodotti realizzati in modo genuino.

Le principali attività nelle quali vengono coinvolti i bambini sono: raccogliere le uova nel pollaio; dare da mangiare agli animali; andare nell’orto a prendere la verdura; visitare le stalle e imparare come si munge; produrre dei formaggi a partire dal latte munto in giornata.

Una miriade di opportunità che consentono di comprendere come vengono realizzati i beni alimentari che consumiamo abitualmente. 

L’Agriasilo

È dedicato ai bambini di età compresa tra i tre e i sei anni. Le aziende agricole propongono ai bambini esperienze socio-educative per l’infanzia di supporto alla genitorialità, integrative alla vita quotidiana.

L’Agriturismo

A gestire l’agriturismo è un imprenditore agricolo che da un lato svolge le classiche attività di coltivazione, allevamento di animali o silvicoltura, ma dall’altro lato valorizza le risorse agricole offrendo servizi di ospitalità attraverso l’allestimento di alloggi per soggiorno, la somministrazione di pasti e di bevande, costituiti da prodotti propri in prevalenza. La creazione di aree attrezzate per il campeggio e cura l’organizzazione di attività ricreative, sportive, culturali e didattiche.

In conclusione, questo mio pensiero, come una goccia nell’immensità del mare, vorrei che fosse un pungolo per la politica, a tutti i livelli, affinché venga rafforzata l’attenzione sull’economia calabrese, in declino da tempo a causa di problemi atavici tipo la disoccupazione, lo spopolamenti ed il calo demografico. Vorrei che passasse l’idea che la Calabria non è terra di mafia e corruzione, ma la perla del mediterraneo, fatta di tesori naturali, paesaggistici e storici e culturali, attraverso i quali si possono poggiare le idee condivise di sviluppo sostenibile ed ecocompatibile.

Questa chiave di lettura consente di guardare a nuovi orizzonti mediate la visione positiva della montagna e dare credibilità a progetti dove i protagonisti devono essere necessariamente i giovani. Il futuro è nelle nostre mani e in quelle delle generazioni future, che dobbiamo formare verso lo sviluppo sostenibile e l’uso di tecnologie capaci di favorire una vita sana e prospera, preservando ambiente, economia, società ed istituzioni. (ub)

REGIONE CALABRIA COME LAB INNOVATIVO
DALLA RICCHEZZA DEI BORGHI IL MODELLO

di FRANCO ROSSI – Il cambiamento imposto dal Covid/19 appare a ciascuno di noi come una sofferenza difficile da sopportare in un particolare momento in cui  i nostri riferimenti culturali, scientifici, tecnologici, sociali, la globalizzazione, il mercato, insomma tutto ciò che fino a ieri erano le certezze del nostro futuro sono venute meno.

Siamo di fronte all’inaspettato: pensavamo di aver definito un modello ormai consolidato regolato da parametri certi quali la qualità  della vita, la sua organizzazione sociale, quella spaziale degli insediamenti, e invece improvvisamente ci si accorge che non controlliamo più nulla nell’istante in cui improvvisamente la biologia compie la sua rivolta

La portata della crisi impone una risposta collettiva e coordinata, sul piano globale.

Il Covid-19 non conosce confini. La crisi è globale e i disequilibri sociali che si vanno accentuando nel mondo sono un boomerang che in tempi brevi torneranno indietro e produrranno effetti dannosi per tutti. Nessun Paese sarà salvo se il virus non sarà sconfitto. Per gestire l’emergenza sanitaria globale è necessario  concentrare gli sforzi sui settori cruciali, attraverso programmi di rafforzamento della salute, dell’igiene, dell’istruzione e di sostegno alle reti di protezione sociale. Investire nelle strutture per la salute, un investimento per il nostro futuro e il nostro benessere.

Il quadro delle responsabilità che si devono assumere nel pieno e nel percorso per il superamento della crisi sanitaria è profondamente mutato nelle gerarchie e nelle urgenze, ma forse non è mutato negli obiettivi. Oggi serve garantire protezione civile, infrastrutture ospedaliere e sanitarie, servizi essenziali, trasporti sicuri ed efficienti e piattaforme in grado di garantire tutti i servizi on line anche quelli per i quali ancora non ne conosciamo le modalità.

Il governo del territorio inteso come “regolazione” dei rapporti tra pubblico e privato viene messo da parte e le conseguenze economiche del COVID-19, di cui le più evidenti sono già oggi l’accumulo di debiti pubblici e privati, e quelle attese sono l’aumento delle povertà e delle diseguaglianze sociali e territoriali, prefigurano la necessità di costruire una regia pubblica con al centro la gestione delle crisi a cui siamo sottoposti con frequenze sempre più ravvicinate.

