di AMELIA CANALE E GIUSEPPE TOSCANO – Da oggi, lunedì 18, a mercoledì 20 luglio si svolgeranno le elezioni per la nomina del nuovo Rettore dell’Università Mediterranea, ma ancora una volta sarà appannaggio del solo personale docente, alla faccia di chi si aspettava una ventata di rinnovamento dopo i recenti scandali che hanno sconvolto l’Ateneo reggino.
Lo stesso corpo docente, o almeno una sua consistente parte, che per troppi anni ha vissuto rinchiuso in una sorta di fortino, arroccato nella strenua difesa di interessi di gruppo e di privilegi ingiustificati, continua ad escludere la componente studentesca e quella tecnico-amministrativa dalla più primigenia e naturale forma di partecipazione democratica: il diritto di voto per l’elezione del Rettore, la più alta carica politica dell’ateneo.
Infatti, una antidemocratica norma dello Statuto della Mediterranea (il comma 8 dell’art. 17), varata circa 11 anni fa, priva di fatto studenti e personale tecnico-amministrativo e bibliotecario (PTAB) del diritto di esprimersi sull’elezione del Rettore fino alla terza votazione di ballottaggio (sesta votazione generale!), trasformando l’occasione di massimo coinvolgimento nella vita politica della Mediterranea, in una “cosa per pochi eletti”: i docenti e i ricercatori.
I “Magnifici” eletti da quando la “casta” ha varato questa norma statutaria illiberale e aberrante, nel 2012 e nel 2018, hanno avuto il discutibile merito di consegnare l’Università di Reggio Calabria agli onori (sarebbe più corretto parlare di disonori) della cronaca con l’inchiesta “Magnifica” condotta dalla Guardia di Finanza.
Come spesso accade nella pubblica amministrazione, quando si devono ampliare gli ambiti soggettivi di partecipazione, si utilizza spesso lo strumento delle “Burocrazia”, nella sua accezione peggiore, con la quale si tende a percorrere strade contorte e ad utilizzare banali escamotage, come le richieste di “pareri”, l’attesa di chiarimenti, il ricorso a “consulenze” e altre simili amenità, tutte tendenti a far trascorrere inutilmente il poco tempo che resta per cambiare le cose e quindi senza arrivare a nessuna reale forma di cambiamento.
Il rischio di smarrirsi in “boschi bui” è alto.
“Buio” è certamente sembrato, ad esempio, il silenzio consociativo e smarrito di quasi tutte le istituzioni del territorio calabrese, di fronte allo stato di preoccupante degrado raggiunto dal nostro Ateneo, così come portato alla luce dall’inchiesta “Magnifica”.
Un’università come la Mediterranea, che si era aperta ad ampi orizzonti strategici di lungo periodo, partecipativi e democratici, ha finito miseramente, nel corso dell’ultimo decennio, per assumere quelle caratteristiche culturali connotate dall’esclusiva attenzione verso interessi personalistici, ristretti e localistici; il tutto a fronte di un Ministero, sempre più distante, distratto e accomodante, consentendo il perpetuarsi di atteggiamenti, anacronistici e padronali.
Il quadro desolante che ne risulta ci racconta della gestione piramidale, nella quale il gotha ha acquisito una posizione di dominanza esclusiva e indiscutibile che ha di fatto trasformato la nostra Università da “Mediterranea” a “Riggitana”, anemico esemplare di accademia chiusa in un bacino (di interessi) molto ristretto.
I docenti più poliedrici, sottratti in tutto o in parte alla didattica ed alla ricerca scientifica, svolgono in modo prepotente e spesso incompetente, anche ruoli propri del personale tecnico amministrativo e bibliotecario, improvvisandosi dirigenti nei ruoli amministrativi e tecnici finendo per presiedere una miriade di commissioni e dirigere tutte le funzioni amministrative dell’Ateneo, in barba alle innumerevoli norme sulla separazione della politica dall’amministrazione e della gestione.
Questo sicuramente non rispecchia, purtroppo, un percorso di democrazia, ma di sopraffazione e di perpetuazione di interessi di parte e non pubblici e di comunità.
I docenti, così organizzati, seguono di fatto tutte le attività e finiscono ovviamente anche per decidere lo sviluppo delle carriere di tutto il personale tecnico e non, attraverso, addirittura, l’inopportuna presenza di un docente che ha svolto le funzioni di presidente dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UPD) . Tale ultima anomalia, più volte contestata da USB, dalla UIL e dalla RSU di ateneo è stata di recente “sanata” con il decreto di ricostituzione dell’organismo con cui l’università ha dovuto “provvedere alla ricostituzione dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari a seguito di impedimenti intervenuti che riguardano alcuni componenti dell’UPD precedentemente nominato”.
La mancata modifica dello Statuto e tutti gli ipocriti tecnicismi che sono frapposti per ostacolare l’abrogazione del famigerato illiberale comma 8 art. 17, porteranno ancora una volta alla scelta del nuovo Rettore della Mediterranea con le vecchie modalità di voto, dimostrando ampiamente, se ce ne fosse ancora bisogno, come il rinnovamento democratico e partecipativo e il rispetto della pari dignità tra tutte le componenti di Ateneo, è ancora lontano dal diventare una realtà.
Un sistema chiuso al cambiamento, incapace di rinnovarsi, ostile a comprendere le regole del vivere e del codice penale. Un parassita che pretende e vive di risorse pubbliche ma vuole regole proprie autodeterminate.
Le patologie del sistema universitario italiano, alla Mediterranea sono presenti in tutte le varianti. La diagnosi è certa ma il paziente rifiuta le cure mentre la malattia avanza. Il personale amministrativo, tecnico e bibliotecario e gli studenti sono l’unica difesa immunitaria che può, dall’interno, mantenere viva la speranza di guarigione. Per questo, il prossimo Rettore non democraticamente eletto, dovrà subito fare i conti che la pesante eredità dei predecessori non democraticamente eletti e decidere se iniziare le cure o praticare l’eutanasia di un ateneo gravemente malato. Eutanasia a cui non assisteremo passivi. (ac e gt)