di FRANCO BARTUCCI – Vedo che domani alla cittadella regionale di Catanzaro si parlerà di dissesto idrogeologico in Calabria, un tema questo di studio e ricerca all’Università della Calabria fin dai suoi albori per effetto della costituzione del dipartimento di difesa del suolo. In questi anni si è fatto tanto come dimostrano gli atti del Corso annuale sulle tecniche per la difesa dall’inquinamento che recentemente ha visto in aula “Umberto Caldora” la celebrazione della sua 43° edizione.
Approfitto della circostanza per pubblicare ciò che ho raccolto dall’intervento del prof. Paolo Zimmaro che ha parlato di sismicità e dissesto idrogeologico, alla luce delle sue conoscenze internazionali per aver lavorato negli Stati Uniti nell’Università della California e rientrato all’UniCal. Ciò che occorre in questo momento fare è quello di raccogliere le varie esperienze e conoscenze che abbiamo sul territorio calabrese ed impegnarli per la sua tutela e sviluppo al di fuori delle logiche campanilistiche o quanto altro.
«Gran parte del territorio Italiano – ci ha detto nella circostanza del corso tenutosi all’UniCal – è caratterizzato da alta pericolosità sismica. Questo aspetto, unito alla vulnerabilità rispetto all’instabilità’ di versante del territorio nazionale, fa si che in Italia il rischio di frane indotte da terremoti sia elevato in una vasta area. In aggiunta ai fenomeni di frane indotte da terremoto, anche il rischio legato ad altri fenomeni geotecnici indotti da sisma come la liquefazione e la fagliazione di superficie è molto elevato, come testimoniato dai fenomeni osservati a seguito delle recenti sequenze sismiche in Emilia (2012) e Centro Italia (2016)».
«Questa ricerca, recentemente presentata in occasione della 43esima edizione dei “seminari tecnico-scientifici su tecniche per la difesa del suolo e dall’inquinamento – Italian conference on integrated river basin management” e scritta a quattro mani con il Prof. Ernesto Ausilio dell’Universita’ della Calabria si concentra sull’analisi dei fenomeni franosi indotti da terremoto in Italia Centrale e Meridionale. I terremoti presi in considerazione sono 11 e coprono un arco temporale che va dal 1783 al 2016. Il range di magnitudo dei terremoti analizzati e’ 5.9-7.1. Alcuni di questi terremoti fanno parte di sequenze sismiche. In particolare sono state analizzate due sequenze sismiche significative: (1) la sequenza sismica Calabrese del 1783 e (2) la sequenza sismica in Centro Italia del 2016. L’analisi di questi eventi ha permesso di ricostruire le cause scatenanti i fenomeni franosi osservati a seguito di questi eventi calamitosi e delimitare le aree interessate dagli stessi. Tali conclusioni sono essenziali per la definizione di mappe di rischio su scala regionale e per la futura pianificazione del territorio».
«Ovviamente i dati di fenomeni geotecnici indotti da terremoto (per esempio frane e liquefazione) per eventi storici sono di fondamentale importanza, tuttavia, la quantità e qualità di dati forniti da terremoti recenti e’ migliorata sostanzialmente grazie all’uso di tecnologie innovative come il rilievo da drone e i dati satellitari ottici e radar. Si inserisce in questo contesto un progetto di ricerca recentemente finanziato dalla Nasa, di cui è responsabile il sottoscritto per la parte geotecnica. Il progetto si propone di creare mappe di danneggiamento post-sisma nelle ore immediatamente successive il terremoto, che possano fornire informazioni preziose per la definizione delle aree interessate da danni significativi e pianificare opportunamente i soccorsi e le attività di protezione civile. Queste mappe, chiamate Damage Proxy Maps, si basano sull’uso di dati radar satellitari. I dati di danneggiamento geotecnico presentati nel presente studio costituiscono un prezioso elemento per la valutazione della loro efficacia e per la loro calibrazione».
«Una approfondita analisi dei dati relativi alle frane indotte dalla sequenza sismica del Centro Italia del 2016, qui presentata, e’ stata oggetto di un libro edito da Springer e pubblicato di recente, che raccoglie contributi rispetto a questa tematica da tutto il mondo. Per quanto riguarda l’Italia, oltre al sottoscritto sono co-auotori del volume i Professori Ausilio (Unical), Silvestri (Università di Napoli Federico II) e Tropeano (Università di Cagliari). Questo libro, ad oggi, rappresenta una delle risorse più avanzate per la valutazione dello stato dell’arte nell’ambito delle frane indotte da sisma».