Nella stagione della quarantena segnata da una assenza di spazio pubblico che si è ritirato/ricostruito nello spazio privato, l’insieme delle dotazioni urbanistiche, a maggior ragione, tenendo conto della bassa qualità delle abitazioni, necessita di essere ripensato a partire dalle modalità di accesso ed uso e dal loro rapporto con la forma della città.  che prefigura diverse relazioni dei piccoli centri delle aree interne.

Il significato di “urbanità” va reinterpretato, dunque, attraverso i mezzi di comunicazione e trasporto, una riflessione quanto mai attuale in queste settimane. Se la tecnologia ha permesso una sorta di annientamento delle distanze fisiche tra le persone – nel bene e nel male – in un momento di isolamento forzato ci saziamo troppo in fretta di contenuti e relazioni virtuali, rimpiangendo la dimensione sociale, fisica, umana non solo del rapporto con gli altri, ma anche del nostro rapporto con il contesto urbano.

Guardiamo strade, piazze e giardini dalle finestre e sono paesaggi statici, immobili, svuotati di quella caotica vita che, in condizioni ordinarie, li caratterizza e vi attribuisce significato.

In tale quadro, la Regione Calabria può svolgere una funzione di laboratorio innovativo di non poco conto. La Calabria sostanzialmente rimane caratterizzata da un  sistema di centri di piccole dimensioni, immersi in una matrice ambientale/paesaggistica pressoché intatta, dove si respira aria pulita, si mangiano prodotti sani, si mantiene il contatto con la natura, si intrattengono relazioni di vicinato.

La Regione Calabria si trova nelle condizioni di prospettare un modello economico/sociale  capace di fornire risposte e soluzioni alla crisi dei modelli insediativi fin qui praticati e messi in crisi dal Coronavirus.

I borghi calabresi rappresentano una ricchezza e un modello insediativo  capace di dare risposte positive alla crisi di identità  che i centri urbani stanno subendo in questa condizione di crisi.

Sollecitare dal basso, dentro la comunità locale, le istituzioni e gli stakeholders a guardare, con occhi nuovi, il territorio come insieme di borgo e campagna interconnesso quale ecosistema integrato e sostenibile. Da una impostazione di questa natura potrebbe partire un percorso che vedrà coinvolti i territori  e dovrà essere  indirizzato a sperimentare azioni e strategie su vari fronti, quali: l’agro-ecologia, la green economy e l’economia circolare, la mobilità dolce e il turismo responsabile, la gestione sostenibile delle acque urbane e le energie rinnovabili.

Nel momento in cui le città si fermano, ai loro abitanti, compresi nei gusci delle case, degli appartamenti o dei posti di lavoro, è concesso un movimento diverso, quello del pensiero, dei sentimenti e delle idee. E proprio tale movimento immateriale in ogni epoca ha alimentato le rinascite urbane dopo le crisi.

Al vuoto gestionale e progettuale che ha caratterizzato il passato e alle fasi di emergenze (urbanistiche, idrogeologiche, ambientali, economiche e sociali) che hanno dettato le regole del governo del territorio, potrà contrapporsi un modello di gestione della Regione finalizzato a garantire realmente la messa in essere di procedure sostenibili.

Approfondire le riflessioni sull’ambiente e sul paesaggio costituisce uno dei modi attraverso cui interrogarsi sul mondo, la vita, il futuro delle nostre comunità perché il paesaggio racchiude in sé non solo il segno dell’uomo, del suo agire, del suo rappresentare o rappresentarsi, ma anche la forza e la violenza della natura. (frr)

[Il prof. Franco Rossi è stato assessore regionale alla Pianificazione territoriale e urbanistica nella Giunta Oliverio]

RIVITALIZZARE IL TERRITORIO E INNOVARE
COSA SERVE PER LA SALUTE DEI CALABRESI

Il binomio Salute e Sviluppo sembra un ossimoro in Calabria, visti gli insuperabili problemi della Sanità che ormai datano da oltre dieci anni. Il commissariamento ha provocato guasti ulteriori e le varie terapie tentate non hanno prodotto alcun sintomo di guarigione, anzi le cose sono peggiorate. Ma non va visto tutto da un punto di vista pessimistico e c’è chi ritiene, invece, che si possa invertire la rotta. Ne parliamo con un esperto del settore, Franco Caccia, sociologo e responsabile U.O Servizi Sociali dell’Asp di Catanzaro, secondo il quale è ormai indifferibile un piano per la salute dei calabresi, basato sull’innovazione dei servizi e la rivitalizzazione del territorio. 

