di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Tra il 2003 e il 2017 le Regioni meridionali, dove risiede il 4 per cento della popolazione europea, hanno attratto solo l’1 per cento dell’afflusso di investimenti diretti in Europa. In termini pro capite, gli investimenti diretti alle Regioni meridionali sono stati poco più di un terzo di quelli giunti alle aree arretrate della Spagna e un quarto di quelli affluiti alla Germania orientale». Così nella relazione di Panetta nell’incontro di Catania dell’altro ieri.
In Italia non si è mai posta troppa attenzione in realtà all’attrazione di investimenti all’esterno dell’area, che sono stati ritenuti, soprattutto dalla sinistra, forme di colonizzazione. E invece in tutta Europa si compete perché gli investimenti cosiddetti “greenfield”, cioè quelli che portano a costruzioni di stabilimenti, con relativa assunzione di dipendenti, magari con la creazione di centri di ricerca, sono molto ambiti, come si è visto peraltro con la vicenda Intel e la localizzazione degli stabilimenti relativi di tale multinazionale a Dresda.
Cosa diversa sono gli investimenti finanziari che portano al passaggio di proprietà da una realtà nazionale a una realtà multinazionale e certamente impoveriscono i paesi che ne sono vittima. Come si è visto nella relazione di Panetta, che peraltro riporta dati risalenti a un lavoro del 2020 della Commissione Europea, ma la situazione non è molto cambiata da allora, di Comotti, R. Crescenzi e S. lammarino, intitolato Foreign direct investment, global value chains and regional economic development in Europe, il ruolo del Mezzogiorno nell’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area è assolutamente risibile.
Le motivazioni sono piuttosto ampie ma certamente la presenza di criminalità organizzata in tutte le aree meridionali, dalla mafia alla camorra, dalla ‘ndrangheta alla sacra corona unita, spesso scoraggia gli investitori che hanno a disposizione aree più sicure in tutta Europa, a cominciare da quelle tedesche per finire a quelle spagnole. Risulta spesso più conveniente localizzarsi in Polonia o in Ungheria piuttosto che in Campania o in Sicilia.
L’altro elemento che gioca a sfavore del Mezzogiorno è la sua dotazione infrastrutturale, assolutamente carente come é stato riconosciuto, peraltro, unanimemente da tutta la politica nazionale, tanto che il Ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, sta lavorando alacremente per superare un gap che risale all’Unità D’Italia.
Ma vi sono altri due elementi che incidono pesantemente nell’escludere il Mezzogiorno dalle aree prescelte dagli investitori internazionali: il costo del lavoro e la tassazione degli utili di impresa eventuali. Mentre la ciliegina sulla torta, che fa ritenere velleitari coloro che decidono di investire al Sud, è la mole di autorizzazioni, di permessi, di passaggi infiniti che fanno sì che alla fine in molti rinuncino.
Con le Zes si volevano risolvere tali problemi e poiché era impensabile farlo in tutto il territorio meridionale si era pensato di limitare i provvedimenti ad alcune aree che, per esempio, potevano diventare “criminal free”, con controlli anche elettronici, certamente costosi, e un utilizzo più rilevante delle forze dell’ordine.
Anche per quanto atteneva al problema dell’infrastrutturazione, avere delle aree limitate vicino ai porti significava poterle collegare facilmente, magari costruendo quell’ultimo miglio che in genere manca sempre, limitando l’impegno e accelerando i tempi, per esempio lavorando notte e giorno, cosa impossibile da fare, per un’area che rappresenta il 40% del territorio nazionale.
Per completare anche il costo del lavoro poteva essere ridotto con l’annullamento del cuneo fiscale, cosa che si sta portando avanti con costi incredibili, ma se tale provvedimento invece che riguardare una realtà ampia si poteva limitare ai nuovi insediamenti e alle zone prescelte.
Infine la tassazione diminuirla per tutto il sistema imprenditoriale meridionale costituisce un costo che nel tempo è difficile da sopportare. Limitarla per i primi 10 anni di insediamento e per le aree prescelte poteva essere una soluzione auspicabile.
Infine” last but not least”, immaginatevi una semplificazione amministrativa che riguardi tutte le pratiche che si presentano provenienti da tutto il territorio meridionale, magari accentrate in un unico ministero, come è previsto con la Zes unica. Per quanto Giosy Romano ha dimostrato di essere una eccellenza l’insuccesso non è prevedibile ma sicuro.
In realtà purtroppo Raffaele Fitto non ha ben compreso il significato profondo delle Zes, che in ogni parte del mondo, vedi caso, riguardano aree limitate. Ha voluto rifare una nuova Cassa Del Mezzogiorno, senza peraltro averne le risorse, inventandosi una Zes unica, che ha tradito gli obiettivi veri dello strumento, perché in realtà invece che attrarre investimenti all’esterno dell’area ha permesso di scegliere centralmente, come forse è giusto, gli investimenti semi pubblici da incoraggiare.
Ma le risorse per quanto importanti a disposizione del Governo sono sempre estremamente limitate e le Zes volevano essere la soluzione per condurre lo sviluppo del Sud attraverso capitali privati internazionali.
Quello che ha fatto in modo determinato la Germania occidentale nei confronti della ex Ddr. Tanto che, come afferma Panetta, sono un quarto gli importi che riguardano il Mezzogiorno, pur avendo la ex Ddr un territorio più limitato ed una popolazione che non arriva a 17 milioni contro i 20 del Meridione.
E allora sarebbe opportuno che il nuovo ministro, se si eviterà lo spezzatino di cui si parla, distribuendo le deleghe del ministero del Mezzogiorno a tutti gli altri ministeri, faccia un esercizio di umiltà, cercando di capire, magari visitando le Zes europee o quelle cinesi, il significato profondo dello strumento, per poter poi fare un passo indietro rispetto ad una decisione assolutamente superficiale, demagogica e populista, che ha fatto tutti Caballeros. Si è accontentata la struttura produttiva esistente, che vota, e che infatti è felice del cambiamento, alla quale si continuano a dare mancette senza, invece, perseguire il vero obiettivo che é l’aumento della capacità produttiva complessiva e non l’assistenza di quella esistente, magari consentendo ad attività ormai decotte di continuare a rimanere sul mercato.
E scaricando sul bilancio dello Stato costi impropri, come il cuneo fiscale generalizzato, inopinatamente introdotto dal Ministro Provenzano, che serve solo ad aumentare il consenso. Come si vede quando si fanno interventi che tendono a far crescere il consenso a breve, senza puntare agli obiettivi veri, destra e sinistra si ritrovano.
Che i passi indietro sono sempre complicati è risaputo ma anche una soluzione potrebbe essere quella che si individuino le aree come era stato stato fatto anche senza plateali ritorni al passato estremamente complicati politicamente. Ma ritorniamo a far funzionare lo strumento che oggi é diventato inefficace, al di là dei proclami. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]