di FRANK GAGLIARDI – Natale è alle porte. Non ce lo dice soltanto il calendario appeso in cucina, ma ce lo dicono le cataste dei panettoni nei supermercati e le sfavillanti luci multicolori dei negozi e delle strade. In varie città italiane hanno aperto da diversi giorni i mercatini di Natale.
Anche Cosenza, secondo la tradizione, ha il suo mercatino. Quest’anno è in Piazza Bilotti ex Piazza Fera. Pastori, stelle filanti, alberi di Natale artificiali, palline colorate, oggetti in ceramica artistica calabrese e poi anche frittelle e cullurielli. Non potevano mancare i fichi e le crocette. E come ogni anno puntualmente arriva la querelle: «Il presepe o l’albero di Natale?».
Io mi schiero per la tradizione e scelgo il presepe. Ma dato che è di moda l’albero di Natale anche quest’anno i pastori, la capanna, le casette, gli zampognari, Gesù Bambino sono stati dimenticati nel più angolo remoto della soffitta. Io, però, a scanso di equivoci, preferisco il presepe. Perché mi ricorda tempi lontani quando si era felici anche se nella miseria. Il presepe che ho impresso nella mente e che porto nel mio cuore è quello costruito con scatole di cartone, con tronchi di sughero, con carta di imballaggio per le montagne, con l’ovatta per la neve, con gli specchietti di vetro per i laghetti, con il muschio che andavo a raccogliere nei boschi, con i pastori di creta fatti a mano che mamma aveva comprato in Via Rivocati o con quelli che ci portava nelle nostre case “U capillaru” Giorgio in cambio dei capelli della mamma e di mia sorella Anna. Era bello il mio presepe anche se i risultati a volte erano goffi e commoventi.
I pastori erano più grandi delle casette. Gli odierni presepi che si vendono in un unico blocco nel mercatino di Natale a Cosenza sono bellissimi e perfetti, ma non danno nessuna soddisfazione a chi li compra. Dov’è finita l’attesa, la preparazione del tavolo e dei cartoni, la gioia nello srotolare i pastori avvolti nella carta di giornali, la messa in opera delle casette, la raccolta del muschio, il posizionamento dei pastori. La costruzione del presepe era un gioco bellissimo ed impegnativo. Occupava parecchio tempo e serviva ad unire tra loro le persone: insegnanti ed alunni, nonni e nipotini, uomini e donne, vecchi e bambini, ricchi e poveri, eruditi ed analfabeti. Esso descriveva e descrive tuttora un evento storico inconfutabile: la venuta di Gesù sulla terra. Il presepe, sia piccolo che grande, bello o goffo, ci ricorda la dolcezza della nostra infanzia spensierata, ci ricorda la nostra cara mamma che con le vicine di casa friggeva “turdilli e cullurielli” nelle grandi cucine piene di fumo e di fuliggine, ci ricorda la nonna che cullava il nipotino e gli raccontava le rumanze, ci ricorda tutta la famiglia riunita per Natale intorno ad una lunga tavola apparecchiata con tredici pietanze.
Noi del Sud sin da piccoli abbiamo costruito il presepe e, quindi, siamo cresciuti con esso. Lasciamo a quelli del Nord l’albero. A noi ci piace di più il presepe. E a lei, caro lettore che mi stai leggendo, le piace ‘o presebbio? E Gesù Bambino lo avrebbe fatto nascere, secondo la tradizione cristiana, in una grotta o in una bagnarola o carretta di mare con le quali molti emigranti arrivano nelle nostre coste? A Natale, davanti al presepe, ancora si canta la famosa canzoncina: Tu scendi dalle stelle. Non dice: Tu vieni con un gommone, ma vieni in una grotta al freddo e al gelo. Anche un vescovo emerito di Bologna ha criticato questa scelta.
Ma il Sindaco si è così giustificato: «La culla del Bambinello è stata sostituita da un gommone per ricordare il dramma dei migranti». (fg)