– Il covid 19, fenomeno drammatico quanto imprevedibile, ha messo a dura prova i sistemi di cura dell’intero Paese. L’impatto della pandemia in Calabria ha tolto ogni dubbio sulla urgenza di procedere ad un radicale rinnovo dell’organizzazione dei servizi sanitari. A suo parere, come bisognerà agire? 

«Innanzitutto bisognerebbe riuscire ad apprendere dai diversi insegnamenti che derivano dall’esperienza Covid. Ci siamo tutti accorti che, quando sulla società si abbatte un’emergenza, prima ancora che la forza dei singoli, è decisiva la tenuta della comunità. Abbiamo visto quanto le nostre vite siano interconnesse, quanto la società sia un organismo fragile. È inoltre emerso con forza uno spirito comunitario e ciascuno si è sentito responsabile verso la salute altrui. Abbiamo preso atto del valore della co-responsabilità, si pensi alla lunga prima fase della pandemia quando le uniche prescrizioni degli esperti erano rappresentati dal distanziamento sociale e dall’uso delle mascherine, e abbiamo riscoperto il valore della solidarietà, quale bene prezioso per la tenuta dei nostri territori. 

«Quanto vissuto ci ha permesso di toccare con mano la veridicità delle dichiarazioni dell’organizzazione mondiale della sanità: “la salute si sviluppa a livello locale, nei contesti della vita quotidiana, nei quartieri e nelle comunità dove le persone di ogni età vivono, lavorano, amano, studiano e si divertono.”(Oms 2016)». 

– Ci avviamo verso un cambio radicale del concetto di salute?

«Per troppi anni, il tema della salute, soprattutto in Calabria, ha chiamato in causa, in maniera quasi esclusiva, la figura dei medici e degli ospedali. Figure e strutture senza dubbio fondamentali per gestire la cura delle malattie, intese come anomalia del corpo umano. Quella impostazione è oggi però superata ed appare urgente ed indispensabile costruire un nuovo piano per la salute dei calabresi che abbia alla base una nuova visione, non solo delle criticità ma anche delle opportunità per costruire le condizioni per star bene all’interno di un approccio di tipo comunitario.  

«Diversamente si corre il rischio di continuare a fare quanto si è sempre fatto, magari con uno strumentale utilizzo di qualche termine in voga in questo periodo (territorialità, prossimità) e di sprecare l’ennesima opportunità per un cambiamento della qualità di vita dei cittadini calabresi. Bisogna pertanto prendere atto delle cause dei problemi incontrati durante l’epidemia e cercare di evitare l’errore più grande e cioè tornare a fare le cose che si facevano prima. 

«La salute è “bene comune”, è la vita di una comunità che garantisce il benessere di tutti attraverso i propri servizi e le proprie risorse (scuola, sanità, servizi assistenziali, cura del territorio, lavoro, cultura e tempo libero). Ripensare all’idea di salute, a partire dalla persona e dalla comunità in cui questa vive e lavora, significa ridefinire priorità, ridisegnare processi, prodotti e metodologie per la realizzazione di percorsi di cura con la più ampia integrazione tra tutte le risorse presenti in ogni comunità. In questa nuova vision, viene sollecitato e sostenuto il contributo che proviene dai contesti familiari, sociali e comunitari, in cui è inserito il cittadino. Questo ruolo attivo, del destinatario e del suo contesto, viene considerato determinante nella co-produzione di un prodotto-servizio tarato sulle singole necessità e potenzialità del singolo. 

«Per tali motivazioni, una delle funzioni centrali, demandata ai moderni sistemi di cura, dovrà essere centrata proprio sulla capacitazione (capacità in azione), che implica concretamente creare condizioni affinché ogni persona possa partecipare all’attuazione del proprio progetto di salute. Un’azione innovativa su cui si giocherà la capacità, delle istituzioni e dei territori, di declinare una nuova programmazione che avrà come destinatari singole persone, nuclei familiari e intere comunità, nonché sulla capacità di orientare le risorse pubbliche ed organizzative verso questo scopo». 

– Siamo di fronte ad un nuovo modo di lavorare nel settore della salute?