«Le tematiche del dissesto idrogeologico e della fragilità del territorio sono state riportate prepotentemente all’attenzione delle nostre comunità a seguito della recente frana di Casamicciola, sull’isola di Ischia. Tali fragilità, infatti, oltre a quella di vulnerabilità rispetto al rischio frana, si aggiungono all’alta pericolosità sismica della zona, testimoniata dal recente terremoto del 2017 o dal distruttivo evento sismico del 1883 che ha praticamente raso al suolo il comune. Il territorio di Casamicciola può essere considerato come rappresentativo di fragilità che sono condivise da molte zone d’Italia. La Calabria ovviamente non e’ esente da questi rischi, essendo in una zona ad alta pericolosità sismica e vulnerabile al dissesto idrogeologico. L’attenzione mediatica che segue tragedie come quella di Casamicciola, accende i riflettori sulle tematiche della mitigazione del rischio. Purtroppo, tali attenzioni scemano col tempo, e non riescono, almeno in Italia, a produrre effetti duraturi».
«L’occorrenza di eventi calamitosi come le frane o i terremoti in Italia è inevitabile. È ben noto che questi eventi possono distruggere centri abitati ed infrastrutture, devastare comunità, e troppo spesso, provocare la perdita di molte vite. Ad esempio, terremoti distruttivi succederanno molto probabilmente nel corso delle nostre vite, e quasi certamente in quelle dei nostri figli. La domanda più importante che dovremmo chiederci è: come possiamo ridurre il rischio sismico e idrogeologico per le generazioni future?».
«Esperienze passate, in altri luoghi del mondo ad alta pericolosità sismica, indicano che il modo più efficace per ridurre il rischio sismica delle nostre società, è attraverso il costante apprendimento da eventi distruttivi avvenuti in passato. In California e Nuova Zelanda, ad esempio quando eventi sismici hanno rivelano che alcune zone sono soggette a fagliazione di superficie, liquefazione, o instabilità di pendii sismo-indotta, queste aree sono state mappate e studiate in modo da prevenire, o quantomeno mitigare il rischio della futura occorrenza di questi fenomeni. L’elenco di esempi internazionali da cui l’Italia può apprendere potrebbe continuare a lungo».
«La situazione Italiana è piuttosto complessa e gli agglomerati urbani sono costituiti da molte strutture ad alta vulnerabilità e/o in zone a rischio dissesto idrogeologico. Tali vulnerabilità sono certamente esacerbate dagli effetti dei cambiamenti climatici. Le strutture a rischio, inoltre, costituiscono una larga fetta del patrimonio edilizio privato, ed è complicato definire strategie di mitigazione del rischio che coinvolgano allo stesso tempo proprietari, amministrazioni pubbliche e sovrintendenze. Nei principali centri urbani Californiani, problemi simili, anche se relativi a differenti tipologie strutturali, sono in fase di risoluzione attraverso ordinanze comunali di mitigazione del rischio sismico obbligatorie. Questo impegno è stato possibile solo attraverso un’azione congiunta dal basso, di ingegneri, comunità locali di cittadini, la stampa e, successivamente, anche rappresentanze politiche. Possono simili iniziative essere intraprese in maniera efficace anche in Italia?».
«Come detto, ad oggi è possibile, attraverso tecniche innovative, raccogliere una grande mole di dati post-disastro. La sfida che ci troviamo ad affrontare adesso è: come possiamo tramutare questo bagaglio di esperienze ed insegnamenti in azioni pratiche volte ad un miglioramento delle pratiche correnti in Italia? La politica, la società / l’opinione pubblica e le comunità interessate dovrebbero perseguire l’implementazione di pratiche migliori rispetto a quanto fatto nel passato ricostruendo le stesse tipologie strutturali nelle stesse aree – “com’era, dov’era.” L’attuazione dogmatica di questo motto, come successo in passato non può essere più una opzione accettabile. L’unica strada perseguibile e’ quella di implementare un approccio proattivo al rischio sismico ed idrogeologico, individuando interventi prioritari e richiedendo l’obbligo (magari supportando questa azione con incentivi fiscali) della messa in sicurezza delle strutture e delle aree a rischio. Un piano di questo tipo si può certamente attuare in un periodo di “pace”, cioè non in fase emergenziale, ma necessita di una visione di lungo termine almeno ventennale» (fb)