«Non c’è dubbio che esistano delle differenze sostanziali tra il prima ed il dopo. Rispetto ai servizi tradizionali cambia infatti il mandato: non erogare ma connettere, non rispondere ma costruire possibilità, non più contenere i mali di una società fragile, ma facilitare, intraprendere, intermediare. Molte di queste esperienze hanno il merito di aprire dei veri e propri laboratori in cui non si parla più di utenti, prestazioni, protocolli. Si dovrebbero inoltre, con sempre maggiore frequenza, utilizzare termini quali: attivazione, condivisone, co-progettazione, reciprocità, fiducia. I servizi e le esperienze generate da questa nuova impostazione sono già tante e varie. Esempi come la badante di condominio, baby-sitter condivisa, biblioteche con iniziative aggregative e sociali, cortili sociali, custode sociale, la rete dei social street, orti di quartiere, agricoltura sociale, banche del tempo, formazione inter-generazionale, cohousing, sono esperienze concrete, in fase di espansione in molte parti d’Italia, in cui è stato attivato il processo di ammodernamento del welfare. Usiamo il termine di welfare generativo per qualificare questi laboratori capaci innestare risposte aggiuntive e migliorative a partire dai risultati raggiunti. 

«Pare comunque evidente che tutte queste realtà si basano sull’assunto che mettendo insieme interessi e bisogni comuni si possono produrre iniziative più efficaci e potenti della somma delle azioni di ciascuno: perché produttrici di legami, fiducia, coesione, e perché benessere individuale e benessere collettivo vivono di intrecci. Nasce così il concetto di “welfare di comunità”, concetto non nuovo ma che, negli ultimi anni, ha trovato nuovi impulsi dai risultati positivi delle sperimentazioni in atto, rafforzando l’idea che occorrano nuove alleanze tra istituzioni, famiglie, il privato sociale, il mercato, in grado di  valorizzare le capacità di iniziativa dei singoli e delle formazioni sociali». 

– Perché la comunità riveste un ruolo centrale nelle nuove politiche di salute?

«Il Santo Padre, papa Francesco, in occasione della messa di Pentecoste, del maggio 2020, ebbe a dire che “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. L’invito del presule deve essere colto a pieno, sia per le scelte di tipo individuale quanto comunitarie, tra cui l’adeguamento dei sistemi di cura. Tra gli addetti al settore della salute abbiamo ben presente quanto certificato da anni di analisi scientifiche internazionali le quali sono chiare nell’attribuire alla presenza/assenza di servizi sanitari un impatto minimo sulle condizioni di salute dei cittadini (10%).  

«Ciò che maggiormente influenza lo star bene delle persone sono i cosiddetti determinanti sociali di salute quali gli stili di vita (50%), i fattori ambientali (20%) ed i fattori genetici (20%).  Siamo di fronte ad un nuovo modo di pensare alle politiche della cura le cui parole chiave sono rappresentate da comunità, personalizzazione degli interventi, domiciliarietà, relazioni umane.  Il covid ha esaltato la centralità del territorio, finora visto e gestito come luogo da cui nascono bisogni/problemi e non già come spazio in cui sono presenti o attivabili risorse ed opportunità. Vi è pertanto necessità di una nuova visione delle politiche per la salute capaci di agire per rinforzare i legami e la collaborazione all’interno delle comunità locali mettendo in campo, prima delle tecniche organizzative, la qualità dell’etica rappresentata da scelte e comportamenti ispirati alla reciprocità, alla solidarietà e alla responsabilità collettiva. 

«In questa direzione, come già avviato a livello internazionale, c’è necessità di un nuovo paradigma della cura chiamato community care (comunità che cura), in cui , partendo dall’assunto di salute  come bene comune e non già  appannaggio esclusivo di alcuna Istituzione, promuove un approccio comunitario in cui si interviene sui diversi aspetti che incidono sulla salute dei cittadini: lavoro adeguato e sicuro, abitazione dignitosa, accesso alla formazione ed alla cultura, ambienti urbani sani, strumenti e opportunità di relazione e di inclusione sociale. Si intuisce quindi che se dovessimo pensare di circoscrivere, con il termine cure territoriali, il potenziamento di qualche servizio domiciliare, senza agire sulla dimensione etica-formativa ed organizzativa dei sistemi di cura, rischiamo di fare poca strada.

– Come può essere affrontato il tema della non autosufficienza nella nuova visione organizzativa del welfare territoriale? 

La non autosufficienza rappresenta per il nostro Paese una priorità assoluta alla luce dei processi sociali e demografici in atto, di fronte alla quale, tuttavia, oggi ci si trova per molti aspetti impreparati. Nell’evoluzione dello scenario sono già presenti gli indicatori su cui basare la certezza di una forte crescita del bisogno di cura a domicilio: progressivo invecchiamento della popolazione; aumento delle malattie cronico-degenerative; indebolimento delle reti familiari (numero risicato di figli delle famiglie moderne, fenomeno acuito, nel caso della Calabria, dall’emigrazione giovanile in altre regioni e/o nazioni); carenza di risorse pubbliche per le politiche di cura tradizionale. 

«Le analisi dei numeri e delle tendenze culturali e demografiche in atto non lasciano dubbi. Siamo di fronte ad un vero “bacino di sviluppo occupazionale”, che potrebbe sprigionare in maniera spontanea la sua forza. Peccato che il settore pubblico, nella maggior parte dei casi, resti a guardare. Nella migliore delle ipotesi, si registra qualche esperienza sporadica in cui pezzi del pubblico intervengono su singole fasi del processo di selezione ed inserimento della figura di cura nel domicilio della persona non autosufficiente. 

«In considerazione dell’aumento dell’ aspettativa di vita e considerato il fenomeno dell’atomizzazione delle famiglie, elemento reso ancor più critico in Calabria dal fenomeno dell’emigrazione dei giovani, è ormai non più rinviabile un piano regionale per le cure a domicilio delle persone non autosufficienti. Sulla base delle migliori prassi, il piano dovrebbe potenziare gli interventi ed i servizi  qualificati ed integrati rivolti alle famiglie. Si tratta di pensare ad un sistema di domiciliarietà che superi la frammentazione delle singole prestazioni per dare spazio ad una filiera di servizi e prestazioni da erogare dentro e fuori ed intorno alla casa o la struttura protetta/RSA. 

Del resto l’emergenza sanitaria determinata dal Covid-19 ha acceso una nuova luce sui servizi per la non autosufficienza, del quale i servizi domiciliari costituiscono una componente cruciale. È opinione condivisa che una presenza più solida del welfare pubblico nel territorio avrebbe consentito di contrastare meglio il Covid-19 e avrebbe permesso di prevenire il diffondersi della pandemia. 

– Un cambiamento di tale portata richiede un preciso impegno anche da parte della Regione Calabria?

Non c’è dubbio che il ruolo delle scelte operate dall’ente Regione in questo settore saranno decisive. Ho notato che l’on.le Roberto Occhiuto, nelle sue prime dichiarazioni da candidato presidente, abbia messo al primo posto del suo programma la riorganizzazione dei servizi per la salute. Sono sicuro che analogo impegno arriverà presto anche da altri candidati e che questo tema sarà centrale nella campagna elettorale dei prossimi mesi.  

«Dal superamento dell’attuale commissariamento della sanità, alla riorganizzazione dei sistemi territoriali, il compito della regione è insostituibile. In quest’ottica mi limito a due proposte: prima di tutto, l’istituzione nelle 5 ASP della Calabria, come già avviene per regioni come Veneto, Toscana, Emilia Romagna, della figura del direttore dei servizi socio-sanitari. Tale figura, in particolare in una regione come la Calabria dove la rete dei servizi sociali comunali è ancora in fase di costituzione, potrebbe svolgere il doppio ruolo di valorizzare l’approccio socio-relazionale dei professionisti sociali operanti all’interno di ogni ASP e, nel contempo, svolgere il ruolo di supporto tecnico per i Comitati dei sindaci chiamati (ai sensi della L.R. n. 23-2003-art 20) all’elaborazione e gestione dei Piani di Zona e costruire la giusta armonizzazione per un’offerta di servizi per la salute del cittadino, integrata e qualificata. 

«L’altra proposta riguarda la creazione di un’agenzia capace di accompagnare i territori della Calabria, in termini di supporto formativo ed organizzativo, per la condivisione e l’arricchimento di un “pensiero nuovo” verso la cura e verso il welfare di comunità. Qualsiasi innovazione nei processi organizzativi nasce da un cambiamento, spesso radicale, di idee, visioni, metodi. Il nuovo approccio alla cura centrato sul ruolo da protagonista della triade Cittadino-Famiglia-Comunità rappresenta una sfida impegnativa anche perché richiede modalità di approccio distanti dai modelli culturali e dagli approcci organizzativi utilizzati dagli attuali operatori del settore. Ciò che sarà importante da parte dei futuri amministratori della regione Calabria è mettere mano ad un settore dove, nonostante l’immagine negativa costruita negli anni, vi sono ancora le condizioni per invertire la tendenza e creare un percorso che possa portare prima alla normalità e, successivamente,  puntare all’eccellenza. (rrm)